Viaggio a San Costantino

Vincenzo Esposito

Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale/DISPAC, Università degli Studi di Salerno

Indice

Bibliografia
Filmografia

Una lunga strada di sabbia. Si, sto citando Pasolini, il suo viaggio/reportage sulle coste italiane del 1959, alla guida di una Fiat 1100. Pasolini percorre la «lunga strada di sabbia», da Ventimiglia a Palmi e poi ancora più giù, fino al comune siciliano più meridionale, Porto Palo e la sua omonima isola, per risalire infine la costa orientale e arrivare a Trieste [Pasolini 2005].

Tale è la statale 18 che da Salerno porta a Reggio Calabria costeggiando il mare, a volte a picco su di esso, in alto sulle scogliere, altre volte subito dietro le spiagge sabbiose che lo delimitano. Il Tirreno è il mare che unisce la mia regione, la Campania, alla Calabria.

Sono diretto a San Costantino di Briatico, luogo natale di Luigi. Paese al quale è legato per sempre dalla memoria che portava per la sua terra, quella stessa memoria di cui è intriso ogni suo scritto, quella stessa terra che lo ricoprirà per sempre. Fa caldo. Tanto, troppo. Con me c’è Dina, mia moglie, sua allieva di Dottorato.

Prima di partire, scelgo un libro di Luigi che mi possa servire da viatico. Lo scelgo tra tutti quelli che ho, che popolano una parte delle mie librerie. Scelgo, quasi per caso, fidandomi di un istinto empatico, Il silenzio, la memoria, lo sguardo [Lombardi Satriani 1979]. Non c’è un motivo. Lo scelgo e basta. Mi riprometto di trovare, più tardi, il senso alla mia scelta.

Il mare si mantiene costantemente alla nostra destra, a due passi, visibile dal finestrino. Ombrelloni, bagnanti, canotti e salvagenti. Poi scompare perché imbocchiamo l’autostrada che ci porterà tra i monti Alburni, poi verso Lagonegro, in provincia di Potenza.


  
    ***

Ho conosciuto Luigi nel 1994. Avevo appena pubblicato il mio secondo libro dedicato ai pupi e ai burattini [Esposito 1994]. Qualcuno decise che dovevo mostrarglielo così gliene consegnai una copia. Per me era il professore Lombardi Satriani, l’antropologo presidente dell’Aisea-Associazione Italiana per gli studi Etnoantropologici. Mi ringraziò. Ci salutammo. Non capivo, non volevo capire nulla né di Accademia né di gerarchie accademiche. Non capivo neanche perché fosse tanto interessato al mio libro… raccoglieva gli atti di un seminario sul teatro di figura tenutosi a Salerno. Lui aveva già scritto, nel 1992, insieme a Domenico Scafoglio, un libro dedicato a Pulcinella. Dedicato a tutte le manifestazioni antropologiche di una delle figure più note eppure più complesse della cultura popolare mondiale. Un “carattere” universale e transnazionale. Il co-animatore di una coppia parodica per eccellenza, quella costituita da lui stesso e dal suo padrone. Una coppia parodica nella quale ognuna delle due parti tende a identificarsi, a proiettarsi sull’altra [Lombardi Satriani, Scafoglio 1995].

Come fossi davanti a un Pulcinella, aristocratico e popolare, anche con Luigi mi sono spesso sentito di fronte a un trickster, un signore del limite, in grado di superarlo per spingersi oltre e poi ritornare, rassicurante, nell’aldiquà. Signore del limite che separa senza disgiungere la vita dall’attività scientifica, dalla ricerca. «Noi siamo i libri che abbiamo letto, i luoghi che abbiamo visitato, le persone che abbiamo incontrato...» amava ripetere.

Quando ci incontravamo, d’estate, ospiti a Sant’Irene, dopo colazione e prima di godere del sole e del mare di Calabria, mi chiedeva di lavorare con lui, sulla terrazza del suo appartamento estivo. Accendevamo i computer ma, dopo poco, i suoi ragionamenti mi coinvolgevano totalmente; la sua attenzione al sociale, locale e nazionale, che concretizzava in una scrittura cristallina per i quotidiani e le riviste, prendeva il sopravvento e lì a discutere di fatti, di personaggi, di politica e di cultura. È così, per esempio, che ho scoperto le opere di uno scrittore eccezionale, calabrese come Luigi, Mario La Cava [1999], amico di Sciascia, capace di sintetizzare, nelle sue parole, un’idea più universale o, meglio, antropologico culturale, dell’Italia e degli italiani.

