L’arco e la freccia

Luigi Maria Lombardi Satriani, sui femminielli e Napoli

Eugenio Zito

Dipartimento di Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice

Bibliografia

La generazione più giovane è la freccia,

la più vecchia è l’arco

(John Steinbeck)

La notizia della scomparsa di Luigi Maria Lombardi Satriani mi ha colto di sorpresa a Casablanca alla fine dello scorso maggio; qui ero per la ripresa, dopo due anni di blocco per la pandemia di Covid, delle attività di ricerca della “Missione Etnologica Italiana in Marocco”, da me avviata tra il 2018 e il 2019 in collaborazione con l’Università Cadi Ayyad di Marrakech, sui temi del corpo, della salute e della malattia nel Paese, e come tale riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale nel 2020. La congiuntura non è irrilevante se si considera che proprio in quei giorni mentre ero lì, oltre che nei mesi precenti, nelle mie interlocuzioni sulle attività della Missione con la nuova direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Rabat, subentrata al suo predecessore che aveva visto nascere il progetto, quest’ultima, sollecitata in ciò dal mio settore di ricerca, l’Antropologia culturale, aveva più volte spontaneamente ricordato con entusiasmo e gioia la sua esperienza di studentessa nel frequentare le lezioni del “Maestro”, il professore Lombardi Satriani, presso l’Università della Calabria. In particolare ne aveva in varie occasioni ricordato il fascino intellettuale e la grande energia vitale che sempre l’avevano fortemente impressionata, anche quando negli anni successivi, da calabra come lui, spesso in viaggio per il suo impegno professionale, lo aveva in altra veste casualmente incontrato in treno verso Roma o in aeroporto, per la consuetudine che egli stesso aveva a viaggiare.

La forza di alcune persone è di continuare a sopravvivere alla loro scomparsa fisica attraverso il ricordo forte e vivo che lasciano di sé negli altri. In questo caso il ricordo dello studioso, del professore, figura intrecciata e in qualche misura indentificata con la disciplina stessa, l’Antropologia culturale, mi ritornava, in modo casuale e inaspettato, come un dono prezioso, attraverso la simpatia e l’interesse mostrati dalla direttrice per il mio lavoro di antropologo italiano in Marocco, rispetto al progetto di ricerca in fieri e al delicato momento della sua ripresa dopo lo stop per la pandemia, testimoniando quanto, attraverso le persone incontrate, l’energia vitale e intellettuale di alcuni possa oltrepassare i confini spaziali e temporali, ritornando su altri.

Vitalità intellettuale ed energia sono state, d’altro canto, le stesse dimensioni che avevano colpito me ogni qual volta lo avevo incontrato a Roma, con il suo elegante bastone da passeggio, oramai già in là negli anni e alle prese con varie problematiche di salute, ad alcune appassionate riunioni prima dell’Associazione Italiana per le Scienze Etno-Antropologiche (AISEA) e poi della Società Italiana di Antropologia Culturale (SIAC), tra il 2016 e il 2021, nelle ultime delle quali, in modalità digitale a causa della pandemia, nonostante tutto, pure era apparso molto attivo e partecipe.

Il mio primo personale contatto con Lombardi Satriani era avvenuto qualche anno prima, intorno al 2011, grazie a Gianfranca Ranisio, quando con Paolo Valerio, a partire dai risultati del mio lavoro di ricerca di dottorato e dopo un prezioso confronto con Gabriella D’Agostino che, su questi temi, aveva già lavorato [2000, 2010, 2013, 2019], decidemmo di provare a ricostruire più ampiamente il mondo oramai scomparso de I femminielli napoletani tra realtà storica, immaginario e memoria – come Lombardi Satriani stesso intitolò la prefazione alla prima edizione [2013] e poi alla seconda edizione aggiornata e ampliata [2019] del volume che ne venne fuori – mettendo insieme le voci di più ricercatori, che a vario titolo e da diversi ambiti disciplinari, si erano avvicinati al tema. Ci fu immediatamente chiaro che tale percorso non poteva non partire dal suo lavoro a Napoli negli anni Settanta e da quello di alcuni dei suoi collaboratori più stretti dell’epoca come Pino Simonelli. Quest’ultimo, per primo, aveva osservato scientificamente il fenomeno e aveva avuto in merito a esso, e al rapporto con la città di Napoli, alcune lungimiranti intuizioni che non gli era stato poi possibile sviluppare oltre perché scomparso prematuramente [Simonelli, Carrano 1983, 1987].

A Napoli e al suo complesso universo culturale Lombardi Satriani era unito da sempre con un legame particolare, perché qui aveva compiuto i suoi studi universitari, trascorrendo la gioventù, qui aveva insegnato, prima all’Università Federico II dal 1974 al 1977 e poi vi era ritornato, ma all’Università Suor Orsola Benincasa a partire dagli anni Duemila, seguendo nel tempo ricerche e svolgendo lavori importanti su diversi aspetti della città e della Regione, qui era ancora ulteriormente ritornato nel tempo per tante altre occasioni, mantenendo rapporti forti con i collaboratori di una volta [Ranisio 2022].

