La forza degli oggetti ricomposti
Usare e riusare per una diversa estetica del quotidiano
The power of recomposed things
Use and reuse for a different aesthetic of everyday life
Daniele Parbuono, Elisa Rondini
Dipartimento di Filosofia, Scienze sociali, umane e della formazione,
Università degli studi di Perugia
Indice
“Butta’ è ’na cosa brutta”. Da casa al cortile
Biografia e relazioni: molte storie, tanti oggetti
Abstract
Those implemented by Elio, who lives in Paciano (Perugia), in a farmhouse immersed in the things of his creativity, are configured as housing strategies defined and continually redefined starting from the use of heterogeneous tools and materials, collected from contingent circumstances and adapted to contextual needs. Like Levi-Strauss’s bricoleur, he combines skills, expertise and available resources (things out of everyday use, found waste collection centers and garages of relatives and friends), configuring an instrumental universe in constantly adapting his living space based on extra-ordinary and always progressive aesthetics. Elio does not buy and does not sell, but retrieves and builds, giving new trajectories to the recomposed things and new meaning to his practices, whether they are family, social, work, or existential.
Keywords: inhabiting; reuse; aesthetics; ecologies; ethnography.
[…] muchas cosas
me lo dijeron todo.
(Pablo Neruda, Ode a las cosas, 1954)
“Butta’ è ’na cosa brutta”. Da casa al cortile
Il nostro incontro con l’universo simbolico e al contempo pragmatico di Elio è avvenuto per caso, così come per caso possono avvenire quegli incontri che lasciano presagire scoperte inattese, spazi inesplorati e sconosciuti1. Questo genere di rilevazione rientra nella dimensione semantica del fortunato termine serendipity (“serendipità” in italiano) che Horace Walpole coniò intorno alle metà del Settecento. Lo scrittore inglese si ispirava alla fiaba Viaggi e avventure dei tre principi di Serendippo i cui protagonisti, figli del re Giaffèr, erano noti per imbattersi continuamente in ritrovamenti casuali, mentre andavano cercando altro2.
Anche noi quella mattina di agosto eravamo in cerca di racconti sulla Corsa dei carretti, una sfida che, fin dai primi anni Settanta, anima le estati di Paciano3, piccolo paese situato sulle colline prospicenti la sponda meridionale del Lago Trasimeno. Qualche giorno prima c’era stato consigliato di parlarne con Elio Socciarelli, ex pilota e più volte vincitore della competizione. Così lo abbiamo raggiunto, senza troppe difficoltà, poiché la sua abitazione – tra le tante a definire paesaggisticamente l’alternarsi di colture a grano, laghetti e declivi brulli che punteggia la campagna collinare pacianese – ci era già nota: nella stessa proprietà, insieme a sua figlia e ai suoi nipoti, vive Angelo Belperio, “falegname contemporaneo”, coinvolto fin dal principio nel progetto Trasimemo. Banca della memoria del Trasimeno4, nonché punto di riferimento per i ragazzi della Congrega Gioventù Muscolosa Disertrice della Vanga a Pedale, associazione che organizza ogni anno la Corsa dei carretti, nella costruzione e nella manutenzione dei loro fantasiosi e sbullonati “veicoli”5.
Elio ci ha accolto nella casa della sua vita, la casa in cui è nato nel gennaio 1958, la casa dei suoi genitori, di suo fratello, di sua moglie, dei suoi figli e dei suoi nipoti, la casa dei suoi ricordi, dei suoi affetti e delle sue fatiche. Si tratta di una casa colonica, poi ristrutturata, che il padre di Elio ha ottenuto nel 1977, quando in permuta rinunciò ai terreni di proprietà della Contessa Baldeschi, presso la quale fino a quel momento aveva lavorato “a contadino”6, come del resto tutti i membri della sua famiglia.
Lasciamo la macchina in un piccolo spiazzo ombreggiato, riparato da siepi, dopo aver percorso il vialetto coperto di ghiaia attraverso cui si accede a quello che sembra essere un complesso abitativo, fatto di case e annessi posti a distanza di pochi metri l’uno dall’altro. Ad accoglierci ci sono Elio, sua moglie Annamaria e Angelo, il genero, ma sono altre le “presenze” che fin da subito attraggono la nostra attenzione. Si tratta di due ballerini posticci realizzati con tubi di vario genere e abbigliati “dalla testa ai piedi” – borsa lei e scarpe da ginnastica lui comprese –, che riempiono lo sfondo della scena. Il braccio sinistro dell’uomo/fantoccio, riconoscibile per la camicia che indossa e con un lampione da giardino di forma perfettamente sferica al posto della testa, cinge l’esile, tubiforme (anche se mascherata dall’abito lungo) vita della sua accompagnatrice; il braccio destro è invece disteso, così da poterle stringere la mano nella sua. I due sono posti su una pedana che quando azionata – scopriremo poi – inizia a ruotare, ricreando delle armoniche giravolte danzanti7.
Elio ha costruito la coppia di ballerini nel periodo della pandemia da Covid-19, che lo ha allontanato per molti mesi dalla sua grande passione, il ballo liscio appunto. Una passione che occupa molto del suo tempo libero: tra ottobre e maggio prende lezioni serali, per poi mettere in pratica quanto appreso soprattutto nelle sagre estive disseminate nei più o meno immediati dintorni di Paciano, oppure in inverno in un noto locale della zona che propone serate e pomeriggi danzanti durante i fine settimana. I ballerini rappresentavano soltanto la prima delle scoperte di quella mattina e delle nostre successive visite; ore trascorse nei racconti biografici di Elio, camminando insieme a lui tra i sentieri delle memorie che riaffioravano e le meraviglie inusuali del suo spazio di vita, della sua casa e del suo cortile, al contempo ambiente di lavoro e di immaginazione creativa.
Provare a comprendere quello spazio, il cortile circostante i vari annessi del plesso abitativo in cui vivono Elio e la sua famiglia, ha richiesto fin da subito una chiave di lettura che chiama in causa la relazione dialogica tra front e back region, concetto cardine della metafora teatrale utilizzata da Erving Goffman [1959] per descrivere la vita sociale e la comunicazione umana8. In particolare, ci interessa qui l’interpretazione che ne propone l’architetto paesaggista americano Dean MacCannell [1973], il quale recupera questa divisione strutturale nel suo studio sui setting turistici e sull’esperienza di autenticità di quanti li praticano, individuando l’esistenza di una back region, entro cui i locali attuano le loro relazioni quotidiane autentiche e di una front region contrapposta che rappresenta la scena “predisposta” per i visitatori esterni; qui i ruoli di chi accoglie vengono performati e adattati in un’ottica prevalentemente di servizio (ibidem).
In effetti il luogo di vita di Elio da qualche anno svolge anche la funzione di setting turistico; uno degli annessi della casa colonica, il primo che si incontra sulla destra, accedendo dal vialetto di ingresso, è infatti adibito a struttura ricettiva extra-alberghiera, attività della cui gestione si occupa principalmente la moglie Annamaria. A corredo dell’appartamento, immerso nel verde, gli ospiti hanno a disposizione una piscina e un’area giochi dotata, oltre che dei più classici scivoli e altalene, di una casa sull’albero a cui si accede salendo una scala a pioli in legno; inutile sottolinearlo, tutto interamente progettato e auto-costruito da Elio. È inoltre possibile, per chi lo volesse (familiari, amici, ospiti o soggiornanti), decidere di farsi qualche scambio o qualche passaggio a pallone visto che più avanti, su una piccola area erbosa, Elio e il genero Angelo hanno costruito una porta, riutilizzando la struttura in ferro di un vecchio dondolo e la rete a maglie metalliche di un materasso matrimoniale dismesso.
