Paesaggi di coesistenza, ovvero come attorno ad un passeriforme si articola l’abitare in una zona di montagna
Landscapes of coexistence, that is, how a rock sparrow triggers different ways of living in an alpine area
Lia Zola
Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne, Università di Torino
Indice
Tra frizioni e cooperazioni interspecifiche
Di passeriformi, seggiovie e campi da golf
Dal Colle del Sestriere a luogo turistico
Collaborazioni inaspettate…e controverse
Qualche riflessione conclusiva, ovvero: le montagne, ad un certo punto, finiscono
Abstract
Landscapes of coexistence is a term used by a team of zoologists in a 2019 article referring to the degree of tolerance between a population of lions and humans within three African natural parks and meant as «the sustainable cohabitation of people and lions within a shared landscape» [Western et al. 2019, 204). Based on field research carried out in three alpine valleys, Valle Susa, Val Chisone and Val Troncea, my essay tries to broaden the understanding of landscapes of coexistence by arguing that they are complex sites of relationships where humans and non humans alike shape and co-shape them through interactions but also frictions and conflicts that revolve around a small bird, Petronia petronia.
Keywords: multispecies; ethnography-mutualism-Alpine; anthropology-frictions.
Paesaggi di coesistenza è un’espressione utilizzata da un gruppo di zoologi che, in un articolo del 2019, fa il punto su come far convivere leoni e umani in tre parchi naturali africani connotati da una forte presenza antropica, definita «human dominated» [Western et al. 2019, 204]. Nel loro saggio, gli autori mirano a stabilire il grado di tolleranza reciproca tra le due specie, in modo che si venga a creare un paesaggio di coesistenza: esso viene definito come «the sustainable cohabitation of people and lions within a shared landscape» [Western et al. 2019, 204]. Partendo da questa definizione e pur mantenendo inalterato il senso di coabitazione in un territorio condiviso, propongo un ampliamento del concetto di paesaggio di coesistenza: esso si configura come una complessa rete di relazioni intessuta da attori umani e non umani che, in modi talora opposti, cercano di abitare il loro territorio attivando forme di cooperazione interspecifiche, intraspecifiche, interistituzionali, dando origine a voci incrociate e narrazioni differenti. Tutto ciò, in modo particolare, si articola attorno ad un passeriforme, la passera lagia (Petronia petronia) che diventa al contempo detonatore e denotatore di un certo modo di abitare la montagna. Detonatore perché la sua presenza innesca una serie di dinamiche talora conflittuali tra i vari attori sociali coinvolti; denotatore perché, come si vedrà, il fatto che sia tornata a nidificare a quote elevate porta inevitabilmente a interrogarsi su come, in un futuro molto prossimo, si potrà vivere nelle terre alte.
Il mio contributo rappresenta il frutto di alcune riflessioni che si sono sviluppate durante l’indagine sul campo che sto attualmente conducendo in alta Valle Susa, Val Chisone e Val Troncea, in provincia di Torino1. Sebbene io svolga ricerca da circa vent’anni in questi territori [cfr. Zola 2011, 2017, 2021, 2024] l’indagine che sto portando avanti riguarda due aspetti a cui non ho mai rivolto particolare attenzione e cioè i diversi modi di abitare la montagna oggi e il rapporto umano-fauna selvatica2.
Tra frizioni e cooperazioni interspecifiche
La diminuzione degli habitat naturali come effetto delle attività antropiche ha determinato maggiori possibilità di interazione tra esseri umani e fauna selvatica. In molti casi l’esito di questi contatti può portare a conflitti, le cui implicazioni spaziano dalla possibilità di zoonosi [Quammen 2017], a frizioni di natura economica e sociale [MacMahon et al. 2024; Knight 2005]. Questi attriti sono maggiormente evidenti in aree definite da Augustin Fuentes [2010] e Donna Haraway [2003] “zone naturali-culturali”, in cui la presenza umana è più intensa e nelle quali le due specie sono «simultaneously actors and participants in sharing and shaping mutual ecologies» [Fuentes 2010, 600].
In queste zone “naturali-culturali” non sempre le relazioni tra umani e animali sono di natura conflittuale: la letteratura etnografica ha documentato anche situazioni di cooperazione interspecifica. Definite come relazioni mutualistiche e commensali [Cram et al. 2022; Southwick, Siddiqi 1994], possono comprendere gradi e forme diverse di cooperazione e avvengono quando un umano e un animale selvatico coordinano in modo attivo i loro comportamenti per raggiungere un obiettivo comune che porta un beneficio a entrambi.
Secondo Dominic Cram e i suoi collaboratori, il commensalismo può suddividersi in forme di mutualismo, in cui è la componente umana a trarre maggior beneficio (ad esempio quando il cibo trovato o recuperato dall’animale è talmente abbondante da non generare competizione) e da altre tipologie in cui è la controparte non umana ad avere maggiori vantaggi (ad esempio quando gli animali mangiano i resti di prede cacciate dagli umani). Altri tipi di mutualismo sono rappresentati dal neutralismo, ovvero quando le due specie interagiscono senza effetti l’una sull’altra; dal mutualismo non cooperativo, quando i benefici per entrambi sono evidenti ma non comportano alcuna forma di cooperazione e infine dal cleptoparassitismo, in cui si imposta una relazione di tipo agonistico dove una specie sottrae le risorse ad un’altra: è il caso del conflitto uomo-lupo, generato, secondo diversi autori [Rao 2018], proprio dalla competizione per le stesse prede [Cram et.al 2022].
Alcuni esempi di relazioni ecologicamente ed economicamente vantaggiose sono rappresentati dai pipistrelli che si cibano di insetti che si trovano nelle abitazioni, o dagli avvoltoi che si nutrono dei rifiuti prodotti dagli umani o, ancora, dagli insetti impollinatori che, attraverso il loro lavoro, fanno sì che il 35% del nostro cibo dipenda dalla loro presenza [Quaranta et al. 2014].
