Pionieri in paradiso

Processi di ridefinizione dell’abitare tra neoruralismo e gentrificazione rurale in una comunità di paese della Toscana meridionale

Pioneers in Paradise

Processes of redefinition of living between neo-ruralism and rural gentrification in a village community in Southern Tuscany

Simonetta Grilli

Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive, Università degli studi di Siena

Fabio Mugnaini

Dipartimento di Scienze storiche e dei beni culturali, Università degli studi di Siena.


Indice

Esiste un paese Trequanda …

«La grande trasformazione»: deruralizzazione, spopolamento, ripopolamento

La Toscana non ce l’avevamo in mente, è stato un caso […] è stata la scelta migliore

Lorenzo lo scelse

La fortuna che ho avuto!

Vivere a Trequanda, vivere di Trequanda

Bibliografia


Abstract

The essay reflects on the processes of redefining the forms of living in a rural community, Trequanda (in the province of Siena), which has experienced a partial repopulation since the 1970s with the arrival of individuals (couples and families of various ages) from diverse socio-cultural and geographical backgrounds. They largely embody the values of the so-called «neo-ruralism» and share a desire to experience the area not as tourists but as genuine inhabitants: they engage with local social networks, participate in political and economic life in various ways, and move towards sharing and negotiating their presence and experiences with the locals. The stories of these «proto-gentrifiers» in many ways anticipate the arrival of an elite group (comprising prominent figures from politics, culture, entertainment, and finance) who, starting in the late 1990s, will invest significant funds to purchase and renovate farmhouses, transforming them into aesthetically valuable house that represent high social status, thus leading to a radical process of gentrification in the area.

Keywords: neo ruralism; gentrification; dwelling, life stories.


La più recente raccolta di poesia di Stefano Dal Bianco, premio Strega per la poesia, 2024, è centrata sulle impressioni del suo immergersi, camminando, ascoltando, guardando, insieme a Tito, il jack russell che lo ha accompagnato in questi ultimi anni, nel paesaggio intorno ad Orgia, una frazione di Sovicille, comune dell’area sudoccidentale della provincia senese, detta Val di Merse (dal fiume che l’attraversa). Il titolo è Paradiso; l’immagine scelta dall’editore per la copertina riproduce un anello di cipressi che si staglia sul giallo delle stoppie del grano tagliato. Un’icona della Toscana felix, del tutto estranea alla profondità dei pensieri e delle poesie che raccoglie, ma che si appoggia a un’associazione di idee, all’effetto alone secondo i dettami dell’economia cognitiva, per cui cipresso, Toscana, Paradiso, suona come una sequenza logica, attiva anche quando il luogo di cui parla il poeta non coincide con quello evocato dall’immagine e trascende, di gran lunga, i limiti della toscanità da vacanza e da consumo. Del resto, quale altra e migliore metafora per comunicare l’attrattività di un’area paesaggisticamente eccezionale, tanto da divenire oggetto – conciliante – di un processo di gentrificazione che sta modificando in profondità le sue strutture, economico-produttive, sociali, demografiche, selezionando sempre più chi può esserne beneficiario e in quanto tale, goderne – per un mese, d’estate, per una stagione, per gli ultimi anni di un’esistenza felice e di successo? L’otium toscano non è per tutti. Non è neppure dappertutto: ampie zone della regione sono devastate come il resto del mondo, da ciò che resta della industrializzazione e, poi, della sua dissoluzione in immense aree di smercio, di logistica, di servizi. Le sue spiagge sono in gran parte affollate e urbanizzate come quelle di ogni altra regione; le sue montagne sono testimoni di un’epoca in cui si tagliavano alberi per fare piste da sci, rese oggi sterili dal cambiamento climatico. Ma tra nord e sud, in Garfagnana, in Casentino, nel Chianti, in Val d’Orcia, in Maremma, si nascondono oasi di quiete, piccoli paradisi rimasti ai margini dello sviluppo, lontani dai canali della viabilità veloce, da autostrade e da ferrovie ad alta velocità. Chi vuole raggiungerle deve aver tempo a disposizione per farlo, oppure può raggiungerle in elicottero, come in non pochi casi accade nell’angolo di paradiso di cui si parla qui1.

Esiste un paese Trequanda …

28 febbraio 1994, nell’aula del tribunale in cui si celebra il processo Cusani, Antonio di Pietro interroga Mauro Giallombardo, imputato in qualità di collettore delle tangenti per conto del PSI. Alla richiesta di quali conti correnti fossero nella sua disponibilità, l’imputato risponde di averne presso il Monte dei Paschi di Siena, in Italia.

Antonio di Pietro: Monte dei Paschi di dove?

Giallombardo: Prego?

Antonio di Pietro: Monte dei Paschi di Siena di dove?

Giallombardo: Di Siena. Trequanda, siccome avevo acquistato una casa…

Di Pietro: Ma di dove?

Mormorio del pubblico: Trequanda? Un paese

Giallombardo: Trequanda! Monte dei Paschi di Siena a Trequanda ...

Di Pietro: Ah, Trequanda; esiste un paese Trequanda, abbia pazienza.

Giallombardo: Stavo dicendo dove avevo una casa colonica

Presidente del Tribunale: Non ci interessa, stavamo parlando di conti…2

Trequanda entra così nella geografia mediatica dell’Italia degli anni Novanta.

Trent’anni dopo, i media danno conto dell’arrivo di un’altra very important person, Francesca Pascale, che stabilisce nel comune – un casale ristrutturato con annessa proprietà fondiaria – la residenza del proprio nucleo coniugale: ne danno conto tutti i media, da Vanity Fair3, che magnifica la bellezza del casale, a Libero che insiste invece sul secondo fine di questo trasferimento; «Ora Francesca Pascale vive a Trequanda, un comune in provincia di Siena, dove si è trasferita per avviare una coltivazione di cannabis a scopo terapeutico». La prova starebbe nel fatto che «Non a caso, al matrimonio blindato di Montalcino, tra i 63 invitati – come si legge sul Quotidiano Nazionale – c’era anche il sindaco di Trequanda»4. Non è la fallacia logica della cronaca di Libero che ci interessa, quanto il fatto che Trequanda vive ormai associata alla presenza di personalità eminenti del mondo politico, dello star system (cantanti, attori), della cultura (scrittori, musicisti, direttori artistici di musei e di enti lirici, direttori di orchestra, ecc.), ma anche della finanza che, con grande dovizia di fondi, acquistano case coloniche da ristrutturare e trasformare in casali di grande valore estetico e di grande rappresentatività di status sociale. Il fenomeno, avviato in Toscana con la trasformazione del Chianti in Chiantishire [Meloni 2021], e proseguito con la creazione del caso Val d’Orcia [Fresta 2011; Scarpelli 2007], si estende adesso anche alla zona collinare a cavallo tra la Val di Chiana, pianura popolata e interessata da una industrializzazione parziale ma capace di impattare sul potenziale attrattivo, e le Crete senesi, segnata da una morfologia paesaggisticamente emozionante, fatta di colline tondeggianti e calanchi, con case coloniche molto isolate, fino a poco fa quasi del tutto priva di alberature e di verde, oggi segnata da viali alberati di cipressi che conducono alle residenze di lusso circondate da giardini.

Il comune di Trequanda, per lo più caratterizzato da seminativo arborato (oliveti) e boschi, amministra proprio 68 Km2 di quest’area, quasi interamente rurale, tranne il piccolo capoluogo e due centri abitati di limitate dimensioni, Castelmuzio e Petroio, i quali, accomunati da una spiccata configurazione di insediamento medievale, differiscono storicamente per vocazione produttiva: artigianato rurale per il primo e produzione intensiva di terrecotte artigianali per il secondo. A conferma della prevalente vocazione rurale di territorio, vi è il fatto che circa un sesto del comune di Trequanda (ben 12 Km2) è occupato da una grande tenuta, un tempo fattoria a conduzione mezzadrile appartenente alla famiglia dei conti di Rorà5, i quali la gestiscono fino ai primi anni Trenta del Novecento quando in seguito ad una procedura fallimentare è acquistata dalla Cariplo (fondo pensioni della Cassa di risparmio delle province Lombarde)6, che ne è ancora proprietaria. Le vicende di questa proprietà si legano a doppio filo a quelle del paese, alle sue dinamiche economiche e anche politiche; se nell’immediato dopoguerra sarà eletto sindaco proprio il fattore dell’allora fattoria mezzadrile, di fede socialista, più di recente le scelte di valorizzazione della Azienda Cariplo hanno dato l’innesco, a partire dagli anni Ottanta, alla trasformazione economica in senso turistico di questo territorio. Le evoluzioni recenti dei tre agglomerati rendono possibile leggervi il processo di borghificazione [Barbera, Cersosimo, De Rossi 2022] all’opera soprattutto nella frazione di Castelmuzio ma circolante a livello di sentire locale come una generica aspirazione a nobilitare il proprio paese come borgo immaginandone così una maggiore attrattività per un ipotetico turista apportatore di fama e di lavoro7.

