“Quando il servizio è gratis il prodotto sei tu”

Religioni imprenditoriali ed emergenza sanitaria nel carcere portoghese

Francesca Cerbini

Centre for Research in Anthropology, Universidade do Minho, Braga

Indice

Le religioni nel carcere portoghese e la IURD
La IURD in Portogallo
Un inizio difficile
Donazioni, controllo e Covid-19
Conclusioni: “il prodotto”
Bibliografia

Abstract. This article focuses on the Universal Church of the Kingdom of God (IURD), one of the most powerful entrepreneurial religions. Analyzing its “marketing strategy” based on donations and humanitarian support, I want to shed light on IURD’s presence and ambiguous positioning within a female Portuguese prison. On the one side, IURD highlights the connections between its values and prison order.  On the other side, IURD aims to penetrate the thick layers of prison governance, especially during the critical juncture of Covid-19 pandemic. I will show the way IURD frames its action within new neoliberal penal ideologies that challenge secularism, reinforcing at the same time control and security.

Keywords. Pentecostals; IURD; secularism; prison ethnography; humanitarian support.

I moderni sistemi penitenziari sono stati fortemente modellati dalle idee religiose dei pensatori cristiani (cattolici e protestanti) che, a partire dalla fine del diciottesimo secolo, hanno introdotto l’idea di correggere la condotta dei trasgressori della legge anziché sottoporli a umiliazioni pubbliche, punizioni fisiche o esecuzioni [Beckford 2015; Foucault 1975]. Se alle origini dell’istituzione penitenziaria moderna la religione, dunque, è stata un elemento cardine per la rieducazione dei detenuti ed il fondamento dell'essenza espiatoria della pena carceraria, oggi il carcere non è più quel «sepolcro da cui risorgere» [Foucault 1975, 242] così come appare sempre più evidente che il detenuto non è il protagonista del “panottico” ma semplicemente l’ingranaggio di una macchina all'interno della quale deve fare la sua parte per sopravvivere.

L’immagine del carcere foucaultiano è stata messa in discussione da dispositivi gestionali agiti da più ampi fenomeni storico-politici ed economici che caratterizzano le democrazie occidentali. Due in particolare, utili al nostro discorso: un assetto economico di stampo neoliberista e il secolarismo. Il primo ha mostrato i propri devastanti effetti affiancando l’impoverimento del welfare alla svolta securitaria a livello sociale e legislativo; una simbiosi che ha prodotto carceri sottofinanziate e sovraffollate, trasformate in vere e proprie discariche sociali [Cunha 2002, 2013; Wacquant 1999, 2004]. Per cui l’istituzione è sempre più svincolata da qualsiasi responsabilità in termini di riabilitazione del soggetto recluso e del suo reinserimento nella comunità.

Il secolarismo invece determina quell’assetto istituzionale che rende la religione un corpo estraneo allo Stato e, contestualmente, prepara il terreno per la formulazione di leggi sulla libertà religiosa[1], favorendo le pari opportunità tra fedi diverse, al cospetto di una sempre maggiore crescita e diversificazione di credo[2].

Tuttavia, come discusso altrove [Cerbini 2022], il primato della funzione securitaria dell’istituzione e il giudizio morale saldamente ancorato a valori cristiani incorporati nel modus operandi dello staff penitenziario informano costantemente il rapporto tra personale interno, detenute e detenuti, creando una microfisica di poteri che, con la sua azione capillare, rende il carcere l’istituzione statale meno secolare e meno orientata, de facto, al rispetto dei diritti costituzionali.

Si delinea pertanto uno scenario ambiguo di responsabilità, necessità, competenze e linguaggi che sono l’oggetto di questo lavoro, mirato all’analisi delle modalità in cui la brasiliana Igreja Universal do Reino de Deus (IURD), o Chiesa Cristiana dello Spirito Santo secondo la denominazione italiana, cerca di farsi spazio all'interno dello Stato, nel rispetto dell’ordine costituito e ravvivando la governamentalità religiosa delle origini.