Il caso più significativo di mutualismo umano - non umano riguarda l’indicatore golanera, detto anche indicatore del miele (Indicator indicator), un volatile presente nell’Africa subsahariana e impiegato come “guida agli alveari”, tra gli altri, dagli hadza della Tanzania, dagli yao del Mozambico e dai boran del Kenya settentrionale [Spottiswoode 2016]. In quest’ultimo caso, questo tipo di cooperazione fa sì che le due specie, umana e volatile, integrino le loro abitudini e si compensino a vicenda: l’indicatore golanera è in grado di scovare gli alveari, che spesso si trovano all’interno delle cavità degli alberi, ma non si avvicina perché potrebbe essere punto (la specie di api presente in quest’area, l’Apis mellifera mellifera adansonii rilascia un veleno che può rivelarsi letale); gli esseri umani, al contrario, sono in grado di prelevare gli alveari ma non ne conoscono esattamente la localizzazione.
Quando un gruppo di persone, solitamente uomini, cacciatori o allevatori di bestiame, va in cerca di miele, comunica la propria presenza all’indicatore golanera attraverso un fischio particolare che ottiene soffiando nelle mani tenute serrate in un pugno, oppure in gusci di noci o di lumache ma anche calpestando i ramoscelli a terra, gridando oppure lasciando segnali di fumo. A questo punto l’uccello vola verso il gruppo di umani ed emette un suono distinto, dopodiché prosegue verso l’alveare. Quando il luogo in cui esso si trova viene individuato, l’indicatore golanera smette di cantare e inizia l’attività del gruppo umano che cerca l’alveare e generalmente lo trova. Affumica la cavità dell’albero ed estrae i favi con il miele, avendo cura sia di non uccidere le api sia di lasciare sempre un po’ di cellette, con il loro contenuto di cera, miele, polline e propoli per gli uccelli. Questa specie, infatti, è nota per riuscire a digerire la cera: cibandosi di ciò che trova nei favi, immagazzina energia che si rivelerà particolarmente utile nella stagione secca, quando gli insetti scarseggiano [Isack 1999]. Anche per la controparte umana la collaborazione è notevole dal punto di vista nutrizionale: gli hadza, ad esempio, incamerano fino al 10% di calorie nella loro dieta attraverso l’ingestione di miele, propoli e polline.
Altre forme di cooperazione mutualistiche sono state documentate tra i corvi che, al pari dell’indicatore golanera, sono di aiuto nell’individuare le larve di alcuni insetti commestibili. In tre specie di delfini, rispettivamente sul fiume Ayeyardwady in Myanmar, in Brasile e in Australia, sono state osservate forme di mutualismo nella strategia di pesca: i mammiferi nuotano in profondità facendo sì che i pesci si avvicinino alla superficie dove vengono presi; i delfini, successivamente, si cibano degli esemplari che fuoriescono dalle reti. Un caso analogo è documentato tra le orche che spingono le balene verso le baleniere dove vengono catturate e uccise; si nutrono poi degli scarti che sono gettati in mare, e cioè la lingua e le labbra [Clode 2002]. Vi sono poi alcune ipotesi sul ruolo che in un passato molto remoto possono aver ricoperto i lupi in questo tipo di mutualismo [Pierotti, Fogg 2017].
Il vantaggio maggiore di queste forme di collaborazione risiede nella possibilità di nutrirsi: l’animale localizza una risorsa di cibo non facilmente individuabile per gli umani; dal canto loro questi ultimi riescono a procurarsela, garantendola anche alla loro controparte. Altri benefici includono, ad esempio, protezione e riparo. In ogni modo, cooperare garantisce a entrambe le specie anche vantaggi non direttamente associati al cibo perché rafforza i legami sociali sia di tipo intraspecifico, sia interspecifico [Cram et al. 2022].
Sempre rimanendo in tema di volatili, il caso che mi appresto a descrivere, seppur rientri solo in modo marginale nelle forme di cooperazione indicate poc’anzi e possa configurarsi piuttosto come una forma di mutualismo non cooperativo, rappresenta una dimensione in cui la relazione umano -non umano acquista maggiore complessità.
Di passeriformi, seggiovie e campi da golf
Tarda primavera 2024, Sestriere, val Chisone (TO). Sto aspettando un interlocutore e decido di fare una passeggiata sul territorio limitrofo al campo da golf, ancora coperto di neve poiché in inverno il suo territorio diventa sciabile. Osservando gli impianti di risalita posizionati entro la sua superficie, noto una strana scatola in legno, anzi, un parallelepipedo di piccole dimensioni con un’apertura nella parte più stretta, posizionato proprio sotto i rulli dei sostegni metallici della seggiovia. Non si tratta di una scatola, ma di una cassetta, meglio detta “cassetta-nido” o nest-box, installata nell’ambito del progetto “Petronia”, avviato e coordinato dal 1987 dal Professor Antonio Mingozzi dell’Università della Calabria. Ma cosa ci fa una cassetta-nido su un impianto di risalita? E soprattutto: perché proprio al Sestriere, località estremamente antropizzata, conosciuta ai più come meta di turismo invernale?