Trequanda è attualmente, con i suoi 1.153 abitanti, uno dei comuni numericamente più piccoli, più spopolati (la densità abitativa è di poco superiore ai 17 abitanti per km2), ma anche tra i più gentrificati e patrimonializzati dell’intera provincia di Siena grazie alla valorizzazione del paesaggio e della tradizione olivicola che ha portato all’iscrizione nel 2018 del proprio paesaggio policolturale al registro del Paesaggio rurale storico8.

Qui infatti la gentrificazione, processo che come noto ha investito direttamente anche le campagne [Phillips 1993; Semi 2015] oltre al mondo urbano, assume connotati quasi esemplari con la riduzione delle attività propriamente produttive (o la loro specializzazione nel senso della monocultura); la circolazione di capitali finanziari esterni; la trasformazione dell’assetto sociale del popolazione con l’arrivo di componenti agiate con elevato capitale economico e culturale in parziale rimpiazzo di gruppi di bassa estrazione sociale; e infine l’affermazione di uno stile di vita improntato a valori estetici, la cosiddetta beautification [Herzfeld 2017] del territorio, con il passaggio dal paesaggio agrario9 – come risultante dell’uso economico dei suoli e delle dinamiche di insediamento – al paesaggio rurale10, dove il valore estetico è talmente dominante da improntare di sé anche le attività produttive che pure riescono a sopravvivere o a insediarsi11. Il territorio ex mezzadrile comprendeva già, storicamente, una componente estetica e di status: le residenze dei proprietari terrieri, spesso cittadini, circondate da giardini all’italiana, da rondò, accessibili da viali alberati; questa dimensione si intensifica e diventa il tratto attualmente dominante: accanto alla trasformazione delle case poderali in casali, ovvero abitazioni di lusso in cui è stato importato tutto il confort di cui il ceto possidente è abituato a godere, si assiste al ripopolamento di alberi monumentali, alla costruzione di filari di cipressi, di giardini, illuminati giorno e notte, di pratini verdi e di piscine a sfioro con vista12.

Pienamente toccata da tali processi, Trequanda è ugualmente investita da flussi turistici globali (stranieri e più di recente, nel post pandemia, anche italiani), come si evince dal notevole ampliamento delle strutture ricettive (sotto forma di alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale e di agriturismi), che nel 2021 superano i 700 posti letto («numero che corrisponde quasi al sessanta per cento della popolazione totale»)13. Il territorio comunale ha assistito alla fuga e all’arrivo di forza lavoro, in particolare forza lavoro migrante14, impiegata sia nelle attività agricole in particolare della filiera olio-vitivinicola (per lo più operai agricoli), sia nella ricezione turistica ma anche a servizio dell’abitare dei nuovi residenti i quali necessitano di personale domestico (domestici/che, cuochi/e, camerieri/e, casieri, giardinieri, e financo pet-sitters), diventando così un osservatorio privilegiato per cogliere alcuni processi rilevanti della trasformazione neoliberista delle campagne, concernenti in prima istanza il piano dei rapporti di lavoro [Mugnaini, Grilli 2022]15. Si può dire che dai nuovi possidenti delle campagne globali proviene una domanda di lavoro orientata in primo luogo a sostenere il loro stile di vita distintivo. Le varie figure di lavoratori/trici che gravitano attorno alle residenze di lusso di manager e figure dello star system ripropongono la riedizione di rapporti di lavoro di natura contrattuale, ma incardinati in relazioni personali – non di rado di natura quasi servile – con datori di lavoro, secondo una tendenza ben documenta per quanto riguarda le città globali [Sassen, 2004] e che finisce per estendersi anche alle campagne16. A ben vedere, tra gli stranieri residenti nel comune, vi è una percentuale significativa di persone provenienti da paesi ad alto PIL (circa il 36%), presumibilmente con una collocazione sociale elevata17. È ragionevole assumere tale dato come indicatore significativo, per quanto sommario, proprio del processo di gentrificazione che ha interessato il territorio di questo comune, che ha attratto molte persone benestanti desiderose di vivere in un ambiente paesaggisticamente bello, tranquillo.

In questo contributo si intende mettere a fuoco l’attuale situazione sociodemografica del territorio, rinvenendo nelle storie paradigmatiche di coloro che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si trasferiscono in questo comune, gli elementi costitutivi dell’innesco del processo di parziale ripopolamento, che ha inciso sensibilmente sulla struttura sociale ed economica, sulla configurazione paesaggistica del territorio interessato. Questi «nuovi abitanti» sono in buona parte riconducibili al cosiddetto neoruralismo elitista [Corti 2007]18. Il loro arrivo è successivo alla definitiva scomparsa del sistema mezzadrile ed è concomitante al processo di erosione della rendita fondiaria e di quella immobiliare, ciò che ha consentito ai nuovi arrivati di acquistare le case (e in parte anche la terra) a prezzi molto convenienti. Al contrario dei locali, i nuovi arrivati guardano alla dimensione rurale come all’antitesi del mondo urbano, intravedendovi un luogo di rifondazione di un nuovo stile di vita. Veri e propri «pionieri», più o meno consapevolmente depositari dei valori del neoruralismo, che, seppur nella diversità di provenienze geografiche, di stili abitativi, di effettive possibilità economiche e di capitali culturali, si trovano a condividere il desiderio di vivere il territorio non da turisti, né da vacanzieri, ma da abitanti veri e propri: si inseriscono in vario modo nelle reti della socialità locale, partecipano alla vita politica ed economica, si muovono nella direzione di condividere e negoziare con i locali la propria presenza ed esperienza19. Sugli attori dei processi di gentrificazione rurale si è prodotta una riflessione che ha preso l’abbrivio di una categorizzazione spesso poco efficace nel restituire la fluidità di tali processi: protogentrificatori [Woods 2007], gentrificatori marginali [Rose 1984], turisti permanenti (Hines, 2010), neoruralisti [Corti 2007] rischiano di porsi come etichette preordinate rispetto alle realtà sociali effettive [Alonso Gonzales 2017]. Nel nostro caso le storie che seguiremo in dettaglio sono relative a tre di questi nuovi abitanti il cui percorso di appaesamento20 ci è parso aprire una traiettoria che avrebbe poi raccolto gli effetti congiunti di spopolamento e ripopolamento del territorio fino all’esito attuale. Questi tre esempi documentati attraverso l’intervista biografica precedono e introducono al mutamento del flusso di gentrificazione che, successivamente, vedrà l’arrivo della componente elitaria, costituita da personalità eminenti del mondo politico, culturale, dello spettacolo cui si è fatto cenno in apertura, nonché dell’investimento speculativo che si consolida con la fine degli anni Novanta.