Leggeva giornali e libri, Luigi, sulla terrazza di Sant’Irene e dettava articoli, note, interpretazioni. Poi, dopo una bevanda o un frutto rinfrescante, si usciva. Lui guidava la macchina, io al suo fianco, per andare a comprare frutta e verdure – amava i pomodori – nelle campagne di Briatico e poi, tornando indietro e lasciando tutto in frigo, si scendeva al mare per farci cullare dai flutti del tirreno e ritrovare la compagnia affettuosa delle nostre consorti.


  
    ***

Da Lagonegro comincia la strada statale 585 Fondo Valle del Noce che collega, sullo sfondo del Monte Sirino, lo svincolo autostradale con la Riviera dei cedri, la parte settentrionale e balneare della Calabria. Nella zona è festa, risuonano le note di un organetto quando, io e Dina, ci fermiamo per rifocillarci. Sul monte, la terza domenica di giugno, è stata portata, a spalle dai fedeli, la statua della Madonna del Monte Sirino. O della neve. Nella sua cappella edificata nel 1629 dove resterà fino alla terza domenica di settembre. Le note dell’organetto si spengono mentre il suonatore ci chiede della nostra curiosità per la sua musica. Rispondiamo che fa parte del nostro lavoro. Ascoltiamo ancora un brano, immaginandoci sul monte tra i pellegrini.

***

Quante volte abbiamo discorso e discusso, con Luigi, di feste religiose tradizionali, di pellegrinaggi. Con lui che aveva curato, per i tipi dell’editore Meltemi, tre importanti volumi dedicati agli itinerari religiosi alle soglie del terzo millennio. Aveva coordinato allievi e studiosi a lui vicini per definire una mappa etnografica e interpretativa della pietà popolare romana, campana, calabrese. Elencarne i titoli non è solo storia dell’etnografia; è poesia delle concordanze fonetiche che tanto gli piacevano:

La sacra città. Itinerari antropologici-religiosi nella Roma di fine millennio [Lombardi Satriani 1999],

Santità e tradizione. Itinerari antropologici-religiosi nella Campania di fine millennio [Lombardi Satriani 2000a],

Madonne pellegrini e santi. Itinerari antropologici-religiosi nella Calabria di fine millennio [Lombardi Satriani 2000b].

Titoli che posseggono una cadenza musicale. Volumi che restano esemplari come studi contestuali dei fenomeni religiosi in prospettiva demoetnoantropologica.

Discutevamo del rischio che correva, l’antropologia italiana, vedendo affievolirsi, fino a sparire, l’interesse per gli studi sulla religiosità popolare. Sulle feste, sui rituali, sui pellegrinaggi. Bisognerà continuare ad occuparci di tali manifestazioni, certo senza dimenticare gli altri aspetti della vita sociale e culturale, diceva. Ma dimenticarli completamente sarebbe segno di provincialismo, di capitolazione a mode culturali esterofile. Non dimentichiamo la tradizione degli studi italiana, concludeva.

Quando gli comunicai che presto avrei intrapreso un’intensa attività di ricerca etnografica sui Riti settennali per l’Assunta di Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento, mi sembrò felice. Gli dissi che avrei coinvolto studenti, dottorandi e colleghi. Eravamo ancora a Sant’Irene. Mi fece accomodare sulla terrazza e mi raccontò della sua importantissima esperienza di ricerca proprio a Guardia Sanframondi, dal 1974 al 1975. Una ricerca legata alla sua attività di docente dell’Università di Napoli “Federico II” alla quale collaborarono anche Lello Mazzacane e Gianfranca Ranisio. La Rai-Radiotelevisione Italiana produsse, al seguito dell’équipe coordinata da Luigi, un documentario intitolato L’anno dell’Assunta. Un’inchiesta audiovisiva in 5 puntate, realizzate, appunto, nell’arco di tempo legato alla permanenza di Luigi e dei suoi collaboratori nel paese sannita.