Occorre innanzitutto precisare che l’“abitante” delle cassette-nido è la passera lagia (Petronia Petronia), un volatile di piccole dimensioni e del peso di circa 12 grammi il cui habitat si estende dall’Europa meridionale fino all’Asia centrale. Sulle nostre Alpi la sua presenza è stata monitorata in luoghi legati al prato-pascolo e cioè sui versanti esposti (detti in provenzale alpino adrèt), che fanno parte della sinistra orografica della valle. In alta Valle Susa, Chisone e Troncea, i versanti più esposti sono quelli che presentano anche maggiori movimenti antropici, caratterizzati – almeno in un passato nemmeno così remoto – dalla presenza di campi, prati da sfalcio e pascoli. Al contrario, sulla destra orografica della valle (in provenzale alpino envers, l’“inverso”), le attività umane sono maggiormente ridotte e generalmente il paesaggio è contraddistinto da conifere. La passera lagia predilige dunque ambienti esposti, con condizioni climatiche continentali, come quelle che si verificano in alta Valle Susa, Chisone e Troncea e caratterizzati dalla presenza umana. I luoghi ideali di nidificazione, infatti, sono rappresentati dai buchi, dalle fessure nei muri delle case o nei sottotetti. La prossimità con gli esseri umani è una delle caratteristiche della specie, un po’ come avviene anche per l’indicatore golanera precedentemente menzionato. Ma come si è arrivati alla seggiovia del campo da golf di Sestriere?
L’interesse di Antonio Mingozzi e della sua squadra di ricerca nei confronti della passera lagia risale già ai primi anni ’80 del 1900 ma è solo nel 1987 che prende avvio il già citato progetto “Petronia”, rappresentato dall’identificazione e successiva realizzazione di stazioni di osservazione e dall’installazione delle cassette-nido. Mingozzi e la sua equipe, infatti, si accorgono che l’area di nidificazione del passeriforme è lievemente cambiata: se negli anni precedenti al 1987 era stata localizzata al Melezet, frazione di Bardonecchia (1367 msldm), nell’estremo ovest della Valle Susa al confine con la Francia, dal 1987 viene individuata in una valle attigua, la Val Chisone, seppur non così vicina dal primo luogo di indagine. La passera lagia viene infatti osservata nidificare a Grangesises, frazione del Comune di Sauze di Cesana, a 1840msld [Mingozzi et al. 1994]. Da quel momento e fino ad oggi, seppur con qualche discontinuità, vengono installate all’incirca 52 cassette-nido in cinque località in Valle Susa: San Sicario, frazione di Cesana (1780msldm); Champlas Janvier, frazione di Sestriere (1784 msldm); Champlas Seguin, frazione di Sestriere, (1780msldm); Champlas du Col, frazione di Sestriere (1760msldm), e Thures, frazione di Sauze di Cesana (1720msldm), in Val Thuras, valle laterale della Valle di Susa. Le cassette-nido, dotate di un apparecchio che consente di registrare i movimenti delle passere lagie, hanno l’obiettivo di far capire ai ricercatori le modalità di nidificazione e di riproduzione3, consentendo anche di catturare gli individui monitorati per poterli inanellare4. Per circa 22 anni, dal 1991 al 2013, la popolazione di questi volatili è seguita con frequenza.
Secondo le parole di Antonio Mingozzi, con il quale ho avuto una chiacchierata informale, l’osservazione ha consentito, in un arco di tempo abbastanza ampio, di comprendere non solo le caratteristiche e le abitudini del passeriforme, ma anche quelle dell’ambiente circostante. Lo zoologo infatti afferma che la passera lagia è una specie nidificante, dove «nidificante è un termine chiave […] perché quelli che nidificano selezionano gli ambienti, quindi la loro presenza è come dire, legata a delle condizioni […]. Nidificanti vuol dire che sono legate al luogo e che rispecchiano le caratteristiche geografiche ed ecologiche del luogo» [intervista del 19/08/2024].
Tra il 1987 e i primi anni 2000, tuttavia, gli esemplari diminuiscono e così anche le stazioni. Prosegue infatti Mingozzi: «Nel 2003 o 2004 mi sembra sia stato raggiunto il minimo, non solo di stazioni, solo più tre, tutte quelle con le cassette, le altre sparite, ma anche l’individuo, erano 33» [intervista del 19/08/2024]. Dopo quel periodo, tuttavia, avviene qualcosa che spinge la passera lagia a ri-colonizzare l’area e ad installarsi in zone in cui precedentemente non era stata monitorata. Una di queste è rappresentata dal Sestriere, 2035 metri di quota. Anche in questo caso è bene dedicare qualche riga al perché Sestriere si sia affermata come località turistica, abbia un campo da golf e sia stata “scelta” dalla passera lagia per nidificare.
Dal Colle del Sestriere a luogo turistico
Con il termine Sestriere (o Sestrières, secondo la grafia precedente al 1935) oggi si identifica una precisa località, situata tra la Val Chisone e la Valle Susa, meta di turismo prevalentemente invernale. Tuttavia, sia il termine – così come lo conosciamo oggi, senza l’accento grave sulla seconda “e” e senza “s” finale – sia la località sono di creazione piuttosto recente. Il Colle omonimo, per secoli, è stato una delle vie per oltrepassare le Alpi e giungere in Francia. Tuttavia, per poter arrivare nella pianura transalpina più prossima, dal Colle è necessario valicare un altro passo alpino, il Monginevro: questo ha fatto sì che nel tempo il Colle del Sestriere fosse una zona di passaggio di minore rilievo – da un punto di vista commerciale – rispetto ad altri valichi, come ad esempio il già citato Monginevro, il Moncenisio o il Colle della Scala e che la sua importanza si sia definita come via di comunicazione principalmente tra la Val Chisone e la Valle di Susa. Dal secondo Medioevo infatti, il Colle diventa anche luogo di transito tra Provenza e Pinerolese [Bruno 2023].
Il Colle del Sestriere è sfruttato fin dall’antichità come pascolo ma non come insediamento. Al contrario, dalla seconda metà dell’XI secolo risultano essere centri già abitati – seppur non in modo permanente – Fenestrelle, Usseaux, Balboutet, Fraisse, Pragelato e Sestriere Borgata. È solo alla fine del 1800 che sul Colle viene fatta menzione di una casa cantoniera che svolge anche funzione di ospizio (denominata “Il Baraccone” o “Albergo Baraccone”) seguita, a inizi 1900, dalle prime abitazioni adibite al ricovero degli animali e alla caseificazione.