Ma il vero “paese delle meraviglie” arriva con la back region, ovvero l’ampio spazio che si apre alle spalle dei fabbricati, allargandosi a perdita d’occhio fino a confondersi coi campi di grano o maggese circostanti. Addentrandosi si passa accanto al laboratorio in cui Angelo esercita la professione di falegname lavorando alle sue creazioni lignee, si supera il recinto delle oche – costituito da una rete metallica e dotato di una piccola porta ricavata dalla vecchia anta di una finestra in alluminio e vetro – e ci si ritrova davanti “il magazzino” di Elio, una tensostruttura verde scura, teoricamente smontabile, che protegge dagli eventi atmosferici una quantità indicibile di materiali dismessi, ma riutilizzabili: biciclette, ruote, pneumatici e altri pezzi di automobili, motori elettrici o a scoppio di varie provenienze e dimensioni, tagliaerba e attrezzi agricoli, giocattoli elettrificati, piccoli bancali, ante di finestre, persiane, assi e tronchi in legno. Altri materiali – tra cui tubi, prolunghe elettriche, prese, maniglie, fili di ferro, batterie, raccordi metallici, corpi illuminanti, pezzi di ricambio per la sua automobile, componenti meccaniche di varie fogge – sono stipati su ripiani di scaffalature metalliche, esterne al “deposito” coperto e alte non oltre un metro e quaranta centimetri da terra, nel pieno rispetto dei limiti consentiti per il realizzabile in edilizia libera.
Non è raro che il perimetro privato della quotidianità fabbrile di Elio si apra alle visite di interessati come noi, ma anche e soprattutto all’esperienza degli ospiti ammirati che dal front stage patinato della piscina possono accedere a una sorta di disordinato ordine immersivo in cui il preparato ad arte e l’arte dell’impreparato si fondono e si confondono rendendo credibile il front e incredibile (nel senso iperbolico del termine) il back: «What is being shown to tourists is not the institutional “backstage”, as Goffman defined this term. Rather, it is a staged back region, a kind of living museum for which we have no analytical terms» [MacCannell 1973, 596].
È un “caos ordinato”, quello che regna nel cortile, spazio significante e significato in cui Elio si muove agilmente, riempendo e svuotando, spostando e giustapponendo, nell’atto alchemico del ricomporre componenti e materiali necessari a dare nuova vita, a creare nuovi funzionamenti. Unica regola del gioco? «Tutto deve essere possibilmente a costo zero»9, come dice Elio: da qualche parte, lì fuori, ha già quello che serve. A partire da questo principio, mescolato alla sua tracotante tendenza creativa, nascono strumenti e dispositivi inconsueti ma assolutamente funzionali alle sue strategie di esistenza, strutturalmente cangianti e dissonanti nel design10 rispetto alle abitudini estetiche del professionalismo diffuso.
Img. 1. I ballerini di Elio nel loro palcoscenico, costruito proprio di fronte al portone di accesso al piano terra di casa; fotografia realizzata da Daniele Parbuono, Paciano, 11 agosto 2023.
Img. 2. Una porzione, quella retrostante, della tensostruttura-deposito di Elio; fotografia realizzata da Daniele Parbuono, Paciano, 16 febbraio 2024.
Img. 3. Scaffalature metalliche alte non oltre un metro e quaranta centimetri da terra; fotografia realizzata da Daniele Parbuono, Paciano, 16 febbraio 2024.
Img. 4. Una delle creazioni più complesse di Elio; si tratta di un sistema meccanico rotativo motorizzato, realizzato per intero con materiali di recupero: tubolari “innocenti” e giunti da ponteggio edile, tubazioni da irrigazione agricola, tamburi del sistema frenante di autocarri, motori elettrici smontati da macchinari ormai in disuso; persino la trivella che ha utilizzato per scavare i fori di ancoraggio dei tubolari sul terreno, sempre a costo zero, è stata composta saldando sul mandrino di un vecchio martello pneumatico una coclea lunga circa un metro, appositamente appuntita intervenendo con la smerigliatrice. Il dispositivo permette ai suoi pannelli fotovoltaici di assecondare il moto terrestre rispetto alla posizione oraria del sole, garantendo una resa complessiva dell’impianto di circa il quaranta per cento superiore all’usuale posizione fissa che, generalmente, prevede un orientamento in direzione sud/sud-ovest, con un’inclinazione tra i venticinque e i trentacinque gradi. Fotografia realizzata da Daniele Parbuono, Paciano, 16 febbraio 2024.
Img. 5. Anemometro, sensore per il vento fai da te. Il dispositivo meccanico di rotazione espone i pannelli fotovoltaici a oscillazioni rischiose in caso di forti raffiche di vento; così Elio ha progettato e costruito questo “marchingegno” in ferro e legno – assicurato su di un’impalcatura realizzata con tubolari innocenti e “tavoloni” da ponteggio, alta circa tre metri – che riesce ad attivare un interruttore seguendo due meccanismi principali: uno asseconda la direzione del vento (pala in legno a forma di pinna), l’altro percepisce la forza del vento (pala di forma cilindrica). In caso di necessità la pala cilindrica si abbassa verso la pala a forma di pinna chiudendo un circuito che attiva il secondo moto motorizzato previsto dal meccanismo mobile dei pannelli fotovoltaici, portandoli in posizione orizzontale e, quindi, scongiurando il rischio di farli volare via con le raffiche. Fotografia realizzata da Daniele Parbuono, Paciano, 11 agosto del 2023.
Img. 6. Elio guida uno dei suoi trattorini tagliaerba elettrici, in questo caso realizzato costruendo, sopra l’elemento ruotante di un tagliaerba a spinta da giardino, un veicolo con tubolari in ferro di vario genere, il sedile di una vecchia motofalce, componenti elettriche di recupero, ruote anteriori da carrellino portapacchi e ruote posteriori da motocoltivatore. Fotografia realizzata da Daniele Parbuono, Paciano, 16 febbraio 2024.
Img. 7. Il “Super quad del nonno”, nome specifico assegnato a questo veicolo e poi scritto a pennarello nella parte posteriore del bauletto (un ex armadietto elettrico). Tra le componenti costitutive si intravedono il motore a scoppio e la trasmissione di una vecchia motozappa, le leve e le manopole da ciclomotore, gli pneumatici da automobile e le ruote metalliche da motocoltivatore intercambiabili, il sedile realizzato con una sedia da bar. Elio utilizza il quad, oltre che per giocare con i suoi nipoti, per trainare un carrello appendice e spostare oggetti nella sua proprietà; alcune volte all’anno, in caso di terreno bagnato, grazie alle ruote metalliche, lo impiega per trasportare le attrezzature agricole nell’uliveto o la legna tagliata fuori dal bosco. Il giorno in cui lo abbiamo visto in azione uno dei mozzi su cui sono assicurate le ruote si è spezzato rendendone temporaneamente impossibile l’utilizzo: «’N c’è problema, s’arsalda» («Non c’è problema, si risalda»)11, ha commentato Elio. Fotografia realizzata da Daniele Parbuono, Paciano, 16 febbraio 2024.
Biografia e relazioni: molte storie, tanti oggetti
Le creazioni di Elio esercitano quell’enchantment che Alfred Gell [1998] attribuisce agli oggetti d’arte; significative e accattivanti a prescindere dal valore estetico che potremmo o meno voler loro riconoscere, sono in grado di suscitare fascinazione in virtù delle raffinate, senz’altro personalizzate, tecniche di esecuzione impiegate per produrle. E se, come suggerisce Arjun Appadurai [2021, 20], «occorre concentrarsi sugli oggetti stessi, dato che i loro significati sono iscritti nelle forme che assumono, negli usi in cui sono impiegati e nelle traiettorie che tracciano», ci è sembrato opportuno partire proprio dalle traiettorie nel tentativo di «interpretare le transazioni e i calcoli umani che animano le cose» (ibidem).
