Essere sul campo.

Dialoghi e comunicazioni etnografiche a distanza

Being in the field.

Distance ethnographic dialogues and communications

Antonello Ricci

Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo, Sapienza Università di Roma


Indice

Una breve introduzione

Cinque esempi da WhatsApp

Qualche riflessione poco conclusiva

Bibliografia


Abstract

The restrictions due to the Covid pandemic in which we lived from 2020 to 2022 imposed distancing as a social behavior and the use of technological devices to partially compensate for the impossibility of interpersonal contact. Field research was also limited due to the impossibility of moving around the area, distrust of close contact and the precautions necessary to prevent contagion. Therefore, the question arose as to what was meant by «being in the field».

This paper is based on long-lasting ethnographies and on the reflections that emerged following the production of dense and profound ethnographic documents based on data collected through WhatsApp, one of the most widespread digital messaging platforms.

Keywords: Ethnography, fieldwork, WhatsApp, Covid, Calabria.


Una breve introduzione

Con questo articolo vorrei proporre alcuni esempi di esperienza etnografica condotta mediante sistemi di comunicazione digitale nel corso degli ultimi anni, dal 2020 a oggi, durante il periodo marcato dalla pandemia di Covid-191. Per la verità, forme di condivisione tramite social media di contenuti etnografici erano diventate per me ricorrenti già prima del 2020, come vedremo dopo negli esempi. Tuttavia, il distanziamento sociale forzato cui siamo stati tutti costretti, mi ha dato modo di valutare meglio la peculiarità del modello di condivisione delle informazioni. In sostanza ho potuto verificare che, nella mia esperienza di ricerca, aveva preso forma una modalità specifica di relazione sul campo che negli studi sulla cosiddetta «antropologia digitale» è definita per lo più «ibrida» [Przybylski 2020; Mangiameli, Zito 2021]2. Come ben descrive Liz Przybylski [2020, 4]: «In the hybrid field, “face to face” communications may take a place across a table or through video chatting. The focus on the personal aspect of this kind of research is maintained from the offline to the online and in-between».

Non parlerò, infatti, di un’attività di ricerca sul web o nel web, che forse è la più consueta applicazione di un’antropologia digitale [Biscaldi, Matera 2019; Horst, Miller 2012; Geismar, Knox 2021; Mangiameli, Zito 2021], anche in considerazione della specificità della comunicazione interpersonale, della strutturazione di rapporti e interdipendenze e della costruzione di socialità che caratterizzano l’habitat dei social media. E ancora, in questo intervento non parlerò di un’etnografia condotta sul web volta a comprendere come persone, gruppi, comunità locali ecc. organizzano la rappresentazione digitale del proprio patrimonio culturale. Né tantomeno mi soffermerò su come e quanto la realtà virtuale abbia contribuito a costruire forme di democratizzazione o, più spesso, di mercificazione e commercializzazione dei contenuti della cultura popolare – un argomento che interessa gli studi contemporanei sul patrimonio e per il quale mi limito a ricordare, per l’Italia, quanto scritto da Letizia Bindi [2008; 2019].

Tema del mio contributo è, invece, la possibilità di proseguire il proprio terreno anche quando non si è fisicamente sul campo e, soprattutto, di avere la certezza che i dati risultanti da questi rilevamenti a distanza siano attendibili e utilizzabili per la propria indagine, analogamente a quelli raccolti in presenza.

Uno degli aspetti di diversità tra una ricerca ibrida e una soltanto in presenza è il riposizionamento, riprendendo ancora Przybylski [2020, 6-11], di alcune coordinate di base di ogni etnografia. Vale a dire che in una ricerca ibrida bisogna considerare in una diversa prospettiva il «cosa», il «chi», il «quando» e il «dove», perché in questo caso l’incontro sul terreno tra l’etnografo e il collaboratore locale avviene con una differente polarizzazione di motivazioni, di interessi e di «potere» che pongono anche qualche rinnovata questione etica [Przybylski 2020; Reich 2015].