Nel primo decennio del 1900 il Colle, grazie anche al Giro d’Italia del 1911 che inserisce la salita al Sestriere nella tappa Mondovì-Torino, inizia a contare presenze sempre più massicce tra motociclisti, automobilisti, ciclisti ma soprattutto sciatori: la località, infatti, diventa una meta ambita per i primi ski-club che si stanno formando anche in molte altre zone dell’Italia settentrionale. L’ex struttura del “Baraccone” diventata nel frattempo “Albergo Sestrières” viene requisita e trasformata in centro di detenzione per i prigionieri polacchi durante la prima Guerra Mondiale, ma dalla fine delle ostilità riprende la propria funzione ricettiva. È però dal 1929 che il Colle diventa oggetto di interesse da parte della famiglia Agnelli che intravede la possibilità di realizzare strutture ad uso turistico, investendo in ciò che viene successivamente definito «un modello di organizzazione turistica, una stazione-tipo per soggiorni estivi e per sport invernali» [Bruno 2023, 53]. La famiglia Agnelli, grazie all’aiuto di intermediari locali come il parroco e il maestro, riesce non senza difficoltà ad acquistare terreni da numerosi proprietari, la maggior parte dei quali è emigrata in Francia e possiede lotti estremamente parcellizzati. Inizia dunque la realizzazione di impianti di risalita (una funivia), strade di collegamento con gli abitati limitrofi e soprattutto alberghi. Il primo di essi oggi è legato a filo doppio al Sestriere e a come la località si presenta: si tratta dell’hotel “La Torre”, dalla dimensione analoga, seguito dal lussuoso “Principi di Piemonte”.
Tra il 1933 e il 1947 Sestriere amplia la propria offerta turistica con altri alberghi, tra cui una seconda torre-hotel, due portici che mettono in comunicazione le strutture ricettive e che ospitano locali commerciali, un cinema a cui si aggiunge una seconda funivia; essa collega il Colle ad altre località sciistiche che diventeranno in seguito parte del comprensorio della Via Lattea5. Nel 1934 avvengono due eventi significativi: la costituzione di Sestriere come Comune – che però avviene solo nel 1935 – e la nascita del campo da golf, il più alto d’Italia, con 18 buche e un’estensione di oltre 5 km. Nonostante gli anni della Seconda Guerra Mondiale rappresentino una battuta d’arresto per la stazione turistica, dal dopoguerra in poi aumenta l’ampliamento sia delle strutture ricettive e ricreative già esistenti nel Comune, sia di quelle nelle frazioni limitrofe, come Borgata. È però dagli anni ’60 in poi che Sestriere si afferma come località alla moda e, come conseguenza (o effetto?), prende avvio un vero e proprio boom edilizio che comprende la costruzione di parcheggi, ulteriori strutture alberghiere ma soprattutto nuove case per i villeggianti, i maggiori fruitori della località. Oggi Sestriere conta 31 strutture ricettive per un Comune con una superficie pari a 25,93km², 917 abitanti e 70 impianti di risalita (comprese anche le altre 7 località facenti parte del comprensorio Via Lattea).
Il campo da golf, a tal proposito, costituisce una sorta di fiore all’occhiello per le attività estive: ha mantenuto le 18 buche del 1934 e si estende tuttora per circa 5km. Sul sito web del Comune di Sestriere, alla voce “campo da golf”, inoltre si legge che il campo è «privo di fitofarmaci, completamente Chemical Free» (https://www.sestriere.it/estate-a-sestriere/golf-club-sestrieres/, consultato in data 10/09/2024).
Da una ventina d’anni il campo da golf è gestito dalla famiglia F.: ad oggi chi se ne occupa sono la mamma, che è anche direttrice vendite del comprensorio Via Lattea, e i due figli. Proprio uno dei due, A.F., che è istruttore di golf, tiene a rimarcare quanto sia importante l’approccio che hanno adottato fin dall’inizio della loro gestione:
Nel momento in cui siamo entrati abbiamo subito deciso di… di prendere questa via che... è particolare nei campi da golf. Perché alla fine è totalmente chemical-free, non usiamo nessun prodotto, ma proprio nessuno, siamo veramente tra i pochi campi da golf in Italia, ce ne sono… non siamo soli eh? Ce n’è qualcuno, ma siamo veramente pochi che… totalmente chemical-free. Tutti i prodotti che utilizziamo e totalmente tutto… sano. […] diciamo che adesso ci sono dei protocolli che devi seguire, però in tanti campi da golf vengono usati i pesticidi, vengono usati... cioè vengono fatti trattamenti. comunque per [far, n.d.a.] crescere l’erba, soprattutto sui green, dove l’erba è bassissima, e mantenere un’erba bassa così è molto difficile, quindi l’aiutino spesso viene dato [A.F., intervista del 09/05/2024].
Un campo da golf è infatti formato da un punto di partenza, detto fairway, che conduce al green, dove ci sono le buche. Esso è particolarmente importante per chi pratica questo sport perché, come afferma nuovamente A.F.: «il golfista è un gran rompiscatole, quindi se il green è bello viene a giocare a golf, se il green è brutto non viene a giocare a golf» [A.F., intervista del 09/05/2024].
