NORISC-19

Materiali di ricerca antropologica da un’indagine mixed methods sul Terzo Settore in Campania


NORISC-19

Anthropological research materials from a mixed methods survey on the Third Sector in Campania


Eugenio Zito, Giuseppe Sotira, Mariavittoria Cicellin, Gabriella Punziano

Dipartimento di Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli Federico II


Indice

Introduzione

Note metodologiche

Materiali di ricerca 1: reti collaborative, tra istituzioni ed altri enti

Materiali di ricerca 2: impatti della Riforma del Terzo Settore

Materiali di ricerca 3: effetti del Covid-19 sugli enti

Restituzione e conclusioni

Bibliografia


Abstract

After an introduction to FRA Project NORISC-19 on Third Sector in Campania, the authors illustrate some aspects of the anthropological methodology used in a part of it, then focusing on the analysis of the materials from 21 interviews with representatives of associations in the 5 provincies of Naples, Caserta, Salerno, Avellino and Benevento. The themes analyzed in an anthropological perspective, showing old problems and new opportunities, concern collaborative networks with institutions and other associations and the impact of exogenous events such as the Third Sector Reform and the Covid-19 pandemic. The discussed results also allow reflecting on the potential of an anthropological approach to the study of these contemporary issues within an original mixed methods perspective, which, in NORISC-19, combines and integrates multiple disciplinary fields.

Keywords: cultural anthropology; contemporaneity; welfare; Third Sector Reform; pandemic.



Introduzione

NORISC-19 - New Organizational Responses, Innovation and Social Impacts of Covid-19 on Third Sector in Campania Region è il progetto che ci è stato finanziato sulla Linea B – progetti di ricerca originali – nell’ambito del bando competitivo Finanziamento Ricerca Ateneo (FRA) 2020 dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, svolto nell’arco del biennio aprile 2021-marzo 2023 [Punziano, Cicelli, Zito 2023]. NORISC-19, integrando i settori scientifico-disciplinari di Discipline Demoetnoantropologiche (M-DEA/01), Organizzazione aziendale (SECS-P/10), Sociologia Generale (SPS/07), si è proposto complessivamente un’analisi mixed methods [Amaturo, Punziano 2016] del Terzo Settore1 (TS) in Campania, fotografando l’impatto sociale sperimentato, nonché le strategie attuate, durante l’emergenza Covid-19, con un particolare focus sul digitale [Punziano et alii 2023], anche in connessione con le altre più ampie trasformazioni già in atto e connesse alla Legge di Riforma del TS (legge delega 106/2016). Come mostra la prospettiva antropologica [Porcellana 2023], il TS è un fenomeno relativamente moderno, figlio di un lungo processo di privatizzazione del welfare negli stati occidentali, il cui studio non può esaurirsi nella ricostruzione della sua storia [Conti, Silei 2005], in quanto è necessario considerarne anche gli aspetti ideologici e culturali a partire dai contesti spazio-temporali in cui si declina [Edgar, Russel 1998; Delle Cave 2020; Rimoldi, Pozzi 2022; Zito, Sotira 2023a]. In particolare, negli ultimi anni, l’antropologia ha avuto modo di penetrare nel campo del welfare ed estrarne numerosi temi di riflessione attraverso alcune interessanti etnografie, nonostante, da un lato la presenza di resistenze, difficoltà ed ostacoli di varia natura, dall’altro il fatto di non avere ancora, in merito, pienamente formalizzato un ambito teorico a sè [Porcellana 2022; Rimoldi, Pozzi 2022]. Proprio Rimoldi e Pozzi, nel recente lavoro collettaneo da loro curato, esplorano criticamente il concetto di Welfare State da una prospettiva diacronica, «privilegiando un’analisi che proceda dal basso verso l’alto» [2022, 28], con l’obiettivo, da un lato di mostrare «le trasformazioni, le ambiguità, le processualità che abitano l’intervento statale nella promozione del benessere individuale e collettivo», dall’altro di «mettere in luce il contributo che l’etnografia può fornire all’analisi delle pratiche, delle politiche e delle rappresentazioni del welfare» [2022, 27]. L’etnografia [Fassin 2017] costituisce infatti un’utile metodica per ricercare le complesse relazioni e le attribuzioni di significato che si condensano nei sistemi di welfare e di TS. D’altro canto negli ultimi anni il TS in Italia ha registrato una forte crescita, aumentando inoltre il suo prestigio, anche in virtù delle differenze ideologiche e organizzative che lo separano dai contesti pubblici. La sospensione dei pregiudizi, l’enfasi sull’empatia, l’organizzazione decentralizzata e lontana dai valori neoliberali sono tra gli aspetti salienti dell’operato del TS, che ha tuttavia ancora molte sfide da affrontare. Il riferimento è innanzitutto a quelle scatenate e/o accentuate dalla pandemia di Covid-19 che si è abbattuta su questo ambito con notevole forza, creando però, al contempo, la necessità di nuovi strumenti e nuove skill a cui il TS non ha tardato ad adattarsi, mostrando una buona flessibilità, anche soprattutto in funzione della centralità del suo capitale sociale. Quest’ultimo sembra costituire la sua risorsa più importante, perché ciò che fa andare avanti gli enti di TS2 non è solo la disponibilità di un capitale conomico, ma soprattutto le relazioni che si instaurano e le comunità che si creano in un territorio, a partire da un patrimonio simbolico condensato nella mission di ciascun ente che alimenta un’economia sociale distante dalle ideologie neoliberali prevalentemente dominanti negli altri settori.

Nei paragrafi che seguono si offrirà, dopo alcune note metodologiche, una riflessione critica su una parte dei materiali desunti dalla fase antropologica del più ampio progetto di ricerca mixed methods NORISC-19, con il duplice obiettivo, da un lato di portare l’attenzione sul rilevante tema del privato sociale in Italia nel mondo contemporaneo, muovendosi dall’esempio della Campania scelta come contesto d’indagine, e dall’altro di riflettere sulle potenzialità insite in un approccio antropologico al suo studio, in una prospettiva che combina e integra più discipline.

Note metodologiche

Obiettivo del progetto NORISC-19 è stato l’analisi delle risposte organizzative e delle strategie messe in atto dagli enti campani per sopravvivere alla crisi e all’impatto sociale che il periodo pandemico e immediatamente post-pandemico ha prodotto sul TS. NORISC-19 ha seguito complessivamente un approccio di ricerca mixed methods [Amaturo, Punziano 2016], adottato per evitare una visione settoriale e per conciliare le prospettive coinvolte, antropologica, economico-organizzativa e sociologica. Tale coesistenza di discipline è stata pensata per garantire un’analisi di tutto campo del fenomeno, evidenziando diverse dimensioni fondamentali per la comprensione dello stesso, con particolare riguardo verso questioni quali la presenza di reti associative, il rapporto con i decisori politici e con la Riforma del TS, l’emergenza di elementi innovativi dei processi organizzativi, le risposte culturali e sociali al Covid-19, il ruolo delle tecnologie digitali [Punziano, Cicellin, Zito 2023].