Quella di Elio è una storia di incontri e di risonanze [Wikan 1992]12 che si snodano entro una dimensione personale, familiare e amicale in cui fanno eco ricordi e prospettive, propensioni, passioni e pratiche condivise. Le sue prime creazioni risalgono agli anni dell’infanzia, quando insieme al padre e al fratello costruiva camioncini usando pezzi di legno reperiti fortuitamente. I piccoli modelli erano ispirati ai giochi che la zia paterna, residente a Perugia, gli portava in dono. Fabbricava modellini di camion ma anche trattori, trebbie e aratri di legno; per i frangizolle utilizzava coperchi dei barattoli in latta. Vedeva queste attrezzature agricole nei campi intorno a casa, orizzonti familiari praticati e lavorati quotidianamente dai mezzadri della zona. Si trattava di piccole creazioni che lui stesso definisce “rudimentali”, realizzate con quanto la casa colonica e lo spazio adiacente potevano rendere disponibile.
Elio: Bastavano i chiodi. Recuperavo quelli storti, tolti dal legname, li addrizzavo con il martello e poi li utilizzavo per accoppiare le assi di legno. ’Nn è che c’erano… poi le rotelline di legno, il tiro col fil de ferro, coi chiodi… Na’ volta ’l mi’ babbo me fece ’no scavatore… ha preso un barattolo da cinque chili, poi c’ha messo un pezzo di legno, alto, capito? Poi c’ha messo ’n cordino, poi io giravo la manovella e il cordino… come una gru!
Daniele: poi questi giochi duravano poco… ci giocavi un po’ poi se rompevano…
Elio: Ma mica io! Tutti! ’L mi’ fratello che era più grande… tutti co’ ’sti trattori de legno. Venivano da lassù, dai mi’ parenti, qui nella zona s’artrovavano, ognuno portava il suo [piccolo trattore]. […] Dopo c’avevo il triciclo… ’na volta m’è s’è rotto, e ’l mi’ babbo ch’ha fatto? Era de ferro, ha tolto ’l ferro e c’ha messo un pezzo de legno!
Daniele: Aspetta, raccontacela bene!
Elio: Il triciclo è facile, volevo dì! C’ha due ruote dietro, ce n’ha una davanti col manubrio, s’è spezzato nel mezzo. L’asse s’è diviso. Lui ha tolto l’asse, ha unito la ruota di dietro e le ruote de davanti co’ ’n pezzo de legno! Io me so’ ritrovato co’ ’sto triciclo, peso guasto13!
Aveva quattordici anni quando ha iniziato a lavorare come apprendista in una carrozzeria poco distante da casa, a Macchie, frazione del Comune di Castiglione del Lago. Non si trattava di un lavoro che aveva scelto, «’na cosa valeva l’altra»14, ma visto che il fratello maggiore era già meccanico, questa soluzione venne ritenuta la più adatta, pensando a una futura attività di famiglia. Invece, otto anni dopo, ha lasciato quell’impiego per essere assunto come escavatorista in una ditta di trasporti che si occupava prevalentemente di movimento terra. Restò nel settore, cambiando datore di lavoro, fino al 1991, quando vinse il concorso presso la Comunità Montana Monti del Trasimeno, dove iniziò a far pratica anche su camion, ruspe, terne e rulli compressori.
Tra le pieghe della sua storia professionale inizia a prendere forma una sorta di rapporto privilegiato con i mezzi meccanici, categoria che pure ci era sembrata, se non altro dal punto di vista quantitativo, la più ricorrente tra quelle delle sue creazioni. Elio ha tutte le patenti, anche quella di categoria D per gli autobus, che non ha mai utilizzato per la guida su strada, ma che gli è invece servita per vincere il suo ultimo concorso, quello presso il Comune di Castiglione del Lago, dove ha lavorato dal 2010 al 2015, fino al pensionamento.
Anche le vicende più personali, affettive, sembrano partecipare a questo gioco di rimandi e di connessioni. Elio ha incontrato Annamaria una domenica pomeriggio del 1976, a Sant’Arcangelo, nel Comune di Magione, mentre passeggiava con le amiche e sono rimasti fidanzati per cinque anni, fino al matrimonio, celebrato nel settembre del 1981. Se la creatività di Elio occupa tutto lo spazio esterno, quella della moglie riempie di senso funzionale, ma soprattutto estetico, le mura domestiche.
Siamo seduti intorno al tavolo rettangolare posto al centro di una cucina coloratissima e piena di oggetti che non arredano, piuttosto abitano, una stanza ridotta a fargli da sfondo. Due orologi fatti a mano, coloratissimi e con delle applicazioni, appesi alla parete, indicano orari diversi, entrambi sbagliati. Alle spalle di Elio e Annamaria, innumerevoli orsetti in ceramica di varie dimensioni, tutti ordinatamente seduti e con la testa inclinata in perfetto stile Thun15, sembrano osservarci. Annamaria ci mostra alcune delle sue creazioni: si tratta di piante realizzate con l’uncinetto, perfette, realistiche. La pianta carnivora, in particolare, è così ben fatta che non resisto alla tentazione di toccarne le “foglie”. Da una scatola che in passato aveva contenuto scarpe, estrae dei dischi orari di pannolenci che riproducono varie figure. Questi ultimi diventano spesso dei regali che dona agli ospiti della struttura ricettiva, al momento della loro partenza. Ne fa dono anche a noi, che scegliamo quelli a forma di rana e di automobilina16.
Uno punto cruciale nella trama esistenziale, ma soprattutto nella creatività del quotidiano di Elio, è stato l’incontro con Antonio Loffa anch’egli, come il genero Angelo, coinvolto fin dal principio nel progetto Trasimemo. Banca della memoria del Trasimeno. Noto costruttore di lampade della zona, nel 2000 affittò da Elio uno spazio attualmente adibito a garage, separato dall’abitazione padronale da un vialetto di ghiaia, per trasferirci il suo laboratorio.
Elio: Lì dove adesso dorme mia figlia c’era un laboratorio dove Antonio Loffa… lo conosci?
Daniele: Certo che lo conosco!
Elio: Ha abitato qui per dieci anni! […] ti faccio vedere… l’Elisa non se rende conto de quello che faceva!
Daniele: Faceva queste cose innovative, con il rame, faceva le lampade con tutti i raccordi, coi tubi di rame, era il primo che faceva ’ste cose, ne ha vendute tante in giro per il Trasimeno [Elio si allontana, per tornare con una lampada, che appoggia sul tavolo davanti a noi]!
Elisa: Oddio!
Elio: Praticamente [indica le varie componenti], questi qui sono i raccordi di rame che usano gli idraulici, questo di qui è ’n coso de ’n campanello, questo di qui dovrebbe essere un affare che ce se fa ’l budino, no Annamaria? Uno stampo! Questo di qui è un pezzo de ’na maniglia, questa di qui è la pompa dell’acqua de ’na machina.
Daniele: Ma li saldava? Com’erano fatti?
Elio: No, li fissava sotto a strigne, co’ ’na vite passante e dentro la vite ce passava il filo della corrente.
Daniele: Ma i pezzi li rimediava anche lui?
Elio: E ce credo! Certi viaggi in ricicleria [isola ecologica] se faceva! C’evo ’n’Ape, un 703 de quelli grandi, se portava ’n viaggio de roba ’n ricicleria e se n’ arportava la metà, ma no di quella che se portava noi eh! Altro materiale! […] lui riciclava come me… quello che trovava.
Daniele: Allora siete diventati una coppia!
Elio: Sì, capirai! Stanlio e Ollio17! Dieci anni è stato qui! […] tutti e due avevamo il vizio de raccatta’ la roba18!
