Editoriale n. 1 - 2023

Alberto Baldi

Dipartimento di Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli Federico II

Eugenio Zito

Dipartimento di Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli Federico II


Indice

Diseguaglianze. Migrazioni, crisi pandemica, nuove pratiche
etnografiche

Miscellanea

Recensioni



Il numero 1 del 2023 di EtnoAntropologia, di cui di seguito si riportano alcune note introduttive ai saggi pubblicati, ospita una corposa sezione monografica dal titolo “Inégalités. Migrations, crise pandémique, nouvelles pratiques ethnographiques” curata da Fiorella Giacalone. Tale sezione consta di dodici contributi, alcuni scritti in collaborazione, per un totale di diciassette autori tra stranieri e italiani a cui si aggiunge l’introduzione della curatrice.

A questa monografica si affianca una sezione miscellanea in cui trova spazio un solo saggio di ricerca ed infine due recensioni.

Diseguaglianze. Migrazioni, crisi pandemica, nuove pratiche etnografiche

Come chiarito dalla curatrice nel testo introduttivo alla sezione monografica “Inégalités. Migrations, crise pandémique, nouvelles pratiques ethnographiques” i saggi che la compongono derivano dai contributi di alcuni partecipanti al XXXIII Atelier Eurethno – III Conférence du Groupe de Travail Francophone della Société Internationale d’Ethnologie et de Folkore (SIEF), dal titolo “Inégalités”, tenutosi presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia nel settembre 2022. Tale sezione monografica è suddivisa in due parti, la prima focalizzata sul tema di diritti e disuguaglianze, la seconda centrata sulle nuove forme di etnografia e narrazione in tempi pandemici.

Partendo dal dibattito sui diritti civili, sociali e politici, i contributi della prima parte riflettono in particolare su alcune dinamiche esistenti nei territori locali, al fine di cogliere quelle pratiche che causano esclusione sociale per poterla così fronteggiarla e promuovere piuttosto inclusione. Più nello specifico relativamente a questa prima parte, nei loro saggi, Laurent Fournier discute di diseguaglianze ripercorrendo il relativo dibattito in antropologia e sociologia; Fiorella Giacalone affronta i diritti sociali e politici dei migranti sottolineando il ruolo fondamentale dell’antropologia applicata per far fronte al problema delle discriminazioni; Alessandra Pioggia affronta dalla prospettiva del diritto sanitario il delicato tema del diritto di accesso alle cure per tutti i cittadini; Alessia Fiorillo si interroga sul diritto di accesso al lavoro delle persone svantaggiate o vulnerabili con un focus sull’agricoltura sociale; Inga Kuzma, Emilia Pach e Tatiana Danilova analizzano il diritto alla sopravvivenza e il rispetto della dignità umana attraverso un’indagine sul campo su pratiche di accoglienza rivolte a senzatetto e profughi di guerra; Chantal Crenn, Sarah Marchiset e Isabelle Techoueyres esaminano il diritto di accesso al cibo e il significato sociale e simbolico delle pratiche legate al cibo stesso, mostrando le diseguaglianze alimentate dalla pandemia in questo ambito; Alicia Vogt riflette sul diritto di accesso alle misure di protezione sociale e professionale in condizioni di cessazione/trasformazione delle attività durante la pandemia con un focus sui musicisti.

Nella seconda parte, centrata sui temi di etnografia digitale, social network, media digitali e tecnologie della comunicazione, nel loro saggio Evangelos Karamanes e Stamatis Zochios, ma anche Antonello Ricci e Gianfranco Spitilli rispettivamente nei loro contributi, mostrano come la pandemia abbia condotto gli studiosi a ridisegnare le pratiche di ricerca con l’utilizzo di nuove modalità e strumenti nella prospettiva del digitale. Ancora in questa parte Alfonsina Bellio e Vilmos Keszeg evidenziano come la crisi sanitaria abbia cambiato la percezione del dolore e della sofferenza, la prima attraverso il metodo dell’autoetnografia stimolando la narrazione personale degli studenti su fragilità, vulnerabilità e precarietà, mentre il secondo riflettendo sulla narrazione di eventi pandemici, attraverso l’esame della produzione di racconti sul web.

Dalla pluralità di voci di questa ricca sezione monografica emerge complessivamente quanto di fronte alla presenza di diverse forme di disuguaglianze sociali, religiose, di genere e ad un mondo attraversato da cambiamenti veloci e profondi, che mettono al centro il digitale, il web e i social media, l’antropologia è chiamata sempre di più da un lato, anche all’interno di un confronto interdisciplinare, ad impegnarsi attivamente su vari fronti sociali e in molteplici contesti, dall’altro a ripensare, riformulare, re-immaginare il suo stesso apparato metodologico.

Miscellanea

Nella sezione miscellanea trova posto il saggio di Osvaldo Costantini dal titolo “Messa in strada. Note etnografiche sull’occupazione dello spazio attraverso la religione tra gli srilankesi alla Sanità (Napoli)”. In esso vengono analizzati processi e dinamiche sociali che ruotano intorno alla ricerca di uno spazio di preghiera a Napoli da parte di cattolici originari dello Sri Lanka durante il lungo periodo della pandemia di Covid-19. L’autore si focalizza, in particolare, sui significati sociali e simbolici relativi all’“occupare” un pezzo di strada pubblica nel quartiere Sanità, collocato nel cuore del centro storico della città di Napoli. La Sanità è infatti anche un’area gestita da poteri diversi con forti forme di auto-organizzazione che governano le cose senza ricorrere a una mediazione formale/giuridica, creando così una vita urbana insolita rispetto alla media di quella delle altre città italiane ed europee. Partendo dal mostrare come funziona questa mediazione diretta, l’autore si collega al dibattito nelle scienze sociali relativo a come i gruppi religiosi migranti si muovono all’interno del quadro di “regole locali” nell’uso dello spazio sociale, che è anche pratica di affermazione di gruppo, rivendicazione del diritto alla città, nonché possibilità di negoziazione nei rapporti di potere.