La ricerca è stata complessivamente strutturata in due parti. La prima, prevalentemente quantitativa, è basata su un lavoro di ricognizione della presenza degli enti sul territorio, dalla quale è stata realizzata una mappatura nelle 5 province della Regione Campania. La seconda parte, quantitativa e qualitativa, ha usato tale mappatura come base per l’analisi in profondità dell’impatto che la pandemia e i suoi effetti hanno avuto sulle organizzazioni e gli individui coinvolti nel TS. Tale analisi è stata svolta usando un questionario e delle interviste sul campo. Dal questionario3 sono state rilevate delle tematiche fondamentali quali l’importanza delle reti collaborative, le strategie e le pratiche messe in atto per assicurare la continuità operativa, gli elementi innovativi e tecnologici derivati dal periodo pandemico e di lockdown, il rapporto con il settore pubblico e le difficoltà nella transizione prevista dalla Riforma del TS. Tali nodi tematici hanno rappresentato la base per la raccolta, e successivamente l’analisi, attraverso l’accesso al campo, di interviste4 in profondità svolte in prospettiva antropologica con i responsabili5 dei 21 enti selezionati alla fine del processo sulla base dei 3 criteri di dimensione territoriale, settore di attività e raggio di azione relativivamente alle 5 provincie campane (Figura 1). Per la raccolta delle testimonianze con interviste e per la successiva analisi del contenuto è stato utilizzato il seguente schema tematico-interpretativo [Zito, Sotira 2023b]:

  • presentazione di enti e soggetti che li compongono, con relative storia, mission e attività;
  • reti collaborative, con le istituzioni e con altri enti;
  • impatti della Riforma del TS;
  • effetti del Covid-19 sugli enti.

In quest’articolo ci si focalizzerà in particolare sull’analisi dei materiali di ricerca antropologica relativi a reti collaborative, impatti della Riforma ed effetti del Covid-19.

Fig.1. Enti di Terzo Settore campani intervistati

Materiali di ricerca 1: reti collaborative, tra istituzioni ed altri enti

In un ambito come quello del TS le reti collaborative svolgono un ruolo spesso fondamentale nella fondazione ed evoluzione degli enti. La collaborazione avviene infatti prevalentemente su due livelli, quella tra enti e quella con le istituzioni, spesso presenti simultaneamente. La relazione tra enti è sicuramente il tipo di collaborazione più importante per il maggior numero delle realtà intervistate, talvolta rappresentandone perfino la ragione fondativa. Può essere temporanea o permanente, centralizzata o decentralizzata, ma in ogni caso è lo strumento migliore per accedere a bandi, appalti, finanziamenti e per allargare la copertura territoriale. Alcune tipologie di enti, tra quelli intervistati, preferiscono collaborazioni di carattere generale, laddove altre si limitano ai contesti affini alle proprie mission. Le reti collaborative tra enti assumono generalmente connotazioni positive e cooperative, ma alcune associazioni hanno riportato anche la presenza di aspetti competitivi e ostili. La collaborazione con gli enti istituzionali risulta talvolta necessaria per il funzionamento di alcune tipologie di associazioni e risente delle istanze politiche e riguardanti la Riforma del TS, assumendo non di rado connotazioni negative. Relativamente alle reti collaborative con le istituzioni è comunque importante ribadire che per molti enti intervistati tali relazioni assumono particolare rilevanza. Questo è il caso, soprattutto, di quelle realtà che si occupano del mantenimento di beni culturali, come La Paranza, l’Associazione per i Siti Reali e le Residenze Borboniche, Casertantica e Verginisanità. In tal caso sono le specifiche attività degli enti che rendono necessaria la collaborazione con le istituzioni locali. Infatti, siti quali la Piscina Mirabilis, le Catacombe di San Gennaro, l’Acquedotto Augusteo e il Borgo di Caserta Antica sono dati in appalto dalle istituzioni locali. Come testimonia il presidente di l’Associazione per i Siti Reali e le Residenze Borboniche: «La conoscenza e la valorizzazione di questo patrimonio non si può realizzare senza un rapporto con l’ente pubblico territoriale» (Intervista n.4). Ciò rappresenta la necessità di confrontarsi con processi burocratici che, come espresso dal presidente di La Paranza: «si confermano essere lenti e complessi. C’è da chiedersi se ciò non ostacoli le realtà più fragili, invece che aiutarle» (Intervista n.6). Allo stesso modo il portavoce di Casertantica sostiene:

quello che ci manca è una condivisione di intenti con gli enti istituzionali. Al di là degli aspetti di facciata, sarebbe opportuno che i comuni facessero delle proloco degli strumenti reali, nel senso di condividere le progettualità e tentare di metterle a sistema delle persone che, sempre tramite volontariato, abbiano la conoscenza del territorio (Intervista n.11).

Altri enti si trovano a collaborare con le istituzioni proprio per via della tipologia di attività svolte. Un esempio è quello della Cooperativa ICARE, un ente di stampo religioso che lavora con le carceri, ma è anche il caso di Maestri di strada, che intrattiene relazioni con le scuole per lo svolgimento di corsi di formazione. Il presidente di quest’ultimo palesa una forte insoddisfazione al riguardo.

Quelli che ci fanno gli enti pubblici sono contratti-capestro, è una vergogna. Sono contratti che non prevedono nel modo più assoluto che gli operatori in questo settore siano dei ricercatori; quindi, bisogna prevedere una fase di studio, progettazione, preparazione che non viene pagata. Non abbiamo una documentazione preesistente, noi dobbiamo appunto inventarci il nostro lavoro strada facendo (Intervista n.5).

Una particolare testimonianza è poi quella della presidente di Cooperativa NewHope, che così giustifica la sua riluttanza nel collaborare con le istituzioni.

Cerchiamo di restare fuori dalle reti istituzionali, perché quando entri in certe reti perdi un po’ di autonomia di scelta e hai l’obbligo di mantenere certi standard. Questo ci ha fatto sempre un po’ paura perché noi dobbiamo mettere al centro la persona, non il denaro (Intervista n.13).

Dalle varie interviste è chiaro che il rapporto con le istituzioni è talvolta necessario, ma quasi sempre complesso e in alcuni casi vissuto male dagli enti. In particolare, riprendendo le riflessioni di Capello [2022] sui “buchi neri”6 dell’esperienza sociale nei contesti da lui esaminati, i processi burocratici risultano essere spesso troppo lenti e opachi e le relazioni asimmetriche. La ricerca antropologica evidenzia che nel tempo il welfare pubblico si è infatti trasformato in un “apparato ideologico” che si preoccupa di identificare ed eliminare le devianze, piuttosto che del sostegno alla persona, mostrando inoltre l’opacità dei suoi processi burocratici [Capello 2022]. A proposito di relazioni asimetriche, dal canto suo, Biffi [2022] evidenzia i rapporti fortemente asimmetrici che si vengono a creare tra beneficiari e operatori nel welfare pubblico, dove sono proprio le amministrazioni a rafforzarli, tramutando i diritti in «concessioni benevole» [2022, 163]. La testimonianza della portavoce di NewHope si allinea con le riflessioni di Capello e Biffi, restituendo l’idea che le istituzioni siano in realtà poco interessate all’effettivo benessere della persona. Inoltre, più in generale, da molti interlocutori è possibile notare la richiesta di un maggiore riconoscimento.

Passando al rapporto tra enti, le reti che si vengono a creare sono spesso strumentali per rafforzare e sostenere le loro stesse attività, permettendo l’accesso a risorse che un’associazione, soprattutto se di piccola entità, non riuscirebbe mai ad ottenere da sola. A tal proposito la presidente di INTRA afferma: «L’alleanza con altre realtà forti serve soprattutto all’inizio per ottenere accesso ai bandi di difficile accesso» (Intervista n. 18). Dal canto suo la portavoce di La Paranza, invece, esplicita l’importanza della collaborazione come strumento per accedere a nuove tipologie di competenze:

abbiamo capito che riunendoci in una forma più ampia potevamo presentarci in maniera più completa in progettazioni o proposte future, avendo una forma che contenesse le competenze utili per la gestione di altri siti (Intervista n.6).