«La grande trasformazione»: deruralizzazione, spopolamento, ripopolamento

La grande finanza arriva, come accennato sopra, con il passaggio alla grande Banca lombarda, la Cariplo, dell’antica fattoria mezzadrile con i suoi 1200 ettari di terreno e le 42 case che formano una maglia poderale fitta e stretta attorno al capoluogo comunale. La storia della Fattoria/azienda della Cariplo è la storia di una «fattoria modello», in questi termini ne parla Atos Meiattini (sindaco per ben tre legislature e testimone privilegiato della storia recente di questo territorio), il quale si sofferma sugli imponenti investimenti effettuati dalla Banca negli anni Cinquanta, per dotare le abitazioni mezzadrili di luce, acqua, gabinetti, nel tentativo non riuscito di frenare l’esodo delle famiglie contadine. L’esodo si produce infatti in modo eclatante già nel decennio 1951-1961 quando il comune subisce un tracollo demografico significativo, passando da 3519 abitanti nel 1951 a 2645 nel 1961, con un calo complessivo di 874 unità, di cui in maggioranza provenienti dalle aree rurali. L’emorragia di popolazione riguarda soprattutto le campagne i cui residenti passano da 1839 a 1183 , con una perdita di ben 647 unità (molti dei quali residenti nei poderi della fattoria Cariplo), e si muovono per lo più in direzione sia del nuovo distretto industriale di Sinalunga, comune limitrofo, che in quello di Torrita di Siena. Lo spopolamento tocca dunque prima le campagne per poi riguardare in modo un po’ sfalsato i centri abitati (Trequanda, Petroio, Castelmuzio). Nel decennio considerato infatti la popolazione dei centri scende da 1620 a 1310 unità, con una perdita di 225 residenti nel capoluogo comunale e negli altri due paesi, Castelmuzio e Petroio, come si evince dai due censimenti del 1951 e 1961.

È certo che se fino agli anni Cinquanta più della metà della popolazione risiedeva in campagna, a conferma della ruralità di questo comune, dagli anni Sessanta in poi, invece, il rapporto tra abitanti delle case sparse e i residenti nei tre centri abitati si inverte. Il decennio Cinquanta Sessanta segna l’avvio della «grande trasformazione»21 demografica, socioeconomica del territorio comunale. Atos Meiattini ricorda che in quegli anni ad andarsene sia da Trequanda che da Castelmuzio e Petroio, sono soprattutto «quelli» della sua generazione, nati subito dopo la guerra, come lui figli di mezzadri, i quali in maggioranza vengono attratti dalle opportunità di lavoro offerte nel fondovalle, a Sinalunga, e lasciano così il paese:

[...] per esperienza personale, sono stato uno dei testimoni, protagonisti di questa vicenda, sono stato uno dei pochi della mia generazione che è rimasta qui, perché la maggior parte, due su tre sono andati via, un terzo sono rimasti qui, ma forse i giovani anche di più …. è un dato statistico avendo lavorato in Comune (Athos Meiattini, agosto 2023, Trequanda).

A ben vedere, il profilo demografico del comune si assottiglierà ulteriormente nei decenni a venire; il calo demografico procede in modo quasi inarrestabile tanto che nel 1981 gli abitanti sono scesi a 1418, e nel 1991 sono diventati 1374. Alla lieve risalita nel 2001 con 1417 segue una ridiscesa nel 2011 con 1339, e nel 2021 con 1195, fino agli 1182 nel 2023, che risultano distribuiti per lo più nei centri abitati (Trequanda e Petroio, Castelmuzio è il più spopolato)22.

A contrastare, seppur parzialmente, l’emorragia di popolazione, si contano a partire dagli anni Sessanta alcuni flussi in arrivo, provenienti da vari altrove, che si insediano per lo più nelle aree rurali dando luogo alla diversificazione delle forme dell’abitare o del ri-abitare. Questi nuovi abitanti sono riconducibili a differenti filiere di mobilità interna ed esterna. Tra i nuovi arrivati, alcune famiglie di pastori di origine barbaricina acquistano poderi e importano un modello produttivo che coniuga allevamento ovino ed agricoltura23. È una presenza limitata quella pastorale ma ben visibile e durevole grazie alla riconversione delle aziende agropastorali verso la produzione di pecorini di qualità, cui si sarebbe, in seguito, affiancata l’attività ricettiva agrituristica24.

D’ora in avanti, le aree rurali risultano attrattive non tanto come luoghi di produzione agricola, ma come luoghi per un «abitare diverso» da parte di chi «per scelta» può trasferirsi in campagna o permettersi una seconda casa. Fin dagli anni Cinquanta nel comune, stando sempre alla testimonianza dell’ex sindaco, è arrivato qualche straniero con l’intenzione di vivere qui (un militare in pensione, medico di origine tedesca, che già alla fine degli anni cinquanta compra una delle case poderali più panoramiche, probabilmente individuata durante la guerra, e poco dopo una signora olandese ricordata per l’uso di abiti tirolesi a testimonianza di una incrollata simpatia per il passato nazista, per la scarsa sintonia con il sentire dei nuovi paesani, ma anche per l’impegno economico nella ristrutturazione della casa poderale).

Negli anni Settanta le campagne di Trequanda attraggono l’attenzione di diversi intellettuali romani, sulla scorta dell’esempio fornito dal Presidente Rai Ettore Bernabei, il quale aveva comprato e trasformato un podere nel vicino comune di Sinalunga in un’elegante residenza. Tra questi, ad acquistare le case dalla Cariplo si contano intellettuali come Elena Gianini Belotti, docenti universitari come Fabrizio Mori, critici d’arte e organici al Partito Comunista Italiano, come Antonio Del Quercio.

Un’altra filiera sarà riconoscibile nella scia di intellettuali milanesi (un fotografo, Zappalà, un pubblicitario, Fossati, ecc.) è direttamente riconducibile alla presenza della Cariplo. Quest’ultima, intanto a fine anni Ottanta, in un edificio del centro storico di Trequanda di sua proprietà, ha ricavato una serie di appartamenti destinati alle vacanze dei propri dipendenti di rango, i quali scoprono così Trequanda. Chi negli anni Ottanta veniva in vacanza negli appartamenti della Cariplo, ed erano per lo più milanesi o comunque lombardi – ricorda Meiattini – si è innamorato del posto e ha cercato di comprare il podere di proprietà della banca; in seguito i dipendenti che hanno continuato a venire si sono dovuti accontentare di un appartamento nel centro storico:

diversi poderi sono stati acquistati proprio dai dipendenti della banca [...] ma direi una metà [dei poderi] sono andati in mano ai dipendenti anche perché li mettevano a un prezzo speciale! Già costavano poco a quel tempo, qualcuno addirittura con quaranta milioni [ha comprato], si partiva da venti milioni, gli attuali dieci mila euro [..] gli davano un mutuo a tasso quasi zero un podere…[...] dopo invece quelli che vengono ora hanno comprato una piccola casa nel paese; dopo trenta quaranta anni… allora [a quel tempo] un dipendente ce la faceva a… ora al massimo compra du’ stanze! (Athos Meiattini, agosto 2023, Trequanda).

Ancora negli anni Ottanta il territorio non è stato scoperto dai personaggi dello star system o da investitori globali; gli stranieri sono presenze sporadiche; i poderi sono ancora acquistabili a poco prezzo. Trequanda non è ancora «il paradiso», e tra le motivazioni prevalenti, oltre all’economicità dell’investimento, c’è, almeno per alcuni, l’idea di vivere stabilmente qui, cercando una propria modalità di vivere la dimensione rurale.

La Toscana non ce l’avevamo in mente, è stato un caso […] è stata la scelta migliore

Gianfranco, 82 anni, è il farmacista di Trequanda. Lo incontriamo in una calda mattinata di agosto. Ci accoglie nel retro della farmacia. Non è per nulla sorpreso dalla nostra richiesta di parlare del suo arrivo a Trequanda insieme agli altri «milanesi» del Colombaio il nome del podere in cui ancora risiede. Si è trasferito qui alla fine degli anni Settanta inseguendo il sogno di fondare una comune agricola insieme ad un folto gruppo di amici coetanei, alcuni con famiglia altri senza. Insieme comprarono due case coloniche e cinquantaquattro ettari di terra.

Desideroso di rompere con la vita urbana, pur essendo già sposato e con un figlio di poco più di anno, Gianfranco racconta di aver rinunciato, senza pensarci due volte, al posto fisso nella farmacia presso l’ospedale Niguarda di Milano, spinto dal desiderio di cambiare radicalmente vita, di sperimentare un’esistenza basata sulla condivisione, sul rifiuto del consumismo e il ritorno alla vita dei campi.