Elio e Antonio compivano settimanalmente spedizioni all’isola ecologica19; Antonio si concentrava a recuperare ciò che gli serviva per le sue lampade, Elio prelevava componenti che gli sarebbero poi tornate utili a costruire altro, soprattutto raccordi idraulici e tubature per l’irrigazione. Seguendo queste tracce di oggetti, azioni e relazioni si arriva a casa della figlia e del genero, illuminata interamente da pezzi unici che lo stesso Angelo – “un artista”, secondo Elio –, si è fabbricato da solo, senza dubbio ispirato dalla presenza di Loffa e delle sue creazioni, a pochi metri dal suo ambiente di lavoro e di vita.
Partecipando a un’unica configurazione reticolare, il campo di azione di Elio può essere letto come un “actor-network” [Latour 1995; 2005] e cioè come «una rete che unisce oggetti, attori, tecniche, strumenti, concetti e configurazioni spaziali e istituzionali» [Eyal 2013, 864]. Richiamandosi a un’ontologia di tipo relazionale, l’Actor Network Theory descrive la realtà come il risultato di interazioni e connessioni tra attori umani e non umani, concettualizzando gli oggetti come effetti di «matrici stabili o reti di relazioni» [Law 2002, 91], che possono essere individuate a più livelli di scala. Adottando questa chiave di lettura, le creazioni di Elio diventano degli “ibridi”, che con Bruno Latour [1995] potremmo descrivere come esito dell’unione di umano e non-umano, tra oggetti e soggetti, tra cultura, natura e oltre.
Elio più volte ci ha spiegato che a muoverlo nella sua azione compositiva è il divertimento, il piacere e la soddisfazione del fare e del ricomporre. Noi, in effetti, quel divertimento lo abbiamo colto in quanto condizione ontologica necessaria alla definizione, alla conservazione progressiva e alla fruizione immaginativa della sua dimensione spaziale quotidiana, fatta di oggetti inediti nella forma, composti da storie vivaci e plurali. Il divertimento come passatempo, ma anche come postura ironica e goliardica attraverso cui leggere le relazioni, selezionare la memoria del tempo perduto e scegliere strategie per le stagioni future: i sorrisi e gli sguardi complici che si scambia con la moglie Annamaria raccontando le sue storie (anche in quelle tristi, inserisce la parte ironica, comica o tragicomica); le storie sulle avventure dei “MEF” (Marino, Elio e Franco), gli amici di una vita, che raccontano una gioventù fatta di intuizioni geniali e di spedizioni nei paesi vicini, alla conquista di ragazze o in cerca di qualche serata da ricordare; gli scherzi con cui tuttora allieta le feste, i compleanni o le serate degli “amici del ballo”. Cogliamo lo stesso divertimento negli occhi appassionati del nipote Diego – dieci anni e già molte creazioni all’attivo, realizzate con familiari o in solitudine –, che più di tutti, in famiglia, sembra averne ereditato l’inventiva: come racconta Elio, «non si tratta solo di costruire cose; inventiva è anche arpecetta’»20.
“Accrocco e arpecetto”: lo sguardo del bricoleur
Paciano è terra di mezzadri, di famiglie che nella seconda metà del Novecento, con la transizione socio-economico-demografica, hanno superato l’indigenza e guadagnato l’abbondanza delle risorse e del tempo, ma che comunque, nel continuum pur frammentario delle generazioni, hanno incorporato prassi, modalità, percezioni e concezioni rispetto alle risorse e agli spazi non risolvibili nell’arco stretto di qualche decennio.
In passato, per la scarsità di mezzi a disposizione e la povertà diffusa, quando l’accessibilità alle risorse era assai limitata, niente poteva essere sprecato e gli oggetti di uso quotidiano non venivano immediatamente buttati se malfunzionanti o deteriorati ma riparati, anche più volte; e comunque, prima di essere definitivamente smessi, ogni loro componente veniva conservato perché sarebbe potuto tornare utile per sostituire gli elementi rotti, svolgendo eventualmente anche funzioni diverse da quelle originariamente previste [Bonato 2017, 86].
Laura Bonato ricostruisce le motivazioni alla base delle pratiche diffuse di recupero e di riadattamento, retaggio di una quotidianità contadina «inconsapevolmente ecologista» (ibidem), in cui si rendeva necessario «utilizzare al massimo i materiali e i pezzi già più o meno lavorati e le materie prime animali e vegetali» [Bravo 2013, 106]. Da questa visione improcrastinabile delle cose e delle relazioni contestuali ha origine la pratica creativa di Elio, che oggi produce “accrocchi” e “arpecettamenti” non più e non tanto sul piano della necessità, quanto sul piano della soddisfazione di ricomporre quadri simbolici e oggettuali in linea con le sue concezioni degli equilibri economici ed ecologici.
Per la caldaia che ha costruito copiando modelli in commercio e assemblando scarti di varia natura nel novembre 1997 e utilizzato fino a un paio d’anni fa – ancora oggi, alloggiata nella stessa sede, potrebbe essere accesa –, ad esempio, negli anni ha variato le sostanze di combustione (nocciolino, sansa esausta, cippato), aggiustando di conseguenza parti della meccanica di funzionamento e riuscendo a riscaldare tutta la casa, in inverno, quasi a costo zero.
La barca costruita per navigare insieme ai due figli un laghetto agricolo artificiale vicino a casa, in realtà era una vasca da bagno, assicurata a quattro fusti in ferro come riserva d’aria per il galleggiamento, il cui scarico, che avrebbe costituito un punto d’entrata per l’acqua, era stato ostruito con lamiera, silicone e viti.
In tempo di austerity21 ha realizzato un tandem saldando insieme due mezze biciclette; tandem che, come molti altri dei suoi “Frankenstein” oggi non esiste più, perché al bisogno, i pezzi scomposti, composti e ricomposti, possono essere anche assemblati in nuove creazioni o utilizzati per “arpecettamenti” che conferiscono funzioni atte alle necessità della quotidianità aggiornata e sincronica di Elio, della sua famiglia o dei suoi amici:
Elio: Quello [un soffiatore per le foglie] sicuramente gli è cascato, gli si è rotto il manico, il manico c’aveva un sistema di sicurezza che… non faceva contatto l’elettricità. L’ho smontato tutto, ho capito il difetto, ho aggiustato il manico e adesso funziona, e va! Dopo l’altro ieri con lui [il nipote] abbiamo fatto un tagliaerba tutto elettrico!
Daniele: Un altro? Quanti ce ne avete de ’sti tagliaerba?
Elio: Troppi…
Diego: Uno… due… tre, quattro… cinque… poi ce ne so’ un botto che son lì da vent’anni… che ancora ’n se sa che fine fagli fa’…
Daniele: Allora, cinque sono funzionanti…
Elio: Sono tutti prototipi. Un po’ ne ho fatti per lui [indica il nipote]22.
Le competenze di Elio si collocano all’intersezione tra le abilità proprie dell’artigiano e lo sguardo compositivo del bricoleur di levi-straussiana memoria. Se da un lato è impossibile non riconoscere nei suoi manufatti quel nesso operativo tra “sapere”, “saper fare” e “fare” che ben esprime l’artigianato, con i suoi attori e le loro pratiche [Parbuono 2015], dall’altro emerge la consapevolezza “incorporata” [Csordas 1994; Pizza 2005] che deriva dalla sua profonda conoscenza delle materie prime e degli strumenti di lavoro, dalla sua sensibilità rispetto alle caratteristiche peculiari del contesto in cui agisce23, dalle sue competenze operative, apprese oralmente o, come abbiamo visto, attraverso un’esperienza materiale dei processi realizzativi costantemente reiterata [Marchesini, Parbuono 2020]24.