È importante sottolineare alcune caratteristiche di questa congregazione per comprenderne l’azione in ambito penitenziario. In primis, la prassi operativa della IURD nelle carceri dei paesi in cui è presente, con le opportune differenze locali, segue il modello penitenziario brasiliano, dove diversi gruppi pentecostali negli ultimi tre decenni hanno ricoperto un ruolo di grande rilievo per la gestione della sicurezza e dell’ordine interno [Johnson 2017; Thompson 2022]. In secondo luogo, la Chiesa Cristiana dello Spirito Santo è una delle più influenti “religioni imprenditoriali” brasiliane [Burity 2013] ovvero chiese neo-pentecostali che, in modo simile alle Money Churches africane, si richiamano alla dottrina del vangelo della prosperità [Schirripa 2012, 20-21][3], configurando «forme paradigmatiche di organizzazione neoliberale» [Lanz, Oosterbaan 2016, 489] messe in ombra o sostenute dalle ambiguità del secolarismo [Asad 1993].

Con queste premesse, propongo una riflessione sulle dinamiche del proselitismo all’interno di un’istituzione dello Stato e, dunque, sulla prospettiva secolare e sul “prezzo” della libertà religiosa in carcere alla luce del frangente particolarmente critico della pandemia di Covid-19, rivelatosi probabilmente un momento fondativo per la riconfigurazione dello status della congregazione nel carcere oggetto di studio[4]. Vorrei quindi far luce sulle dinamiche materiali del religioso [Chidester 2019] e sul modo in cui esse contribuiscono a quell’indefinitezza dei confini tra sacro e profano, con importanti implicazioni che riverberano sul concetto di sorveglianza e sicurezza [Caple James 2019] del contesto in questione.

Tali argomentazioni, oltre a dialogare con la letteratura internazionale su carcere e pluralismo religioso, prendono spunto da interviste, battute e “dicerie” annotati durante la ricerca etnografica portata avanti in un carcere femminile portoghese[5], e da conversazioni intrattenute con alcuni leader religiosi anche dopo che l'accesso al campo è stato vietato, nel marzo 2020, per motivi legati alla crisi sanitaria. Le pagine che seguono si basano dunque sul lavoro in carcere e, in fase pandemica, su messaggi di testo, vocali WhatsApp e chiamate Skype. Materiali questi ultimi rivelatisi fruttuosi sia per mantenere l’attenzione sulle dinamiche religiose carcerarie sia per monitorare l’evoluzione dei rapporti fra la IURD e l’istituzione penitenziaria[6] durante l’emergenza.

Le religioni nel carcere portoghese e la IURD

Come hanno già messo in evidenza diversi studi sociologici nelle carceri europee[7], le pari opportunità tra religioni convivono con lo squilibrio di forze tra religione dominante e gruppi confessionali minoritari. Nel penitenziario portoghese, la presenza di diverse fedi può provocare l’inasprimento del confronto tra culti diversi all’interno dello spazio ristretto, conducendo alla sistematica ridefinizione dei propri strumenti di comunicazione, se non ad una vera e propria competizione. Confronto che non ha risparmiato la Chiesa cattolica [Cerbini 2022a].

La diversità religiosa in carcere è perciò tanto un fenomeno in crescita quanto un’importante sfida per lo Stato secolare e la gestione di uno spazio rigido e ipernormato, in cui spesso, al di là delle garanzie costituzionali e dei diritti delle persone private della libertà, la priorità è la salvaguardia di ciò che rimane il bene principale da difendere: l’ordine interno, la sicurezza.

È dunque importante sottolineare, seguendo Griera e Clot-Garrell [2015, 24] che pur fatta salva la libertà di culto sulla carta, le minoranze religiose si rendono “accettabili” nell’ambiente penitenziario qualora dimostrino di configurarsi come presenze non problematiche per la vita dell’istituzione, esaltando col proprio operato il nesso tra religione, ordine e rispetto delle regole interne. Si evince, dunque, che ogni congregazione deve compaginarsi con l’ideologia che giustifica l’esistenza del carcere, assecondandone il funzionamento.