Talvolta le collaborazioni creano il terreno fertile per la nascita di nuovi enti come nel caso di La Rada, Avionica e Teniamoci per Mano. Dalle testimonianze di queste ultime si capisce, dunque, il valore strategico e simbolico che le collaborazioni hanno all’interno del TS. Nonostante ciò, 3 dei 21 enti i cui portavoce sono stati intervistati in profondità hanno palesato anche un certo grado di insoddisfazione. In particolare, le criticità sollevate non sono rivolte al concetto stesso di collaborazione, ma derivano dai peculiari campi su cui tali enti operano, caratterizzati talvolta da una componente competitiva o di eccessiva chiusura. Il presidente di Tieni a Mente parla di «molta competizione», un aspetto «più vicino al mondo del privato che a quello del sociale», e mentre associa tale aspetto a un «trasferimento di buone prassi», ammette l’esistenza di una tendenza a «coltivare il proprio orticello» (Intervista n.1). Con un’espressione molto simile, il presidente della sezione Caserta del Club Alpino Italiano spiega le difficoltà incontrate dal suo ente nelle collaborazioni: «ognuno vuole portare acqua al proprio mulino. Questo lo dico con grande rammarico perché nella nostra associazione non c’è nessuna volontà di competere» (Intervista n.12). Infine il presidente di Teniamoci per Mano spiega che «normalmente le associazioni tendono a non collaborare. La maggior parte vuole il monopolio e questo è proprio assurdo» (Intervista n.3). Dunque, il fattore della competizione sembra prevalere in alcuni contesti, ostacolando la creazione di buone reti collaborative. Nonostante ciò, dalle testimonianze emerge comunque la prevalente volontà di stabilire relazioni cooperative. Secondo il presidente della sezione Caserta del Club Alpino Italiano:

alla fine, l’unione fa la forza. Se si lavora a un’iniziativa da soli magari esce un bell’articolo sul giornale, ma finisce lì, senza avere la forza di portarla avanti. Se ci si mette, invece, a fare un progetto in una decina di associazioni, magari si hanno anche più possibilità di avere un riscontro concreto presso le istituzioni (Intervista n.12).

Tenendo a mente le necessità dei beneficiari, parlando delle attività svolte nelle istituzioni ospedaliere, ancora il presidente di Teniamoci per Mano afferma:

una collaborazione tra associazioni sarebbe bella perché così le corsie potrebbero essere coperte per una settimana intera, mentre se si lavora da soli, dipendendo dalle disponibilità dei volontari, non sempre è possibile (Intervista n.3).

Materiali di ricerca 2: impatti della Riforma del Terzo Settore

Il privato sociale, più degli altri settori, è estremamente suscettibile ad eventi esogeni e ciò è riconducibile alla necessità di mantenere relazioni con le istituzioni pubbliche, ma anche alla dipendenza dagli attori politici e legislativi. Allo stesso modo è molto raro che un ente del TS sia autosufficiente in termini di risorse e fondi, rendendo necessaria la ricerca di forme di finanziamento basate su donazioni o bandi. Da ciò ne deriva che la Riforma del TS e l’arrivo della pandemia di Covid-19 hanno rappresentato una complessa combinazione di eventi che ha fortemente influenzato il privato sociale e lo svolgimento delle sue attività. In particolare la transizione normativa portata dalla Riforma ha coinvolto la maggior parte dei 21 enti intervistati che, a loro volta, hanno restituito un quadro piuttosto eterogeneo al riguardo, anche perché, essendo le sue misure attuative non ancora terminate, ognuno di essi si colloca in un momento diverso di tale transizione normativa. Alcuni hanno vissuto quest’ultima serenamente; si tratta di quelle realtà che avevano le competenze o i supporti necessari per comprendere e mettere in atto le misure burocratiche. Questo aspetto è chiaramente spiegato dalla presidente del consorzio La Rada: «Noi siamo una rete strutturata, è chiaro che se hai più di venti anni di storia reagisci diversamente da una startup» (Intervista n.14). Tale aspetto si ripresenta anche nelle parole della portavoce del Foro Nazionale dei Consumatori, che afferma: «Gli iter burocratici sono sempre difficili. Per fortuna, vista anche la nostra esperienza in questo campo, stiamo riuscendo a trovare la quadra» (Intervista n.7). Le testimonianze raccolte aprono a riflessioni più ampie sulla Riforma. L’idea che «bisogna essere seguiti» (Intervista n.11) o che servano «diversi professionisti» (Intervista n.7), come commercialisti nel caso di Teniamoci per Mano o notai per il Club Alpino Italiano, restituisce la visione di una Riforma difficilmente comprensibile e non attenta ai bisogni delle associazioni, soprattutto quelle di piccole dimensioni. Questo è il caso esposto dalla portavoce di Cooperativa INTRA, la quale denuncia il fatto che «le associazioni non vengano aiutate nel fare le pratiche» (Intervista n.18). A queste criticità si aggiunge la percezione di una lentezza generale delle misure attuative, la «sensazione di una burocrazia che si conferma essere lenta e complessa» (Intervista n.6). In proposito il presidente di Associazione Capavolti parla di una Riforma «farraginosa», e che «non rende giustizia all’originalità, specificità e capillarità delle associazioni», lamentando «la macchina amministrativa che sta cercando disperatamente di fare una serie di passaggi che avrebbe dovuto fare già tanto tempo fa» (Intervista n.16). In alcuni casi l’insieme di tali problematiche genera confusione e frustrazione, sentimenti presenti anche nel rapporto con le istituzioni. Questo è il caso del presidente di Maestri di Strada il quale lamenta: «La Riforma del TS? Io non la vedo, non c’è. L’effetto principale della Riforma è stato quello di farmi crescere la rabbia» (Intervista n.6). La presidente di NewHope denuncia, invece, la sensazione di sentirsi invisibile dinnanzi alla Riforma e alle istituzioni: «In queste riforme la nostra cooperativa a volte non si trova proprio. Sappiamo bene che lo Stato un giorno le cooperative le leverà da mezzo e questa cosa ci fa star male» (Intervista n.13). Al riguardo il presidente di Tieni a Mente reagisce, invece, con apatia:

la mia impressione è che cambierà veramente poco. Il registro è unico, ma le sottocategorie regionali continueranno ad essere gestite dagli stessi uffici. Gli interlocutori istituzionali non cambieranno (Intervista n.1).

Nonostante le criticità sollevate, dedicate soprattutto alle modalità attuative, l’idea della necessità di una Riforma persiste. In alcuni casi ciò coincide con una visione ottimistica sui cambiamenti che la Riforma stessa porterà in futuro. Altri interlocutori si esprimono in termini di «scelte coerenti e sane» (Intervista n.16), di «opportunità» e di «molti più vantaggi rispetto al passato» (Intervista n.12).

Tuttavia, l’aspetto che più di tutti si presenta nelle testimonianze è la necessità del riconoscimento del ruolo fondamentale che il TS ha nella distribuzione dei servizi in Italia. Mentre la Riforma rappresenta sicuramente un primo passo verso questo obiettivo, secondo alcuni dei soggetti intervistati ciò non basterebbe. Il portavoce di Avionica, ad esempio, chiede «più riconoscimento per il ruolo che gli enti del TS svolgono» (Intervista n.19). Quello di Cava Felix si esprime in maniera simile: «Il TS è intrinsecamente innovativo e ciò non credo sia riconosciuto dalla Riforma» (Intervista n.15). La presidente di INTRA, poi, denuncia:

il TS è una materia che non conosce nessuno, soprattutto negli ambienti pubblici. Io spingo sempre i funzionari pubblici a formarsi perché noi forniamo servizi importanti; quindi, a volte, ci tocca fare il loro lavoro (Intervista n.18).

