Partecipare all'impresa globale

Franco Lai

Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, Università degli Studi di Sassari

Indice

Bibliografia

Fulvia D’Aloisio, Partecipare all’impresa globale. Una ricerca antropologica in Automobili Lamborghini, FrancoAngeli, Milano, 2021, pp. 1-352, ISBN 978-88-351-1722-3.

Partecipare all’impresa globale di Fulvia D’Aloisio è un volume importante nel panorama degli studi di antropologia dell’impresa. L’autrice è specializzata da anni nello studio della grande impresa manifatturiera e, in particolare, nell’organizzazione del lavoro di fabbrica, un tema che ha esplorato nel corso di ricerche sul campo anche in altre industrie italiane[1]. In questa recensione offrirò prima di tutto una sintetica panoramica del volume; successivamente mi soffermerò su singoli aspetti.

Il volume è il risultato una ricerca di tre anni condotta negli stabilimenti della Lamborghini ed è stata possibile grazie a un accordo tra l’impresa e il Dipartimento universitario dell’autrice. La ricerca si è svolta all’interno degli stabilimenti italiani nel comune di Sant’Agata Bolognese (Bologna) e, in parte, nelle sedi del grande gruppo tedesco di cui Lamborghini fa parte (Audi-Volkswagen Group, da ora in poi Audi-VW).

Ritengo che il volume sia strutturato in modo organico e coerente; contiene sia capitoli descrittivi ed etnografici sia capitoli di discussione teorica e di bilancio sugli studi di antropologia dell’impresa e del lavoro compiuti in Italia e in altri paesi. I vari passaggi sono sempre spiegati con chiarezza. La descrizione è fortemente radicata nel concreto della ricerca etnografica e l’autrice inserisce il caso Lamborghini in un più ampio contesto comparativo. D’Aloisio durante la ricerca ha coperto l’insieme delle reti di relazione presenti nell’azienda: gli operai, i manager, i rappresentanti dei sindacati. Questo è un punto cruciale e importante del volume perché l’autrice ha ricostruito le modalità di svolgimento del modello di organizzazione del lavoro, noto anche a livello politico per le caratteristiche delle relazioni industriali tedesche. Infatti, rispetto alle relazioni industriali italiane, il modello tedesco si differenzia per una impostazione organizzativa e politica molto diverso, ovvero per la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali dell’azienda, la Mitbestimmung.

La mitbestimmung, comunemente indicata nel linguaggio organizzativo internazionale come partecipazione dei lavoratori (participation), è un sistema di gestione dell’impresa e di relazioni industriali totalmente divergente dalla tradizione italiana, sia di impresa sia sindacale. Fondato nella partecipazione azionaria dei lavoratori alla gestione di impresa, che include l’azionariato dei lavoratori e la loro presenza nei consigli d’amministrazione, oltre alle rappresentanze nei consigli di fabbrica, con una separazione tra sindacato regionale e nazionale e organismi di democrazia interni alle fabbriche (i consigli di fabbrica), secondo il sistema duale che connota la grande industria in Germania, tale sistema dagli anni 90 è stato raccomandato da alcune direttive europee ed esportato anche fuori dei confini della Germania, secondo varie forme di applicazione, imitazione, traduzione [13-14].

Si tratta di un modello molto avanzato dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro e che ha assunto nel corso del Novecento un forte significato politico [Piketty 2020, 566 e seguenti]. Nello stabilimento di Sant’Agata le retribuzioni dei lavoratori sono più alte di altri settori dell’auto in Italia e le possibili occasioni di tensione tra l’impresa e i lavoratori tendono ad essere risolte con la mediazione. Nel rapporto con le amministrazioni pubbliche la presenza di un settore industriale di questo genere ha permesso la crescita dei redditi per gli abitanti dell’area anche per via dell’indotto. Da questo punto di vista il lavoro di D’Aloisio ricorda ai lettori che la storia dell’Emilia-Romagna è caratterizzata da un rapporto molto forte tra le amministrazioni degli enti territoriali e il mondo delle imprese e del lavoro. Da questo punto di vista occorre ricordare che Lamborghini è uno dei marchi dell’auto ad alta tecnologia, un settore produttivo che caratterizza l’intero distretto dell’Emilia-Romagna. Si tratta del settore specializzato nella produzione di auto sportive e di lusso per i mercati internazionali, la cosiddetta «Motor Valley emiliana» che conta, oltre Lamborghini, anche Ferrari, Maserati, Pagani, Dallara. Sono beni prodotti per una clientela d’élite globale, con redditi elevatissimi e che desidera un’auto ad alte prestazioni. Queste auto sono, da una parte, un simbolo di status, ma, dall’altra, sono anche uno dei simboli di uno stile italiano della produzione di beni di lusso proiettati sui mercati globali. Dalla ricerca emerge anche come queste auto rispondono a un modello estetico, oltre che tecnologico, specifico, come la possibilità per il cliente di personalizzare l’auto.