Gli esempi che descriverò tra poco sono caratterizzati da una condivisione del campo tra ricercatore e collaboratori locali, essendo questi persone scelte e ben individuate in seguito a lunghi periodi trascorsi sul terreno e con i quali è stato intessuto un saldo rapporto di stretta vicinanza amicale e di comune intesa sul piano del progetto etnografico: ambedue, ricercatore e collaboratore, sono orientati nel medesimo senso, vale a dire verso la messa in valore degli aspetti della cultura locale attraverso le testimonianze personali. Tornerò in conclusione su questi argomenti.

Non si tratta in assoluto di una novità. Già a metà degli anni ’50 del Novecento l’etnologo danese Andreas Fridolin Weis Bentzon, durante le sue campagne di ricerca sulla musica tradizionale della Sardegna, aveva ipotizzato e messo in atto un inedito comportamento riguardante i rilevamenti, affidando ad alcuni suoi interlocutori il registratore, a volte anche la macchina fotografica e le schede da campo, affinché continuassero la documentazione anche in sua assenza [Ricci 2007, 69-83], «per avere una massa di documenti e di informazioni che potranno raccogliere loro meglio di noi» [Olianas 2006, 109]. Tuttavia, lo scenario risultante dal dilagare dell’epidemia di Covid, con il conseguente obbligo di distanziamento dei contatti umani, e la diffusione popolare delle tecnologie telematiche e digitali, hanno messo in luce nuovi e interessanti prospettive metodologiche della ricerca etnografica coniugata in forma ibrida.

Il primo punto da chiarire, l’ho già anticipato, è che una ricerca a distanza di condivisione dei dati tramite la tecnologia contemporanea, a mio avviso, può essere messa in pratica proficuamente se in precedenza c’è stato un lungo lavoro di preparazione realizzato a stretto contatto e in seguito a una altrettanto prolungata permanenza in presenza sul terreno. La bibliografia internazionale riporta alcuni esempi: in questa sede mi limito a richiamarne due [Copertino 2021; Zito 2021] di argomento molto diverso dal mio, patrimonio e malattia, ma con qualche similitudine metodologica. Analogamente alla mia esperienza, i due autori espongono i risultati di un’etnografia a distanza tramite differenti social media e confermano in maniera significativa l’importanza di un lungo e denso periodo precedente di ricerca in presenza per il buon esito del proseguimento da remoto. Io stesso ho potuto verificare che soltanto in seguito a questo si sarebbe potuta costruire un’intesa di tale solidità e intimità da garantire una reciproca interazione fra ricercatore e collaboratore e che quest’ultimo sarebbe stato in grado di individuare con sicurezza quali fossero le situazioni e i dati interessanti per la comune ricerca, sapendo altresì come selezionarli, documentarli e restituirli in maniera appropriata. Giunti a questo livello di intesa ho avuto modo di constatare che è possibile parlare in senso proprio di una ricerca comune e partecipata al di là della forma della comunicazione interpersonale. Una profonda condivisione di interessi è generata dalla circolarità del processo che in tal modo viene attivata: l’interesse etnografico del ricercatore intreccia e abbraccia l’interesse etnografico, se così si può definire, del collaboratore locale dando vita a documenti nei quali convergono e si fondono le due aspettative e i due interessi.

I cinque esempi che descrivo di seguito3, tutti aventi la piattaforma digitale WhatsApp come canale di scambio, sono esemplificativi della molteplicità di forme, di comportamenti e di protagonisti che possono entrare in scena e produrre esiti densamente interessanti e, a volte, sorprendentemente inaspettati, per la conduzione e i risultati di un lavoro etnografico.

Cinque esempi da WhatsApp

Un primo gruppo di tre esempi che vorrei proporre riguarda alcuni collaboratori di Mesoraca, paese calabrese in provincia di Crotone, dove, senza interruzione, dal 1991 conduco una ricerca di comunità sulle categorie culturali del suono e dell’ascolto [Ricci 2012]. Nel corso degli anni ho incontrato e conosciuto decine di persone di ambo i sessi e di tutte le classi d’età. Con alcuni di essi ho consolidato una relazione personale che è andata molto oltre il più usuale rapporto etnografico: ne ho qui selezionati tre, fra molti altri, perché sono quelli con cui il dialogo a distanza sui temi del mio lavoro è stato più continuativo e fruttuoso.

Due ulteriori esempi sono tratti da un’altra mia ricerca centrata su una sola persona e il suo nucleo familiare.

Esempio 1.