Furono oggetto di ripresa non solo i riti nel loro svolgimento settennale, bensì la quotidianità della comunità guardiese nella sua interezza; un interesse mostrato verso l’intero ciclo antropologico dell’anno: il lavoro, la vita sociale, il divertimento, le tradizioni e le leggende arricchite da interviste, dibattiti e dialoghi scaturenti dal confronto generazionale, nei 12 mesi che precedettero l’anno dell’Assunta 1975. Ovviamente, la prima puntata fu denominata “L’autunno”, la seconda, “L’inverno” la terza, “La primavera”. Gli ultimi due episodi, quelli estivi, si intitolano “I riti dell’Assunta”, rispettivamente parte I e II. Ogni puntata durava circa un’ora [Lombardi Satriani (direzione scientifica) 1974-1975].

A Sant’Irene, nel 2010, in una lunga conversazione con Dina Gallo, Luigi così sintetizzò la sua esperienza di ricerca guardiese.

Furono osservati tutti i momenti di vita della comunità, dal carnevale alle feste religiose a quelle laiche; dalla raccolta delle ciliegie alla vendemmia. Questo, proprio per avere un ventaglio quanto più ampio possibile di dati utili per la contestualizzazione e l’interpretazione del rituale settennale. Dal punto di vista deontologico Lombardi Satriani non voleva presentarsi sul posto, insieme ai suoi collaboratori, come il depositario del sapere, come colui il quale era in grado di fornire alla popolazione locale la giusta e definitiva interpretazione di quanto succedeva in quel luogo. Questo atteggiamento non lo convinceva né sul piano scientifico né su quello metodologico. Invece, organizzò la sua missione etnografica attraverso il dialogo con le persone, cercando di rivedere insieme agli informatori e agli abitanti del contesto, quello che di volta in volta era stato girato dagli operatori sul campo. Tutto ciò doveva contribuire ad evitare che i guardiesi si percepissero irrimediabilmente come oggetto dello sguardo, come semplici portatori di dati.

Insomma, Lombardi Satriani e la sua équipe, non vollero arrivare in paese una settimana prima dei riti settennali per filmare il loro svolgimento riducendo, così, gli abitanti a meri oggetti di ricerca. Al contrario, il professore pensava che gli abitanti di Guardia, abituandosi alla presenza sul campo dei ricercatori anche in altri momenti dell’anno, si sarebbero sentiti parte attiva del processo di ricerca, soggetti, non oggetti. Pensava ancora che riguardando con loro quanto filmato, scegliendo insieme i pezzi che avrebbero fatto parte del documentario, nel periodo della festa dell’Assunta i guardiesi, li avrebbero guardati con un’attenzione diversa. Un tentativo di attenuare quel rapporto di rivalità e chiusura che molte volte può scattare tra chi osserva e chi viene osservato (…) Per cercare di creare un clima di collaborazione con i giovani di Guardia, Lombardi Satriani organizzò delle riunioni con essi in cui spiegò cosa intendevano fare in quanto studiosi e chiese la loro collaborazione. I giovani guardiesi accettarono le proposte fatte dal professore e, quasi sottoponendolo ad un “rituale di passaggio”, che gli avrebbe consentito di essere accettato nella comunità, lo invitarono a bere con loro. Come ha ricordato Lombardi Satriani, bere vino e soprattutto saperlo reggere, è, in molti contesti, segno di forza, di virilità e di appartenenza. La prova fu superata e la bevuta fu il passaporto di ingresso nella comunità guardiese [Gallo 2017, 44-48].

L’anno dell’Assunta è un raffinato esempio di antropologia visiva, di restituzione antropologica ante litteram. Luigi partecipava spesso a programmi antropologici televisivi divulgativi. Ricordo, ad esempio, i suoi commenti ai film etnografici presentati nella serie Churinga, il programma televisivo di antropologia visuale, in 15 puntate da 1 ora ciascuna, prodotto e distribuito da RaiSat, realizzato nel 1990 da Cecilia Pennacini. Fu proprio seguendo Churinga che mi avvicinai in maniera più critica all’etnografia visiva.