La bellezza di essere venuto in campagna è stata quella di avere fatto una scelta di vita che io già avevo preventivato quando avevo quattordici quindici anni, io già pensavo che un giorno sarei andato a vivere in campagna. Negli anni settantatré settantaquattro ho trovato un gruppo di persone …. ero direttore di farmacia municipale, mia moglie faceva la segretaria [...] all’una uscivo dalla farmacia vicino all’ospedale di Niguarda, io dopo cinque anni di questo trantran mi vedevo invecchiare […] poi è nato mio figlio e con queste persone si decise di fare una comune [...] Nonostante i colpi di fortuna, avevo trentatré trentaquattro anni ho mollato tutto, con un bambino piccolo, parenti amici, i miei [genitori] disperati! Come tutti gli altri genitori! Perché lasciavo la casa, un posto di lavoro sicuro …. tutte le comodità, siamo venuti qui un terreno con l’erba alta, le case con i topi dentro (Gianfranco Rugoni, agosto 2023, Trequanda).

Gianfranco è un pioniere del neoruralismo che guarda alla dimensione rurale come l’antitesi del mondo urbano, un luogo di rifondazione di un nuovo stile di vita; nella sua testimonianza emerge distintamente la visione della campagna costruita in opposizione alla città (il mondo rurale è lento, non contaminato, genuino, sano ecc.). La campagna è un luogo in cui rifugiarsi per sfuggire alla città, ai valori materialistici e utilitaristici che essa incarna; un modo per prendere le distanze dalla propria famiglia d’origine. L’esperimento della cooperativa agricola è durato solo due anni; ben presto si rendono conto che l’attività agricola e l’allevamento non garantiscono una rendita adeguata alle quaranta persone di cui si compone il gruppo (fra adulti e bambini). La terra sarà venduta insieme agli attrezzi agricoli, alcuni lasceranno il gruppo, i restanti (8 nuclei familiari) rimarranno a vivere nelle due abitazioni poderali debitamente suddivise in altrettante unità abitative autonome. Gianfranco farà per qualche tempo un po’ di lavoretti e poi tornerà a fare il farmacista, gli altri si impiegheranno in altre attività. Nonostante il fallimento dell’esperienza della cooperativa agricola, l’ideale condiviso li tiene ancora insieme almeno una parte di loro. Sette delle otto famiglie restate al Colombaio, prevalentemente coppie anziane, ancora oggi vivono «in fratellanza» nel piccolo condominio rurale abbellito e valorizzato, dove si sono conservate alcune abitudini originarie come la gestione condivisa degli spazi esterni, soprattutto la commensalità, seppure ridotta ad una sola opportunità a cadenza settimanale, che coinvolge però anche i figli che vivono altrove, ma che frequentano regolarmente il Colombaio.

Siamo arrivati giù, i primi, nel settantasette, abbiamo chiamato un’impresa e con l’idea di fare qualche cosa di diverso, di mettere insieme tutti i soldi e poi dividere i guadagni, che poi nel giro di due anni è fallito, fallito solo in parte perché siamo rimasti con le stesse idea di fare qualcosa di nuovo socialmente, [...] di essere un po’ diversi, di non cadere nel consumismo totale. […] però abbiamo educato i figli contro la droga, contro la violenza, l’amore verso il prossimo e anche fra di noi abbiamo cercato di abolire quello che era il rapporto di denaro… Ora [...] siamo sette famiglie, tutti vicini, perché le case erano due, uno e due piani, cinque famiglie in una casa […] c’è un nucleo che è rimasto fedele a questi ideali, alcuni figli, uno soprattutto si è slegato, anche se siamo in rapporti ottimi, quando uno esce dall’ideale comune (Gianfranco Rugoni, agosto 2023, Trequanda).

Pur non nascondendo le difficoltà e i sacrifici dei primi tempi, Gianfranco dice di non essersi mai pentito della scelta fatta e ricorda con entusiasmo i primi tempi:

La bellezza della cosa è che dopo il tran tran della farmacia [a Milano], di questa vita monotona mi sono trovato nel giro di una settimana sul trattore con il cappello da cowboy, mi sono trovato a guidare un trattore cingolato con l’aratro dietro: fai così fai cosà…perché siamo arrivati a scaglioni, prima abbiamo messo una roulotte in mezzo all’aia poi abbiamo chiamato una impresa per mettere a posto una casa, i bagni…..io ritornando indietro lo rifarei mille volte! Però se ripenso al coraggio che abbiamo avuto! (idem).

Restare a vivere in campagna anche dopo il fallimento della cooperativa, appare coerente con gli ideali che lo avevano spinto a lasciare la città cui si aggiunge l’acquisita consapevolezza del valore della dimensione estetica del paesaggio e di quanto questo possa rendere migliore la vita:

[...] ma io di qui non mi muovevo perché quando cominci ad abituarti alla terra, all’aria libera, perché io apro le finestre e ho solo colline davanti e ti abitui presto e dopo è difficile tornare indietro (idem).

Il trasferimento a Trequanda matura quasi per caso: qualunque altro luogo in campagna o in montagna, sarebbe andato bene, è la contiguità milanese con chi ha già acquistato che sarà determinante nella scelta. «Ma noi la Toscana non ce l’avevamo in mente, è stato un caso… anche se ora si apprezza il panorama e tutto» (Gianfranco Rugoni, agosto 2023, Trequanda).

Già qui, però, vedranno via via crescere l’aura della Toscana felix: «[…]noi abbiamo avuto la fortuna in cui non c’era ancora questa spinta… ho visto un film inglese … è diventato un luogo di culto» (idem).

Gianfranco e gli altri saranno testimoni della trasformazione del popolamento locale: ai vicini, romani, dei primi tempi, si sostituiscono dopo poco gli stranieri, americani – quelli che comprano tutto e che sanno apprezzare la bellezza; belgi, svizzeri, che si cimentano con la produzione biologica. Ma a qualificare la permanenza di Gianfranco, ci sono i rapporti con il paese: l’appaesamento suo e del gruppo del Colombaio si è prodotto in un momento storico di permeabilità e di mutamento della comunità di paese. Nonostante ciò, Gianfranco non esita a sottolineare ritrosie e diffidenze nei confronti di quella “alterità” apportata dal progetto di vita che il suo gruppo stava cercando di realizzare. La comune sui generis, osteggiata persino da alcuni dei loro genitori, avrebbe col tempo, stando alla sua testimonianza, raccolto segnali di apertura, di riconoscimento fino all’apprezzamento della acquisita trequandinità:

si sono molto addolciti [sottolinea] quando avevamo latte nostre e uova, e si andava di casa in casa a vendere abbiamo fatto amicizia e ci hanno accettato, hanno visto che eravamo gente normale [...] all’inizio ci hanno guardato con sospetto [...] però poi l’accettazione è venuta con la conoscenza, ci siamo imparati a conoscere, ci siamo mischiati. Il periodo più bello è stato con il sindaco, Atos Meiattini, che lui ha fatto debiti per il paese, per la piscina e poi un prete che ha tirato in chiesa gente di sinistra. A quell’epoca, partecipavamo insieme, facevamo carri mascherati per carnevale, di quelle risate! Si andava a vedere le partite di calcio con il proiettore e lì dentro c’erano tutti, ci si era amalgamati con il paese (idem).

L’arrivo in questo lembo della Toscana da parte di questi pionieri non è ancora dettato dall’attrazione per l’immagine patinata della toscana che entrerà di lì a poco nell’immaginario collettivo anche grazie al cinema Gianfranco fa riferimento a Il paziente inglese, film girato in zona alla fine degli anni Novanta25 – o alla pubblicità, ma è orientato all’amalgama con il paese, con la collettività locale cui ci si rivolge prima per esserne accolti e poi, oggi, per garantire presenza e servizi, al di fuori delle logiche che sono invalse nella gentrificazione successiva. La farmacia di Gianfranco è aperta tutti i giorni (prima di lui era aperta solo due volte a settimana) e sopravvive alla moría di quasi tutti gli altri esercizi commerciali di prossimità, continuando a fare la consegna a domicilio delle medicine, molto apprezzata da chi vive negli altri due paesi che distano dal capoluogo alcuni chilometri.