A tale riguardo si esprime anche il presidente dell’Associazione per i Siti Reali e le Residenze Borboniche: «l’agevolazione che lo Stato riconosce al TS deve essere in funzione della sua utilità sociale. Il TS è fondamentale nel nostro Paese» (Intervista n.4).

Quello della Riforma del TS è comunque un tema piuttosto controverso per gli enti intervistati e per il quale, più in generale, non c’è stata una reazione omogenea. Ritorna così la questione della difficoltà nell’interagire e relazionarsi con le istituzioni. Tale aspetto ha una certa importanza in quanto, come è possibile vedere dalle interviste, si è registrata una reale difficoltà nelle procedure burocratiche di transizione. Difatti, mentre gli enti che avevano accesso a un maggiore capitale di competenze hanno vissuto tranquillamente la Riforma, quelli di minore entità o senza la disponibilità di certe figure professionali si sono trovati in difficoltà e sono tutt’ora bloccati negli iter burocratici. In questo non hanno aiutato l’inefficienza e la lentezza della burocrazia, spesso lamentate dagli enti. Nonostante ciò, rimane ferma la convinzione della necessità di certe misure, finalizzate non solo al miglioramento dei processi e alla facilitazione di accesso ai fondi, ma anche a conferire al TS il riconoscimento che gli enti richiedono da anni. Mentre la Riforma del TS è indubbiamente un tema importantissimo per il futuro del privato sociale italiano, l’evento recente che più ha cambiato la percezione, interna ed esterna, del TS è stata la pandemia di Covid-19.

Materiali di ricerca 3: effetti del Covid-19 sugli enti

Se caratteri tipici degli enti del TS sono flessibilità organizzativa, capacità di innovare e importanza del rapporto empatico con i beneficiari, a questi va però aggiunta anche la recente introduzione di strumenti digitali nelle attività svolte, fondamentali nella reazione degli enti alla pandemia di Covid-19 e al conseguente periodo di lockdown e di isolamento sociale.

Più in generale, in relazione all’effetto della pandemia, il presidente di Tieni a Mente, per esempio, parla di due principali impatti:

da una parte sicuramente di natura economica, per cui le entrate banalmente si sono ridotte, nel 2020 si sono praticamente dimezzate, dall’altra, la pandemia ci ha dato molto tempo libero per fare scouting di fondi, cosa che è diventata un volano per lo sviluppo dell’associazione (Intervista n.1).

Già da questa testimonianza è possibile osservare un tratto tipico delle esperienze vissute, ovvero la compresenza di effetti negativi e positivi, nonostante la gravità dell’evento principale. Tuttavia lo stesso presidente avverte anche un altro tipo di cambiamento, quello riguardo i beneficiari.

L’utenza è in parte cambiata. Sono cambiati anche i bisogni. Siamo partiti con dei percorsi di assistenza psicoterapeutica che hanno avuto molto successo, appunto per la pandemia, il lockdown e anche la guerra in corso (idem).

Altro tema spesso presente nelle interviste è il cambiamento delle attività, talvolta in forma di adattamento alle circostanze o totale stravolgimento delle modalità operative. Uno strumento che in tal senso è risultato molto utile è stato il digitale. Su questo aspetto interviene ancora, in modo chiaro e incisivo, il presidente di Tieni a mente.

Data la tipologia di utenti a cui ci rivolgiamo, il digitale è stato utilizzato nella misura in cui c’era la disponibilità di un caregiver, perché questi strumenti non sono a disposizione dei pazienti. Abbiamo da sempre utilizzato anche il cloud e la pandemia ha rafforzato questo aspetto […]. La cosa utile di questi strumenti è che possono essere utilizzati in più contesti multimediali, cosa che carta e matita non ti danno. Quindi, perché non sfruttarli? Abbiamo notato che chi ci ha seguito in digitale non ha subito il deterioramento accusato da chi invece non c’è stato (idem).

In un certo senso il Covid-19 ha “forzato” la presenza del digitale all’interno del TS e, in alcuni casi come questo, ha accelerato un processo presente in precedenza: «già da prima utilizzavamo strumenti come Google Meet che ci hanno permesso di continuare a funzionare, anche quando eravamo chiusi in casa» (idem).

Verginisanità fornisce invece uno degli esempi di ente che ha fatto grande fatica ad adattarsi, come afferma il suo presidente:

durante il lockdown siamo stati quasi totalmente fermi, con qualche sporadica attività online. Qualcuno si è distaccato e la situazione si è un po’ sfaldata, anche nei rapporti con le altre associazioni. Bisogna lavorarci un po’, ma al momento non abbiamo la forza di restare in questi grandi circuiti (Intervista n.2).

In tale testimonianza si palesa l’importanza della coesione interna ed esterna della realtà associativa, fortemente dipendente dall’aspetto, indagato precedentemente, delle relazioni tra enti. Il tema della coesione interna è presente anche in altre interviste. Inoltre questo presidente si esprime in merito alla presenza dell’ente sui media digitali: «Abbiamo un sito web, ma non lo aggiorniamo molto spesso. Su Facebook e Instagram cerchiamo di essere presenti e aggiornati, ma non gestiamo le pagine ogni giorno» (idem).

Com’è possibile osservare, l’ente in questione non è riuscito a fare un buon uso degli strumenti digitali, né ha avuto modo di reinventare con successo le attività. A differenza di alcuni degli altri enti presi in analisi, però, l’insuccesso in questo caso non è dovuto tanto alla mancanza di competenze, quanto alla tipologia di attività di cui ci si occupa, ovvero la manutenzione dell’Acquedotto Augusteo.

Il presidente di Teniamoci per Mano ha invece enfatizzato la resilienza del proprio ente e la sua capacità di reinventarsi.

Ci sono state molte difficoltà inizialmente. Essendo impossibilitata l’attività di clown, abbiamo avuto una consistente perdita di soci. Abbiamo dovuto cercare la formula per non chiudere, ma siamo resistiti e siamo cresciuti perché ci siamo reinventati. Ci inventavamo di tutto […]. Abbiamo anche fatto il servizio di clown attraverso le videochiamate. […] Ci siamo reinventati e questo è molto positivo perché queste cose sono continuate anche dopo la pandemia (Intervista n.3).

In questo caso è possibile osservare come i processi innovativi abbiano permesso non solo la sopravvivenza dell’ente, ma anche un’evoluzione degli strumenti e della narrazione che si fa di sé. L’idea del “reinventarsi” è un modo per descrivere lo spostamento da una postura reattiva alla pandemia ad una attiva. In pratica, gli enti del TS che hanno saputo reinventarsi non hanno meramente reagito al Covid-19, ma lo hanno “utilizzato” come motore evolutivo, starting point per l’innovazione.

Il presidente dell’Associazione per i Siti Reali e le Residenze Borboniche ritorna però sull’enorme e negativo impatto che il Covid-19 ha avuto sul suo ente.

Nei mesi della pandemia abbiamo preso la decisione di lasciare la nostra sede operativa in quanto era diventato un costo morto […]. Gli effetti della pandemia sono stati devastanti sia dal punto di vista economico che emotivo […]. Questo è un circuito che nel 2019 valeva 7 milioni di visitatori all’anno e nel 2020 crolla a 1,5 milioni. Il distanziamento ci obbliga a sospendere le attività che, a differenza degli altri settori, nel nostro caso necessitano della compresenza umana (Intervista n.4).