In questo scenario, la IURD possiede una serie di prerogative vantaggiose. I suoi membri hanno familiarità con l’incorporazione nel proprio vocabolario del linguaggio laico [Casanova 1994; Habermas 2006] e con l’impegno sociale dispiegato in diversi settori, tra cui spicca l’Universal nos Presidios[8] (UNP), dedicato alla popolazione penitenziaria.

Dispensatrice di beni e di servizi e poggiando su un impero economico che si estende ben oltre il Brasile, la IURD-UNP viene incontro alle carenze strutturali del sistema penitenziario, alle condizioni di isolamento e indigenza di moltissime persone recluse e delle loro famiglie, eco dell’impoverimento dovuto alla crisi, prima economica e poi legata all’emergenza sanitaria da Covid-19. All’interno del carcere, il suo operato è dichiaratamente orientato al miglioramento, in termini disciplinari, della relazione tra reclusi e istituzione, ed è caratterizzato da ingenti investimenti economici che si traducono in donazioni di denaro e di beni in favore degli internati. Considerata però nell’ottica mercantilista che le appartiene, l’azione della IURD necessita di una contropartita che non può ridursi alla sola opera di evangelizzazione e salvezza delle anime. Perciò, nel carcere femminile, la presenza della congregazione suscitava diversi interrogativi tra i membri dello staff penitenziario.

Ricordo che la riflessione sul “guadagno” che la IURD poteva trarre in questo ambiente depauperato attraversava spesso i discorsi di molti agenti di custodia, per lo più cattolici non praticanti. Introducendo una serie di argomentazioni che risentivano di opinioni e pregiudizi consolidati contro la congregazione, si chiedevano cosa le seguaci incarcerate avrebbero potuto dare in cambio affinché la relazione intrattenuta fosse conveniente anche per il gruppo neopentecostale. Uno di loro associò la strategia di affermazione della IURD al meccanismo dei servizi on line offerti gratuitamente, richiamandosi ad uno slogan ben conosciuto nel mondo del marketing digitale: «quando il servizio è gratis il prodotto sei tu». Voleva intendere, quindi, che il guadagno, ovvero “il prodotto”, sono le carcerate: è su di loro che la congregazione costruisce il business.

Lungi dal voler smascherare presunti interessi economici della IURD, immoralità o verità di sorta, questo articolo ribalta tale prospettiva e propone una diversa interpretazione di quale sia “il prodotto”. Per contestualizzare su un piano più ampio l’argomentazione, delineo brevemente un quadro storico di riferimento riguardante la presenza della IURD in Portogallo.

La IURD in Portogallo

Nell'edizione speciale pubblicata dalla IURD nel 2020 per commemorare i 30 anni della sua presenza in Portogallo (1989-2019)[9], l’ex madrepatria viene definita pais irmão (paese fratello). Al di là della “fratellanza”, soprattutto il legame linguistico fa del Portogallo la principale porta d'accesso all'Europa [Mafra 2003, 165] per attingere al grande bacino dei migranti dai PALOP (Países Africanos de Língua Oficial Portuguesa)[10] e dal Brasile e dei migranti portoghesi in tutta Europa: una popolazione socio-economicamente fragile, che possiede sovente una certa familiarità con le chiese evangeliche e con il linguaggio pentecostale della speranza[11].

Cavalcando prospettive prevalentemente orientate alla visibilità e al dispiegamento del proprio potere di acquisto e di azione nella comunità locale, la IURD è capace di attirare un grande numero di proseliti, sottratti alla concorrenza mediante un impegno economico e mediatico in grado di assicurare una presenza continua, materiale e virtuale, sul territorio di “conquista spirituale” [Oro et al. 2003], configurando in termini per lo più remunerativi la proposta di una vita migliore [Swatowiski 2020][12].