Data l’estensione del campo da golf, inoltre, A.F. e la sua famiglia hanno optato di non tagliare l’erba in alcune zone, consentendo quindi la crescita di flora alpina, la proliferazione di insetti, la comparsa o ri-comparsa di animali che nidificano e persino la creazione di zone umide. Come afferma lo stesso A.F:
Ci sono delle aree che non taglio perché… perché giro tanto con S.T., la ragazza qui che... guarda giù, il Parco [guardiaparco, n.d.a.] e allora ogni tanto viene su: “ti dispiace fare due passi, cacchio là c’è una bella zona umida, me la lasci così perché anche quelle stanno andando perse” e allora ho detto “ma sì, che mi costa, giro un po’ più largo”, ho detto non taglio lì e ho conservato una piccola zona umida. Un po’ più giù crescono dei bei gigli che comunque per essere a Sestriere non è così scontato, e allora non ho tagliato lì, “lasciami là perché là arriva anche il re di quaglie”6, che anche il re di quaglie non è che sia così famoso in montagna. È una bella realtà [A.F., intervista del 09/05/2024].
Nell’estratto dell’intervista, A.F. fa riferimento a S.T., guardiaparco della Val Troncea. L’incontro tra i due avviene quasi per caso: qualche anno fa, mentre S.T. va a fare benzina al distributore che si trova vicino all’estrema propaggine del campo da golf, sente cantare la passera lagia. Si informa e ottiene conferma del fatto che quell’“uccellino” che canta è proprio il passeriforme che ha iniziato a nidificare a Sestriere. S.T. infatti ricorda che
in realtà nel campo da golf fa il nido dove ci sono quegli scatolati che hanno le seggiovie, hanno... sono... se vedete sono stretti e lunghi, anche se sono di metallo. Però ce n’è tantissimi. Io ho il video con gli sciatori che sciano, chiaramente la stagione era già finita, e le passere lagie che cantano sopra [S.T., intervista del 23/06/2024].
Il progetto “Petronia” quindi riparte, soprattutto grazie al sostegno dell’Università del Nevada, attraverso l’installazione di nuove cassette-nido in diverse località che comprendono sia quelle in cui il passeriforme era già stato monitorato, sia quelle nella nuova stazione del Sestriere. Le “abitazioni” vengono posizionate, tra l’altro, proprio da A.F sugli impianti di risalita dove le passere lagie erano state viste aggirarsi:
Alla fine ne abbiamo messe 5, in 5 punti che ha scelto lui [Antonio Mingozzi, n.d.a.] e quest’estate vedremo. Però per dire, l’altro giorno abbiamo messo la prima e ce n’erano già tre sopra che giravano sopra, è impressionante. Sanno che c’è la cassetta, nelle altre zone arrivavano già, montavo ed erano già lì sopra…[A.F., intervista del 09/05/2024].
Collaborazioni inaspettate…e controverse
Alla luce di quanto scritto, il ritorno della passera lagia ha generato una serie di ricadute positive per il territorio che Anna Tsing e Donna Haraway definirebbero simpoietiche: a tal proposito è utile rifarsi proprio al concetto di “fare con”, ben espresso proprio da Donna Haraway. L’autrice parla di “metabolismi collegati” come di assemblaggi di umani e non umani che sono tenuti insieme da legami e relazioni simpoietiche [2016]:
sympoiesis is a simple word; it means “making with”. Nothing makes itself, nothing is really autopoietic or self-organizing... Sympoiesis is a word proper to complex, dynamic, responsive, situated, historical systems. It is a word for worlding-with, in company. Sympoiesis enfolds autopoiesis and generatively unfurls and extends it [Haraway 2016: 58].
Questa definizione di simpoiesi richiama quanto afferma anche Anna Tsing, la quale mette in luce che l’umanità si è sviluppata attraverso varie reti di relazioni e di interdipendenza con altre specie e afferma che la natura umana è una “relazione multispecifica” [2012], composta, appunto, da molteplici incontri e traiettorie che condivide con altri non umani.
L’assenza di pesticidi nel campo da golf avrebbe favorito la presenza di insetti, in modo specifico delle cavallette, nutrimento principale della passera lagia, che sarebbe tornata a nidificare dove ci sono le condizioni che Antonio Mingozzi poc’anzi definiva come le caratteristiche ecologiche e geografiche ideali. Mantenere zone di campo da golf dove l’erba è lasciata crescere, o zone umide, inoltre, avrebbe anche alimentato un ciclo di servizi ecosistemici [Battaglini, Zucaro 2019] in cui sono ricomparse specie animali e vegetali. Come in altre forme di mutualismo non cooperativo, ovvero quando esistono vantaggi per entrambe le specie che vi compartecipano ma senza cooperazione, i beneficiari umani sono prima di tutto i gestori del campo da golf che possono accogliere più golfisti in nome di un’area “ecologicamente sana”, seguiti da naturalisti, zoologi e altri specialisti che possono osservare e monitorare queste forme simpoietiche. Dal lato della passera lagia, invece, la cassette-nido offrono riparo e maggiore protezione dai predatori rispetto ai buchi nei muri delle case.
Ma è sufficiente perché questo venga definito un paesaggio di coesistenza? No, perché nel paesaggio di coesistenza relativo a ciò che sta accadendo in quest’area si inseriscono altri attori sociali, umani e non umani che giocano un ruolo fondamentale nel plasmare e ridefinire le relazioni che lo compongono. Il primo è rappresentato dai fruitori del campo da golf e dagli abitanti di Sestriere e Pragelato; il secondo dall’Ente di Gestione Aree Protette delle Alpi Cozie e il terzo dal cambiamento ambientale.
Se da un lato alcuni abitanti di Pragelato hanno sviluppato una sorta di affezione nei confronti delle passere lagie, osservandone i movimenti e avvisando S.T. quando una cassetta-nido cade7, dall’altro i golfisti sembrano non prestare particolarmente attenzione a questo volatile né alle iniziative intraprese dall’Ente di Gestione Aree Protette in questa direzione.