Nel suo volume D’Aloisio ha ricostruito la storia della Lamborghini dalle sue origini negli anni del dopoguerra, un periodo nel quale si colloca la nascita della Ferrari con la quale Lamborghini ha vissuto momenti di competizione nelle fasi iniziali, con il confronto tra le due forti personalità imprenditoriali di Enzo Ferrari e di Ferruccio Lamborghini. Questa vicenda costituisce un tema presente ancora oggi nella narrazione locale. Oggi sappiamo quanto sia importante la produzione di uno storytelling aziendale, di un mito di fondazione che spesso ha le sue origini non solo nei fondatori dell’azienda ma anche nella società locale. Nel volume troviamo anche una ricostruzione del delicato passaggio di proprietà avvenuto con la vendita dell’impresa al gruppo tedesco. In questo caso uno dei punti salienti riguarda il rapporto tra la precedente cultura d’impresa e il nuovo modello di partecipazione tedesco.

Partecipare all’impresa globale può rappresentare un punto di riferimento per gli studi di antropologia della grande impresa industriale per almeno due motivi. Il primo motivo è che offre un punto di vista interno alle dinamiche dell’organizzazione del lavoro nell’industria contemporanea dell’auto ad alta tecnologia. Il nostro periodo storico è molto delicato dato che ci troviamo in una fase di transizione tecnologica ed ecologica, dato che i grandi gruppi industriali dell’automotive stanno sperimentando il passaggio dal motore termico all’elettrico. Il secondo motivo consiste nel rapporto stretto che questo tipo di industria – come già accennato – ha con il territorio, con la società e con la politica locale e nazionale. Il modello di cogestione tedesca della grande impresa ha fino ad ora mostrato una notevole capacità di integrazione e di contribuire alla distribuzione della ricchezza nella società locale. Si tratta di un processo complesso e problematico che riguarda anche il modo in cui si è sviluppata l’impresa a cavallo fra le due tradizioni di organizzazione del lavoro e delle relazioni industriali, quella tedesca e quella italiana. Il volume mostra come gli attori sociali hanno vissuto nel concreto il processo di incontro e di mediazione tra le due tradizioni di organizzazione del lavoro industriale attraverso le testimonianze dei manager, degli esponenti sindacali, dei lavoratori e delle lavoratrici.

Nel testo interagiscono in modo efficace materiali originati da diverse fonti (quelle già pubblicate e quelle prodotte dalla ricercatrice come le interviste e il diario di campo), il ruolo importante dell’osservazione partecipante condotta in diversi momenti della vita dell’impresa (le riunioni sindacali, gli incontri in Germania tra i quadri Audi e Lamborghini, dove la ricercatrice ha praticato il metodo della ricerca multi-situata). Un aspetto interessante compare nel volume: l’inserimento della ricercatrice in un contesto di ricerca come la grande impresa, molto controllato, a dominanza di genere e con alcuni spazi interdetti a causa del segreto industriale.

L’impresa è localizzata storicamente nella Motor Valley emiliana ma è parte di un gruppo industriale di dimensioni globali. Da questo punto di vista il volume descrive in modo efficace il rapporto tra la dimensione globale e locale della produzione e la caratterizzazione sociale e professionale dei manager, un gruppo d’élite internazionalizzato e, non di rado, con una caratterizzazione di genere precisa.

Data la rilevanza anche sociologica, economica e giuridica dell’argomento il volume mostra un apparato bibliografico importante, proprio a causa del tema di ricerca che richiede anche un approccio comparativo non solo etnografico ma anche storico, giuridico ed economico. Nonostante la complessità dell’argomento e dei diversi livelli di trattazione, il testo si legge in modo scorrevole e chiaro. Ritengo che possa essere letto anche al di fuori del pubblico accademico di settore e preso in considerazione anche da lettori di altri campi disciplinari, oltre che dagli addetti del settore così vivacemente rappresentati.

Passando ad alcuni punti più specifici, un tema interessante riguarda il passaggio di proprietà al gruppo Audi-VW perché ha consentito alla Lamborghini l’accesso a scenari all’epoca inediti per l’azienda: «la proprietà Audi ha consentito a Lamborghini e ai suoi lavoratori di entrare in un circuito di produzione sovranazionale, sia dal punto di vista delle competenze […] sia dal punto di vista delle relazioni industriali» [15].

Come già accennato, il passaggio di proprietà ha richiesto anche un adattamento al modello tedesco di relazioni industriali:

Gli esiti di questo processo, del transito di principi e valori tra la Germania e l’Emilia […] ancora una volta assume senso sia dentro l’azienda, ma anche fuori di essa. Tute blu (in realtà tute nere) e colletti bianchi, dunque mettono in pratica quotidianamente relazioni industriali, procedure e competenze della casa madre, apprendendo valori differenti, per poi adattare il tutto al contesto di casa propria, al prodotto specifico, alla tradizione, alle norme giuridiche italiane. Gli esiti di questi progressivi adattamenti, come si è detto, non sono misurabili solo nell’intra moenia aziendale. Al contrario, essi riverberano fuori dell’azienda, nel più ampio distretto emiliano [16].