Lorenzo lo scelse

Erano già alcuni anni che il mio unico figlio, Lorenzo, ed io, giravamo la Toscana alla ricerca di un qualcosa in cui passare qualche momento libero. Amavamo ambedue la campagna e le ricerche furono per lungo tempo infruttuose, finché in un mattino primaverile dei primi anni ‘70 capitammo qui e Lorenzo mi disse, pieno di gioia: “Papà, l’abbiamo trovato” [Mori 2001, 22].

La storia del ripopolamento ha inizio con una tragedia; una felice famiglia romana è in cerca di un approdo campestre, fuori dalla città. Un paletnologo di fama, fiorentino di nascita, esperto di insediamenti desertici, giunge con il figlio nei pressi di Trequanda e si innamorano di una abitazione poderale che a metà altitudine della collina di Trequanda – localmente identificata come «i monti» – svetta sulla sottostante val di Chiana, lasciando lo sguardo spaziare fino al lago Trasimeno. Come fossero arrivati a Trequanda è raccontato nel volume che Fabrizio Mori ha dedicato a presentare e spiegare i fondamenti della sua impresa.

Nei pressi, l’allora direttore generale della Rai, aveva acquistato una piccola proprietà nel comune contermine di Sinalunga. Il figlio, Roberto, è stato scout e frequentano, a Roma, la stessa chiesa ed è presumibile che da questa vicinanza giunga l’informazione della disponibilità di terra e case che la Cariplo ha messo sul mercato.

Scelto il podere, acquistato dalla Cariplo, il destino imprime una svolta radicale: nel 1976, la morte tragica del figlio adolescente metterà il padre a dura prova e a dover rielaborare anche questo aspetto del suo lutto. Il podere scelto dal figlio diventerà casa, luogo ospitale, per altri figli, altri bambini, altri minori in condizioni di bisogno. Nasce, nel 1977, il «Centro Lorenzo Mori di iniziative culturali fra i giovani», affidato ad una cooperativa che coinvolge una trentina di persone della rete relazionale prevalentemente romana di Fabrizio Mori, che in seguito si allargherà a gente del posto. Il restauro del podere, che parte con la collaborazione di giovani che raggiungono Gugliano per portare il proprio contributo e, anche, per condividere il clima di iniziativa collettiva che vi si respira, sarà guidato da Nello, impresario edile del posto26, «pieno di uno straordinario senso della misura ereditato da generazioni di muratori-artisti che hanno realizzato, in questa zona della Toscana, una delle più belle architetture rurali che sia dato vedere» [Mori 2001, 7].

Il centro si costituisce su basi assolutamente laiche e solidali, così da attrarre l’attenzione dei giovani locali impegnati in politica, che vi graviteranno come attorno ad un centro di elaborazione politica all’avanguardia. Il Professore” e la sua creatura, come emerge da diverse testimonianze, sono stati al contrario a lungo guardati con un misto di sospetto e preoccupazione: Fabrizio Mori per la sua sostanziale estraneità al vivere quotidiano locale, i ragazzi del centro per la difficolta a sottrarsi all’ “aura” di “soggetti non facili27.

Nonostante ciò il centro resta la traccia forte della presenza di Mori in questo territorio. Strutturato come cooperativa sociale, stabiliti ottimi rapporti con l’amministrazione locale – che si spingerà fino a rilevare gli immobili e metterli a disposizione in modalità di comodato, data l’utilità pubblica del centro – Gugliano diventerà quello che è tutt’oggi, ovvero un luogo accogliente per minori che ne hanno bisogno a vario titolo, inclusi i minori non accompagnati, e aperto al dialogo con le istituzioni sanitarie, con la magistratura, con l’ente regionale.

La fortuna che ho avuto!

Tra i ragazzi e le ragazze che transitano per il centro di Gugliano, c’è la figlia adolescente di Iolanda B., detta Dada, classe 1925, artista ceramista, di famiglia borghese, la madre di origine tedesca, sposata con un ingegnere. Dada racconta di essere stata costretta a lasciare Roma, in seguito al fallimento economico del marito che la costringe a vendere l’abitazione di famiglia (una casa in stile Bauhaus, in un quartiere residenziale della capitale) e a chiudere il fiorente laboratorio di ceramica che teneva per adulti e bambini. Nel 1977, con i soldi della vendita che le restano dopo aver sanato i debiti del marito, Dada si rende conto che a Roma non avrebbe potuto comprare niente di adeguato alle esigenze proprie un’abitazione sufficientemente ampia dove continuare la propria attività artistica e della famiglia – una famiglia allargata su tre generazioni. Grazie al contatto con Fabrizio Mori, anche Dada rileva dalla Cariplo per una cifra tollerabile, una casa colonica seppure completamente da ristrutturare. La figlia terzogenita di Dada, Alessandra, detta Puppi, ricorda che la madre:

è venuta qui [durante il campo scuola] per vedere cosa facevo, è venuta qui, ha portato dello strudel che aveva fatto lei e cosi, e poi parlando con Fabrizio diceva: io sono disperata perché cerco una casa, però grande perché c›era mia nonna, che voleva avere il suo appartamento, c›eravamo io e lei, c›era mio fratello che ero sposato con una bambina piccola di un anno e mezzo. E a lei poi serviva un grande spazio per lo studio, per lo studio di ceramica e Fabrizio le ha detto: scusa, dice, ma vai qui e chiedi alla Cariplo perché sta vendendo, deve vendere tutti poderi che gli stanno intorno tutti disabitati così, perché le Belle arti gli stanno dietro, dunque vendono a poco… perché certi erano anche poderi con una storia dietro e tutto quanto, e dunque li vendono a poco con un minimo di terreno attorno. A Roma sotto i cento milioni non si trovava niente!28

D. ma neanche dieci metri quadri!

P. assolutamente niente! Lei è andata a sentire dal fattore qui, quanto costava Poderuccio [una delle case poderali messe in vendita da Cariplo] perché gli era piaciuto, perché era bello quadrato e gli hanno detto sedici milioni. E mamma è andata a Roma e alla prima banca che ha trovato è entrata dentro e l’ha bloccato, poi quando è tornata su ha visto ha iniziato a guardare perché naturalmente c ‘era da rifare tutto quanto, bisogna prendere tutte le misure per poterla mettere a posto a nostro, a suo piacimento più che altro! […] (Intervista a Dada, Alessandra e Ralph, Trequanda, agosto, 2023).

Più volte Dada rimarca «la fortuna» che ha avuto a venire qui. La fuga da Roma dà il via ad una nuova vita, e comincia con l’affidamento dei lavori di ristrutturazione alle maestranze locali:

D. ma ero felice! Ero davvero contenta di aver trovato tutto questo! [...] E poi devo dire la verità che come operai erano bravissimi tutti, c’era un signore anziano lui era quello che dirigeva gli operai, era bravissimo, proprio veramente anche tutti gentili erano a quel tempo erano tutte persone veramente …(Intervista a Dada, Alessandra e Ralph, Trequanda, agosto, 2023).

L’epopea familiare registra i quarantatré viaggi con un furgone per trasferire da Roma alla nuova casa trequandina oggetti, arredi della grande casa romana, incluse la vasca da bagno e le mattonelle realizzate da Dada, una per una. La famiglia allargata si disporrà agevolmente nella nuova casa distinta in due unità abitativa e anche la sua attività di ceramista potrà riprendere in un laboratorio adeguato alle sue esigenze, dove viene collocato il forno per la cottura della ceramica. Sia Dada che la figlia, tengono a sottolineare la propria differenza rispetto «a quelli che venivano qui» per le vacanze e basta, ma anche rispetto a «quelli del Colombaio» i quali, come si è detto, erano restati a lungo degli estranei agli occhi del paese: gente stramba, guardata con sospetto. A differenza di questo nucleo poco integrato ma ampio e quasi autosufficiente, alternativo quanto a modelli di vita e di socialità tanto da avere un proprio interno dinamismo, Dada cerca fin da subito di vivere il paese da «abitante vera» scegliendo di costruire relazioni sociali ad ampio raggio:

P. la cosa diversa che c’è stata con mamma, specialmente. è che, prima di tutto in paese appena arrivati, uno saluta sempre tutti, buongiorno buonasera. Se lei trovava per la strada delle signore che ci avevano la spesa [dice la figlia] e sapevamo che abitavano fuori Trequanda, lei si fermava e le portava a casa.