Il campo da golf, infatti, si trova all’interno del territorio dell’Ente di Gestione (d’ora in poi chiamato Ente Parco), che comprende quattro diversi parchi naturali, tra cui Laghi di Avigliana, nella bassa Valle Susa, Orsiera Rocciavrè, tra la Valle Susa e la Val Chisone, Gran Bosco di Salbertrand, sempre in Valle Susa e Val Troncea8.
L’Ente Parco ospita nel suo comprensorio territoriale altri tre campi da golf, rispettivamente a Claviere, Avigliana e Pragelato ma è a quello di Sestriere che è stata rivolta maggiore attenzione perché l’attuale presidente dell’Ente Parco pratica questo sport. Nel tentativo di creare una sorta di sinergia tra l’orientamento chemical free dei gestori del campo e i golfisti che lo frequentano, l’Ente Parco si è impegnato nella realizzazione di cartelli informativi sulla passera lagia, sulle specie floreali e di interesse faunistico che popolano l’area. È stato anche promotore e ideatore del “Trofeo Alpi Cozie”, di cui la prima edizione si è tenuta proprio nell’estate 2024 nei tre campi di Pragelato, Avigliana e Sestriere. Se il “Trofeo” ha riscosso un buon successo in termini di presenze, lo stesso non si può dire dei cartelli informativi che sono stati accolti con “gentile indifferenza” (conversazioni private con alcuni dipendenti dell’Ente Parco).
Il coinvolgimento dell’Ente Parco, in tal senso, ha suscitato reazioni diverse e ha fatto emergere un suo posizionamento talora ambiguo. Da un lato, infatti, non sono nuove le forme di collaborazione con categorie di persone che svolgono attività quasi in contrasto con gli obiettivi di un parco naturale. Durante la ricerca sul campo che sto attualmente svolgendo nell’ambito del PRIN 2022, più volte mi è stato riferito da cacciatori e cacciatrici che essi segnalano la presenza di lupi ai guardiaparco o contribuiscono attivamente al monitoraggio della fauna selvatica. A tal proposito, occorre ricordare che il Comprensorio Alpino Alta Valle Susa (CTO2), che gestisce le attività venatorie, oltre a quelle che riguardano il censimento e monitoraggio faunistico, coincide in alcune aree (il Gran Bosco di Salbertrand, ad esempio) con il territorio dell’Ente Parco9. Lo stesso A.F., che è anche un cacciatore e pescatore, è istruttore di eliski, una pratica considerata poco sostenibile ma che sembra trovare comunque un punto di incontro con l’Ente. Come afferma A.F., infatti
l’eliski credo che sia la pratica più odiata sul pianeta Terra e siamo perfettamente consapevoli che… abbiamo un impatto molto importante sulla Terra, e siamo riusciti negli anni, perché c’è stato dietro un lavoro grosso […] siamo riusciti a instaurare un ottimo rapporto. E quindi con loro [L’Ente, n.d.a.], ti faccio un esempio stupido, facciamo almeno 60-70 giornate di monitoraggio di fauna all’anno, esempio: sappiamo che quest’anno l’aquila nidifica in un certo punto? Anziché fare una rotta che passa di lì passiamo di là…lì c’è una zona dove sappiamo che i forcelli10 vanno a fare la nanna durante l’inverno, perché dobbiamo andarci a sciare sopra? Andiamo a sciare da un’altra parte. E siamo riusciti a trovare… un’ottima quadra [A.F., intervista del 09/05/2024].
Alcuni dipendenti dell’Ente, in alcune conversazioni informali alimentate da molti non detti, mi hanno espresso il loro disappunto per questo peculiare interessamento a pratiche come il golf o l’eliski, soprattutto per le spese affrontate per i cartelloni informativi che avrebbero potuto essere destinate ad altre attività sostenute dal Parco, oltre che per l’incompatibilità tra chi pratica uno sport estremamente invasivo per la fauna selvatica e un Ente che dovrebbe garantirne la tutela.
All’interno dello stesso personale, però, si riscontrano altre opinioni in merito a questa particolare forma di collaborazione: S.T. infatti afferma che
poi lo so che uno dei problemi che ci sono è che normalmente i golf sono malvisti nel nostro ambiente. In realtà io guardo più la realtà della cosa, per cui ad esempio mi ero accorta, già da molti anni, che c’erano tantissimi fiori, tantissimi animali. Anche tantissimi fiori rari. Perché loro [i gestori, n.d.a.] attuano una politica di tagliare solo il green… Cioè il discorso di dire “bene, il campo da golf può diventare anche un valore” [S.T., intervista del 23/06/2024].
Il golf viene quindi visto come una sorta di male minore che evita altri interventi più invasivi sul territorio:
[…] ricordatevi che il giorno che tolgono il campo da golf a Sestriere, lì ci costruiscono. Oppure tipo, Pian dell’Alpe [all’interno del Parco Orsiera-Rocciavrè, n.d.a.], bellissimo, orchidee, una distesa di orchidee, anche il sindaco più illuminato arriva a Pian dell’Alpe e ti dice “ma, però qui bisogna ampliare il parcheggio”. Ma io preferisco avere il poligono militare così siamo sicuri che non ci possono costruire. Perché Pian dell’Alpe si è salvato finora solo perché era poligono militare… [S.T., intervista del 23/06/2024].
Qualche riflessione conclusiva, ovvero: le montagne, ad un certo punto, finiscono
Un ultimo attore sociale estremamente rilevante, che concorre alla formazione del paesaggio di coesistenza, è il cambiamento ambientale. Esso va inteso contemporaneamente sia come mutamento delle condizioni di vita delle persone che abitano queste valli, sia come esito di queste stesse trasformazioni. Il risultato è osservabile in un paesaggio alpino molto diverso da come poteva apparire ancora una cinquantina di anni fa. Declino delle attività agrosilvopastorali, abbandono dei terreni coltivati e da pascolo, ritorno del bosco “rinselvatichito” e non gestito dalla presenza umana hanno dato vita ad una nuova conformazione al territorio, dove entrambi i versanti orografici sono caratterizzati prevalentemente da alberi.