Il peso emotivo è un altro dei temi che riaffiora spesso in queste testimonianze. È importante soffermarsi su tale dimensione in quanto, come dice anche quest’ultimo presidente, nel TS sono importanti la presenza e compresenza umane. La forte dimensione simbolica ed emotiva è anche alla base di affermazioni come «ipotecare il futuro» o «una sede è un po’ come una casa» (idem). Tuttavia, in alcuni casi è proprio questa pressione a dare la spinta necessaria alla sopravvivenza dell’ente.

Abbiamo cercato di animare sia noi stessi che la nostra rete e ciò ci ha dato anche la possibilità di elaborare un processo progettuale in risposta alle conseguenze della pandemia. Sicuramente la pandemia è stato un evento storico che ci ha cambiato nell’intimo, da tutti i punti di vista e che ci influenzerà per tanto tempo (idem).

La componente del contatto umano, però, rappresenta anche un tema che fa resistenza rispetto all’adozione di strumenti digitali. Sempre il presidente di Associazione per i Siti Reali e le Residenze Borboniche si dice interessato al digitale, ma «l’attività culturale senza la compresenza umana non ha alcun senso. Il digitale è complementare, non sostitutivo» (idem).

L’associazione Maestri di Strada è un’altra di quelle che hanno ottenuto grande successo nonostante la pandemia. Il presidente, infatti, afferma: «Il Covid-19 ci è andato bene perché per un periodo di tempo siamo stati i soli attivi sulla scena. Invece di ritirarci siamo andati all’attacco» (Intervista n.5). In questa testimonianza ritorna la narrativa del “reinventarsi”, dell’usare «la pandemia come veicolo» (idem). Difatti, per Maestri di Strada, le attività nate in questo periodo sono state tante.

Abbiamo fatto questo progetto che si chiama ‘I Coronauti’, da Argonauti […]. I Coronauti sono coloro che stanno sulla ‘barca Coronavirus’. Ci siamo inventati gli ‘incontri distanziati di terzo tipo’, ovvero siamo andati nei quartieri ad incontrare i ragazzi, ovviamente mantenendo le distanze, ma portando doni, i ‘pacchi viveri della mente’. Anche in questo caso ha avuto successo l’adozione degli strumenti digitali. […] Abbiamo anche fatto questa cosa che si chiama ‘D.A.D Solidale’, un’ottantina di ragazzi veniva qui a seguire le lezioni online (idem).

L’uso del digitale ha infine rappresentato un miglioramento delle relazioni con le istituzioni scolastiche e più in generale della reputazione dell’ente.

Per la prima volta gli insegnanti hanno capito che i Maestri di Strada possono essere utili all’educazione. Parecchi ci vedono come quelli che fanno intrattenimento, i giochini, i doposcuola, noi invece intendiamo fare una didattica sperimentale attiva e quindi dobbiamo operare in accordo con le scuole, non in maniera alternativa (idem).

La Paranza, attraverso il suo portavoce, poi, mette in evidenza due elementi particolari nel descrivere la propria reazione al Covid-19. Da una parte c’è il cambio di attività, da manutenzione e valorizzazione di siti culturali alla «solidarietà, con la creazione di un hub logistico per la distribuzione dei prodotti di assistenza» (Intervista n.6), dall’altra la coesione interna, come illustra il suo presidente:

siamo sopravvissuti anche perché durante la pandemia abbiamo sentito molto la coesione del gruppo. Questo ci ha fatto capire che senza il gruppo potevamo rischiare di perdere qualcuno, basta dire che non c’è stato nessun licenziamento, nessuno si è allontanato (idem).

È importante evidenziare come l’aspetto del gruppo di amici sia tra le caratteristiche fondative all’origine della formazione dell’ente. Un altro aspetto fondativo di La Paranza è quello di «lanciare l’immagine positiva del rione Sanità» (idem), per il quale l’ente è stato molto attivo sulle pagine social. Sul tema del digitale, poi, nella stessa intervista interviene l’altra sua portavoce.

Tra le cose che abbiamo incrementato e potenziato c’era la possibilità di acquistare il biglietto online e ora che abbiamo riaperto stiamo capendo che forse questo è il modo migliore per visitare un sito che si sta avvicinando alla capienza massima (idem).

Ancora una volta, quindi, è possibile vedere come, a causa della pandemia, siano state adottate soluzioni digitali, successivamente integrate nei processi operativi in modo permanente. Anche la presidente di Foro Nazionale dei Consumatori ha illustrato come le attività del suo ente siano cambiate in conformità con i periodi della pandemia.

C’è stata una fase in cui le persone non si recavano più agli sportelli. Abbiamo avuto, quindi, un boom di ricerche di aiuto tramite il sito. In questa fase le richieste di aiuto erano per la difficoltà di comunicazione con le utenze. In una fase successiva sono nate le problematiche legate agli acquisti che sono stati fatti durante la pandemia, come prodotti non conformi, […] (Intervista n.7).

In questo caso l’influenza della pandemia è stata duplice: da una parte sono cambiati gli strumenti utilizzati dall’ente, dall’altra i bisogni dell’utenza si sono evoluti in base ai periodi del lockdown. Nonostante il digitale sia stato critico per assicurare la continuazione delle attività, la presidente chiarisce:

il cliente ha sempre bisogno del contatto con noi, quindi l’online va bene in alcuni casi, ma certe problematiche vanno affrontate di persona. Chi va dal legale ha bisogno anche di potersi fidare, di creare un rapporto empatico (idem).

L’idea alla base di tale affermazione è, dunque, quella che il digitale non riesca a cogliere appieno la componente empatica e umana necessaria nel contatto tra beneficiario ed ente.

D’altro canto c’è stato chi come Finetica, nonostante le generali difficoltà, ha superato in relativa serenità il periodo pandemico. Infatti, sebbene il suo presidente affermi: «il nostro lavoro bisogna farlo di persona perché già guardare una persona negli occhi serve» (Intervista n.8), la presenza di un’attività pubblicitaria e di un numero verde di facile accesso hanno consentito la continuità, se non l’intensificarsi, delle attività di sostegno durante la fase pandemica. In particolare, l’uso delle mascherine, unito a un servizio di sostegno psicologico, hanno permesso, per esempio, anche l’espansione in un campo nevralgico come quello dell’assistenza alle donne. Nel caso di Finetica, l’assenza di particolari problematiche legate allo svolgimento dei suoi servizi ha, come confermato dal presidente, reso non particolarmente necessaria l’adozione di pratiche innovative o digitali. Dunque tale associazione fa parte di quelle poche fortunate realtà che non hanno subito grandi stravolgimenti con la pandemia e, di riflesso, non sembra averne ricavato, però, grossi elementi di innovazione.

L’associazione Arcobaleno della Vita ha invece vissuto un momento particolarmente difficile con la chiusura dei reparti ospedalieri. Come dichiarato dalla presidente:

avendo il blocco da parte dell’ospedale non potevo continuare le attività. C’è stato un dietrofront perché mi sono dovuta attenere alle disposizioni, se prima io avevo carta bianca su qualsiasi cosa volessi organizzare lì nel reparto, nel momento della pandemia mi sono ritrovata diverse restrizioni (Intervista n.9).

La particolarità di tale associazione deriva dalla reazione alla pandemia: dove molti enti sono stati costretti a reinventare le attività, in particolare con il supporto degli strumenti digitali, Arcobaleno della Vita si è opposto alle pressioni interne ed esterne a favore di tali provvedimenti: «Me l’hanno proposto, ma io ho detto di no, perché la nostra è un’attività di contatto umano, non può essere trasformata in virtuale» (idem). Nonostante la resistenza ad adottare misure digitali, l’associazione è riuscita a riprendere con successo lo svolgimento delle sue attività nel periodo post-pandemico.

