Frutta fresca, corpi spezzati

Braccianti migranti negli Stati Uniti d’America

Thea Rossi

Dipartimento di Scienze giuridiche e sociali,

Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara



Seth M. Holmes, Frutta fresca, corpi spezzati. Braccianti migranti negli Stati Uniti d’America, Meltemi, Milano 2023, pp. 1- 308. ISBN: 9788855197403



Il volume è stato pubblicato in prima edizione nel 2013, con il titolo Fresh Fruit, Broken Bodies. Migrant Farmworkers in the United States, edito dalla University of California Press.

La genesi di questo lavoro è ascrivibile all’interesse di Holmes, medico antropologo, verso le migrazioni Messico-USA, che lo attraggono per i differenti aspetti connessi con le problematiche sociali, politiche e sanitarie. Deve all’incoraggiamento di un amico il dirottamento della sua attenzione verso il gruppo indigeno dei Triqui di San Miguel nella regione messicana di Oaxaca, che gli appaiono, sin dai primi contatti, i soggetti ideali per un nuovo progetto etnografico, avendo da poco tempo iniziato a sperimentare la migrazione negli USA diretti verso gli ambienti insalubri della California e di Washington, bacini produttivi che alimentano la nicchia del mercato della frutta fresca negli USA e in altri paesi ricchi. Senza indugio intraprende in loro compagnia il suo “viaggio”, lungo, appassionato e avventuroso, nel quale si immerge con generosità ascrivibile ad una sorta di empatia pratica, un viaggio sorretto da un impulso speculativo grazie al quale ci fa penetrare nella realtà del circuito del business transnazionale ortofrutticolo e negli interessi che legano produzione e consumo, paesi-bacino di manodopera e paesi produttori e ci fa scoprire gli ingranaggi reconditi che ne permettono la produzione e la riproduzione, in un continuum di violenza inflitta ai braccianti. Un continuum che lo sguardo rassegnato di alcuni e quello assuefatto o disinteressato di altri inducono a ritenere immutabile. Davvero dobbiamo rassegnarci a questa immutabilità? Al fatto che i migranti latinos debbano rifornirci di frutta fresca in cambio dei loro corpi spezzati? Holmes non esita a ritenere che lo svelamento critico dei meccanismi che producono la sofferenza fisica e sociale dei migranti e la teorizzazione dei modi attraverso i quali essa avviene siano indispensabili premesse di cambiamento, consapevole che la critica accademica da sola non è sufficiente se non si interviene anche sul piano materiale e strutturale, secondo la lezione di Bourdieu e Gramsci. Intanto si affida all’etnografia, in particolare alla sua densità descrittiva e alle sue potenzialità di analisi, per la comprensione dei significati multilivello e degli aspetti del potere che organizzano la vita sociale e culturale.

Il volume è il resoconto di tale esperienza pluriennale di ricerca, condotta a più riprese presso famiglie indigene triqui di San Miguel e i campi di lavoro degli stati di California e Washington: un fieldwork in movimento, dunque, il più indicato per un approccio che intende “seguire le persone”, come viene definito da Marcus, ma soprattutto tenere «seriamente in conto le interconnessioni intrinseche al mondo contemporaneo».

L’Autore propone una modalità di scrittura plasmata da un inconfondibile stile narrativo, che presenta le storie etnografiche in modo “interconnesso” con le circostanze in cui sono state osservate e con le loro analisi teoriche, nella convinzione che tale scelta possa risultare efficace al fine di permettere ai lettori di partecipare attivamente all’interpretazione non solo dell’etnografia ma anche dell’autore stesso. Una scelta coinvolgente che fa immergere dentro le storie.