Il percorso che conduce Elio dal livello cognitivo di previsione, individuazione, scelta e giustapposizione al livello esecutivo di pianificazione, realizzazione e risoluzione, colloca il funzionamento agentivo delle sue strategie fattuali dentro una delle dimensioni poietiche dell’addomesticare spazio e materia di cui Claude Lévi-Strauss dà conto nel suo “pensiero selvaggio”:
Il bricoleur è capace di eseguire un gran numero di compiti differenziati, ma, diversamente dall’ingegnere, egli non li subordina al possesso di materie prime e di arnesi, concepiti e procurati espressamente per la realizzazione del suo progetto: il suo universo strumentale è chiuso e, per lui, la regola del gioco consiste nell’adattarsi sempre all’equipaggiamento di cui dispone, cioè a un insieme via via “finito” di arnesi e materiali, peraltro eterocliti, dato che la composizione di questo insieme non è in rapporto col progetto del momento, né d’altronde con nessun progetto in particolare, ma è il risultato contingente di tutte le occasioni che si sono presentate di rinnovare o di arricchire lo stock o di conservarlo con i residui di costruzioni antecedenti. L’insieme dei mezzi del bricoleur non è dunque definibile in base a un progetto […]; esso si definisce solamente in base alla sua strumentalità, cioè, detto in altre parole e adoperando lo stesso linguaggio del bricoleur, perché gli elementi sono raccolti o conservati in virtù del principio che “possono sempre servire” [Lévi-Strauss 1964, 30].
Gian Luigi Bravo [2005, 26] propone un interessante parallelismo in cui associa la figura del bricoleur a quella del contadino, che nonostante la scarsità degli strumenti a sua disposizione, era in grado di «adottare soluzioni flessibili e di concepire in termini sufficientemente astratti le funzioni dell’oggetto». Similmente Elio «interroga tutti quegli oggetti eterocliti che costituiscono il suo tesoro, per comprendere ciò che ognuno di essi potrebbe “significare”, contribuendo così alla definizione di un insieme da realizzare che alla fine, però, non differirà dall’insieme strumentale se non per la disposizione interna delle sue parti» [Lévi-Strauss 1964, 31]. Ogni elemento raccolto rappresenta «un insieme di relazioni al tempo stesso concrete e virtuali: è un operatore, ma utilizzabile per una qualunque operazione in seno a un tipo» (ibidem).
Se è vero che, seguendo Remo Bodei [2009, 8], «tracciare i contorni delle cose significa spesso – in origine – compiere delle scelte»25, allora le cose viste da Elio non hanno “linee” perché l’eventuale “scelta” è compiuta solo nella contingenza dell’atto creativo. Diversamente da quanto accade nel senso comune – entro cui esiste l’attitudine ad assegnare «alle cose un significato tendenzialmente univoco, favorendo la conoscenza teorica e pratica, ma raschiando dalle cose i loro molteplici significati» (idem, 10) – nell’agire di Elio questa operazione mentale viene meno e le “cose”, più o meno piccole e articolate che siano, esistono soltanto come “agglomerati” di traiettorie e possibilità ancora inespresse.
Altrove Lévi-Strauss [1950, LXIX] sosteneva che «nel suo sforzo per conoscere il mondo, l’uomo dispone […] sempre di un sovrappiù di significazione (che ripartisce fra le cose secondo leggi che spetta agli etnologi e ai linguisti analizzare)»; Bodei [2009, 29] aggiunge che tale “sovrappiù di significazione” lascia in ogni cosa «un residuo non analizzabile, un fascio di legami insaturi e di allusioni ineffabili (non perché non si possono dire, ma perché non si finirebbe mai di dire) con ciò che ancora non può essere pensato». In questo senso Elio guarda a un’oggetto come a qualcosa che non esiste di per sé, ma “è” solo nei suoi possibili e prismatici usi; la sua presenza al mondo [Heidegger 1991; Costa 2008] si giustifica e si sostanzia come irrimediabilmente vincolata alle meccaniche ri-semantizzabili delle singole parti che la compongono. Si tratta di uno sguardo insieme antico e contemporaneo, acuto e sensibile, in virtù del quale una sorta di “armonia prestabilita” gli permette di vedere oltre il contingente, di scorgere urgenze non immanenti ma futuribili, come se potesse “sapere” le sue intuizioni «prima di saperle» [Merleau-Ponty 1993, 158].
Al pari del bricoleur, Elio è sempre alla ricerca di messaggi: non vede oggetti, ma potenziali assemblaggi. Non sa e non può sapere cosa diventeranno, poiché le affordance26 che percepisce sono illimitate come illimitata e illimitabile è la sua creatività. Così, quando in “ricicleria”, piuttosto che tra gli scarti di un vicino di casa, si imbatte in una vecchia bicicletta la fa sua, consapevole che in qualche modo darà una svolta a quella traiettoria esistenziale, o meglio, alle traiettorie esistenziali delle sue singole parti: un giorno, al bisogno, la bicicletta potrebbe essere disarticolata e il suo manubrio diventare lo sterzo di un quad – che sarà, a sua volta, variamente utilizzato e poi cannibalizzato –, o un appendiabiti che in futuro, saldato, limato e curvato, potrebbe diventare un gancio per prosciutti. Questi oggetti, con le loro ricomposizioni, in ogni caso testimonieranno vite molteplici, alcune note, alcune ignote, ma comunque significativamente intrecciate a quelle “biografie culturali” che Igor Kopytoff [2021]27 riconosce transitare attraverso persone, usi e contesti diversi. C’è una forza in quegli oggetti ricomposti che anche noi abbiamo percepito, è la forza dei tempi che hanno attraversato, delle mani che hanno passato, dei luoghi che hanno caratterizzato (e che li hanno caratterizzati); ogni volta che li abbiamo avuti davanti, anzi che li abbiamo ammirati, ci siamo posti la stessa domanda: Elio dà forza agli oggetti o gli oggetti danno forza a Elio? Forse nessuna delle due possibilità; la forza sta probabilmente nelle interconnessioni sistemiche che tengono in rete Elio, la sua famiglia, i suoi amici, i suoi animali, le sue piante, i suoi vegetali, i suoi oggetti, i suoi pezzi, i suoi attrezzi, il suo spazio, la sua casa, la sua terra, il suo paese…
«Salvaging that which deleterious human behavior abandons to oblivion or, worse yet, as pollution»28, si legge nella pagina Facebook dedicata ad Antonio Loffa e alle sue opere, le sue lampade ricomposte.
Nonostante l’obiettivo che muove il consumatore sia quello di «costruire un universo intellegibile con i beni che si sceglie» [Douglas, Isherwood 1984, 73], tendenzialmente concepiti come parte integrante delle identità individuali, è evidente come oggi, nel tempo dell’obsolescenza (anche estetica) programmata, il panorama degli oggetti muti con inarrestabile rapidità: modelli sempre nuovi rimpiazzano freneticamente i precedenti, determinando abbandono e confinando tanto, troppo, all’oblio degli usi e dei significati. Il benessere generale determinatosi in Italia a partire dal boom economico degli anni Sessanta del Novecento ha diffuso la consapevolezza che buttare convenga rispetto a riparare, scartare convenga rispetto a riutilizzare; un’acquisizione consolidatasi nei ritmi di quel fast-capitalism [Agger 2004; Holmes 2000] contemporaneo che rende i costi di acquisto degli oggetti stessi inferiori rispetto a quelli necessari alla loro eventuale riparazione.
Elio e il suo modo di pensare gli oggetti si collocano in esplicita e consapevole controtendenza rispetto alla pratica diffusa del “consumo” e dello “scarto”. Per Elio nulla si scarta a priori e le “cose” consumate a una funzione possono performare in una seconda, poi in una terza o in una quarta/quinta dimensione d’uso. La maggior sostenibilità ambientale del suo “accrocco” e del suo “arpecetto”, però, è tanto palese su un piano logico, quanto disallineata su un piano normativo: la pratica basilare di prelevare dagli appositi contenitori delle isole ecologiche quello che le persone lasciano in quanto rifiuto, di fatto sarebbe punibile con l’accusa di furto, nel caso specifico ai danni dell’amministrazione pubblica che ha in carico il servizio.