Come afferma ancora Antonio Mingozzi
ti faccio vedere le foto un giorno o l’altro, fatte nel 1945 e fatte da me 50 anni dopo, No, 40 anni dopo. L’abbandono, la montagna si inverte, vanno tutti giù e i turisti vengono su. Quindi l’abbandono delle pratiche tradizionali. La vegetazione risponde, come sempre fa, cioè si ritorna a riforestare. Appunto, erano prati creati dall’uomo, se no venivano su i boschi [intervista del 19/08/2024].
Il cambiamento ambientale va inteso anche nella sua dimensione di innalzamento delle temperature: quest’ultimo fattore impatta in modo determinante su molte attività umane e non umane, generando ulteriori frizioni. Ancora una volta, la narrazione ruota attorno alla passera lagia che torna a nidificare a 2000 metri, la quota più alta mai osservata dal 1987, e cambia le sue abitudini, arrivando a covare più volte durante la stessa stagione estiva, sempre più prolungata nel tempo. Ancora Mingozzi:
C’è uno shift notevole verso l’alto, c’è un innalzamento, questo ci sta angosciando tutti, noi che siamo del mestiere, ma anche i botanici. È del tutto logico che anche petronia, la passera lagia si sia alzata anche lei, così a seguito di un innalzamento climatico… Il clima di Sestriere adesso è quello che c’era a Champlas un po’ di anni fa e allora l’idea è stata ovviamente se sono andate lì mettiamo le cassette anche lì […]. Le cavallette erano impattate dai diserbanti che magari prima usavano. Io non credo che lì, 15 anni fa, potessero starci le lagie perché le condizioni climatiche non c’erano […] quindi il loro arrivo non so se sia legato più al clima o a ragioni alimentari… a sua volta legati ai trattamenti… [intervista del 19/08/2024].
Sebbene non sia ancora chiaro cosa abbia spinto la passera lagia a spostarsi così in alto (e cioè se sia un effetto dell’innalzamento climatico in sé o una conseguenza di maggiore disponibilità di cibo, a sua volta generata dalle buone pratiche di non utilizzare fitofarmaci), la sua presenza segnala nuovamente che chi abita queste valli deve mettere in conto di convivere con un clima sempre più caldo e immaginare uno o più futuri possibili. L’affermazione di Mingozzi sull’“inversione della montagna”, porta al centro del discorso la questione del turismo: spopolamento, abbandono delle attività agrosilvopastorali sono processi che hanno interessato sia l’alta Valle Susa sia la Val Chisone e Troncea, tuttavia gli effetti, a seconda del versante orografico delle tre valli, sono stati diversi. Nei versanti esposti, gli adret, ad esempio, l’abbandono ha preceduto di poco, se non persino convissuto, con l’inizio di un’attività del tutto nuova: il turismo, soprattutto orientato agli sport invernali, come si è visto poc’anzi. In località come Sestriere o Sauze d’Oulx, ad esempio, lo spopolamento è stato quasi impercettibile perché, se molti abitanti hanno lasciato questa parte della valle, altri sono arrivati: giunti come lavoratori stagionali in hotel o altre strutture turistiche, con l’andare del tempo si sono stabiliti definitivamente [Debili 2017]11. In località come Sestriere e Sauze d’Oulx buona parte delle persone che vi abitano oggi svolge diversi lavori, a seconda delle stagioni (ad esempio muratore, idraulico in estate e maestro di sci in inverno) ma tutti legati al turismo, soprattutto invernale. Anche in questo caso sono molte le narrazioni a fronte di un modello turistico che sembra entrare in crisi nel momento in cui le precipitazioni nevose sono sempre meno abbondanti e la stagione invernale, come si è visto negli ultimi 4 o 5 anni, inizia a marzo invece che a dicembre. Un passeriforme che nidifica sempre più ad alta quota e cova due volte l’anno perché fa più caldo può passare inosservato, ma lo stesso non si può dire di una realtà che sta mutando: F.G., guida alpina di Sauze d’Oulx afferma infatti che «nelle nostre valli e nella nostra zona alpina è un cambiamento assolutamente traumatico degli ultimi 35-40 anni» [intervista del 15/04/2024]. Aggiunge R.M., commerciante e maestro di sci di Sansicario: «Adesso vedere che la pioggia sta ormai alternandosi e sostituendosi alla neve anche in pieno inverno è una cosa che cambia completamente il paesaggio ma anche l’economia» [intervista del 10/08/2024]. La neve è lavoro, affermano gli interlocutori con cui mi sono confrontata e se non arriva, occorre un cambio di prospettive. Non tutti però lo intendono allo stesso modo. A.F., da istruttore di eliski, pensa che si debba investire sempre più in alto:
Forse Sestriere sarà una delle ultime stazioni di sci dove ci sarà la neve nei prossimi anni. Verranno tutti a sciare a Sestriere. Bisogna investire a Sestriere. Sopra i 2000, sotto i 2000 è finito lo sci. A parte i costi devastanti per fare la neve che non ha nessun senso [A.F., intervista del 09/05/2024].
Per contro, altri interlocutori affermano che «visti i tempi, sarebbe il caso di cambiare rotta» [S.R, intervista del 14/04/2024], intendendo che potrebbe essere arrivato il momento di volgere lo sguardo ad attrazioni turistiche che non prevedano necessariamente la neve, anche perché, come afferma A.G., maestro di sci e coltivatore di Jouvenceaux, frazione di Sauze d’Oulx, andare sempre più in alto ha dei limiti, soprattutto perché «le montagne, ad un certo punto, finiscono» [intervista del 09/05/2024].