***

Siamo ormai giunti nella Riviera dei Cedri, in Calabria. Praia, Scalea, Cirella. Al largo, la mitica Isola di Dino. La meta non è proprio a portata di sguardo, San Costantino di Briatico dista ancora più di 150 km. Cedo il volante a Dina. Ne vorrei approfittare per riposare ma lo sguardo cade sul libro che ho con me, Il silenzio, la memoria, lo sguardo. Mi pare che riassuma, fin dal titolo, ciò che stiamo andando a fare. Un silente, doloroso sguardo che sveli la memoria e appalesi il ricordo che è sempre di natura culturale, costruito con la tenacia delle relazioni e del dialogo, della critica e della riflessività. Un processo olistico (rigoroso avrebbe aggettivato Luigi) che coinvolge intelletto e passione, razionalità e magia, mente e cuore. Non ho mai conosciuto un essere umano che abbia saputo avvantaggiarsi da tale contraddizione meglio di quanto abbia saputo fare Luigi. Ogni aspetto della sua vita è sempre stato il frutto del lavoro di sintesi tra queste duplici, ossimoriche istanze. Ho trovato una frase, nel libro, un “passo” che leggerò agli altri una volta arrivati a destinazione.

Intanto Dina macina chilometri. Siamo giunti a Pizzo, Tante volte simo passati di qui, in auto, in moto, in treno sempre per fermarci in Calabria a salutare Luigi e parlare con lui della nostra vita e dei nostri progetti. Una volta, seduti sulla sua terrazza affacciata sullo scoglio piatto detto “Praca”, ci chiese se avessimo mai mangiato il famoso Tartufo di Pizzo. Di fronte al nostro silenzio decise di sciogliere l’imbarazzo invitandoci a andare con lui, in auto, fino al delizioso paese dominato dal Castello Aragonese eretto, ci disse, nella seconda metà del XV secolo da Ferrante d’Aragona. Ovviamente a mangiare il Tartufo di Pizzo, con la nocciola e il cioccolato che colava dal cuore del saporitissimo gelato.

Era nata una forma di amicizia rigorosamente umana e disciplinare, che inorgogliva noi, suoi allievi, e sicuramente appagava il suo modo di esercitare un magistero che non è mai pesato sulle nostre spalle e sui nostri intelletti liberi e a lui comunque legati.

***

Gli avevo parlato di un Convegno su Ernesto de Martino, da tenersi presso la sede del Ceic- Centro Etnografico delle Isole Campane di Ischia e l’Università di Salerno, Campus di Fisciano, tra la fine del 2005 e la primavera del 2006, in occasione del quarantennale della scomparsa dello studioso napoletano. Lo invitai. Accettò con convinzione, anche perché gli avrebbe fatto molto piacere incontrare alcuni colleghi “napoletani”, conosciuti fin dagli anni dei suoi studi universitari in Scienze politiche, i professori Aurelio Musi, storico e Tarcisio Amato, politologo, i quali, insegnavano nel mio dipartimento. Mi propose, come tema del suo intervento, una riflessione su de Martino antropologo e politico La sua relazione rimase memorabile, il suo incipit viene ancora oggi ricordato: «Noi siamo certo i nostri pensieri, siamo i libri che abbiamo scritto – se per avventura abbiamo scritto dei libri – ma siamo anche le nostre emozioni, i nostri rapporti, il nostro passato, siamo le persone che incontriamo e che abbiamo incontrato. Un insieme inscindibile che forma la nostra concreta personalità, prima ancora di essere oggetto di una vivisezione che separa nettamente lo studioso da tutte le altre ‘persone’ che egli è» [Lombardi Satriani 2007, 27].

***

Inverno 2009/2010, Io e Dina ricevemmo una telefonata da Luigi e Patrizia. Ci chiedevano un consiglio. Avevano deciso di passare le vacanze invernali in Costiera amalfitana e ci chiesero dei suggerimenti su dove alloggiare. Ci proposero di valutare la possibilità di stare tutti insieme, noi quattro, nel periodo tra Natale e Capodanno.

Prenotammo due camere in un piccolo albergo di Minori. La proprietaria e direttrice ci accolse semplicemente, meravigliata dal fatto che le nostre compagne sapessero guidare così bene e parcheggiare negli spazi angusti della Costiera. Luigi si divertiva ad ascoltarne i discorsi.