Abbracciando il mondo materiale attraverso la preghiera [Comaroff, Comaroff 2000, 314], il moto espansionista della IURD sembra più simile a un modello di business scalabile e meno affine all’idea di “missione inversa”, ovvero una missione evangelizzatrice intrisa di spiccate rivendicazioni postcoloniali e fautrice di una colonizzazione rovesciata e contro-egemonica, dal basso e dal Sud, dei centri del potere occidentale[13]. Come suggeriscono Oro e Alves [2015, 952-953], la Chiesa Cristiana dello Spirito Santo, aprendo filiali all'estero obbedienti agli orientamenti e alle direttive che emanano dalla sede centrale brasiliana, agisce soprattutto come una sorta di multinazionale della salvezza.

Nelle pagine del numero speciale dedicato ai 30 anni della IURD in Portogallo è risaltata l’azione dell’enorme arsenale mediatico (tv, radio, stampa, social media, pagine web) e i numerosi programmi sociali mirati al sostegno in termini assistenziali e di empowerment delle fasce sociali più deboli e bisognose di sostegno materiale, individuando specifici target ritenuti sensibili.

L’uso dei media così come le opere di evangelizzazione sono spesso stati considerati tecniche di proselitismo propedeutiche al furto di denaro delle persone economicamente in difficoltà, contribuendo così alla loro alienazione e oppressione, seguendo la prospettiva marxista sottolineata da Campos [1999, 356, 359-360].

La contro-narrativa della IURD ha invece inquadrato queste critiche nell’ottica del pregiudizio e della persecuzione, proponendo una specie di similitudine con la persecuzione dei primi cristiani [Mafra 2002, 22].

Per superare lo stigma, come sottolinea Swatowiski [2020, 124], l’organizzazione religiosa ha dovuto necessariamente riformulare la propria immagine in termini positivi per l’audience portoghese, evitando lo scontro diretto con i competitors religiosi locali.

Ingenti donazioni di cibo, vestiti, materiale igienico e prodotti sanitari durante la pandemia di Covid-19, per esempio, hanno dato visibilità all’opera sociale della congregazione, sebbene vecchi e nuovi sospetti sulla IURD come organizzazione settaria, ricca, con tendenze manipolatorie, dedita alla compra-vendita del sacro a scapito delle persone più svantaggiate fanno ancora parte di un diffuso immaginario collettivo in Portogallo, come è emerso in molte delle conversazioni sostenute con i membri dello staff penitenziario.

Un inizio difficile

La fase iniziale della presenza della IURD-UNP in carcere ha avuto un decorso complesso e controverso. Sia lo staff penitenziario sia Paula, la mia principale interlocutrice appartenente all’UNP e incaricata delle celebrazioni nel penitenziario femminile, rievocavano questo periodo raccontando una serie di aneddoti tesi a sottolineare le incomprensioni tra le parti.

Secondo Paula, «all'inizio non mi lasciavano nemmeno sostare in strada davanti all'ingresso della casa circondariale. È stato molto difficile ottenere la loro approvazione» (7/12/2021). Una volta dentro, racconta, il problema era il pregiudizio, al punto che, pur avendo il permesso di officiare il rito, molte guardie carcerarie non permettevano alle detenute di raggiungerla adducendo scuse e impedimenti di sorta[14]. In base alla versione istituzionale, invece, dal 2017 al 2019 i membri della Chiesa Cristiana si presentavano nel giorno e ora assegnati per la funzione religiosa ma le recluse, di propria sponte, non vi partecipavano.

In una delle conversazioni intrattenute on line, Paula dice: «in quel periodo, mi sentivo così disperata che ho scritto il nome del direttore su un pezzo di carta e l'ho immerso nell'olio santo del Sinai» (7/12/2021 videochiamata).