Questo è il paesaggio di coesistenza. Opinioni diverse ma anche forme di collaborazione rappresentano un panorama complesso dove la coesistenza non si riduce ad un mero “vivere con” ma si articola in un più ampio insieme di reti di relazioni, di frizioni, di conflitti, talora taciuti, talvolta accennati, altre più evidenti. La passera lagia e il modo in cui intesse relazioni interspecifiche con gli umani è l’inconsapevole fulcro di questo insieme composito che crea e co-costruisce molti frames, come li definirebbe Ben Orlove [2019], molte cornici attraverso le quali si narra, si immagina, si abita un territorio.
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1 Le tre valli fanno parte delle Alpi Cozie: la Valle Susa si trova nel territorio più a ovest della provincia di Torino e confina con la Francia attraverso il valico del Moncenisio, del Frejus, del Monginevro e il Colle della Scala. La Val Chisone confina a ovest con la Valsusa, mentre la Val Troncea è una valle secondaria della Val Chisone, che si sviluppa interamente attorno al Comune di Pragelato.
2 Si tratta di due temi di ricerca che fanno capo a due PRIN che mi vedono coinvolta: il PRIN 2020 “Abitare i margini, oggi. Etnografie di paesi in Italia”, PI Daniele Parbuono, in cui sono membro dell’unità di ricerca torinese e il PRIN 2022 “WilDebate. Bio-Cultural Frictions, Coexistence and Pastoralism in protected Areas”, PI Letizia Bindi, di cui coordino l’unità torinese.
3 La passera lagia ha delle abitudini riproduttive particolari perché, a differenza di altre specie di passeriformi, non è monogama. S.T., guardiaparco della Val Troncea, a proposito, mi racconta che «è poliandrica. Cioè, può avere più mariti, per intenderci, quindi per capire lo sforzo di alimentazione del piccolo, dei piccoli, viene fatto questo studio qui quindi si saprà esattamente qual è l’individuo che porta l’imbeccata, se è il maschio o la femmina, che cosa fanno… poi ne succedono di tutti i colori, ci sono maschi che cercano più compagne, oppure l’ultima volta che siamo andati sembrava che una femmina avesse deposto un uovo nel nido di un’altra.. cioè sono animali un po’ strani, ecco» [S.T., intervista del 23/06/2024].
4 Tutti gli esemplari monitorati hanno tre anelli su una zampa: uno di alluminio e due di plastica colorata, che permettono di identificare l’esemplare e seguirne il ciclo di vita [Mingozzi et al. 1994].
5 La Via Lattea è il più grande comprensorio sciistico del Nord Italia: si snoda su tre valli (Susa, Chisone, Clarée), due stati (Italia e Francia) e interessa otto comuni: Sauze d’Oulx, Oulx, Cesana, San Sicario, Sestriere, Pragelato, Claviere e Monginevro. Nata negli anni ’80, ad oggi offre 250 piste sciabili ed è gestita dal fondo inglese iCom che ha acquistato nel 2022 la società Sestriere Spa (www.vialattea.it, consultato in data 10/09/2024).
6 Il re di quaglie, detto anche gallinella terrestre (Crex crex), è una specie che nidifica in buona parte dell’Europa fino ai confini con la Siberia e sverna in Sud Africa. Sulle Alpi è attestata sui ١٧٠٠ metri di quota ma, analogamente alla passera lagia, è possibile che stia nidificando sempre più in alto a causa dell’aumento delle temperature. È catalogata come specie particolarmente vulnerabile [Rapporto sullo Stato dell’Ambiente, Gran Bosco di Salbertrand 2010].
7 S.T., a tal proposito riporta che «l’hanno adottata, per cui mi chiamano tutti gli anni quando i maschi cominciano a saltellare sulle cassette per prenderne possesso. Le cassette sono chiuse. Loro mi chiamano “eh, i tuoi animali sono lì che.. devi aprirgli casa!” » [S.T., intervista del 23/06/2024].
8 L’Ente gestisce anche due riserve naturali, L’Orrido di Chianocco, l’Orrido di Foresto e 12 zone speciali di conservazione che fanno riferimento al sistema “Rete Natura 2000”, tra cui rientrano aree S.I.C. (Siti di Importanza Comunitaria), Z.S.C. (Zone Speciali di Conservazione) e Z.P.S. (Zone di Protezione Speciale). [https://www.parchialpicozie.it/, consultato in data 10/09/2024].
9 L’attività venatoria, come è noto, è proibita all’interno di un parco naturale, tuttavia è consentita nei S.I.C., Z.S.C. e Z.P.S. ma solo con pallini di acciaio, non di piombo.
10 Si tratta del gallo forcello, detto anche fagiano di monte (Tetrao tetrix) che nidifica in alta quota fino ai 2000 metri. Al momento, benché sia inserito nella Direttiva Uccelli dell’UE come specie da tutelare, ne è consentita la caccia al di fuori delle aree protette [www. piemonteparchi.it, consultato il 10/09/2024].
11 Secondo i dati dell’ISTAT, ad esempio, a Sestriere nel 1861 gli abitanti erano 604 e l’unico momento in cui sono scesi a 271 è stato il 1930, cioè poco prima che la località diventasse una stazione sciistica e di villeggiatura rinomata a livello nazionale. Dal secondo dopoguerra in poi si è registrato un graduale aumento di popolazione: da 408 abitanti nel 1951 si è arrivati 838 nel 2011 e a 917 nel 2024. A Sauze d’Oulx si è verificata quasi la medesima situazione: 760 individui nel 1861, ridotti a 438 nel 1931 ma in ripresa nel 1951 (488) e in deciso aumento nel 2011 (1111). Oggi Sauze d’Oulx ne conta 1015 [www.dati.istat.it, consultato il 12/09/2024].