Per tali ragioni, e certamente per il legame di amicizia e collaborazione scientifica con Pino Simonelli, appena interpellato in merito al nostro progetto, questi accolse senza indugio, con gentilezza e curiosità, l’invito a scrivere la prefazione al volume Genere: femminielli. Esplorazioni antropologiche e psicologiche (a cura di Eugenio Zito e Paolo Valerio) uscito nel 2013 e poi ripubblicato in versione aggiornata e ampliata nel 2019 (presto disponibile anche in edizione spagnola e inglese) con il titolo Femminielli. Corpo, genere, cultura. Il libro, in entrambe le edizioni, contiene, tra l’altro, un originale testo proprio di Pino Simonelli, scritto in collaborazione con Gennaro Carrano, sul tema del matrimonio dei femminielli [Simonelli, Carrano 1983, 1987, 2013, 2019; Zito 2017].

Nel suo saggio di prefazione Lombardi Satriani [2013, 2019] chiarisce subito che il lettore potrà rapportarsi direttamente ai diversi scritti che lo compongono (di Patricia Bianchi, Mariella Miano Borruso, Gennaro Carrano, Gabriella D’Agostino, Annalisa Di Nuzzo, Corinne Fortier, Marzia Mauriello, Gianfranca Ranisio, Pino Simonelli, Nicola Sisci, Nico Staiti, Paolo Valerio, Francesca Verde, Maria Carolina Vesce, Eugenio Zito) cogliendo così, sulla scorta di essi e dei diversi ambiti disciplinari di appartenenza degli autori, le molteplici sfaccettature della complessa realtà dei femminielli, “uomini che sentono e vivono da donna” [Simonelli, Carrano 1983, 1987]. Come egli stesso racconta nel testo, con essi entrò personalmente in contatto nei primi anni Settanta, quando, ottenuto l’incarico di Antropologia culturale all’Università di Napoli Federico II, iniziò con entusiasmo la sua attività di insegnamento in città, nell’ambito della quale trovò una platea di studenti molto reattiva e fortemente desiderosa di confrontarsi criticamente con il proprio territorio. Ritenne così che fosse doveroso avviare ricerche e riflessioni su tematiche napoletane, o sulle modalità che assumevano in Campania tratti rituali presenti anche in altre aree. Con il sostegno di studiosi che allora collaboravano con la cattedra da lui tenuta – Lello Mazzacane, Gianfranca Ranisio, Pino Simonelli – avviò così una serie di progetti di ricerca su Napoli e la Campania che questi portarono avanti in diverse direzioni. Tra le altre immaginò di avviare una ricerca proprio sul mondo dei femminielli. Come ancora in questo saggio di prefazione spiega in dettaglio ne parlò con i più assidui collaboratori dell’epoca, tra i primi Pino Simonelli, che da tempo aveva focalizzato proprio su di loro la sua attenzione. Pertanto andarono insieme, e con Lello Mazzacane, a osservare dei femminielli, conservando ricordi nitidi di alcuni di quegli incontri, avvenuti in angoli specifici della città, da Corso Vittorio Emanuele a via Marina ai piedi del Maschio Angioino, dai ristoranti “specializzati” per celebrare i festeggiamenti in occasione dei loro singolari “matrimoni” [Zito 2017] fino alla juta (salita) al Santuario di Montevergine, nei pressi di Avellino, in occasione del tradizionale pellegrinaggio dei femminielli, con le macchine bardate a festa, per altro da lui già viste alcuni anni prima, a metà degli anni Cinquanta, quando era stato studente di Scienze Politiche a Napoli.

In tale saggio di prefazione viene inoltre ricordato, in particolare, uno dei festeggiamenti cui prese parte in occasione di un “matrimonio” iniziato al mattino e protrattosi per tutta la giornata e la notte successiva, scandito dalla musica eseguita da “complessini” sempre composti da femminielli. Riferisce in proposito che era stato proprio Pino Simonelli, il quale stava approfondendo questo singolare mondo, a informarlo che, spesso, al “matrimonio” seguiva il “parto”, cerimonia in cui uno dei due femminielli restava a letto con accanto un bambolotto o un neonato preso in prestito per l’occasione. Il festeggiamento prevedeva poi che la “puerpera” ricevesse le visite del vicinato secondo uno specifico protocollo e con regali dettagliatamente codificati, configurando così, nel complesso, un interessante ulteriore rito[1], quello della figliata.