Giovanni Gigliotti, Direttore del Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’Università degli Studi di Perugia, esperto di recupero dei rifiuti e dei sottoprodotti, in una lunga intervista, ci ha spiegato che ci troviamo di fronte a un’impasse, la cui ragion d’essere risiede nella definizione stessa del concetto di “rifiuto”29, esplicitata nell’art. 183, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 152\06 dedicato alle “Norme in materia ambientale”. Nell’attuale formulazione della normativa, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi»30. È dunque il proprietario a decidere se e quando l’oggetto in suo possesso diventa rifiuto e, nello specifico, ciò accade nel momento stesso in cui quest’ultimo varca la soglia del centro di raccolta/isola ecologica. Ne deriva che “il rifiuto” non sia da considerare in quanto categoria preesistente, ma vada piuttosto inquadrato nella dimensione del processo istituzionale che ne determina la natura e lo statuto giuridico. È un tema che abbiamo affrontato anche con Cristian Betti e con Rosita Cavalletti, rispettivamente Presidente e coordinatrice dell’Ufficio tecnico commerciale della Società Trasimeno Servizi Ambientali31 (d’ora in poi TSA):
Rosita: La normativa ambientale lo impone. L’utente che entra in ricicleria, il suo obiettivo è? Disfarsi. Nessuno lo può prendere, appena ha varcato la soglia quel rifiuto è del Comune. L’utente che va in ricicleria non ha nessuna autorizzazione per portarlo fuori.
Daniele: Quindi serve una procedura che lo trasformi da rifiuto a…
Rosita: No! Non lo deve far diventare rifiuto32.
L’evidente oscillazione nei significati e nelle collocazioni socio-culturali delle “cose”, che possono essere oggetto, strumento, utensile, gioco, merce, dono, financo rifiuto, chiama in causa il concetto di status, terreno fertile di dibattito entro il più ampio panorama dei “nuovi studi” 33 relativi alla cultura materiale. Gli oggetti transitano attraverso diverse “sfere di valore” [Bohannan, Bohannan 1968], non sempre e non per forza associate a un sistema di scambio che si basa su quelle leggi invariabili di cui il mercato rappresenta il paradigma. Negli studi classici sul concetto di “dono” di Marcel Mauss [2002] emerge una chiara contrapposizione con il concetto di merce; dicotomia che ha segnato l’antropologia della cultura materiale nella seconda metà del Novecento, fino a diventare il perno della riflessione antiutilitarista sviluppata nella cornice teorica del M.A.U.S.S - Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali [Caillé 1989]. La separazione tra i possibili e differenti statuti degli oggetti risulta più sfumata in studi più recenti secondo cui la logica del dono e quella della merce si sovrappongono e si intrecciano in pratiche concrete di scambio, nonché attraverso meccanismi definiti da fattori culturali non riducibili al calcolo dell’interesse:
È vero che nelle società industriali contemporanee sono le leggi del mercato e quelle dello stato a definire istituzionalmente i canali di circolazione dei beni; tuttavia, nelle maglie più strette di questa rete, gli oggetti circolano (o sono trattenuti) e acquistano valore e significato sulla base di diversi requisiti: non sono necessariamente il prezzo o il diritto a definirne il significato, ma i legami che intrattengono con la vita e le relazioni delle persone [Dei, Meloni 2015: 64].
Gli oggetti attraversano successioni di fasi e cambiamenti di status, aprendosi a un ampio ventaglio di possibilità biografiche [Kopytoff 2021]. L’ingresso in isola ecologica interrompe tuttavia questa concatenazione di esistenze potenziali attraverso un meccanismo istituzionale che porta le “cose” dalla dinamica centrifuga della vita alla costrizione centripeta dello smantellamento verso il riciclo della materia prima, ma non verso il riuso dei lavorati (o di parte di essi). La logica alla base del funzionamento dei centri di raccolta è stringente e indiscutibile: qualsiasi “cosa” ne varchi la soglia diventa automaticamente un rifiuto e, in quanto tale, soggetto all’attuazione di specifiche normative34 che ne tracciano, o meglio ne forzano, improcrastinabilmente il destino.
Ma le istituzioni, nel quadro normativo esistente, potrebbero favorire comportamenti come quelli di Elio e dei tanti Elio che abitano gli spazi aperti dei paesi e dei territori d’Italia anche con l’obiettivo di ridurre il quantitativo di “cose” che si fanno “rifiuto”, ma che invece potrebbero assumere statuti differenti, producendo evidentemente anche differenti impatti in termini di equilibri ambientali? Esiste una via di fuga? Sarebbe possibile intercettare, nell’ambito di pratiche istituzionali e sistemiche, ciò di cui qualcuno desidera disfarsi, prima che la legge lo inquadri come “rifiuto”?
Il presidente di TSA Betti ci spiega che una soluzione possibile, su piccola scala, è già stata individuata e attuata attraverso i cosiddetti “centri del riuso”:
Oltre alle riciclerie, qualche anno fa vennero fuori una serie di esperienze partite dal Nord Italia, nel vicentino, poi nelle Marche… iniziarono a spuntare questi centri del riuso. Inizialmente come esperienze fai-da-te, poco strutturate, oggi invece stanno nascendo delle vere e proprie filiere, delle realtà serie, anche da noi adesso, a Ellera e a Tavernelle. Con la scorsa giunta regionale venne fuori un bando per andare a finanziare i centri del riuso. Il comune di Corciano [di cui Betti all’epoca era sindaco, NdA] e quello di Panicale parteciparono insieme, a quel bando lì, con due progetti per andare a finanziare due centri del riuso. Corciano arrivò primo, Panicale secondo. Prendemmo quel finanziamento, ci mettemmo sopra altri soldi e andammo a realizzare le strutture. Dentro la ricicleria di Ellera, c’è una struttura gialla, in mezzo. Gran parte di quella struttura è occupata dal centro del riuso. È una roba molto seria. Ha degli orari non sempre sovrapposti con quelli della ricicleria. […] i flussi sono separati35.
I centri del riuso sono spazi annessi ai centri di raccolta, messi a disposizione dei cittadini per favorire il recupero di ciò che è ancora utile e in buono stato prima che entri nel circuito della gestione dei rifiuti, di cui si riduce, di conseguenza, il volume. All’interno di questo spazio, gli oggetti, mai diventati rifiuti, possono essere sia recuperati così come sono mediante un’offerta libera, sia eventualmente riparati per poi essere messi di nuovo a disposizione di potenziali interessati. Possibilità, quest’ultima, che sembra ben dialogare con alcune esperienze di economia circolare virtuose avviate in Europa e già riprodotte anche in alcune città italiane, si pensi ad esempio ai repair cafè. Si tratta di iniziative perfettamente inserite in quell’etica del fai-da-te finalizzata al recupero di oggetti reso possibile dalla presenza di “aggiustatutto” che mettono a disposizione i propri saper fare e il proprio tempo, ma anche grazie alla creazione di processi organizzativo-gestionali in grado di leggere tali prospettive36.
Ed Elio che avevamo lasciato nel suo cortile, intento ad “arpecettare”, a immaginare e realizzare accrocchi? Siamo certi che si trovi in buona compagnia nei “margini” che studiamo37, nei piccoli paesi distanti dalle congestioni spaziali e temporali degli agglomerati urbani. La domesticità affollata di Elio è la domesticità di tanti bricoleur appassionati, ognuno con le sue storie, le sue reti di relazioni, il suo cortile denso, pieno di oggetti altrettanto densi. Creando condizioni istituzionali favorevoli, ingegnerizzando i luoghi deputati alla raccolta degli “scarti” secondo diverse e innovative impostazioni logistiche, quel loro modello di ricomposizione delle materie e dei sensi, replicato su larga scala, potrebbe determinare un bilancio favorevole dal punto di vista dell’impatto ecologico, sia rispetto all’attuale filiera della produzione del rifiuto che, più in generale, rispetto agli equilibri ambientali.