Essendo un ente dedicato al confronto e alle relazioni, anche Oltre il Chiostro ha sofferto molto la pandemia. In particolare il presidente approfondisce il senso di isolamento provocato dal lockdown per il quale

è nata una sorta di non ‘isola dei famosi’, ma di isola dei comuni mortali dove ognuno si è confinato. Abbiamo colto nei più giovani molta paura e molto disagio, anche situazioni che erano sopite sono drammaticamente esplose, cioè, situazioni traumatiche, personali (Intervista n.10).

Di fronte a queste difficoltà personali e relazionali l’adozione del digitale è sembrata essere una prima risposta per la restaurazione dei contatti sociali, ma su questo tema il presidente adotta una postura sostanzialmente scettica.

L’accelerazione digitale ha posto una serie di step, ci ha fatto guadagnare del tempo, ma ci ha fatto anche vedere molti aspetti utopistici. Bisognerebbe fare una sintesi tra la parte strumentale e una parte di cultura digitale. Sicuramente la pandemia ci ha offerto il senso dell’utilità, che cosa ne faremo di questo è un punto di domanda (idem).

Nella testimonianza del presidente di Casertantica si ripresenta, poi, il tema dell’importanza della coesione del gruppo durante un evento straordinario come l’isolamento sociale indotto dalla pandemia. In questo caso si è rilevata una «perdita di compattezza e di interesse da parte di alcuni soci nell’attività» (Intervista n.11). Tale aspetto viene spiegato nell’assenza di comunicazione tra i soci stessi, dovuta proprio al mancato utilizzo di canali digitali.

Non abbiamo avuto modo di beneficiare degli strumenti tecnologici, anche perché molti soci anziani non hanno avuto né modo né voglia di imparare a utilizzarli. L’aspetto negativo è stata l’incapacità di riunirci (idem).

Da questa testimonianza, dunque, si può notare come il digitale non solo abbia avuto un ruolo importante per la trasformazione delle attività, ma anche per il mantenimento delle comunicazioni e dei rapporti umani interni agli enti. In questo caso si può osservare una correlazione diretta tra assenza di canali digitali e perdita di coesione dei soci. Un altro aspetto importante da evidenziare sono le motivazioni alla base del non utilizzo del digitale. Si tratta della mancanza delle competenze necessarie per l’uso dei dispositivi, in questo caso dovuto all’anzianità dei membri. Tale problematica si inserisce nel contesto del digital divide, ovvero la difficoltà o il disinteresse di alcune categorie, tra cui gli anziani, di comprendere e utilizzare i dispositivi digitali.

Anche il presidente di Club Alpino Italiano si sofferma sulle pesanti conseguenze dell’impatto della pandemia sul suo ente.

La pandemia è stata abbastanza devastante. Per un lungo periodo le attività sono state totalmente sospese, c’è stato chi non ha digerito molto bene tutti gli obblighi che noi, in quanto rispondenti direttamente al Ministero dell’ambiente, eravamo tenuti a mantenere scrupolosamente. Coloro che non hanno accettato queste restrizioni si sono allontanati dall’associazione (Intervista n.12).

In questo caso è possibile osservare nuovamente il fenomeno della perdita dei membri. Nel caso precedente si è registrata una perdita di soci dovuta alla mancanza di coesione interna e di strumenti comunicativi digitali. In tale testimonianza è invece possibile riscontrare un altro elemento, ovvero quello delle policies governative. Il Club Alpino Italiano risponde direttamente al Ministero dell’ambiente e ciò, soprattutto nel periodo pandemico, ha significato una maggiore e più stringente ottemperanza delle restrizioni. A distanziare il caso del Club Alpino Italiano da quello di Casertantica è anche l’adozione di canali digitali per la comunicazione. «Riscoprire le modalità di comunicazione a distanza è stato positivo, nel senso che spesso è molto più semplice organizzare una riunione con tali mezzi» (Idem). Temi simili si presentano anche nella testimonianza della presidente di NewHope.

Abbiamo aumentato di molto la presenza su Instagram e Facebook, che prima della pandemia erano meno curati. Durante la pandemia ci siamo tutti concentrati su questo, perché in un certo senso era l’unica cosa che ci teneva a contatto con il prossimo. Avendo capito questo, abbiamo iniziato a essere più presenti sui social, con frasi, prodotti, parole di sostegno, allargando così la nostra rete di sostenitori (Intervista n.13).

In tal modo la presenza online ha avuto un effetto benefico sulla rete, tuttavia, secondo l’intervistata, i beneficiari hanno sofferto molto l’interruzione delle attività in presenza.

Le ragazze hanno vissuto molto male questo periodo. Il lavoro che noi facciamo è molto difficile da fare online. All’interno della cooperativa abbiamo una ragazza disabile e questa chiusura l’ha mandata in tilt. In questi momenti ti rendi conto quanto è importante il lavoro che svolgi. Quando la vedi qui, sorridente, con la voglia di fare è bello. Per questo dobbiamo resistere (idem).

In tale istanza ritorna il ruolo della compresenza umana di cui molte associazioni, soprattutto quelle che svolgono attività di assistenza alla persona, non possono fare a meno. Inoltre, è importante evidenziare la volontà di resistere e sopravvivere in modo che l’ente possa continuare a svolgere le attività a favore dei propri beneficiari. Riaffiora così la forte dimensione simbolica del TS, dove è la componente altruistica e non la ricerca di risorse materiali che motiva gli enti e su cui si basano le relative mission.

Dal canto suo la presidente del consorzio di cooperative La Rada illustra il ruolo fondamentale del TS durante la pandemia.

Durante la prima fase di pandemia abbiamo subito tutti quanti un trauma incredibile. Per questo periodo è stato spesso usato il termine “guerra” e noi, il TS, eravamo l’esercito in prima linea. La prima cosa che abbiamo dovuto fare è stata governare la nostra paura, altrimenti non avremmo potuto dare risposta. Abbiamo avuto una reazione molto forte, derivante dalla volontà di sopravvivere come esseri umani e come impresa (Intervista n.14).

La metafora della “guerra” e il tema del “governare la propria paura” servono a conferire dei tratti eroici agli enti del TS e quindi promuoverne il ruolo quasi salvifico che hanno svolto durante la pandemia.

Il portavoce di Cava Felix riflette invece, ancora, sull’importanza che il digitale ha avuto nel suo ente.

Durante la pandemia è nata una serie di corsi online e workshop sul digitale, sull’innovazione e la green economy. Inoltre, all’interno del progetto sono nate tutta una serie di attività svolte nel periodo pandemico. In questi casi la pandemia ha avuto un effetto positivo. Abbiamo anche erogato dei laboratori a distanza per curare delle piantine da casa e per educare all’utilizzo di internet (Intervista n.15).

Il ruolo del digitale nel mantenimento delle attività è stato fondamentale per Cava Felix, tuttavia, il presidente offre una prospettiva a lungo termine complessivamente poco ottimista al riguardo.

Ancora oggi, a due anni e mezzo dallo scoppio della pandemia, ho grande difficoltà a svolgere una riunione in presenza con tutti. Le persone si sono abituate alla modalità a distanza, che sicuramente ha delle comodità. Io, però, credo che a distanza non si riescano mai a concludere delle progettualità complete. Si possono mettere delle basi, si può rimanere d’intesa, ma alla fine c’è sempre bisogno del contatto fisico (idem).

Ancora una volta si pone l’enfasi sulla compresenza umana, fondamentale sia nel rapporto tra ente e beneficiario, sia nelle comunicazioni tra i membri delle associazioni.