Senza preamboli, l’interrogativo «Vale la pena rischiare la vita?» ci introduce nel viaggio verso el Norte per l’attraversamento del confine, che viene vissuto dai migranti come una delle esperienze più forti di sufrimiento, all’interno di una vita costellata di sofferenze. La domanda strategicamente posta all’inizio induce a riflettere intorno alle semplificazioni di certe categorizzazioni che inquadrano la migrazione economica, nell’ambito della quale viene considerata quella dei triqui, come una scelta individuale volontaria, che è assunta anche a costo di un rischio mortale. Ne discende un giudizio di colpevolezza per i migranti che pertanto sarebbero meritevoli della loro morte prematura proprio per aver barattato la vita in cambio di un vantaggio economico. Per i compagni di Holmes la scelta è tutt’altro che volontaria, in quanto l’alternativa per loro è la morte, una morte collettiva, lenta e certa, conseguenza dei meccanismi iniqui legati al cosiddetto libero mercato. L’analisi condotta dall’autore mette a fuoco come il sistema contemporaneo del capitalismo neoliberista, dominato dalle corporation, abbia costruito disuguaglianze globali, trascinando il sud del Messico in una depressione economica sempre più profonda. Questa povertà è una delle principali cause scatenanti delle guerre locali per la terra, così come delle migrazioni finalizzate alla ricerca dei mezzi di sopravvivenza. Le lotte per una redistribuzione più equa del potere e delle risorse vengono represse dalla violenza politica che sostiene e rafforza il progetto neoliberista e acuisce la povertà secondo una logica che nega ai più poveri la realizzazione di un proprio progetto personale e l’accesso al potere economico-politico. Tutte queste ragioni depongono a favore della “necessarietà” dell’attraversamento del confine ed è improbabile secondo Holmes che la sua militarizzazione oppure l’idea della sua pericolosità possa porre un freno alla ricerca della sopravvivenza. Da qui si leva il suo primo appello, rivolto ugualmente agli antropologi e ai professionisti della salute, per riformulare i concetti di sofferenza, morte e rischio, riorientando la prospettiva che poggia sulla individualizzazione del rischio e delle responsabilità e sul cambiamento del comportamento individuale, per porre l’attenzione sulle forze strutturali che producono il pericolo e per mettere a fuoco e rinegoziare i dispositivi politici che costituiscono la causa primaria della migrazione di manodopera e rafforzano le disuguaglianze.

Dopo l’attraversamento del confine, il mercato transnazionale offre ai migranti triqui come unica prospettiva la raccolta della piccola frutta (mirtilli e fragole), un lavoro totalizzante che impegna il loro tempo, le loro energie e risorse, le menti e i corpi. È anche quello meno retribuito e più a rischio di licenziamento per la difficoltà di raggiungere il peso richiesto.

Lo sguardo di Holmes è ben sintetizzato dall’osservazione di uno dei migranti quando cerca di spiegare la presenza del ricercatore (bianco e istruito) nell’azienda: «Vuole sperimentare di persona come soffrono i poveri». Una sintesi perfetta, come pensa anche l’autore, che esprime il senso di un’antropologia incarnata, che partecipa del lavoro migrante. Attraverso il suo corpo, Holmes non solo sperimenta le condizioni di vita e di lavoro dei bracciati, ma riceve informazioni anche sulle categorie sociali tracciate sui corpi stessi, comprende la sofferenza sociale e la sua origine. Tocca con mano gli effetti della violenza strutturale e simbolica di cui sono fatti oggetto i migranti. Coerente con il suo approccio, che “interconnette” storie e analisi teorica, Holmes ci guida nei meandri dell’organizzazione dell’azienda agricola statunitense, mostrandoci come i corpi dei lavoratori sono organizzati per classe, etnia e cittadinanza cui corrispondono gerarchie di lavoro, rispetto e sofferenza. Al primo posto è collocato il cittadino americano bianco o asiatico e agli antipodi il messicano indigeno senza documenti: il popolo triqui risulta all’ultimo gradino dell’ordine gerarchico aziendale, dopo tutti gli altri gruppi di indigeni messicani. Si deve considerare come, procedendo dall’alto verso il basso della gerarchia, aumenta in modo cumulativo anche la sofferenza. Per Holmes il focus del discorso muove dalla percezione della loro etnicità, aspetto a sua volta collegato alla percezione sociale dell’indigenità in contrasto con la civiltà, di stampo darwinista. Applicando questa prospettiva, più un individuo è percepito come civilizzato, migliore è il suo lavoro, al contempo migliore è il proprio lavoro più si può essere percepito civilizzato. Accogliendo le teorie di Bourgois e Scheper-Hughes, egli mostra anche come la violenza strutturale neghi ai triqui il rispetto dovuto, privandoli della salute fisica e mentale e creando loro sofferenza, la quale non riguarda solo la malattia fisica, ma uno stato di angoscia che pervade la mente, l’esistenza tutta, i rapporti interpersonali. Una violenza strutturale che si manifesta come disuguaglianze sociali e gerarchie nel lavoro è parte di un continuum di violenza, quella politica delle guerre per la terra e del capitalismo globale ̶ da cui ha preso avvio l’analisi di Holmes ̶ che spinge i triqui a vivere in climi inospitali e ad abbandonare le loro case per cercare la sopravvivenza in altre terre. Tale violenza viene rafforzata da forme esterne e interiorizzate di violenza simbolica, come definita da Bourdieu, prodotta dalla legittimazione e naturalizzazione delle gerarchie sociali nelle micro interazioni quotidiane, con il consenso inconsapevole dei dominati.