Per l’azienda ha rappresentato buoni risultati economici, con incremento delle vendite e della produzione «ma ancor più nella maniera in cui quei risultati vengono perseguiti, cioè producendo forme crescenti di diritti nel lavoro e disegnando un atipico scenario di democrazia industriale» [15]. Tra i risultati presentati, secondo alcuni dati del 2018, c’è il numero degli addetti: 1754 dipendenti; 801 sono lavoratori diretti, 953 indiretti. Altro risultato l’aumento dei volumi di vendita: sempre nel 2018 sono state vendute 5750 auto, con un incremento del 51% dell’anno precedente [37-38].

Il passaggio di proprietà ha coinvolto anche l’integrazione tra i saperi tecnologici operai e il carattere artigianale della produzione, elementi legati «alle sole competenze locali di maestranze e di tecnici» [34]. Questo processo ha dato luogo a una forma di «sincretismo» tra la cultura d’impresa Lamborghini e il più grande gruppo industriale tedesco. Così, con il passaggio di proprietà

in sostanza, hanno inizio tutte quelle trasformazioni, produttive, organizzative, di cultura del lavoro, per così dire, che Audi introdurrà nel sistema locale, non cancellandolo, ma producendo tutta una serie di modificazioni, innesti, in sostanza sincretismi che caratterizzano Lamborghini oggi [34].

Il rapporto tra il complesso industriale Lamborghini e la società locale è un passaggio per me molto interessante. È un aspetto di rilievo perché può essere rivelatore di quanto l’impresa è in grado di produrre con un effetto a cascata sul tenore di vita della collettività.

Attualmente l’azienda intrattiene con il territorio, e con la sua amministrazione, un rapporto che potremmo definire di sinergia, fondato cioè sulla consapevolezza dei reciproci, conciliabili interessi, e anche dell’incastro delle esigenze. Né questi sembrano essere incrinati dalla proprietà straniera e da un gruppo di livello multinazionale. La costruzione del nuovo reparto Urus, come mi è stato spiegato dall’attuale sindaco di Sant’Agata Bolognese Giuseppe Vicinelli, ha impresso una velocità di tempi amministrativi inusitati, quando si è trattato di attuare la variante del piano regolatore, che consentisse all’azienda l’espansione in direzione di terreni agricoli. […] Talvolta si solleva qualche lamentela da parte della popolazione, che riguarda i rombi dei motori delle auto in prova su strada, un rombo che è molto usuale sentire nelle strade del paese e sulla provinciale, ma il ritorno economico, che l’ultima amministrazione ha optato per convertire in opere pubbliche, più una serie di convenzioni che forniscono sconti per i dipendenti nei negozi locali, rinsaldano i reciproci interessi [39].

È un rapporto che non è venuto meno anche alla fine di un processo politico locale che ha visto nelle preferenze dell’elettorato la preferenza per i sindaci di centro-destra in una regione caratterizzata dalla presenza continuativa di prevalenti amministrazioni di sinistra. Tuttavia, sembra di capire che questa transizione non ha interrotto lo stretto rapporto tra le imprese e le amministrazioni locali.

Del resto, [il sindaco], in quanto uomo di destra che ha espugnato un territorio storicamente comunista […] non dimentica ciò che siamo soliti chiamare tradizioni, con tutta l’accezione localistica e identitaria che si possa attribuire al termine: non dimentica la partecipanza delle terre, il rito delle assegnazioni ancora in atto, il valore storico, ma anche civico, a cavallo tra rivendicazione identitaria ed esempio di collaborazione condivisa, che questi esempi di gestione collettiva delle terre conferiscono all’area padana tra Modena e Bologna. Come dire che la proiezione di Sant’Agata nel mercato e sulla scena globale in forme molteplici […] avviene anche grazie ai capitali e alla spinta propulsiva di Automobili Lamborghini, e questo può camminare a braccetto con vecchie e nuove forme di reinvenzione delle tradizioni, di turismo e di marketing territoriale [39].

In conclusione, a mio avviso, Partecipare all’impresa globale riesce a raccontare efficacemente la vita di fabbrica nella sua dimensione locale e nelle sue articolazioni e proiezioni globali.

Bibliografia

D’Aloisio F. 2014, Vita di fabbrica. Decollo della crisi della Fiat Sata di Melfi nel racconto di Cristina, Milano: FrancoAngeli.

D’Aloisio F., Ghezzi S., a cura di, 2016, Antropologia della crisi. Prospettive etnografiche sulle trasformazioni del lavoro e dell’impresa in Italia, Torino: L’Harmattan Italia.

Piketty T. 2020, Capitale e ideologia, Milano: La nave di Teseo (ed. orig. 2020).



[1] Vedere D’Aloisio 2014 e D’Aloisio, Ghezzi, a cura di, 2016.