Lavoro d’orizzonte e cambiamento climatico

Eugenio Zito

Dipartimento di Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli Federico II


Adriana Petryna, Lavoro d’orizzonte. Ai confini della conoscenza nel vortice del cambiamento climatico, DeriveApprodi, Bologna 2024, pp. 1-219, ISBN: 9788865484975.


In questo volume originariamente apparso nel 2022 con il titolo Horizon Work: At the Edges of Knowledge in an Age of Runaway Climate Change (Princeton University Press), poi pubblicato in italiano nel 2024 dall’Editore DeriveApprodi (Bologna) nella collana humanities, tradotto dall’inglese da Anna Curcio e con la prefazione di Roberto Beneduce, Adriana Petryna riflette sui motivi per cui l’attuale cambiamento climatico sta sconvolgendo le nostre capacità predittive, che si scontrano con i pericoli di un’emergenza permanente dal sapore apocalittico [De Martino 2019]. L’umanità sta infatti entrando in una nuova era nella quale, tramontate le antiche certezze, non si è ancora acquisita la consapevolezza di vivere in un mondo interconnesso che sta sempre più andando fuori controllo, come già avvertiva Ulrich Beck nel secolo scorso [Beck 2000(1986)] e come Adriana Petryna mostra in merito alla questione ambientale e del cambiamento climatico in questo prezioso libro di dieci densi capitoli preceduti da un prologo e seguiti da una conclusione.

In esso, in particolare, l’autrice si sofferma sul concetto di cambiamento ecologico improvviso che non sempre corrisponde a modalità consolidate di conoscere o prevedere eventi in rapida evoluzione come tempeste, siccità e incendi. Tali eventi, oggi sempre più, eccedono la norma per frequenza e diffusione, al punto che, come Petryna evidenzia, proiezioni e politiche spesso vacillano rispetto al ritmo di questi cambiamenti, che i nostri modelli di conoscenza sono inadeguati a comprendere. A partire da ciò l’autrice si interroga, quindi, su come si possa affrontare una perdita di orizzonte di tale portata, definendo la consapevolezza di aprire delle possibilità in merito con l’espressione “fare orizzonte” o meglio ancora “fare lavoro d’orizzonte” (horizonting) e mostrando come questo lavoro possa essere utilmente applicato nell’ambito di catastrofi sempre più gravi e difficili da gestire. Le riflessioni di Petryna su tali eventi, come in particolare gli incendi boschivi ma non solo, intrecciano osservazioni critiche su intuizioni scientifiche con esperienze etnografiche svolte nella parte occidentale degli Stati Uniti d’America, fino a prendere in considerazione, più in generale, da un lato la violenza coloniale e le varie forme di estrattivismo e dall’altro l’agency di diverse comunità che contribuiscono ad assicurare futuri planetari vivibili e meno disastrosi. In merito giova certo ricordare che, prima di concentrarsi sulla questione degli incendi, Petryna è diventata nota per le sue ricerche sul disastro nucleare di Chernobyl [Petryna 2013(2002)], in cui pure si sono intrecciate complesse e imbricate questioni tecnologiche, sanitarie, politiche, istituzionali, morali, sociali ed epistemologiche.

Ritornando al suo “lavoro d’orizzonte”, Petryna richiama l’attenzione sul fatto che considerare ogni nuova crisi come “senza precedenti” significa anche trascurare il dato storico che diverse catastrofi causate dall’uomo si sono già abbattute sui popoli indigeni attraverso violenze coloniali e genocidi. Inoltre le sue ricerche l’hanno portata in due campi interconnessi. Il primo comprende più generali considerazioni su chi fa ricerca sperimentale nell’ambito dell’ecologia e che nelle ultime decadi ha fatto i conti con cambiamenti degli ecosistemi su larga scala. Questi ricercatori stanno lavorando alla definizione di diverse soglie di criticità ecologica che, se superate, possono comportare cambiamenti irreversibili, e stanno provando a identificare i precoci segnali di allarme di tali cambiamenti. L’autrice riflette sugli scienziati dell’ambiente che stanno rivedendo i propri modelli di previsione, perché basati su condizioni che non esistono più. Il secondo campo riguarda più direttamente l’ambito della ricerca etnografica, dove Petryna si focalizza sugli attori in prima linea che cercano di dare un senso a questi cambiamenti: per esempio gli operatori dell’emergenza che tornano a riconsiderare le basi dei fenomeni fisici come nel caso del fuoco. In proposito racconta le storie, e ne riporta le testimonianze vive, dei vigili del fuoco che negli Stati Uniti d’America non possono più contare sulla memoria degli incendi precedenti per valutare l’andamento e lo sviluppo di quelli futuri. La fiducia nei modelli passati, infatti, è oggi diventata un vero e proprio rischio professionale: il concetto stesso di previsione diventa insostenibile. Da qui la necessità di liberarsi degli schemi mentali tradizionali.