Lombardi Satriani ricorda ancora che Pino Simonelli in quegli anni seguì Annibale Ruccello nella preparazione della sua tesi di laurea, dedicata alla Cantata dei pastori, interessante lavoro poi pubblicato con il titolo Il Sole e la Maschera. Una lettura antropologica della Cantata dei Pastori [1978] nella collana “La terra deportata”, da lui stesso diretta presso l’editore napoletano Guida. A questo proposito è interessante evidenziare che, nella Cantata, un personaggio è appunto un femminiello. Lo stesso Ruccello rappresenterà nei suoi lavori teatrali l’amore, la solidarietà, la solitudine, la tragicità incombente che marcano l’esistenza dei travestiti sullo sfondo di una città in profonda trasformazione [Ranisio 2013, 2019], come in Le cinque rose di Jennifer del 1980 [Ruccello 2005]. Sempre nel suo saggio di prefazione Lombardi Satriani fa però notare come, proprio riprendendo i personaggi descritti da Ruccello, se femminielli e travestiti sono notevolmente diversi, spesso, nell’immaginario dei più, finiscono con l’essere sostanzialmente identificati e fatti coincidere. Infine viene messa in evidenza l’estrema tolleranza di cui hanno storicamente goduto in città i femminielli, testimoniata non solo dagli articolati riti di cui sono stati protagonisti con un ampio coinvolgimento della comunità di appartenenza, quali il “matrimonio”, la figliata e la juta a Montevergine, ma anche dall’inserimento nel presepe napoletano di questa figura, trasgressiva e profana, accanto a quelle della sacralità, operazione dall’elevato complessivo valore simbolico, suggestivo del singolare rapporto tra essi e Napoli.

In conclusione Lombardi Satriani ricorda nel testo, non senza una nota di nostalgia e amarezza, che tutto ciò si concluse bruscamente perché la sua personale vicenda accademica lo portò all’Università di Messina come titolare di cattedra, mentre Amalia Signorelli assumeva l’incarico all’Università Federico II. La conseguente interruzione della sua attività didattica e di ricerca a Napoli comportò così anche la brusca interruzione dello specifico progetto di studio sui femminielli nel modo in cui era stato immaginato.

Alla fine del saggio, in cui come suggerisce il titolo stesso realtà storica, immaginario e memoria si mescolano, Lombardi Satriani, dopo aver sottolineato la complessità di un dato culturale dai molteplici universi simbolici e in così profonda trasformazione come quello dei femminielli, ricorda ancora Pino Simonelli a cui è stato dedicato il volume, alla memoria della sua dolcezza e capacità affabulatoria, alle sue intuizioni, attraverso scritti, racconti e poesie, sui femminielli stessi e su Napoli.

Per me è stato un dono “ritrovare” ancora Luigi Maria Lombardi Satriani, casualmente e in modo inaspettato, sul mio percorso di ricerca, ma in una nuova stagione e in una forma diversa, quando oramai non c’era più, “attraverso” la gentilezza, l’accoglienza e l’interesse forte verso l’Antropologia culturale, a me mostrati da una sua ex-studentessa, in un altro Paese, in un altro continente, in un’altra epoca, riconnettendo nel gioco delle generazioni la freccia all’arco come scrive John Steinbeck in epigrafe.

Bibliografia

D’Agostino G. 2000, Travestirsi. Appunti per una trasgressione del sesso, in Ortner S.B., Whitehead H. 2000, Sesso e genere. L’identità maschile e femminile, Palermo: Sellerio, 11-51.

D’Agostino G. 2010, Prefazione, in Zito E., Valerio P. 2010, Corpi sull’uscio, identità possibili. Il fenomeno dei femminielli a Napoli, Napoli: Filema, 5-24.

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Simonelli P., Carrano G. 2013, 2019, Un matrimonio nella baia di Napoli? in Zito E., Valerio P. (a cura di) 2013, Genere: femminielli. Esplorazioni antropologiche e psicologiche, Napoli: Edizioni Libreria Dante & Descartes, 163-170 e in Zito E., Valerio P. (a cura di) 2019, Femminielli. Corpo, genere, cultura, Napoli: Edizioni Libreria Dante & Descartes, 185-193.

Zito E. 2017, Scene da un “matrimonio”. Performance, genere e identità a Napoli, «EtnoAntropologia», 5 (2): 417-462.



[1] Allargando lo sguardo a questi, ai loro aspetti di trasgressione dell’ordine sociale e del sistema di genere binario, come anche specifici aspetti di una più complessa cultura popolare, quale espressione di affermazione sociale di una diversa identità, di riconoscimento e costruzione di visioni del mondo in opposizione alla cultura egemonica e come occasione di presenza [Preziosi 2014; Piraino, Zambelli 2015], è importante ricordare che già nella seconda metà degli anni Sessanta Lombardi Satriani [1966, 1968] aveva analizzato ed evidenziato la questione del folklore come cultura di contestazione.