La sua collega, Elvira, ha confermato le difficoltà, tradotte in termini di “mentalità ristretta” dell'istituzione. Cita il fatto che, per anni, ha visitato molte detenute protetta da una sorta di identità nascosta, ovvero nella documentazione presentata per ottenere il permesso di incontrarle nella sala visite era indicata come “amica” e non come integrante della chiesa. L’identità segreta non le permetteva di portare la Bibbia, le riviste (Folha Universal) o la divisa ufficiale dell’UNP, anche se l'incontro rispondeva ai criteri di una celebrazione religiosa che, dunque, si svolgeva in modo clandestino.

Paula ed Elvira hanno aspettato pazientemente e ostinatamente circostanze migliori, finché nel febbraio 2019, un piccolo gruppo di detenute ha iniziato a partecipare regolarmente alle riunioni della IURD. Quasi un anno dopo, quando è iniziata la mia ricerca, le riunioni della IURD erano di gran lunga le celebrazioni religiose più affollate del carcere (messa compresa).

Ho cercato di comprendere le dinamiche che hanno portato a questo repentino incremento. A partire dal dialogo con numerose recluse partecipanti alle celebrazioni della IURD, non praticanti o seguaci di altre congregazioni, ho individuato nella donazione di denaro e di altri beni di prima necessità, oltre al contatto e aiuto delle famiglie, i fattori fondamentali del crescente numero di adepte.

Ho notato al contempo un atteggiamento piuttosto ambiguo da parte di Paula ed Elvira nei confronti dell’istituzione. Ambiguità che, parlando della situazione in carcere con uno dei vescovi della IURD e sua moglie (novembre 2021), si è trasformata in una invettiva contro l’istituzione penitenziaria, in Portogallo come nel resto del mondo, colpevole di non curarsi delle persone recluse, trattate come materiale a perdere, senza alcun progetto efficace per il reinserimento sociale.

Invece «la IURD ama i reclusi». Espresso con queste parole, il concetto mi è stato ripetuto molteplici volte. In nome di questo sentimento incondizionato, i membri della Chiesa Cristiana distribuivano spesso diverse Bibbie alle detenute senza il permesso dell'istituzione. Paula le nascondeva nelle parti interne dei suoi vestiti evitando così di inserirle nella borsa, generalmente ispezionata alla porta d'ingresso. Inoltre, spesso criticavano il modus operandi dell'istituzione, per esempio, riguardo ai criteri di ridistribuzione delle donazioni che la IURD offriva alle detenute. Contemporaneamente, le donazioni erano sempre più ingenti e i legami con l’istituzione mirati alla costruzione di una relazione salda e duratura con le autorità, per la pace all’interno del penitenziario, al punto che durante ogni celebrazione Paula ed Elvira supplicavano le detenute di non reagire di fronte alle guardie e rimanere in silenzio («pregare per loro») di fronte alle ingiustizie dell'ambiente carcerario.

Da un lato, dunque, Paula ed Elvira mettevano a repentaglio l’operato della IURD in carcere qualora il loro comportamento irregolare fosse stato denunciato alla direzione. Tuttavia, menzionando esplicitamente i pericoli affrontati in nome di un bene supremo, la Bibbia, consegnata clandestinamente e «sotto la responsabilità di Dio», come diceva spesso Elvira, accrescevano l’empatia, l’affinità e la complicità con le recluse.

Dall’altro, “pacificazione” rimaneva un termine chiave e, spesso, le detenute erano esortate ad assumere un comportamento esemplare che attestasse il loro cambiamento, abbracciando la possibilità della riabilitazione e soprattutto sbaragliando i detrattori della IURD.

In termini spirituali, questa riabilitazione si traduceva nella salvezza dell’anima. Tutti i membri della IURD interpellati affermavano che «salvare una sola anima vale tutta l’energia spesa in carcere (o altrove); una sola anima vale la pena». Tale afflato era però in contrasto con l’imperativo della crescita della congregazione all’interno dell’istituzione.