Da questo punto di vista i capitoli centrali di questo volume costituiscono sia un prezioso contributo per pensare in modo diverso il fenomeno dei mega-incendi con le loro cause e le strategie per governarne la propagazione, sia un’utile guida per poter leggere in modo critico la storia degli interventi volti a controllarli e gestirli [Beneduce 2024]. In merito a quest’ultimo punto, per esempio, Petryna ci ricorda che altre generazioni e altre culture, come quelle delle tribù di nativi americani Salish e Kootenai, hanno sviluppato nel corso del tempo uno specifico saper-fare nel confrontarsi con fenomeni come quello degli incendi boschivi, a cui va assolutamente riconosciuta una sovranità epistemica. È il caso, nelle tribù citate, della figura del Sxwpaám, cioè di “colui che fa il fuoco, qui e là, ancora e ancora” [Petryna 2024, 110]. D’altro canto, come Beneduce [2024] scrive nella sua ricca prefazione a questo volume, la presunzione di poter controllare fenomeni devastanti come i grandi incendi o le esondazioni di fiumi d’acqua è la metafora di quello che Petryna stessa definisce “Mondo 1” e quindi dell’urgenza di spostarsi verso un orizzonte diverso, quello fornito da un “Mondo 2”, caratterizzato da un lato dalla consapevolezza che i cambiamenti climatici violenti, bruschi e inattesi sono sempre più frequenti, e dall’altro che si è allargato enormemente lo spazio tra ciò che si riesce a prevedere e ciò che nella realtà poi si realizza.

Ed è proprio su questo crinale complesso che inizia il “lavoro d’orizzonte”, inteso come capacità di liberarsi da eredità dannose e di costruire conoscenze e spazi di azione collettiva per un ambiente sostenibile. Petryna propone così un nuovo modo di pensare alla crisi climatica come esercizio di individuazione di mondi conoscibili e abitabili, un’originale forma di immaginazione antropologica capace di andare oltre ogni forma di catastrofismo. L’autrice insiste sul fatto che si è di fronte a un deterioramento forte delle capacità di analisi e proiezione abituali, con una perdita delle basi di riferimento, il che comporta la necessità di implementare, invece, la capacità di adattarsi e di intervenire opportunamente. Pertanto intende mostrare, per esempio in merito al problema incendi, che, se un profondo senso di inutilità può alimentare immagini distorte di ineluttabilità, le condizioni che fanno divampare incendi in modo catastrofico non lo sono. È quest’ultimo un esempio di quello che Petryna definisce “lavoro d’orizzonte”, cioè una forma di allontanamento dal pensiero catastrofico, un lavoro intellettuale e pratico che cerca, invece, di portare nel presente un futuro ignoto e fuori controllo, trasformandolo in un oggetto di riflessione e intervento pratico e comunitario. Questo lavoro è prima di tutto un esercizio di immaginazione, che non si limita ai soli esperti, e che implica non soltanto la necessità di affrontare i cambiamenti attuali e del futuro prossimo, ma anche di “recuperare degli orizzonti”, intesi come condizioni future desiderabili, e portarli a beneficio del presente, dove la conoscenza può essere resa utile. In questa prospettiva Petryna si concentra sulla problematica dell’intensificazione degli incendi boschivi e sugli sforzi per trovare risposte adeguate. Nell’esplorare tali possibilità nei termini di fare un “lavoro d’orizzonte” sposta l’attenzione dal punto di non ritorno che preoccupa così tante persone ai tentativi culturali, tecnici e umani di costruzione in gruppo di capacità che prospettano un futuro migliorabile. In quest’ottica “acquisire un orizzonte” significa cambiare le aspettative culturali sul controllo ecologico degli incendi boschivi e disfarsi di violente eredità coloniali, politiche sbagliate e continue disuguaglianze strutturali che troppo spesso consegnano le comunità emarginate alla prima linea del fronte delle crisi climatiche, ma significa anche rivedere conoscenze basate su condizioni che non esistono più. “Acquisire un orizzonte” comporta poi per Petryna l’impegno a proteggere ciò che non è ancora andato perduto e il riconoscimento dei livelli di pericolo sotto la soglia della percezione scientifica; infine significa che lì dove i mondi conosciuti sembrano svanire, inizia il necessario lavoro immaginativo di configurazione di nuovi mondi desiderabili.