Il primo esempio riguarda EL. Negli anni ’90 del Novecento, al tempo della mia ricerca intensiva, era segretario della confraternita dell’Immacolata che organizza tutti gli anni la processione religiosa del Venerdì Santo. Impiegato nella locale Azienda sanitaria nazionale e volontario per la Protezione civile, oggi è in pensione.

La processione del Venerdì Santo, in dialetto u Signure mùertu, ancora oggi è uno dei momenti centrali della vita sociale del paese a più livelli e si è rivelato anche il contesto entro il quale il linguaggio culturale dei suoni si manifesta con particolare intensità. Molti dei partecipanti alla processione conoscono il mio interesse per questo evento rituale soprattutto per la sua ricchezza sonora. Ogni anno in prossimità della festa alcuni di loro mi telefonano per comunicarmi le novità che ci saranno e chiedermi se sarò presente. Nel corso degli anni c’è stato un avvicendamento generazionale e alcuni degli organizzatori di oggi conoscono il mio lavoro più attraverso il libro che ho pubblicato che tramite un rapporto personale. EL è uno dei protagonisti «storici» della mia ricerca e anche la persona che più di altri ha contribuito a facilitare il mio ingresso nella dimensione sociale del paese.

Ecco di seguito tre schermate da WhatsApp [img. 1-3] riguardanti uno scambio di messaggi avvenuto per la Pasqua del 2017, quindi non ancora nella coercizione del tempo Covid. Si è trattato di un piccolo servizio fotografico esaustivo dei momenti centrali della processione, tra cui l’ampio utilizzo delle tràccole – strumenti rumorosi della Settimana Santa – da parte di bambini e adolescenti, con l’aggiunta di alcune interessanti novità etnografiche come, per esempio, la vendita di riproduzioni artigianali dell’immagine dell’Ecce Homo, figura sacra a cui è tributata una particolare devozione popolare [Ricci 2000].

Il dialogo su WhatsApp presente nelle tre immagini è scaturito dalla richiesta di EL in merito alla mia presenza alla processione. In seguito alla mia risposta negativa, egli mi ha inviato una selezione di immagini che, a suo parere, avrebbero potuto interessarmi.


Img. 1 Img. 2 Img. 3

Esempio 2.

Il secondo esempio riguarda MP, figlio di AP, pastore di capre, zampognaro e accordatore di campanacci, una delle principali figure della mia ricerca a Mesoraca negli anni ’90. Avevo conosciuto MP all’età di cinque anni, quando già seguiva frequentemente il padre in molte attività di pastorizia e di vita in campagna. La persistenza della mia ricerca con il genitore ha favorito un particolare rapporto di affezione anche con lui e una continuità del nostro rapporto. Tutt’oggi, mi scrive periodicamente messaggi, mi avvisa quando viene a Roma per qualche motivo; nelle varie occasioni calendariali ci scambiamo gli auguri e mi chiede se penso di andare a Mesoraca. Suo padre ha un telefono cellulare che non usa per navigare in rete e neanche per le applicazioni social. Quindi il rapporto tramite WhatsApp passa unicamente attraverso MP.

Le prime due schermate che ho riprodotto [img. 4-5] sono, come quelle precedenti, relative alla Pasqua del 2017. Gli avevo comunicato la mia impossibilità a partecipare alla processione e gli avevo chiesto di inviarmi qualche foto, anche perché sapevo che invece egli vi avrebbe partecipato da protagonista. Le immagini mostrano alcune fasi della preparazione nella sacrestia della chiesa e alcuni momenti della processione in cui MP era impegnato nel trasporto di una delle croci. Nel commento finale mi ha chiesto se avevo riconosciuto chi fosse il Cristo del Calvario, il personaggio vestito di rosso: era il figlio di un altro pastore, ugualmente mio importante informatore. In una delle foto era presente sua madre vestita a lutto: tradizionalmente, infatti, la madre della persona che interpreta il Cristo del Calvario deve affiancare il figlio per tutta la processione.