Anche il presidente di Associazione Capavolti si sofferma sui pesanti effetti del Covid-19 sull’ente da lui diretto.

L’impatto della pandemia sulla nostra organizzazione è stato un dramma. Lavorando in servizi sociosanitari non abbiamo mai chiuso. Abbiamo lavorato incessantemente anche durante il lockdown per il benessere dei nostri pazienti (Intervista n.16).

L’esperienza degli enti che si occupano di servizi sociosanitari differisce da quelli che operano in campi diversi nella misura in cui non c’è mai stato un vero e proprio periodo di chiusura. Questo presidente condivide poi le preoccupazioni sul digitale riscontrate anche in altri casi.

L’utilizzo del digitale è positivo perché ti permette di risparmiare tempo e di creare e consolidare reti più allargate. Ci sono anche dei limiti però: si rischia di pensare che questo sia il rapporto con l’altro e che tutto si possa risolvere in una call. C’è bisogno di un’educazione duale, da un lato educare a come usare lo strumento, dall’altro educare a cosa significa esattamente usarlo (idem).

Questi focalizza la propria riflessione sulla necessità di formare gli operatori del TS all’utilizzo dei mezzi digitali, tenendo sempre conto dei vantaggi e delle criticità.

L’associazione Volta Pagina è invece tra quegli enti che hanno visto la totale chiusura e interruzione delle proprie attività durante il 2020. La sua presidente si sofferma sulle difficoltà comunicative tra gli operatori che, nonostante l’utilizzo di programmi come Google Meet, hanno sofferto l’impossibilità di riunirsi di persona. Una delle problematiche maggiori riscontrate è stata anche la complessità burocratica durante il periodo pandemico. Secondo le parole della presidente: «Infiniti cavilli burocratici, carte, permessi e problemi di tipo organizzativo legati al Covid-19 ci hanno veramente scoraggiato» (Intervista n.17). Da questa testimonianza è possibile intuire quanto sia pericolosa e distruttiva la mancanza di una forte coesione interna, dalla quale derivano le difficoltà nell’adottare con successo soluzioni innovative e, dunque, l’impossibilità di mantenere continui i servizi.

Anche per la presidente di INTRA la gestione del Covid-19 da parte del TS dovrebbe essere motivo di maggiore riconoscimento.

Essendo un’associazione di servizi alla persona, non abbiamo mai chiuso. Ovviamente ci siamo dovuti completamente riorganizzare, facendo turnazioni, lavorando da casa. Io penso che il TS abbia dimostrato grande professionalità e competenza durante la pandemia, a differenza del pubblico. Noi abbiamo continuato a offrire i servizi, anche con il rischio di non essere pagati, gli altri si sono barricati a casa. Io vorrei un riconoscimento: noi non siamo quelli che ovviano alle carenze del pubblico, ma siamo dei professionisti che utilizzano le loro competenze. Questo per dire che dovremmo essere riconosciuti come pari al settore pubblico (Intervista n.18).

Come da più parti sostenuto il TS ad oggi gode del favore della maggior parte degli Italiani, ma manca ancora un riconoscimento adeguato da parte delle istituzioni. In questa testimonianza si ripresenta la narrativa di un TS eroico che si assume grandi rischi per assicurare la continua distribuzione dei servizi in fase pandemica, in virtù dei quali chiede un maggiore riconoscimento dagli attori istituzionali.

Il portavoce di Avionica riprende poi il tema del prezioso ruolo del TS durante il Covid-19.

Il TS è stato fondamentale nella gestione dell’emergenza pandemica e questo valore non è sempre riconosciuto. Ricordo i tanti volontari che si sono messi a disposizione durante l’emergenza e la fatica in quelle settimane a gestire tutte le difficoltà. Tutto fatto con un ritorno economico nullo, ma con la voglia di farlo per stare assieme. Io penso che un pezzo di quella solidarietà resista ancora oggi (Intervista n.19).

La solidarietà fa parte di quella forte dimensione simbolica del TS; la componente del sacrificio altruistico rafforza quella visione eroica del TS che, ancora una volta, si declina nella richiesta di maggiore riconoscimento da parte delle istituzioni.

Il discorso sulla pesantezza dei processi burocratici durante la pandemia ha poi coinvolto anche la Fondazione Officina Solidale. Secondo la sua presidente:

è sempre la burocrazia che blocca e ciò non dovrebbe condizionare le attività di solidarietà. Bisogna, è vero, muoversi in grande trasparenza, però non va dato un alibi alla burocrazia perché rallenta tutto. Io credo che si debba un po’ semplificare e sburocratizzare (Intervista n.20).

Come in altre testimonianze, anche in questo caso l’attività ha subito un periodo di totale blocco, tuttavia, nonostante la perdita di alcuni operatori, le relazioni interne sono rimaste in piedi, consentendo una maggiore e più rapida riorganizzazione nel periodo post-pandemia. Secondo la presidente questo aspetto si è presentato non solo all’interno dell’ente, ma in molte altre reti del territorio, permettendo a quest’ultimo di reggere bene, nonostante tutto, i colpi della pandemia. In tal caso si manifesta l’importanza simbolica e strutturale dei territori sui quali si svolgono le attività del TS. Da una parte sono le associazioni a valorizzare e ripristinare i territori, dall’altra il rafforzamento delle reti territoriali rappresenta un elemento di sostegno quando un ente entra in crisi.

Infine il portavoce di ICARE contribuisce, con l’esperienza del suo ente, alla discussione sul digitale.

Il rapporto con i ragazzi diversamente abili è sparito per molti mesi. Con loro abbiamo attuato dei laboratori online, ma non è la stessa cosa. Queste sono persone che hanno bisogno del rapporto faccia a faccia e del lavoro manuale. Il Covid ha bloccato la socialità, danneggiando soprattutto le persone con la socialità ridotta e la componente online è stato un cerotto sulla ferita, ma insufficiente (Intervista n.20).

Ancora una volta si può osservare come il ruolo e le opinioni sul digitale varino in base alle attività svolte. In genere le associazioni che offrono assistenza sociosanitaria, soprattutto se dedicate a categorie fragili, hanno avuto maggiori difficolta nell’integrare il digitale nelle loro complesse attività.

Restituzione e conclusioni

L’analisi delle testimonianze appena presentate, svolta in prospettiva antropologica, evidenzia in modo critico [Dubois 2009, 2014] una serie di questioni riprese in occasione della più ampia restituzione e discussione dei complessivi dati del progetto, qualitativi, ma anche quantitativi, con gli stessi enti coinvolti, svolta da tutta l’équipe di ricerca nell’ambito della fase conclusiva di NORISC-19, pensata come Convegno partecipativo tenutosi il 30 e 31 marzo 2023 presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