Recensioni

Due sono le recensioni presenti nel numero, firmate rispettivamente da Alberto Baldi e Tamara Mykhaylyak.

La prima recensione, di Alberto Baldi, riguarda il volume di Antonello Ricci dal titolo Sguardi lontani. Fotografia ed etnografia nella prima metà del Novecento edito nel 2023 da FrancoAngeli (Milano). Come chiarisce subito l’autore della recensione un accurato studio di casi è ciò che Antonello Ricci propone in questo suo lavoro appena pubblicato in cui indaga il rapporto di alcuni grandi nomi dell’antropologia con l’immagine, in prima istanza con la fotografia da essi variamente impiegata e prodotta nella ricerca etnografica. Nella sua recensione Baldi sottolinea che non sono molti i casi di opere come questa di Antonello Ricci dedicate a tale tema, dove si recuperano sì sguardi lontani, ma resi prossimi a chi legge e si occupa di immagini grazie a un nutrito corredo di variegate e preziose fonti che disvelano la densità di approcci etnografici sostenuti da pertinenti impieghi di apparecchi fotografici e cinematografici. Uno dei primi pregi del volume consiste proprio nel fatto di essere caratterizzato da una densa sequenza di fotografie, tutte accompagnate da soddisfacenti apparati didascalici strettamente legati ai testi a cui rimandano. Inoltre le foto sono collocate in un’unica e compatta sezione che sembra ribadire una presenza non secondaria delle immagini stesse rispetto alla parola scritta. Come Baldi mostra molto bene, sul piano dei contenuti Ricci appronta un’antologia di autori italiani e stranieri dei quali descrive e analizza il rapporto con i mezzi di ripresa audiovisiva. In questo modo non limita il discorso, come spesso accade, alla sola fotografia, ma lo estende a riprese e sequenze cinematografiche. Colpisce inoltre positivamente il fatto che l’etnografia visuale non possa e non debba rimanere circoscritta alle attività di registrazione fotografica, cinematografica e audio sul terreno. Spesso, in seno all’antropologia, il dibattito si concentra soprattutto su metodi e tecniche da definire, mettere a punto e attivare sul campo. Ricci ricorda invece che il ricercatore che usa dati visivi deve successivamente prospettarsi gli esiti di un’indagine che ha prodotto una documentazione visuale in linea con le caratteristiche e gli specifici dei mezzi impiegati. Infine Baldi sottolinea che il volume colpisce anche per il modo con il quale è definita e organizzata la galleria di ricercatori e studiosi “audiovisuali” su cui l’opera si concentra. Si tratta infatti di antropologi italiani ed esteri dei quali in diversi casi si trova traccia nella manualistica, ma senza che di essi si analizzi e si riproponga il loro precipuo rapporto con i mezzi di indagine visuali, che invece Ricci, ribaltando la consueta prospettiva, pone al centro della loro produzione scientifica.  

La seconda recensione, scritta da Tamara Mhykhaylyak, riguarda il volume di Oksana Kis’ dal titolo Sopravvivere nel Gulag. La resistenza quotidiana delle prigioniere ucraine, edito da Viella (Roma) nel 2023. La recensione fa riferimento alla traduzione italiana del volume a cura di Simone Attilio Bellezza e Iryna Kashchey, seguita alla originaria versione in ucraino del 2017 ed a quella americana del 2020. Il libro di Oksana Kis’ è tra le poche accurate ricerche che dà voce alle donne recluse nei Gulag a partire da uno studio condotto anche sugli archivi del governo sovietico a cui fu possibile accedere solo durante l’ultimo decennio del XX secolo. Il testo è corredato da molte fonti bibliografiche, in larga prevalenza femminili, quali testimonianze inedite ed edite delle ex detenute nei Gulag e ricerche scientifiche di studiosi sia dell’ex area sovietica sia dei paesi occidentali (Inghilterra, Stati Uniti e Canada). Nel testo sono presenti anche molti riferimenti agli archivi e alle fonti digitali che conservano la memoria e diffondono la conoscenza su questo tema. Infine arricchisce il volume una raccolta di immagini fotografiche corredate da dettagliate didascalie provenienti da musei locali e da raccolte private. Come sottolinea Mhykhaylyak, Oksana Kis’ si muove contemporaneamente in due direzioni, da un lato usa l’approccio storico che prevede il reperimento e l’analisi di documentazioni archivistiche e museali, dall’altro, essendo anche antropologa, raccoglie e propone magistralmente le storie di vita delle prigioniere politiche, che permettono di scoprire fatti assai poco noti della loro quotidianità nei campi. Inoltre, nel suo testo, Oksana Kis’ ribalta lo stereotipo che dipinge le donne, in eventi storici drammatici quali guerre e repressioni, come vittime deboli e impotenti, perché nel suo lavoro le sopravvissute alla repressione staliniana sono invece rappresentate come delle vincitrici. La vittoria delle prigioniere consiste nella loro resistenza quotidiana a un sistema che cerca di annientarle fisicamente e psicologicamente. L’idea di resistenza come vittoria è infatti il filo rosso che tiene insieme i sette capitoli densi di testimonianze e ricordi di cui si compone il volume. Come evidenzia Mykhaylyak lo scopo principale che Oksana Kis’ riesce così a raggiungere nel suo lavoro è quello di restituire alle donne un ruolo di coprotagoniste e attrici attive della storia, facendo emergere del fenomeno diversi aspetti fino ad ora ancora trascurati.