La terza schermata [img. 6] è della fine del 2017 e riguarda lo scambio di auguri di fine anno. Avevo ricevuto da un’altra persona di Mesoraca una fotografia che ritraeva suo padre impegnato a suonare la zampogna in coppia con un altro suonatore, affiancati da due modelle in abito da sposa. Dai riflessi visibili nella foto, sembravano dietro il vetro di una vetrina di negozio. L’immagine inconsueta mi aveva incuriosito molto. In realtà AP, notissimo suonatore di zampogna in quel territorio, viene spesso chiamato per eventi di vario tipo. In quell’occasione suonava in una manifestazione natalizia a Crotone organizzata da alcuni negozi di abbigliamento.


Img. 4 Img. 5 Img. 6

Esempio 3.

LG, di cui parlo nel terzo esempio, è una cantante di repertori religiosi che esegue in ogni occasione rituale del ciclo dell’anno. È stata contadina e panificatrice ed è una delle persone che mi ha maggiormente aiutato durante i miei soggiorni a Mesoraca. Mi invitava spesso a casa sua a mangiare, mi riforniva di legna per il camino, organizzava gli appuntamenti con le altre donne con cui si ritrovava a cantare insieme. È stata una delle persone chiave della mia ricerca sul suono, sull’ascolto, sul valore sociale e culturale del paesaggio sonoro del suo paese. Ha interpretato il mio lavoro come un processo di valorizzazione della sua cultura e dei suoi canti percependo l’importanza della documentazione sonora e visiva: mi ha sempre chiesto di poter avere copie delle foto e delle registrazioni che realizzavo per poterle custodire.

Nel corso dei nostri scambi di messaggi tramite WhatsApp ho notato che ha sempre privilegiato le registrazioni audio a quelle video. Ne avevamo parlato molto durante il mio terreno intensivo negli anni ’90. Io le ho spiegato la mia scelta delle audio riprese che orientano acutamente l’attenzione verso l’ascolto dei canti, mentre le fotografie garantiscono un buon riscontro visivo senza invadere il campo uditivo. I suoi commenti ai brani che registravo nelle varie chiese del paese erano sempre ricchi di riferimenti a questo o a quell’elemento sonoro, ai riverberi delle chiese, alle voci che si mischiano insieme, all’effetto uditivo che si produce e al collegamento tra gli elementi acustici e il sentimento religioso. Tutte le volte erano per me momenti di densa acquisizione di una sua prospettiva acustemologica, per usare il termine coniato da Steven Feld [2010] per indicare il processo conoscitivo e la costruzione di senso che si produce a partire dalla sfera uditiva.

Non è un caso dunque che la multimedialità della nuova tecnologia digitale e soprattutto la facilità d’uso di WhatsApp nel fare foto e registrazioni l’hanno immediatamente conquistata. Infatti, negli ultimi anni, col suo telefono, LG ha soltanto registrato e fotografato, nonostante la pratica più comune sia ormai quella di fare video, soprattutto durante le processioni.

Le prime quattro schermate [img. 7-10], come nei precedenti esempi, risalgono al 2017.

L’immagine numero 7 riguarda il periodo quaresimale: a partire dal mercoledì delle Ceneri in alcune chiese del paese sono eseguiti rosari cantati in maniera responsoriale da due gruppi di donne. Chiesi a LG se fosse il rosario delle Quarantore e se la chiesa fosse la Candelora. Lei precisò che le Quarantore si cantano nella chiesa del Ritiro e che le registrazioni che mi aveva mandato invece erano state fatte alla Candelora. Le immagini numero 8-10 sono relative alla processione del Venerdì Santo. Le avevo comunicato che non avrei potuto esserci e lei mi ha mandato alcune registrazioni e delle foto riprese durante la processione.

L’immagine numero 11, del 14 luglio 2018, mostra una serie di registrazioni di canti per la festa della Madonna del Carmine.

Al 2022 risalgono le ultime due schermate [img. 12-13].

La prima è del periodo quaresimale. Io le ho nuovamente chiesto, facendo ancora confusione, se fosse il rosario per le Quarantore. Lei ha precisato chiarendo che era il rosario per la terza domenica di Quaresima eseguito nella chiesa della Candelora, aggiungendo che a cantare erano circa trenta persone.