In sintesi l’analisi mostra quanto innanzitutto il tema delle reti sia centrale per il corretto funzionamento del TS. Se la collaborazione tra enti risulta essere perlopiù positiva, quella con le istituzioni è spesso segnata da inefficienze burocratiche che rimandano alle riflessioni di Capello [2022] sull’imperscrutabilità dei processi burocratici, rappresentando inoltre un elemento di criticità per la Riforma del TS. Quest’ultima, iniziata nel 2016 e ancora in corso, ha messo in atto un processo di transizione normativa per snellire processi decisionali e regolare risorse del TS. Nonostante la convinzione della necessità di interventi simili, la Riforma risente di varie problematiche che, soprattutto nel caso di enti piccoli, ma non solo, rischiano di creare più ostacoli che soluzioni, quali lentezza dei processi burocratici, mancanza di chiare linee guida, necessità di assistenza da parte di costose figure professionali, incompetenza degli operatori pubblici e mancanza di un maggiore riconoscimento del ruolo formale del TS. Infine, la gestione del Covid-19 ha attivato numerosi processi e riflessioni. Per esempio, per continuare le attività, gli enti hanno dovuto mantenere un certo grado di coesione interna, adottare strumenti digitali, mutare i servizi offerti. Gli sforzi intrapresi, basati anche sulle forti componenti simboliche e altruistiche che contraddistinguono tali realtà e le differenziano da Stato e Mercato [Porcellana 2022], riemergono nella narrativa eroica di un TS salvifico che si “reinventa” e corre grandi rischi. A sua volta, tale narrativa è alla base delle richieste rivolte alle istituzioni di ottenere un maggiore riconoscimento. Riforma del TS e pandemia di Covid-19 [Borzaga, Tallarini 2021] rappresentano poi quegli elementi che, combinandosi, compongono la tempesta perfetta che si è abbattuta sugli enti del privato sociale italiano in questi ultimi anni. Uno degli aspetti più rilevanti all’interno delle interviste è stato, infatti, proprio quello dell’impatto emotivo della transizione pandemica, spesso considerato più importante di quello economico, per contrastare il quale è stato fondamenale il preservare la coesione interna che ha portato a importanti sforzi, oltre che all’assunzione di rischi come il mantenimento di servizi di assistenza durante il lockdown. Tale elemento appare maggiormente in quelle realtà associative che si occupano di servizi sociosanitari, soprattutto se rivolti a categorie fragili, dove si ritrova la riflessione di Dubois sulla «fatica dei mestieri a contatto con la miseria umana» [2009, 15] e sull’importanza di rapporti empatici e duraturi con i beneficiari. Un altro rilevante aspetto tra quelli indagati riguarda l’adozione e l’applicazione degli strumenti digitali. La transizione al digitale è un processo che comprende tutti i settori e tocca il TS già dal pre-pandemia, tuttavia il Covid-19 e il seguente lockdown hanno rappresentato un forte motore di spinta. In alcuni casi il digitale ha costituito la soluzione migliore ai limiti del forzato isolamento sociale, dando modo agli enti di non interrompere lo svolgimento delle proprie attività. Tuttavia, uno dei tratti del TS è proprio quello della compresenza umana, il contatto con la “miseria” altrui [Dubois 2009], e tale aspetto non può essere risolto totalmente nel digitale. Per questo motivo molti enti hanno dovuto trovare delle soluzioni emergenti e innovative da unire all’utilizzo degli strumenti digitali. Il Covid-19 ha così condotto ai suoi estremi la flessibilità del TS e ha permesso l’emergere di processi di innovazione che tutt’ora hanno effetti benefici. Per tale motivo la pandemia ha portato nuove opportunità al TS italiano, ma, allo stesso tempo, ha intensificato problematiche e criticità strutturali presenti in precedenza.

Sebbene la ricerca abbia prodotto complessivamente una quantità non trascurabile di dati, critica7 risulta la mancanza di un più profondo lavoro etnografico, necessario per la corretta applicazione della critical policy ethnography descritta da Dubois [2009], che non è stato possibile svolgere, non solo per i tempi del programma di ricerca FRA, ma anche per via delle limitazioni connesse alla pandemia. Infatti il ruolo dell’antropologo “del” welfare è quello di studiare da vicino le realtà assistenziali per orientare le future policies e misurare l’efficacia di quelle presenti [Rimoldi, Pozzi 2022]. Una maggiore presenza fisica negli enti avrebbe aiutato ad arricchire le testimonianze attraverso l’osservazione dei processi e delle relazioni interne, ma anche studiando più da vicino le realtà dei beneficiari come mostrato altrove [Vinai 2022].

Infine i dati raccolti, se è vero che fanno riferimento al territorio della Regione Campania con le sue specificità, possono tuttavia, per altri aspetti, essere in parte più ampiamente evocativi dell’articolata realtà degli enti del TS italiano [Ferrera 2006; Ascoli 2011; Ferrera, Fargion, Jessoula 2012; Ranci, Pavolini 2015], pur non bastando a rappresentare quelle associazioni che, per motivi vari, decidono di non dichiararsi. D’altro canto, in mancanza di studi simili, questo progetto, nel rappresentare un primo tentativo di un’analisi mixed methods di una realtà così complessa, mostra anche il contributo specifico dell’approccio antropologico.

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1 Con Terzo Settore si indicano tutti quegli enti che, mossi da scopi altruistici e non lucrativi, offrono servizi no profit volti al benessere di individui, comunità e società, separati dallo Stato (Primo Settore) e dal Mercato (Secondo Settore). Tali enti sono composti da persone motivate da specifici valori e che promuovono la propria mission nell’interazione con territorio, beneficiari, altri enti e istituzioni, creando un mosaico di complessità [Gunn 2004; Muehlebach 2012].

2 Ad oggi in Italia il TS gode di un’ampia legittimità e tale aspetto si riflette anche negli sforzi dello Stato nel mettere a punto, in merito, una migliore legislazione. La Riforma del TS è indubbiamente un passo importante per la valorizzazione del no profit, pur soffrendo di varie criticità e di una difficile e lunga fase di attuazione, per altro di recente incrociatesi con le altre problematiche prodotte dalla pandemia [Cfr. Punziano, Cicellin, Zito 2023].

3 Il questionario, composto di 50 domande a struttura mista, è stato inviato a tutti gli enti che presentavano una modalità di contatto via posta elettronica e indagava dimensioni quali tipologia, situazione finanziaria, forme organizzative, reti collaborative e strategie comunicative. Dei circa 1500 enti contattati sull’intero territorio regionale, 183 hanno risposto a tale questionario, di cui quasi la metà proveniente dalla Provincia di Napoli (47%), seguita da Salerno (21%) e infine Benevento, Caserta e Avellino con valori simili, vicini al 10%.

4 Le interviste sono state effettuate nel luglio 2022, in parte su canali digitali e in parte in presenza, nell’ambito di una serie di incontri con i rappresentanti degli enti selezionati. I soggetti intervistati non sono solo dei testimoni privilegiati in quanto in grado di offrire una visione ampia e complessiva dei loro enti, ma sono anche, in quanto presidenti, i primi promotori e responsabili della mission e della cultura degli enti stessi da loro rappresentati. Le interviste svolte attraverso l’accesso al campo hanno avuto un’impostazione semi-strutturata, in modo da produrre dati più facilmente comparabili per le varie dimensioni indagate, offrendo comunque la possibilità di approfondire in maniera situazionale alcuni argomenti emersi, secondo l’approccio critico dell’antropologia. La presenza di domande aperte ha consentito ampio spazio all’intervistato per soffermarsi su particolari aspetti e per esporre la propria narrazione in libertà.

5 Si ringraziano tutte le persone intervistate, per il prezioso tempo dedicato e per l’attenzione e l’interesse mostrati verso l’équipe coinvolta nella raccolta delle interviste, senza la cui generosa disponibilità non sarebbe stato possibile ottenere i dati fondamentali di questa parte di ricerca.

6 Capello introduce, attraverso le riflessioni sul suo lavoro etnografico, il concetto di «buchi neri» [2022, 83], ovvero quei contesti dell’apparato burocratico visibili a tutti, ma troppo opachi da studiare e valutare perché saldamente chiusi da forze interne di origine ideologica.

7 Le criticità si estendono, più in generale, alla fase di ricognizione dei dati [Cfr. Punziano, Cicellin, Zito 2023]. Il TS non è facile da indagare, soprattutto la sua parte sommersa, cosa subito evidente durante la raccolta dati sul territorio campano.