La preoccupazione relativa alla quantità dei partecipanti riemergeva ogniqualvolta le recluse frequentanti diminuivano, generando sia discussioni riguardanti le cause sia la ricerca ansiosa dei motivi che potevano aver scoraggiato l’affluenza al culto. La rilevanza del dato numerico come unità di misura del successo della IURD-UNP, nell’ambiente carcerario metteva in luce una relazione di mutua dipendenza che veniva a crearsi tra la congregazione e le recluse.

Che il motore della partecipazione potessero essere le ingenti donazioni era parte di questa relazione di sostegno mutuo e, dal punto di vista etico, non rappresentava un ostacolo dal momento che, secondo Paula, «si deve rendere conto di fronte a Dio delle proprie azioni e motivazioni». Concetto reiterato spesso sia nelle nostre conversazioni che nelle celebrazioni in carcere.

Tuttavia, durante una riunione particolarmente affollata, Paula fece una dichiarazione in grado di scardinare l’approccio puramente quantitativo. Parlando dell’impegno profuso dalla IURD nei confronti delle detenute e della disponibilità ad aiutarle ed essere sempre al loro fianco, a qualsiasi costo, dichiara:

Se non possiamo entrare a sinistra, cercheremo di entrare a destra, se non possiamo entrare a destra cercheremo di entrare davanti, se non possiamo entrare davanti cercheremo di entrare da un buchino. È molto importante entrare" (Celebrazione della IURD-UNP in carcere, 24/01/ 2020)

In questi termini, l’accesso al carcere sembrava più legato alla sfera relazionale delle concessioni, delle negoziazioni e delle influenze che al diritto sancito per legge. Detto altrimenti, i diritti esistono ma non sono considerati un fattore decisivo [Fassin 2017, 216]. Inoltre, le recluse erano certamente protagoniste dell’azione della congregazione ma l’obiettivo principale sembrava strutturarsi sul proposito di imporre la propria presenza nello spazio penitenziario approfittando di aperture e opportunità, come la pandemia di Covid-19.

Donazioni, controllo e Covid-19

Durante la pandemia di Covid-19, la relazione che le congregazioni religiose presenti in carcere hanno faticosamente costruito con recluse e reclusi sono state compromesse dai lunghi periodi di separazione e inattività.

Prima di questo drammatico frangente, Paula ed Elvira erano impegnatissime nel riallacciare o mantenere vivo il rapporto tra i familiari, contattati telefonicamente o tramite diversi social media, e le recluse. Donazioni e connessioni impreziosivano moltissimo il lavoro dei membri dell’UNP, i quali, contestualmente, avevano una visione a tutto tondo del mondo della detenuta, ben oltre i confini del penitenziario. Infatti, agendo da tramite, venivano a conoscenza della sua situazione giuridica, dei conflitti e della condizione economica dei familiari, i quali a loro volta, se bisognosi, erano periodicamente riforniti di cibo.

Durante la pandemia, a fronte di una minore presenza in carcere, soggetta alle variabili della gestione della crisi sanitaria e alle varianti del virus, le donazioni della IURD sono aumentate. L’attenzione caritatevole è diventata più capillare e indifferenziata, raggiungendo chi partecipava al culto e chi si limitava semplicemente a fare delle richieste in occasione delle visite individuali, non più clandestine per i membri della IURD. In proposito, come afferma Paula, gioiosamente: «Abbiamo conquistato la fiducia dell’istituzione e questo ci dà più libertà per poter lavorare, e poi per poter…capito? Cioè una cosa coopera con l’altra» (7/12/ 2021). E prosegue facendo un esempio:

Oggi mi hanno fatto entrare senza tampone e non mi hanno perquisito, né hanno toccato [nel senso di perquisito] la mia Bibbia. Perché è così, dopo quattro anni possono fidarsi di noi; siamo brave persone, si fidano, capiscono chi siamo ed è la stessa istituzione che fa sapere alla comunità carceraria: queste persone sono buone per l'istituzione (Paula, 07/12/2021 videochiamata).