La seconda [img. 13] è relativa a una videoripresa pubblicata sulla pagina Facebook del Santuario del santissimo Ecce Homo nei pressi di Mesoraca. Nel 2022 ricorreva la festa settennale dell’Ecce Homo che prevede una lunga e complessa sequenza di eventi rituali a partire dal Primo maggio per tutto il mese. Una ricca fiera si svolge nella prima settimana: un tempo riguardava anche gli animali da allevamento. La ripresa video derivava dalla diretta Facebook organizzata per la Novena dell’Ecce Homo, preceduta da una lunga sequenza di preghiere e da un rosario cantato: la guida sonora di tutto l’evento è stata LG, la quale, collocata sul lato destro dell’altare con un microfono in mano, eseguiva gli incipit di ogni strofa dei canti e del rosario a cui seguivano le parti responsoriali delle altre voci.


Img. 7 Img. 8 Img. 9

Img. 10 Img. 11

Img. 12 Img. 13

Esempio 4.

Le successive immagini che presento riguardano LN, pastore di capre di Rossano in provincia di Cosenza, nato in Francia nel 1970, musicista e costruttore di strumenti musicali popolari, intagliatore del legno. Il nonno e il padre sono stati pastori, musicisti, intagliatori, narratori. Oggi LN, insieme ai figli, conduce autonomamente un gregge di circa cento capre e pecore. L’ho conosciuto nel 2005 avviando con lui un percorso di ricerca [Ricci 2006; 2009; 2011; 2015] sulle sue esperienze di vita, attraverso l’ascolto delle sue testimonianze raccontate a viva voce, per telefono o per messaggi telefonici. A volte sono state intime confidenze emerse dalla stretta vicinanza amicale che abbiamo costruito giorno dopo giorno, dal reciproco affetto: ci chiamiamo entrambi con lo stesso soprannome di compare Cariddi (Cariddi come il mostro mitico dell’Odissea).

Tema di fondo dell’indagine è stato l’insieme dei saperi sul suono e la musica: argomenti di carattere immateriale resi concreti tramite la capacità evocativa del racconto. Il progetto, ipotizzato insieme a lui, avrà per esito la realizzazione di un film, configurato secondo una prospettiva di etnografia filmica [Ruby 1975] sollecitata soprattutto dalla sua capacità di raccontare in maniera spiccatamente performativa: una vera e propria azione del narrare nella quale si mescolano tecnica della voce e del corpo, scelte lessicali ed espressive, elementi cinesici e prossemici, luoghi e tempi della memoria che affiorano nel presente.

Fin dai primi incontri la relazione con LN è stata caratterizzata da storie di vario genere e argomento, a volte non propriamente pertinenti al motivo della mia ricerca, ma sempre utili per costruire una profonda intesa. Il tempo dedicato a raccontare si è via via dilatato andando a occupare interamente i lunghi pomeriggi al pascolo, compresi gli intervalli di riposo concessi dalle rare soste delle capre. Col trascorre del tempo la mia presenza è diventata una consuetudine, con la telecamera tenuta sempre pronta a riprendere.

Nel 2018 LN ha cominciato a utilizzare uno smartphone ed è stato per lui naturale condividere momenti del suo tempo e delle sue attività tramite fotografie, video e audio ripresi e trasmessi con WhatsApp.

La prima serie di immagini risale ai mesi del lockdown per il Covid iniziato a marzo del 2020. I messaggi, rispettivamente del 9 e dell’11 marzo visibili nella prima schermata [img. 14], rendevano conto del grave disagio dovuto all’improvvisa chiusura di tutte le attività pubbliche. Io gli descrivevo le mie difficoltà a riorganizzare da remoto le lezioni universitarie appena avviate; lui mi metteva a parte delle sue difficoltà a praticare la vendita ambulante dei prodotti caseari a causa dei divieti alla circolazione imposti dalla quarantena nazionale.

Come ricordiamo tutti, per qualche mese è stato impossibile muoversi dalla propria regione e dal proprio comune e quindi io non ho potuto andare in Calabria fino al mese di giugno. Potevo ricevere notizie delle sue principali attività lavorative tramite WhatsApp: infatti, la seconda schermata del 6 aprile 2020 [img. 15] mostra fotografie della vendita annuale dei capretti avvenuta con molta difficoltà a causa delle limitazioni alla circolazione; la terza del 19 aprile [img. 16] mostra i prodotti del periodo primaverile dopo Pasqua, formaggi e ancora capretti, rimasti invenduti per il blocco; la quarta e la quinta del 26 maggio [img. 17-18] riportano una sequenza della tosatura annuale delle pecore.