Tra le sue prime frequentazioni:

P. c’era Marina del forno e c’era la vecchia macellaia giù in fondo a borgo lungo, che aveva una piccola osteria perché lei cucinava anche [...] e lei, una delle ultime volte quando siamo andati a trovarla, perché anche lei anziana, carissima amica di mamma, e così, c’ero anche io: voi siete gli ultimi trequandini! perché di quelli che sono arrivati da fuori sono rimasti….(Intervista a Dada, Alessandra e Ralph, Trequanda, agosto, 2023)

Il profilo culturale di Dada e della sua famiglia, tuttavia, le consente di stabilire relazioni anche con l’ambiente della campagna dove grazie ai nuovi arrivati si comincia a respirare un clima cosmopolita. La casa di Dada è frequentata da artisti e intellettuali che hanno popolato le seconde case: «quanti bei pranzi che ho fatto con tutti gli amici! Che belle persone che erano!», ricorda con un misto di orgoglio e di nostalgia. L’intera famiglia fruisce della vicinanza a questo ambiente culturale ricco e vivace, elitario e altrimenti difficilmente accessibile; ciò rende meno traumatico il passaggio dalla capitale alla campagna toscana. Il figlio si impiega come operaio in un’impresa locale di terrecotte nella vicina Petroio; la figlia frequenta le scuole a Siena, integrandosi con la socialità locale anche grazie all’adesione al circolo dei giovani comunisti. La nuova ubicazione rurale non sembra restringere le opportunità lavorative di Dada, la quale comincia a ricevere commesse dall’Amministrazione comunale, dalla Parrocchia, dal Convento delle suore benedettine, da una Banca del territorio, oltre che da vari soggetti esterni. Dada non mancherà di prestarsi a una collaborazione con il centro di Gugliano di Fabrizio Mori impegnandosi nell’offerta di corsi di ceramica per i giovani ospiti. Tutti coloro che hanno trovato casa a Trequanda, come negli altri due paesi (Petroio e Castelmuzio), devono il loro numero civico alle mani di Dada, che riprodusse tutta la toponomastica e la numerazione civica in ceramica smaltata. Tutti coloro che si recano a pregare in chiesa, si trovano di fronte un leggio, la statua della beata Bonizzella e una statua di San Pio da Pietrelcina, tutto realizzato in terracotta. La nuova casa di Dada e della sua famiglia continua a offrire corsi di ceramica e a collaborare gratuitamente con la vicina casa di Gugliano – la comunità di accoglienza per minori di Fabrizio Mori, che potrà avvalersi di un costante supporto da parte dell’Amministrazione comunale.

Il paese è ancora negli anni Ottanta un luogo socialmente denso. Lo spopolamento del suo abitato non ha ancora raggiunto i livelli della campagna, in paese ci sono molti negozi (forno, macelleria, alimentari, tessuti, ecc.), l’osteria, il barbiere, alcuni artigiani:

P. lui [Roberto che è anche autista dei pulmini.] ci aveva il negozio, lui faceva un po’ di tutto riparava scarpe… dove ora c’è il Ciriera [ristorante], prima stava lì, poi si è trasferito, lì c’è venuto il falegname, quello che ci ha fatto le finestre ad arco e invece Roberto è andato appena lì vicino alla Proloco [...] e ci aveva una mini ferramenta dove … c’era l’emporio in piazza, un emporio grande dove trovavi tutti i giornali fino alle pentole, di tutto, Iris ci aveva tutto quanto. [...] dove era, non c’è più, dove era la banca, in quella parte lì c’era il bar, l’emporio, c’era un barbiere e c’era un negozio di stoffe, c’era tanto diciamo! [...] c’erano 2 negozi di alimentari e c’erano 2 macellerie, del Cannoni vicino alla piazza e poi invece quella di Milada nel Borgo lungo, e diciamo per i primi quattro cinque anni è rimasto così, poi pano piano cominciavano ad arrivare i turisti, i primi stranieri (Intervista a Dada, Alessandra e Ralph, Trequanda, agosto, 2023).

Gli esterni (stranieri e non) si possono ancora contare e identificare, e vivono tutti in campagna. Rare eccezioni, i turisti e i visitatori. Il depauperamento del tessuto sociale del paese con la quasi totale scomparsa dei servizi di prossimità, che fanno la vivibilità di un luogo, si sarebbe prodotto in concomitanza con la crescita della pressione turistica e con lo stabilizzarsi di circuiti paralleli, focalizzati da un lato sulla grande distribuzione del polo commerciale di Sinalunga, dall’altro sulla crescente offerta di ristorazione di qualità e di ospitalità sempre più selettive. Tale destino è condiviso con le altre due frazioni: tra le due, Castelmuzio, gentrificato al punto di essere definito e ormai identificato (almeno dall’esterno) come il «borgo salotto»29, con pochi residenti e molte abitazioni adibite a casa di vacanza estiva, può ancora contare sulla presenza di una cooperativa di consumo, la cui resistenza è però messa a dura prova dal fatto che – stando a quanto ci dice una delle due gestrici30 – i residenti tendono (comprensibilmente) a rifornirsi nei grandi centri commerciali di Sinalunga (per molti anche luogo di lavoro), mentre i visitatori e soprattutto gli abitanti delle seconde case che arrivano d’estate (molti americani) non vanno a comperare al dettaglio pane, prosciutto, frutta, detersivi… Il quotidiano che fu la chiave dell’integrazione di Dada e del suo mondo, nel mondo in costruzione della Trequanda di oggi, è ormai radicalmente mutato.

Vivere a Trequanda, vivere di Trequanda

Tre storie diversamente intrecciate, con un prologo che cade fuori dal nostro perimetro di osservazione, che si presentano come quelle di protogentrificatori involontari o gentrificatori marginali involontari; Gianfranco, Fabrizio e Dada, con le rispettive cerchie di collaboratori, di amici, di familiari, sono stati attratti da un misto di opportunità e desideri, integrandosi con un tessuto sociale che stava mutando tanto radicalmente quanto rapidamente, imprimendo a questo movimento una temporanea spinta verso il radicamento e anche verso l’apertura del paese e delle sue due frazioni al mondo esterno, più ampio e ricco di alternative alla tradizionale alternativa tra contadini e padroni del passato e a quella tra condizione operaia e impiegatizia che andava di pari passo con l’abbandono del bello e l’adeguamento alla periferie, moderne, future, uguali sia vicine che lontane. In pochi ulteriori anni si sarebbero prodotte altre accelerazioni sulla spinta di vari fattori: l’agentività espressa da alcuni attori locali che, di rientro da migrazioni di successo, o subentrati per successione generazionale nel ruolo di proprietari, intravedono possibilità di crescita nell’investire sulla filiera del prodotto di qualità (olio) e sulla ricezione turistica; l’arrivo di risorse aggiuntive che provengono dall’esterno (fondi europei) a compensazione di un disastro climatico – gli effetti della gelata del 1985 sugli olivi; la possibilità di raggiungere mete commerciali all’estero, grazie anche alla familiarità con chi dall’estero è venuto nel frattempo ad abitare e ad investire nel territorio; il supporto dato sul piano delle politiche economiche dall’amministrazione locale; la creazione di un’offerta turistica diffusa e a titolo di integrazione economica da parte anche di coloro che hanno investito nel «casale». Tutto questo ha fatto sì che i ricettori del mercato che si sviluppa sul panorama dei flussi globali – agenzie immobiliari, agenzie turistiche, enogastronomia – mescolando bellezza e ricchezza, economia e notorietà, finissero per concentrare su questo angolo di paradiso, aspettative e investimenti che ne hanno fatto quella realtà che si rivelava ad un ignaro Di Pietro: luogo di residenze di prestigio, meta di un turismo di elevato capitale culturale e economico, polo produttivo di beni di qualità a circolazione ampiamente internazionale, e porzione esemplare di quel «paesaggio» entrato a pieno titolo tra i beni costituzionalmente tutelati.