I paesi della Costiera amalfitana sembravano veramente dei presepi in quei giorni e Luigi si divertiva a ricordarci che, come aveva tante volte detto, di “paesi come presepi “la letteratura, anche quella scientifica, era piena di esempi e citazioni ma che, viceversa, pochi erano stati coloro che avevano interpretato la costruzione degli oggetti-presepio come il tentativo di essenzializzare lo spazio e il tempo dei paesi reali, quelli dei presepisti. In questo modo, aveva scritto, non si rappresenta il paese in quanto tale bensì «la memoria del paese, ciò che del paese si vuole ricordare; i suoi tratti essenziali, spesso idealizzati; i suoi personaggi caratteristici. Ma, ancora di più, il presepe rappresenta il sogno di un paese, il paese sognato più che il paese reale. È il paese nel quale si vorrebbe vivere, spazio di rapporti interpersonali armoniosi, nel quale il conflitto, lo scontro sono misteriosamente annullati, è come se non fossero mai stati» [Lombardi Satriani 2000b, 25], Quella volta in Costiera, indicandomi, aggiunse che io, invece, su tali questioni avevo riflettuto e scritto [Esposito 1995]. Io, invece, cambiavo discorso, proponendo questioni organizzative e contingenti.

Il primo gennaio ci recammo ad Amalfi. Nell’ex Repubblica marinara era in programma, alle ore 12,15, nella Basilica del Crocifisso del Duomo di Amalfi, il “Gran Concerto di Capodanno”, patrocinato dall’Ente Provinciale per il Turismo di Salerno, con la “East Philarmonic Orchestra”, diretta dal M° Luigi Mogrovejo. Com’è tradizione, la performance si concluse con l’esecuzione della celeberrima marcia in onore del generale austriaco Josef Radetzky. Tutti battevano le mani al ritmo di marcia, tutti applaudimmo il maestro e l’orchestra, convinti della bontà dell’esecuzione, dell’intero concerto. La Radetzky-Marsch, come tutti sanno, è una marcia militare, composta da Johann Strauss padre, in onore del maresciallo Radetzky per celebrare la riconquista austriaca di Milano dopo i moti rivoluzionari in Italia del 1848. Ce lo fece notare Luigi, divertito dal fatto che gli italiani fossero così contenti di applaudire una pagina nefasta della nostra storia risorgimentale.

***

Gli ultimi trenta minuti di strada. Guido io. L’appuntamento è a mezzogiorno l’ora dei demoni meridiani, al Cimitero di Briatico, dove Luigi è sepolto. Nel mondo antico, per i greci ad es., [sto citando Roger Caillois, [1988], l’ora di elezione dei demoni e delle divinità era il mezzogiorno, l’unico momento della giornata che può essere individuato con precisione perché in quel momento, quando il sole è allo zenit, non esiste più l’ombra. Caillois, studiando le apparizioni agli uomini di demoni, sirene, ninfe nell’antichità, ci ha ricordato quale era la modalità della loro epifania: la tentazione, la seduzione. Luigi ha sedotto, in un modo o nell’altro, quasi tutti quelli che ha conosciuto. Ho ricevuto telefonate e messaggi elettronici di cordoglio da persone le quali, avendo avuto con lui un dialogo, anche minimo, anche lontano nel tempo, hanno espresso a me il senso del loro rammarico.

Ripensiamo, io e Dina, a come la sua morte ci abbia colto di sorpresa, intenti ad una ricerca sul campo sulle cosiddette “aree interne”, che ci aveva portati, per quelle misteriose correnti che decidono il procedere curioso degli antropologi, a Latina, Sermoneta, Ninfa, Cori. Eravamo in Lazio eppure non potevamo muoverci per raggiungere Luigi a Roma, per un ultimo saluto. Per motivi analoghi non era stato possibile neanche partecipare ai solenni funerali avvenuti, qualche giorno dopo, in Calabria. Così, consultandoci con la moglie Patrizia e il figlio Alfonso, avevamo deciso di recarci a San Costantino in prossimità del giorno dedicato, dal calendario, a san Luigi. Giorno nel quale non sono mai mancate le telefonate e gli scambi di auguri. Ormai siamo quasi arrivati. È mezzogiorno, l’ora dei demoni meridiani e cerchiamo il sepolcro di uno dei massimi studiosi del Mezzogiorno.