In tempo normale avrei seguito tutte queste attività di persona, anche perché avrebbero potuto evocare qualche episodio da narrare, qualche elemento della sua storia di vita da aggiungere. In quei mesi, invece, l’etnografia si è trasferita sul web e tramite il telefono: infatti, le immagini appena riportate si trovavano all’inizio o alla fine di una conversazione telefonica nella quale LN mi metteva a parte di com’era andata, dei problemi che c’erano stati, riportava alcuni ricordi di suo nonno che aveva vissuto l’epidemia di spagnola, e così via. Di volta in volta ho preso appunti con l’intenzione di fare delle riprese video quando sarebbe stato possibile.


Img. 14 Img. 15 Img. 16

Img. 17 Img. 18

La seconda serie di fotografie ruota intorno a un brutto episodio di aggressione di lupi ad alcune pecore. LN mi aveva telefonato per comunicarmi la mancanza di otto animali ed era preoccupato perché da qualche mese erano stati avvistati alcuni lupi. Il 23 luglio 2021 mi mandò le fotografie dei resti delle pecore sbranate che aveva trovato nella sua zona di pascolo [img. 19-20]: erano solo due, ma nel messaggio affermava che sicuramente tutte le otto pecore erano state uccise dai lupi. Come altre volte, dopo il messaggio mi telefonò per raccontarmi l’accaduto con grande dispiacere per il danno subito e per il pericolo che continuava a esserci. La mattina del giorno dopo, il 24 luglio, mi inviò un messaggio per descrivermi un sogno che aveva fatto la notte prima [img. 21]. Era particolarmente ricco di elementi simbolici collegati agli animali e alla sua dimensione culturale di pastore. Di seguito lo riporto brevemente: una persona gli chiedeva di voler comprare delle campane per gli animali e c’era un negozio che le vendeva; si sono avvicinati a un acquirente che ne stava provando alcune da comprare e questi li avvertì che per entrare nella bottega bisognava mettersi addosso una coperta; a un tratto LN ha visto suo padre su una collina e ha cominciato a salire; poi ha visto anche suo fratello, il suo ex suocero, la sua ex moglie e si è svegliato di soprassalto.

Nel pomeriggio mi telefonò per commentare il sogno sottolineando la presenza di suo padre, delle capre e delle campane. Affermava, come aveva fatto altre volte, che la presenza nel sogno di suo padre e delle capre sarebbe il segnale di qualcosa che gli accadrà, oppure, come in questo caso, di un avvenimento appena accaduto: suo padre vuole comunicare con lui. Qualche giorno dopo, il 28 luglio 2021, arrivò un suo messaggio nel quale confermava di aver trovato tutte le pecore sbranate e portate qua e là dai lupi [img. 22]. Infine, il 5 agosto 2021 ero in Calabria e gli chiedevo di poter registrare con la telecamera il racconto di quel sogno [img. 23].


Img. 19 Img. 20 Img. 21

Img. 22 Img. 23

L’apprendimento in un contesto di oralità è un’altra tematica che sto approfondendo con LN. L’argomento è emerso con continuità attraverso i racconti riguardanti soprattutto il rapporto con suo nonno [Ricci 2015]. Attraverso la relazione affettiva con l’anziano parente egli ha incorporato un insieme articolato e complesso di saperi, non solo tecnici legati all’uso di attrezzi, alla pratica lavorativa dell’allevamento del bestiame e della produzione casearia, all’uso di strumenti musicali e via dicendo, ma anche, soprattutto, modi di comportamento, forme dei rapporti sociali, orizzonte d’ideologie: più in generale uno stile di vita. Con suo figlio DN, nato nel 2011, sta avvenendo qualcosa di simile, col favore dello stretto e particolarmente intimo rapporto instaurato tra padre e figlio. Nel corso degli anni il piccolo ha imparato tecniche e modi di comportamento del lavoro pastorale. Ogni volta che ci sentiamo per telefono o che ci incontriamo di persona percepisco l’incremento di competenza acquisita dal bambino attraverso le richieste di LN. DN è fortemente attratto dalla lavorazione a coltello del legno e in generale dall’uso di attrezzi da taglio inusuali per la sua età. Si lascia incantare dai racconti del padre.