Arjun Appadurai [2021, 50] scrive che «la deviazione delle merci dai sentieri previsti è sempre un segno di creatività o di crisi, sia di natura estetica sia economica». Nella storia che stiamo raccontando emergono entrambe le estremità: la creatività, quella dimensione trasformativa implicita nei «giochi combinatori di immagini e concetti» [Bodei 2009, 35], anima il cortile di Elio; la crisi è nella prassi istituzionale di quelle “comunità di carta”38 che, con l’intento di semplificare procedurizzando, producono invece paradossali complicazioni sul piano della tenuta ecosistemica e delle ragionevoli scelte in merito a più razionali impieghi delle risorse.
«Forse la spazzatura è l’orizzonte di pensabilità del problema delle risorse e dei consumi, e del nostro stesso mondo» [Clemente 1999, 45]. Quelli che Elio trova e recupera, anche all’isola ecologica, sono in fondo oggetti disinvestiti di senso a cui egli conferisce progettualità e ipersignificazione, sono “miniature d’eternità” [Hersch 2006], coaguli di provenienze, traiettorie e prospettive attraverso cui si può esperire la cangiante irriproducibilità dell’abitare i paesi e, soprattutto, il quotidiano.
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1 Il presente lavoro si colloca nell’ambito del Prin Abitare i margini, oggi. Etnografie di paesi in Italia (PI – Prof. Daniele Parbuono - 2020EXKCY7), progetto finalizzato a comprendere strategie innovative e di avanguardia dell’abitare, prodotte in luoghi marginali, intesi come spazi dove esplorare il presente e i possibili scenari futuri. Per maggiori informazioni si rimanda al sito <https://abitare.fissuf.unipg.it> (consultato in data 30 settembre 2024). Questo saggio, in particolare, è frutto di un comune lavoro degli autori, entrambi attivi componenti del PRIN: l’impostazione teorica, i riferimenti etnografici e il taglio interpretativo sono esito di riflessioni condivise nella fase preliminare alla scrittura; la redazione delle singole parti, poi modificate e portate alla versione finale da entrambi, si deve a Daniele Parbuono per ciò che concerne il primo e il quarto paragrafo e a Elisa Rondini per il secondo e il terzo. Ringraziamo i Direttori, la redazione e i referee anonimi di Etnoantropologia per aver dedicato tempo e attenzione a questo articolo.
2 La fiaba in questione, scritta nel 1300, è attribuita al poeta persiano sufi Amir Khosrow, mentre la sua traduzione italiana (1557) si deve a Cristoforo Armeno. Due secoli dopo, Horace Walpole, autore della traduzione inglese (Three princes of Serendip), utilizzò per la prima volta la parola serendipity in una lettera indirizzata all’amico Horace Mann, scritta nel 1754; secondo Walpole, il termine stava a indicare «la capacità di scoprire la verità per caso o per sagacia, basandosi sull’interpretazione di indizi, tracce, spie» [Pignatelli 2022].
3 In occasione della competizione, svolta tradizionalmente nel mese di agosto, la strada che circonda il centro del paese viene trasformata in una pista per carretti in legno. I piloti, in genere tutti ragazzi del luogo, distesi con il volto che guarda a terra in senso di marcia, sfrecciano a bordo dei veicoli autoprodotti rigorosamente senza freni. Di seguito riportiamo, a titolo esemplificativo, il link al video realizzato durante la corsa del 2016: <https://www.youtube.com/watch?v=CzZmgWa0RE0&t=866s>. Si veda inoltre <https://trasimemo.it/la-congrega/> (consultati in data 26 settembre 2024).
4 Inaugurata a Paciano nell’aprile del 2014, TrasiMemo. Banca della memoria del Trasimeno è l’esito di un progetto immaginato e realizzato con l’obiettivo di salvaguardare e promuovere memorie, conoscenze e saperi entro una più ampia riflessione operativa centrata sullo sviluppo locale nell’area del Lago [Parbuono 2018]. Frutto della collaborazione tra il Comune di Paciano e la Scuola di specializzazione in Beni demoetnoantropologici dell’Università degli Studi di Perugia (in convenzione con la Università degli Studi della Basilicata, di Firenze, di Siena e di Torino), TrasiMemo nasce e prende forma in rapporto con una rete di attori che potrebbero essere definiti «militanti locali del patrimonio» [De Varine 2005, 22]. Attualmente, i suoi risultati concreti sono un archivio web (www.trasimemo.it), un museo all’interno di Palazzo Baldeschi (un edificio storico di proprietà regionale) – costituito da spazi espositivi, laboratori che si concentrano prevalentemente sul tema dell’artigianato, sale per seminari e conferenze, una biblioteca e un roseto utilizzato per iniziative di carattere culturale all’aperto –, progetti connessi ad attività specifiche per le scuole del territorio e per l’accoglienza turistica, varie collaborazioni con associazioni locali e partnership con altre istituzioni [Marchesini, Parbuono 2020]. Per approfondimenti sugli sviluppi del progetto, sul contesto di realizzazione, sugli esiti concreti nonché sul percorso etnografico che l’ha reso possibile si rimanda a: Giacomelli, Marchesini, Parbuono 2020; Marchesini 2017; Marchesini, Parbuono 2020, 2022; Parbuono 2015, 2018.
5 Per maggiori informazioni sul lavoro di Angelo Belperio si rimanda al link: <https://trasimemo.it/> (consultato il 25 agosto 2024).
6 Espressione che fa riferimento al lavoro mezzadrile. Per approfondimenti sul sistema della mezzadria in Umbria si segnalano tra gli altri: Silverman 1975; Papa 1985; Seppilli 2009.
7 Diario di campo di Elisa Rondini, 11 agosto 2023.
8 Secondo Goffman [1959] la vita e le interazioni sociali si snodano tra front region e back region, ambiti di azione contraddistinti da differenti regole; i gruppi di performance agiscono infatti su uno “spazio pubblico” costituito dal palcoscenico e, a intervalli, su uno “spazio privato” rappresentato dal retroscena, dal “dietro le quinte”.
9 Diario di campo di Daniele Parbuono, 16 febbraio 2024.
10 Vladimir Arkhipov [2007] propone la definizione di “design del popolo” nel raccontare la storia di duecentoventi oggetti della Russia post-sovietica che, resi unici da atti creativi prodotti nella fantasia della privazione, hanno perso la loro funzione originaria, assumendo forme e funzioni inedite e sperimentali. Tale definizione può essere senza dubbio applicata anche alle creazioni di Elio.
11 Diario di campo di Daniele Parbuono, 16 febbraio 2024.
12 Formulato da Unni Wikan, il concetto fa riferimento all’esperienza umana condivisa, evoca qualcosa che le persone possono avere in comune, indipendentemente dalle coordinate spazio-temporali. Secondo la Wikan [1992, 436], la risonanza è qualcosa che ci permette di andare oltre le parole «per afferrare le forze motivazionali degli individui […]».
13 Intervista a Elio Socciarelli, realizzata da Daniele Parbuono ed Elisa Rondini, casa di Elio e Annamaria, Paciano, 17 luglio 2024.
14 Diario di campo di Elisa Rondini, 17 luglio 2024.
15 Azienda italiana nota per la produzione di piccoli oggetti d’arredo, in ceramica o porcellana.
16 Diario di campo di Elisa Rondini, 16 febbraio 2024.
17 Famoso duo comico della storia del cinema, formato da Stan Laurel e Oliver Hardy.
18 Intervista a Elio Socciarelli, realizzata da Daniele Parbuono ed Elisa Rondini, casa di Elio e Annamaria, Paciano, 24 luglio 2024.