***

Marzo 2016, Settimana santa. Siamo andati a Montescaglioso con Luigi e Patrizia. Me lo aveva chiesto lui. Voleva rivedere i riti del Venerdì santo. Patrizia aveva individuato, a ridosso del centro storico del paese, un Bed & Breakfast nel quale avremmo trascorso la notte per poi spostarci, il giorno dopo, fino alla domenica di Pasqua, a Matera.

In quasi tutti i paesi meridionali, la visita al “Sepolcro”, la veglia in Chiesa, la processione con la croce al Calvario, quella con il Cristo deposto dalla Croce, raffigurato con le piaghe sanguinanti, si svolgono contrassegnate da antichi canti popolari o chiesastici popolareggianti nei quali si afferma la propria colpa, la propria condizione di peccatori e, quindi la propria corresponsabilità nei patimenti e nella morte del Cristo e in Lui si piange la morte, quale ognuno ha sperimentato nel dolore per la perdita delle persone care.

Nel quadro di questa religione popolare, solcata decisamente dall’ideologia della colpa, della penitenza, della necessità della sofferenza e del sacrificio per il superamento del male e della propria condizione di peccatori e, quindi, di portatori puntuali del male, ogni anno la cultura folklorica presentifica un modello di Dolore e Riscatto [Lombardi Satriani 1979: 84].

La processione dei Misteri del Venerdì Santo di Montescaglioso si svolse in un clima di assoluto silenzio e oscurità. Al calare del sole, quando l’ultimo barlume di luce lasciò il suo posto alle tenebre, dalle antiche chiese del centro storico, si avviò una processione, lentissima. Il corteo funebre per il Cristo morto, aperto dai “Mamuni”, gli incappucciati che portano corone di spine sul capo.

Accompagnati dalla banda cittadina che eseguiva toccanti marce funebri, sfilarono i Misteri. La processione prelevava, una da ogni chiesa, le sette pesantissime statue della Passione di Gesù. Erano portate, a spalla dai devoti. Avanzano con passo molto lento e oscillavano nella fredda notte che volgeva al gelo, Cristo incoronato Re, Cristo con la canna tra le mani, Cristo legato alla colonna, Cristo soccorso dalla Veronica, Cristo crocifisso, Cristo disteso morto, Cristo tra le braccia della Pietà seguite dall’Addolorata vestita a lutto. Il lugubre silenzio era interrotto dalle percussioni della “troccola”. Solo a notte fonda le statue sarebbero state ricondotte nelle loro chiese.

Per il freddo, decidemmo di rifugiarci nella chiesa di S. Lucia nella quale si aspettava l’arrivo della processione. Un coro ed un’orchestra di professionisti erano pronti ad eseguire le “Cantilene”, brani di musica sacra per coro e orchestra, sette-ottocenteschi, sosteneva qualcuno, intonati per l’Addolorata. All’ingresso in chiesa di Luigi, tutti gli prestarono attenzione, quasi l’avessero riconosciuto. Pensammo proprio questo: hanno riconosciuto lo studioso di antropologia. Nella chiesa gremita, si liberarono incredibilmente alcuni posti in prima fila, vicino all’orchestra, alle spalle del direttore.

Più tardi venimmo a sapere che i presenti avevano scambiato il prof. Lombardi Satriani per il regista Francis Ford Coppola, originario del non lontano paese di Bernalda, la cui visita era un po’ attesa, un po’ sperata.

Il giorno dopo, non molto presto, partimmo per Matera, per visitare i Sassi, magari a bordo di un’Ape calessino della Piaggio.

***

È mezzogiorno al cimitero di Briatico. Entriamo. Il sole è infuocato e l’aria pure. Dina individua subito, nel piccolo cimitero del paese, la cappella di famiglia. Siamo soli, aspettiamo Alfonso. Luigi è lì. Ci ha insegnato anche come onorare i maestri che non ci sono più e tuttavia sono nostri contemporanei. L’ho scoperto nel libro che mi portavo dietro da Salerno. La contemporaneità – scrive Luigi – come ci insegnava Ernesto de Martino, non può essere intesa come mera costatazione anagrafica se è vero che «ciò che conta non è […] l’essere anagrafico che accomuna nella sua indifferenza date di nascita e registrazione di morti». La contemporaneità è, invece, «l’essere che è cercato e riconosciuto» [de Martino 1975, 96]. In questo quadro “filosofico”,

Tentare di individuare alcuni tratti peculiari della personalità scientifica di studiosi delle generazioni precedenti, e per alcuni versi nostri contemporanei […] non è soltanto pietà storiografica. È, essenzialmente nel riconoscere alcune radici del nostro essere oggi demo-antropologi, che possiamo avere, per gli oppressi quest’attenzione oggi, perché altri ebbero ieri verso loro attenzione e tale attenzione, pur in forme inevitabilmente diverse, ci hanno trasmesso [Lombardi Satriani 1979, 23].