Nelle discussioni con LN ho più volte sottolineato il comportamento di DN che, in qualche modo, sembra ricalcare la sua stessa esperienza di vita, pur con le consistenti differenze dovute ai cambiamenti sociali sopravvenuti nel tempo. Sia a lui che a me è sembrato opportuno inglobare nell’insieme della ricerca quanto stava avvenendo con suo figlio. Le immagini seguenti sono significative esemplificazioni della condivisione di interessi etnografici che marcano il mio lavoro con LN e consentono una continuativa pratica di etnografia ibrida.

Nelle quattro schermate si possono seguire alcuni momenti dell’apprendimento della tecnica musicale della zampogna e dell’intaglio del legno per costruire lo strumento. Le prime due sono del 21 ottobre 2019 e mostrano DN e poi LN impegnati a suonare [img. 24-25]. Nella seconda è presente una ripresa fatta dal figlio, che ha usato l’inquadratura orizzontale del telefono al posto della più usuale verticale perché più volte ne avevamo parlato [img. 25].

Le altre due sono della fine del 2020: la ripresa del Covid aveva bloccato nuovamente gli spostamenti. Nella schermata del 19 dicembre 2020 LN mi ha mandato la foto della prima zampogna costruita dal bambino [img. 26]. Alla mia domanda se lo strumento effettivamente suonasse, il 23 dicembre mi ha mandato foto e registrazioni di suo figlio da ascoltare [img. 27].


Img. 24 Img. 25


Img. 26 Img. 27

Esempio 5.

Nell’ultimo esempio, che riguarda ancora il contesto familiare di LN del quale ho già parlato nel paragrafo precedente, mi riferisco a una mia richiesta di integrazione di informazioni, di dati e di immagini delle quali avevo bisogno per preparare un testo [Ricci 2020] per un volume dedicato alla festa di Halloween [Bonato, Zola 2020].

Il 31 ottobre del 2019 a Rossano avevo assistito alla preparazione di alcuni bambini per la mascherata serale della festa. Non avevo indagato a sufficienza l’argomento perché si era trattato di un evento nel quale mi ero imbattuto estemporaneamente e non avevo nemmeno fatto fotografie in quanto sprovvisto di macchina fotografica.

Per approfondire alcuni aspetti della festa di Halloween contattai tramite WhatsApp le due figlie maggiori di LN, SN e GN, che ne conoscono bene le usanze. Ne avevamo parlato la sera del 31 ottobre a cui ho accennato prima e sapevo che erano state loro a preparare gli abbigliamenti e le maschere per i bambini della loro famiglia e del rione. In considerazione della lunga e continuativa frequentazione a cui ho accennato, anche i figli di LN hanno nei miei confronti una familiarità di comportamento. Sanno che il mio lavoro consiste nel documentare aspetti culturali con fotografie e registrazioni, producendo testi e filmati: rispondere alle mie domande, farsi fotografare, ritrovarsi protagonisti di uno scritto fa parte del nostro usuale rapporto.

Le immagini che seguono sono tratte dalle schermate di WhatsApp comprese fra il 3 marzo 2020 – il nostro Paese stava per entrare in lockdown – e il 27 maggio 2021, quando le ragazze mi hanno comunicato di aver ricevuto il libro con il mio scritto su Halloween.

Le prime tre foto riportano lo scambio iniziale di messaggi con la mia richiesta di informazioni preliminari e di fotografie dell’avvenimento [img. 28-30].

A distanza di pochi giorni mi sono arrivate le fotografie che loro stesse avevano messo insieme [img. 31-35]. Nel mio saggio le ho pubblicate quasi tutte evidenziando che si trattava di immagini realizzate dalle stesse protagoniste e precisando la metodologia e la modalità di raccolta della documentazione, il loro diretto coinvolgimento e il risultato frutto di un intreccio di punti di vista.


Img. 28 Img. 29 Img. 30

Img. 31 Img. 32 Img. 33

Img. 34 Img. 35

Le successive immagini [img. 36-39] si riferiscono alla registrazione del colloquio telefonico avuto con GN e SN: approfondimenti e chiarimenti dovuti in parte ai disturbi presenti nella registrazione via telefono. Mi incuriosì, in particolare, un breve cenno delle ragazze a una questua rituale che si faceva la sera del Primo novembre, quindi non per Halloween in senso stretto, ma per la festa contadina dei morti, una differenza, questa, messa in luce da loro stesse.