19 Centro di raccolta o Isola ecologica. Si tratta di sinonimi che indicano aree deputate alla raccolta differenziata di rifiuti riciclabili portati dai cittadini, che possono posizionarli in appositi contenitori, al fine di separarli nel modo opportuno. Tali aree sono presidiate da addetti che forniscono le informazioni necessarie sulle corrette modalità di conferimento.
20 Da pecétta, lemma popolare diffuso nei dialetti dell’Italia centrale, che indica una «strisciolina di carta, di pelle o d’altro materiale, che s’incolla o si stende su una superficie per coprire o riparare una rottura» (<https://www.treccani.it/vocabolario/pecetta/>, consultato il 28 agosto 2024>). Arpecettare significa pertanto “mettere una pecétta”, cioè riparare approssimativamente, con mezzi, strumenti e competenze di fortuna. Intervista a Elio Socciarelli, realizzata da Daniele Parbuono ed Elisa Rondini, casa di Elio e Annamaria, Paciano, 24 luglio 2024.
21 Periodo caratterizzato dalla riduzione forzata dei consumi energetici, dovuta alla crisi petrolifera seguita alla guerra del Kippur (o guerra arabo-israeliana) dell’ottobre del 1973.
22 Intervista a Elio Socciarelli, realizzata da Daniele Parbuono ed Elisa Rondini, casa di Elio e Annamaria, Paciano, 17 luglio 2024.
23 Come già sostenuto altrove da Daniele Parbuono, l’artigianato «sintetizza gli aspetti più efficaci dell’interazione tra esseri umani e territorio» [Parbuono 2017, 7], poiché unisce molteplici competenze che, attraverso la loro articolazione e interazione, partecipano alla creazione di scenari paesaggistici [Lai 2000, Papa 2012] entro cui le comunità locali agiscono conoscenze dello spazio e dei luoghi, saperi manuali e tecnico-scientifici, creatività e rapporti sedimentati tra tradizione e innovazione [Sennett 2012].
24 Entro questa prospettiva, saperi e pratiche artigianali si configurano come particolari forme di patrimonio “collettivo” [Sennet 2012] in movimento, costantemente arricchito e trasformato dagli interventi e dalle innovazioni (solo quando funzionali ed efficaci) che vengono apportate dai singoli individui [Bogatyrëv, Jakobson 1967].
25 Scrive in proposito Bodei [2009, 8]: «Come residuo appena percepibile resta però il sospetto, suscitato dalla non immediata ricostruzione delle coordinate, che la presunta fissità delle cose non sia spontanea, ma rifletta essenzialmente la nostra rigida organizzazione mentale […] A scopo pedagogico, per identificarle, le abbiamo scarnificate, compresse nella loro polisemia e classificate. Isolandole dallo sfondo e dalla nostra attività, nel pensarle abbiamo tolto loro ogni riferimento a noi, riducendole a entità materiali che ci stanno semplicemente davanti secondo una tipologia elementare predefinita».
26 Il termine fu coniato nel 1977 dallo psicologo James Gibson per riferirsi alle caratteristiche di un oggetto o di uno spazio che evocano all’utente specifiche “possibilità d’azione”, a seconda delle sue capacità fisiche. Il concetto è stato poi ripreso da Donald Norman [1988, 1999], ingegnere e psicologo cognitivo, che distingue tra affordance reali e percepite.
27 «Nello stilare la biografia di una cosa ci si potrebbe proporre domande simili a quelle che riguardano le persone. Quali sono, sociologicamente, le possibilità intrinseche nel suo status, nella sua epoca e nella sua cultura, e come si concretizzano tali possibilità? Da dove proviene quella cosa e chi l’ha fatta? Qual è stata la sua carriera sino a oggi e qual è la carriera ideale per quel genere di cose secondo le persone? Quali sono le “età” riconosciute o i “periodi” nella vita di quella cosa, e quali sono i suoi indicatori culturali? Come cambia il suo utilizzo in base all’età, e cosa le accade quando arriva alla fine della sua utilità?» [Kopytoff 2021, 105].
28 <https://www.facebook.com/p/Antonioloffaupcycledlighting-100064882244633/?_rdr> (consultato in data 25 settembre 2024).
29 Intervista a Giovanni Gigliotti, realizzata da Daniele Parbuono ed Elisa Rondini, Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università degli Studi di Perugia, 20 agosto 2024.
30 Per il testo integrale del decreto si rimanda al seguente link: <https://www.isprambiente.gov.it/it/garante_aia_ilva/normativa/normativa-ambientale/Dlgs_152_06_TestoUnicoAmbientale.pdf> (consultato il 28 agosto 2024).
31 Su un territorio di circa ottantamila abitanti, che si estende da Corciano a Castiglion del Lago, Trasimeno Servizi Ambientali gestisce dodici centri di raccolta, con almeno due addetti che seguono le operazioni di scarico, garantendone la correttezza.
32 Intervista a Cristian Betti e Rosita Cavalletti, realizzata da Daniele Parbuono ed Elisa Rondini, TSA, Magione (PG), 21 agosto 2024.
33 Secondo Fabio Dei e Pietro Meloni [2015], l’espressione segnala la discontinuità che separa i precedenti indirizzi dai concetti caratterizzanti una nuova fase del dibattito intorno alla cultura materiale, iniziata circa trent’anni fa, entro cui l’attenzione è rivolta, oltre che alle pratiche produttive, anche a quelle che riguardano la circolazione e il consumo. Su questi temi, si vedano ad esempio: Latour 1995; Miller 2005; Appadurai 2021.
34 La Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 205/2010, che abroga alcune norme precedenti e tiene conto delle indicazioni fornite nel Sesto Programma di Azione, dispone, in particolare, nuovi obiettivi, tra cui quello di supportare l’Unione europea ad avvicinarsi a una “società del riciclaggio” e a una nuova gerarchia dei rifiuti. Quest’ultima, descritta nell’articolo 4 del documento, definisce un ordine di priorità a cui gli Stati membri devono attenersi, adottando misure volte a incoraggiare le opzioni che determinano il miglior risultato ambientale complessivo. Tale gerarchia si articola nelle seguenti azioni: prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, altro recupero (per esempio recupero di energia), smaltimento. Per approfondimenti sui singoli passaggi della gerarchia e, in generale, sui contenuti del documento, si rimanda al testo integrale della Direttiva: <https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:02008L0098-20150731&from=ET> (consultato il 22 agosto 2024).
35 Intervista a Cristian Betti e Rosita Cavalletti, realizzata da Daniele Parbuono ed Elisa Rondini, TSA, Magione (PG), 21 agosto 2024.
36 I repair cafè nascono ad Amsterdam, nel 2009, su iniziativa dell’ambientalista olandese Martin Postma. Ad oggi se ne contano circa tremila in tutto il mondo, di cui trenta in Italia: <https://www.vita.it/repair-cafe-riparare-gli-oggetti-per-contrastare-la-cultura-dello-scarto/> (consultato in data 5 settembre 2024).
37 Il riferimento è al titolo del suddetto Progetto Abitare i margini, oggi. Etnografie di paesi in Italia (vedi nota 3) –, che lavora, appunto, «sulle interazioni emergenti in specifici mondi locali fra una qualità disgiuntiva rispetto a una topologia gerarchizzata (il margine è mantenuto costantemente lontano dal centro) e una qualità intensiva di produzione minoritaria delle possibilità di vita» [Parbuono, Rondini 2024: 7-8).
38 Il concetto di “comunità di carta” è stato proposto da Fabio Mugnaini, Daniele Parbuono ed Emanuela Rossi nel titolo di uno dei panel del Quarto Convegno Nazionale SIAC Il ritorno del sociale, Sapienza Università di Roma, 21-23 settembre 2023: Mondi sociali, comunità di carta. Antropologia e pratiche del patrimonio. Si veda: <https://www.siacantropologia.it/panel-23/> (consultato in data 30 settembre 2024).