È sempre Beneduce [2024], nella sua prefazione al volume, a ribadire quanto il lavoro di Petryna costituisca in definitiva un eccellente esempio di quello che l’antropologia contemporanea è chiamata a fare in merito alle difficili sfide con cui deve confrontarsi, dovendosi sempre più misurare con informazioni complesse, pressioni economiche varie, dati medici e scientifici incerti e vicende storico-sociali embricate l’una all’altra, per costruire modelli interpretativi in grado di leggere criticamente fenomeni sempre più ampi e articolati.

Infine non ci si deve dimenticare che il cambiamento climatico con la violenza che comporta costituisce anche un potente e pericoloso moltiplicatore di profonde ingiustizie sociali in grado di condurre la vita, per alcuni, al suo limite di vivibilità. E così, come ancora Beneduce acutamente sottolinea,

il lavoro di Petryna diventa l’imprescindibile compagno di viaggio di una nuova antropologia, scarsamente preoccupata dei propri confini disciplinari, immersa nei laboratori, negli archivi, fra i vigili del fuoco e le squadre di soccorso chiamate a spegnere gli incendi, o all’ascolto di racconti che narrano di un altro rapporto con il fuoco: quando quest’ultimo era coltivato, atteso, e riconosciuto come necessario per quegli ecosistemi che proprio grazie ad esso si rinnovano e si riproducono [Beneduce 2024, 22-23].

La complessità delle questioni su cui Petryna ci spinge a riflettere, come le grandi trasformazioni climatiche e ambientali che sono oramai al centro della riflessione scientifica e pubblica dell’antropologia stessa e più in generale delle scienze sociali, attraverso per esempio i concetti di antropocene e capitalocene [Crutzen 2005; Moore 2016, 2017], ci riporta al piano delle interdipendenze causali tra la crisi ambientale/climatica e la salute, tema quest’ultimo di grande interesse per l’antropologia medica contemporanea, impegnata in un costante confronto transdisciplinare con le scienze naturali e i saperi biomedici. Quello del superamento delle soglie disciplinari, e pertanto della necessaria attenzione verso le interconnessioni biosociali, è infatti un tema che appare strategico e fondativo dell’antropologia medica, soprattutto rispetto alla centralità epistemologica e politica del corpo biologico quale prodotto storico-culturale.

Bibliografia

Beck U. 2000(1986), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma: Carocci.

Beneduce R. 2024, Prefazione. Un’epistemologia del diniego, una cibernetica del fuoco, in Petryna A. 2024, Lavoro d’orizzonte. Ai confini della conoscenza nel vortice del cambiamento climatico, Bologna: DeriveApprodi, 7-27.

Crutzen P.J. 2005, Benvenuti nell’Antropocene! L’uomo ha cambiato il clima. La Terra entra in una nuova era, Milano: Mondadori.

De Martino E. 2019, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Nuova edizione a cura di Giordana Charuty, Daniel Fabre, Marcello Massenzio, Torino: Einaudi.

Moore J.W. 2016, Anthropocene or Capitalocene. Nature, History, and Crisis of Capitalism, Oakland: Kairos.

Moore J.W. 2017, The Capitalocene, Part I: on the nature and origins of our ecological crisis, «The Journal of Peasant Studies», 44 (3): 594-630.

Petryna A. 2013(2002), Life Exposed: Biological Citizens after Chernobyl, Princeton: Princeton University Press. 

Petryna A. 2022, Horizon Work: At the Edges of Knowledge in an Age of Runaway Climate Change, Princeton: Princeton University Press.