L’andamento circolare per cui la qualità ambientale e paesaggistica attrae risorse e ne scaturisce un’offerta che attrae consumatori di qualità, pronti – ove possibile – a mettere radici e a trasformarsi in produttori di qualità, ha però modificato anche le condizioni di accesso: chi ha scelto di trasferirsi in un pezzo di paradiso in terra31, ha ben previsto che al privilegio di viverci, corrisponda un prezzo da pagare: la relativa distanza del paese dai centri più importanti, centri di consumo, luoghi di opportunità lavorative, centri di produzione culturale o snodi dei circuiti artistici. Ma le possibilità economiche che si accompagnano alla condizione di «nuovi trequandini», consentono di rispondere diversamente e comunque a queste esigenze. Se la casa in cui si vive, a Trequanda o nei dintorni, è la sola disponibile, in proprietà o in affitto, il prezzo è pagato quasi per intero; se invece la dimora fa parte di una serie più o meno nutrita, stando ai casi di cui abbiamo acquisita la conoscenza [Mugnaini, Grilli, 2022], il costo si diluisce per quanto è lunga e ricca la serie di alternative possibili: non è più questione di patrimonio, quanto di accessibilità, ovvero di un patrimonio di diversa natura, riconducibile al capitale economico e relazionale e sociale disponibile. Quando vivere a Trequanda può essere alternato con periodi vissuti a Milano, Roma, Venezia, Londra, New York, il prezzo pagato per il relativo isolamento cessa di essere una voce puramente passiva e si trasforma in misuratore di valore e indicazione di distinzione.

Diversi invece, e diversificati persino all’interno della comunità degli autoctoni, sono gli effetti collaterali di questa particolare forma di sviluppo. Le richieste da parte degli attori gentrificanti di competenti artigiani (falegnami, costruttori, fabbri, ecc.), di personale di servizio specializzato (casieri, cuochi, giardinieri, ecc.) hanno un effetto certamente positivo sull’economia locale. Tuttavia, chi vive «di Trequanda» difficilmente riesce ad avervi accesso in maniera stabile e compatibile con le esigenze quotidiane di una famiglia che vive di lavoro dipendente: un mercato immobiliare che tende ad espellere giovani e famiglie non abbienti; un mercato del lavoro che, quando non corrisponde ai bisogni dell’agroalimentare di qualità, rischia di limitarsi alla gamma di funzioni di servizio richieste dai residenti benestanti e dalla pressione turistica [Solana-Solana 2010; Alonso Gonzales, 2016].

Dobbiamo a due giovani, tra i primi intervistati nel corso della ricerca, la formula che metteva in luce la trasformazione delle prospettive occupazionali del luogo: «stiamo diventando un paese di giardinieri»32.

La via tracciata dai pionieri, involontari e certamente non responsabili, ha conosciuto una piegatura che mette in ombra le ragioni primigenie, quelle del cercare lì una nuova ripartenza, un nuovo e diverso rapporto con la natura, un discorso con la bellezza del paesaggio: come diceva Lorenzo, con insolita maturità, di fronte alle condizioni del rudere che stava chiedendo a suo padre di acquistare,  «ogni casale può essere restaurato, ma il paesaggio no» [Mori ٢٠٠١, ٢٢]. Il paesaggio può solo essere salvato, rispettato, e vissuto: ma forse anche farne un pezzo di paradiso, di pratini all’inglese, di piscine a sfioro, di gazebo, e di sontuosi casali che hanno rimosso ogni traccia della fatica che li aveva storicamente abitati, può essere un modo di viverlo su cui meditare. Criticamente. Sarà un paradiso per sempre? È un paradiso per tutti? Tutti coloro che lo meritano?

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  1. 1 Il presente contributo si inserisce nell’ambito del progetto Prin «Abitare i margini, oggi. Etnografie di paesi in Italia» (coordinato da Daniele Parbuono, Università di Perugia), che vede la partecipazione di cinque Unità di ricerca fra le quali anche l’Unità di Siena, e il cui precipuo interesse è rivolto a comprendere le modalità dell’abitare in luoghi posti ai margini, anche se non sempre marginali [cfr. Parbuono, Rondini 2024]. La ricerca etnografica, tuttora in corso, si avvale della partecipazione ravvicinata agli eventi del territorio oggetto di indagine (feste, sagre, appuntamenti calendariali) integrandola con la raccolta di testimonianze, di interviste biografiche e la creazione di specifici contesti di analisi (focus groups).

  2. 2 https://www.

  3. 3 https://www.vanityfair.it/gallery/francesca-pascale-e-paola-turci-10-cose-che-forse-non-sapete-sul-loro-matrimonio.

  4. 4 https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/32267984/franc

  5. 5 Vittorio Luserna di Rorà, vedi intervista a Atos Meiattini, Trequanda, Febbraio 2024.

  6. 6 La proprietà (Azienda agricola di Trequanda) consta attualmente del Castello Cacciaconti, un edificio dell’anno mille, sito nel centro storico dell’abitato di Trequanda, di quattro poderi destinati alla ricezione turistica e di circa 1200 ettari di terreno tra boschi, prati (destinati all’allevamento semibrado di vitelli di razza chianina), vigne e oliveti.

  7. 7 Abbiamo deciso di non usare il termine borgo, che nel linguaggio locale indica genericamente una via dell’abitato urbano di impianto medievale, concordando con la prospettiva critica che ne denuncia la deformazione estetizzante; si veda al riguardo Bindi [2021]; Barbera, Cersosimo, De Rossi [2022].

  8. 8 Tale processo di valorizzazione della filiera olivicola è stato avviato dopo la gelata degli olivi del 1985 dall’amministrazione guidata da Athos Meiattini e sarà in seguito sostenuto dagli amministratori che si sono succeduti culminando, nel 1994, nella partecipazione del comune alla fondazione della Associazione nazionale delle città dell’olio. Alla valorizzazione della produzione olearia si è aggiunto l’investimento nella promozione dell’immagine del territorio con l’iscrizione nel registro nazionale dei Paesaggi storici rurali (si veda, Il paesaggio policolturale di Trequanda: dossier di candidatura al Registro nazionale dei paesaggi rurali storici, Comune di Trequanda – Associazione Nazionale Città dell’olio, Trequanda, 2021). Questa politica di recupero e valorizzazione del territorio attratta dal linguaggio e dalle pratiche della patrimonializzazione non può che essere intesa come diretta espressione di un marchio istituzionale che avendo preordinato le soluzioni sopradescritte ha informato e orientato altre espressioni di agentività locali [Palumbo 2022].

  9. 9 Si rimanda al classico lavoro di Emilio Sereni [2008].

  10. 10 Per una riflessione sulla nozione di paesaggio agrario si veda Papa [2006, 2012], Lai [2010]; sui processi di trasformazione dei paesaggi rurali nell’Italia contemporanea si segnalano i recenti contributi presenti nella sezione Forum della rivista Antropologia Pubblica [2024], curata da Grilli e Lusini.

  11. 11 La produzione di beni – quelli classici della zona sono olio e vino – risente di tale inversione, qualificandosi come produzione di beni che parlano (non solo localmente) di un successo personale, di una creatività e di una affidabilità congrui con la tenuta e la solidarietà del gruppo sociale di riferimento. Obiettivo di molti dei nuovi arrivati è “farsi la bella azienda” (oltre una residenza di status) in cui si producono vino e olio di qualità destinati ai circuiti della commercializzazione di lusso o semplicemente da esibire con gli amici come simboli della propria condizione di privilegio prodotti [Mugnaini, Grilli 2022].

  12. 12 L’abitare rurale che un tempo, nella tradizione mezzadrile, era intimamente integrato in un principio di economia globale per cui l’unità familiare era una un’unità di scarsissimo consumo e di scarsissima produzione di rifiuti, oggi si è tradotto in un abitare dispendioso sul piano del consumo energetico e persino un luogo di produzione di contaminazione ambientale.

  13. 13 Cfr. Jacopo Parisse 2023: 34. Lo stesso autore sottolinea il rilevante aumento dei flussi turistici che dal 2015 al 2022 vedono la triplicazione degli arrivi (sia italiani che stranieri) [Parisse 2023, 35].