La schermata con i commenti sul libro chiude l’intera sequenza [img. 40].

Img. 36 Img. 37 Img. 38

Img. 39 Img. 40

Qualche riflessione poco conclusiva

Gli esempi su cui mi sono soffermato sono una selezione molto stretta di quello che ho raccolto e di cui dispongo nel mio «archivio» WhatsApp. Ho estratto i momenti, a mio avviso, significativi e rappresentativi di conoscenza etnografica e anche quelli che fanno emergere meglio l’impostazione metodologica che ho già chiarito all’inizio: la convinzione che la modalità a distanza produca risultati interessanti per un lavoro scientifico se a monte vi sia stata una continuativa frequentazione in presenza da parte del ricercatore. Infatti, è imprescindibile la costruzione di un denso rapporto di scambio e condivisione di intenti fra chi fa ricerca e le persone con cui si entra in contatto: non indiscriminatamente con tutte, bensì con quelle che hanno mostrato un reale e autonomo interesse intorno ai temi culturali trattati. A partire da questa idea metodologica, nella mia esperienza di ricercatore si è generato quasi spontaneamente un dialogo a distanza sugli argomenti del mio lavoro. Telefonate, messaggi, foto, video e audio hanno cominciato a viaggiare in rete stratificandosi nel tempo come un deposito di telematiche memorie documentali. Le persone protagoniste degli esempi si sono lasciate coinvolgere e mi hanno coinvolto nei modi e nelle forme che hanno ritenuto più consone alla propria idea di valore culturale da attribuire alla scelta e alla proposta dei documenti da condividere. Gli aspetti dell’autorappresentazione e della consapevolezza con cui pensare le proprie espressioni culturali, in tal modo, sono emersi con chiarezza e, a volte, con inaspettata e sorprendente decisione. Ognuno degli interlocutori ha deciso come selezionare le informazioni, cosa mettere in evidenza con le immagini e con i suoni, a quali elementi dare il dovuto rilievo, e così via. Ciascuno di loro ha proposto un tassello di densa etnografia «dal punto di vista del nativo». L’ausilio di una tecnologia digitale ha fornito non soltanto un supporto tecnico per la trasmissione e la condivisione, ma anche una cornice espressiva adatta a rappresentare le idee sulla propria cultura in totale fiducia in merito all’utilizzo che io ne avrei potuto fare. Così, quando ho accennato loro di voler utilizzare i nostri messaggi WhatsApp per un intervento a un convegno di studio, ho ricevuto commenti positivi e di curiosità sul risultato e sull’interesse che i loro documenti avrebbero potuto suscitare in un pubblico di studiosi. Vedremo se e come approveranno anche il risultato confluito in questo articolo.

Bibliografia

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1 Ringrazio sentitamente Matteo Aria, Francesco Faeta, Laura Faranda e Roberta Tucci per aver letto, commentato e consigliato miglioramenti a questo articolo.

2 Questo articolo si configura come una prima proposta di lavoro intorno a una realtà, quella dell’etnografia ibrida, che appare ancora un campo di ricerca decisamente in fieri. I riferimenti bibliografici qui riportati e il loro utilizzo risentono della natura iniziale del lavoro proposto e si limitano alle referenze essenziali per collocare una forma di approccio al terreno su cui sarà sicuramente necessario continuare a lavorare e a interrogarsi. Non ho, pertanto, ritenuto di produrre una rassegna critica sulla bibliografia esistente sul tema, peraltro discontinua nei contesti e negli esiti, che pure meriterebbe un approfondimento.

3 Ho ritenuto di delimitare a cinque la rappresentatività degli esempi proposti, ritenendo, come ho anche esplicitato nel testo, che una forma di etnografia in profondità, come quella da cui essi partono, sia incompatibile con i grandi numeri di un sondaggio, una survey, che può sicuramente fornire panorami statistici, ma di sicuro non restituisce aspetti e risultati di pregnanza qualitativa da cui soltanto possono scaturire dati utili per un approccio di antropologia culturale.