Una parte della ricerca è dedicata a un’ampia e interessante rassegna di esperienze sanitarie vissute insieme ai migranti triqui ̶ in particolare quelle legate al dolore al ginocchio di Abelino, al mal di testa di Crescencio, al mal di stomaco di Bernardo ̶ attraverso le quali concentrarsi sullo sguardo clinico della salute dei migranti, dal punto di vista medico, del sistema sanitario e quella dei pazienti, ovvero gli stessi migranti messicani, sulla scia dei lavori di Kleinman e di Farmer.

Le visite mediche a cui l’autore assiste lo rendono consapevole di come l’approccio dei medici in modo generalizzato tenda a colpevolizzare gli stessi migranti perché non hanno cura del proprio corpo, mostrando l’incapacità di confrontarsi con il contesto sociale che produce la sofferenza e di comprendere i problemi di salute come risultati delle disuguaglianze economiche internazionali. I limiti dell’assistenza sanitaria si palesano certamente attraverso i migranti – emblematica è l’espressione “i dottori non capiscono niente” e il ricorso in alcuni casi all’intervento di guaritori locali – e sono da rintracciare in una medicina “acontestuale” e nella competenza culturale apolitica, incarnate dagli operatori sanitari. Secondo Holmes, fattori strutturali – come il poco tempo, il razzismo dei pazienti bianchi, la mancanza di interpreti qualificati dovuto a un sistema di finanziamento dell’assistenza sanitaria basato sulla massimizzazione del profitto – impongono agli operatori sanitari di lavorare in circostanze difficili, emotivamente estenuanti e impegnative, che impediscono loro di ricondurre la causa della malattia alle strutture politiche, economiche e sociali e non a comportamenti individuali, a pratiche culturali differenti su base etnica. Di fatto, in una prospettiva più ampia, la biomedicina depoliticizza la sofferenza.

Nell’ultima parte, infine, Holmes ci introduce ad una riflessione sugli approcci che si potrebbero adottare per realizzare un cambiamento politico e materiale in merito ai diritti dei migranti e dei lavoratori e alla lotta contro i modi in cui sono percepiti, poiché dall’intreccio di tali fattori dipendono, a suo avviso, l’inclusione o l’esclusione, la liberazione o le violenze.

La sua prospettiva è quella di accompagnare il progetto accademico di denaturalizzazione delle disuguaglianze con un impegno a tutti i livelli in un continuum dal micro al macro. Nelle aziende, ad esempio, potrebbe essere praticata la solidarietà pragmatica, come insegna Farmer, i professionisti della salute potrebbero non essere solo “fornitori” di assistenza riducendo la sofferenza alle sue componenti biomediche, ma allargare lo sguardo al contesto politico, sociale, economico, dando vita a una salute pubblica realisticamente critica e una “medicina della liberazione”. A livello globale la necessità più impellente gli appare la formazione di ampie coalizioni di individui per lavorare per un’economia internazionale più equa e impegnarsi attivamente nella guerra di posizione non solo attraverso dichiarazioni, ma tramite concrete azioni legali, politiche, civili ed economiche. Un appello alla partecipazione collettiva, che investe la responsabilità di ognuno. Con un tale molteplice approccio, auspica Holmes, «possiamo muovere verso un futuro in cui i nostri compagni triqui abbiano accesso a condizioni di vita e di lavoro umane e sane e non debbano migrare attraverso un confine mortale per rifornirci di frutta fresca in cambio dei loro corpi».