  14. 14 La presenza straniera, già visibili nei anni Novanta, tocca il suo apice tra il 2010 e il 2011, quando si contano 160 stranieri, quasi il 12% della popolazione; nel 2023, seppur ridotta a 114 presenze, è ancora pari al 9,8% della popolazione. https://www.tuttitalia.it/toscana/29-trequanda/statistiche/cittadini-stranieri-2022/. Come già notato in Mugnaini, Grilli [2022], la mobilità caratterizzata dalla polarizzazione alto/basso, ricco/povero innesca nel territorio il processo di trasformazione approdato all’attuale livello di gentrificazione.

  15. 15 Sui rischi della radicale trasformazione economica e paesaggistica delle aree meridionali della provincia senese (Val d’Orcia e aree limitrofe) per effetto del turismo di massa e del più recente arrivo di grandi investitori è dedicato un ben documentato articolo comparso su l’Internazionale nel giugno del 2023 in cui si parla espressamente di finanziarizzazione delle campagne. https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/alessandro-calvi/2023/06/23/val-d-orcia-turismo-di-massa.

  16. 16 Peraltro proprio nel settore agricolo, il fenomeno del ricorso a manodopera interinale configurabile addirittura come caporalato vero e proprio, già identificato per altre aree come il Chianti [Oliveri, 2016], è stato riscontrato anche in queste zone.

  17. 17 La quota di stranieri provenienti da paesi del nord America e nord Europa è superiore sia rispetto alla media nazionale sia a quella di altri comuni limitrofi come Sinalunga (2%), ma anche da altri ugualmente interessati da un’analoga tendenza alla gentrificazione e alla valorizzazione turistica come Pienza (19%) e Montalcino (14%).

  18. 18 Una precoce attenzione al neoruralismo sulla spinta di vari movimenti sociali, politici ecologisti risale agli anni Settanta con i lavori di Hervieu [1979], Chevallier [1981]. Per una aggiornata rassegna si rimanda a Vizuete, Oteros-Rozas, Garcia-Llorente [2024].

  19. 19 Sull’abitare, o ri-abitare le aree periferiche del nostro paese (dalle aree alpine alle paesi del meridione), un processo agito da componenti diverse, non di rado associato a processi di gentrificazione e patrimonializzazione, si è via via consolidato un interesse di tipo antropologico [Bonato 2017; Zanini 2017; Teti 2017; Viazzo 2019; Meloni 2021, 2023; Parbuono 2024] oltre che demografico e geografico [Randelli, Perrin 2007; De Rossi 2018; Marengo 2020; Barbera, Cersosimo, De Rossi 2022] configurandosi come interessante opportunità per indagare i processi della globalizzazione contemporanea. Per altri esempi di analoghi processi di gentrificazione in alcuni paesi europei si rimanda a Perrenoud [2008], Solana, Solana [2010], Alonso Gonzales [2016; 2017], Depraz [2017].

  20. 20 L’utilizzo di tale termine richiama la riflessione demartiniana in cui esso è caricato di valenze esistenziali [De Martino 1952]. In seguito, è invalso un suo uso depotenziato con il significato di acquisire familiarità con un territorio e un ambiente d’elezione. Nel contesto di questa ricerca lo usiamo come pratica di costruzione di un orizzonte del domestico, di uno “sfondo di domesticità” che rende possibile un agire nel mondo capace di riconnettere la presenza umana a un luogo, a una storia «alla società vivente, alla catena delle generazioni» [De Martino ١٩٧٧, ٤٢٥]. L’agire nel mondo leggibile nei processi di gentrificazione può essere anche inteso come un appaesamento selettivo (di classe o elitista) che naturalizza la società incontrata, le tradizioni locali e l’ambiente [Sanga ٢٠١٦, ٢٨٠].

  21. 21 Nel censimento del 1951 la popolazione (3519 abitanti di cui 1806 Uomini e 1713 Donne) risulta così distribuita:1620 nei 3 centri abitati (Trequanda capoluogo, Petroio, Castelmuzio, in totale 803 Donne 817 Uomini); 60 nei nuclei (36 Uomini, 24 Donne) (nuclei sono piccole frazioni come Abbadia Sicille); 1839 nelle case sparse (di cui 647 uomini). Nel censimento della popolazione del 1961, la popolazione complessiva 2645 unità (di cui 1354 Uomini e 1291 Donne) risulta così distribuita:1395 nei Centri abitati (Trequanda capoluogo, Montisi, Petroio, Castelmuzio, di cui 6 71 Uomini); 67 abitano nei nuclei (36 Uomini) (piccole frazioni come Abbadia Sicille); 1183 nelle case sparse (di cui 647 uomini). Non è possibile rilevare il dato nei censimenti successivi (dal 1971 in poi), dal momento che il dato dei residenti risulta aggregato.

  22. 22 Castelmuzio conta attualmente circa 180 abitanti che vi risiedono stabilmente.

  23. 23 Tale flusso, che interessa diversi comuni della provincia senese, è stato oggetto di due diverse campagne di rilevamento (la prima nel periodo compreso tra 1986 e il 1990, cfr. Solinas, 1989, 1990) e la seconda nel corso del 1996 (cfr. Report etnografico sul pastoralismo sardo in provincia di Siena e nell’Alto Lazio di S. Becucci, 1996, depositato presso il Laboratorio LIDEAV Ars Videndi, Università degli studi di Siena). Ancora a metà anni ‘90 nel comune risultano residenti 11 famiglie di origine sarda (per un totale di, 40 persone, di cui 19 uomini e 21 donne). Cfr. anche Grilli, Zanotelli [2015] sulle migrazioni interne.

  24. 24 Fino a poco fa la stabulazione all’aperto delle greggi rendeva immediatamente visibile tale presenza nel paesaggio rurale. Negli ultimi il prevalere dell’allevamento intensivo ha riportato le greggi negli ovili e ridotto la visibilità di tale componente.

  25. 25 The English Patient, 1996, di Anthony Minghella (ed. Italiana Il Paziente Inglese), ispirato all’omonimo romanzo di Michel Ondaatje, 1992, porterà in giro per il mondo – sospinto da 9 premi Oscar- un’immagine della Toscana idealizzata e artefatta, ma costituita da angoli di indubbia bellezza, quale l’ex monastero di Sant’Anna in Camprena, e il paesaggio circostante, al confine della Val d’Orcia ma perfettamente congruente con il territorio di Trequanda. Analogo effetto alone fu prodotto, a suo tempo, per il Chianti da Io ballo da sola, 1996, di Bernardo Bertolucci, e, in misura maggiore, per Cortona, dal romanzo Under the Tuscan Sun, di Frances Mayes, 1996, con tanto di film omonimo, 2003, diretto da Audrey Wells.

  26. 26 Torna in più testimonianze il ruolo degli artigiani e dei lavoratori del posto nel fornire soluzioni pratiche alle idee di restauro e di recupero del patrimonio abitativo locale come in altri contesti regionali marcati da un analogo processo di gentrificazione come nel caso francese studiato da Perrenoud [2008].

  27. 27 A riprova di ciò vi è il fatto che i ragazzi in età scolare sono iscritti nelle scuole (elementari e medie) del vicino comune di Sinalunga invece che in quelle di Trequanda, si veda l’Intervista a Roberta Mozzini, attuale coordinatrice del centro, avvenuta a Trequanda nel novembre del 2024.

  28. 28 L’intervista è avvenuta presso l’abitazione di Dada e della sua famiglia, nell’agosto 2023, alla presenza della figlia Alessandra e del genero Ralph.

  29. 29 La definizione nasce a ridosso di una iniziativa, promossa e sostenuta economicamente da alcune imprese locali (ristoratori, gestori di agriturismo, artigiani locali, ecc.) insieme all’Amministrazione comunale, di realizzare un belvedere arredato con tavoli e poltroncine di ferro e un bagno pubblico rivestito con mosaico e arredato con dettagli eleganti. Non solo il paese è ribattezzato come borgo ma con la qualifica di salotto perde definitivamente il proprio carattere ordinario e normale, acquisendo i tratti di un abitare distintivo esteticamente qualificato.

  30. 30 Lo scambio è avvenuto nell’agosto 2024.

  31. 31 Illuminante il raffronto con il caso approfonditamente studiato da Pablo Alonso Gonzales (2017) del paese di Santiago Millas in Maragateria.

  32. 32 Conversazione avvenuta nel giugno del 2023.