Siamo dunque contemporanei per l’attenzione a chi non è come noi e che, per tale difformità, viene oppresso e relegato ai margini del vivere sociale. Così diventiamo contemporanei dei nostri maestri, perché ci hanno insegnato tutto questo. Così, li ricordiamo e li onoriamo come maestri.

Ho letto questo brano al cimitero di Briatico per Luigi, per i suoi cari, per noi.

***

Pomeriggio, guida Dina. Con Patrizia e con la sua amica Gabriella siamo andati a prendere una granita a Parghelia, il paese di Alfonso. Mi ricordo di quando una sera, ospiti a Sant’Irene, Luigi dovette recarsi, per un impegno sulla costa ionica della sua regione. Non prima di averci detto di fare una bella visita a Tropea ed andare a cena, in qualunque ristorante, tanto si mangia bene dappertutto. “Però –aveva precisato – se vi fermate a cenare in quel certo locale e dite che siete miei ospiti, sarebbe meglio. Fate come volete”. Ci fece salire in macchina e ci accompagno fino a quel certo locale. Si accomiatò dicendoci che sarebbe tornato a prenderci a mezzanotte, esattamente lì dove ci stava lasciando. La cena fu squisita, Tropea è bellissima. A mezzanotte in punto ci ritrovammo e rientrammo a Sant’Irene.

***

Ciao Luigi. Siamo di ritorno e percorriamo a ritroso la lunga strada di sabbia della Statale 18, direzione Salerno. Fra cinque ore saremo a casa.

Bibliografia

Caillois R 1988, I demoni meridiani, trad. it., Torino: Bollati Boringhieri.

De Martino, Ernesto 1975, Mondo popolare e magia in Lucania, Roma-Matera: Basilicata ed.

Esposito V. 1994, Nel paese dei balocchi? Pupi, burattini, marionette, robot, Salerno: Ad litteram.

Esposito V 1995, Fu vista levarsi una stella. Il presepe contemporaneo, Salerno: Edizioni 10/17.

Esposito V. (a cura di) 2007, Materiali. Ernesto de Martino, 1 n.s., Ischia: CEIC-Centro Etnografico delle Isole Campane.

-- (a cura di) 2017, Il tempo dell’Assunta. Riti, immagini e storie a Guardia Sanframondi, Salerno: Oèdipus.

Gallo D. 2017, Una reciproca storia di osservatori e osservati, in Esposito V. (a cura di) 2017, pp. 36-84.

La Cava M. 1999, La melagrana matura, Roma: Donzelli.

Lombardi Satriani L.M. 1979, Il silenzio, la memoria e lo sguardo, Palermo: Sellerio.

-- 1999, La sacra città. Itinerari antropologici-religiosi nella Roma di fine millennio [Roma: Meltemi].

-- 2000a, Santità e tradizione. Itinerari antropologici-religiosi nella Campania di fine millennio [Roma: Meltemi].

-- 2000b, Madonne pellegrini e santi. Itinerari antropologici-religiosi nella Calabria di fine millennio [Roma: Meltemi].

-- 2007, L’antropologo, il politico, in Esposito V. (a cura di), 2007, pp. 27-37.

Lombardi Satriani L.M., Scafoglio D. 1995, Pulcinella. Il mito e la storia, Milano: Leonardo;

Pasolini P. P. 2005 La lunga strada di sabbia, Milano: Contrasto.

Filmografia

Lombardi Satriani L.M. (direzione scientifica) 1974-1975, L’anno dell’Assunta. Un’inchiesta audiovisiva in 5 puntate, regia televisiva di Giorgio Turi, Napoli: Rai-Centro per lo studio delle Tradizioni Popolari-CNR.

Pennaccini C. 1990, Churinga. Un progetto di antropologia visuale, Roma: Rai Sat.