Si evince che la relazione con la direzione e con le guardie penitenziarie è orientata in questa fase alla collaborazione, soprattutto in vista del fatto che la quantità eccezionale di donazioni offerte dalla Chiesa Cristiana doveva essere assegnata secondo criteri meritocratici, quindi col coinvolgimento dell’istituzione non solo in termini di sicurezza ma anche di giustizia nella distribuzione di aiuti. Così, UNP, staff e guardie penitenziarie cooperavano informalmente per produrre una triangolazione di dati basati sulla condizione economica di ogni beneficiaria, che teneva conto dei seguenti fattori: avere o meno un lavoro in carcere, ricevere o meno visite dai familiari e pacchi dall’esterno. La verifica del caso di ognuna innescava una serrata vigilanza tra le recluse, impegnate a smentire il sostegno dall’esterno o a confermarlo dichiarandosi comunque persone bisognose; a denunciare appropriazioni indebite e compravendite degli oggetti donati da parte di recluse evidentemente non credenti ed approfittatrici.

La crisi pandemica ha acuito ai massimi livelli un clima preesistente di costante controllo degli aspetti biografici e più intimi delle internate. Cercare gli indizi del benessere o dell’inganno per regolamentare in modo efficace ed efficiente la carità si trasformava in un’operazione di sorveglianza che andava ben oltre la vigilanza dell’adempimento delle norme, coinvolgendo attivamente le recluse stesse.

Paula ed Elvira erano consapevoli dei traffici e delle dispute che potevano scaturire dalle donazioni, eppure, affermando di far fronte alle necessità ineludibili del corpo, non hanno mai messo in discussione la bontà di questa pratica. Percepivano l’enorme valore simbolico degli oggetti donati, veicolo di una sempre maggior integrazione della IURD nelle trame gestionali dell’istituzione e della quotidianità delle recluse.

Ricevere le suppellettili più preziose (televisori, stufe elettriche e radio) oggettivava una posizione di vantaggio delle beneficiarie in termini di status e pratici, in una situazione senza precedenti nella quale si trascorreva il tempo in cella per motivi di sicurezza sanitaria. Si trattava di un pubblico a cui far sentire in modo tangibile e allo stesso tempo intimo e immateriale la presenza costante della IURD e i suoi effetti di pacificazione degli animi. Questi effetti, man mano che la visibilità e la posizione della Chiesa Cristiana andavano rafforzandosi, sono stati in grado di oltrepassare la sfera materiale e spirituale.

Nelle conversazioni intrattenute con Paula nel novembre-dicembre 2021, lei descrive un’importante evoluzione del posizionamento della IURD in questioni che esulano dalle competenze ascritte alla congregazione, di cui avevo captato già qualche segnale prima della pandemia.

Durante un incontro in carcere (inizi di febbraio 2020), Paula racconta la testimonianza di una madre che, parlando della detenzione del figlio, afferma di non voler accettare passivamente questa situazione, senza intraprendere alcuna azione. Riferendo le parole della donna, dice: «Mi sono ribellata, ho pregato -Dio mio, Padre mio, libera mio figlio-, e Dio ci ha ascoltato! È stato liberato con la condizionale». Libertar-se (liberarsi) era spesso il risultato di questa rivolta interiore, assecondando uno slittamento concettuale che sposta la risoluzione del caso dal piano giuridico-legale a quello spirituale-miracolistico[15]. È in questi termini che Paula riteneva di essere e veniva spesso considerata dalle detenute un'autorevole mediatrice e interlocutrice delle autorità penitenziarie:

Le detenute chiedono molto che io parli con la direzione per aiutarle a ottenere dei benefici. Chiedono molto che io parli con loro [con la direzione] per essere scarcerate, che interceda per ridurre il tempo di reclusione, insistono molto che io faccia questo (Paula, 7/12/2021 video chiamata).

Quando ho chiesto a Paula se alcune detenute fossero effettivamente uscite di prigione con il suo aiuto, lei cita il caso di Rosa, una donna che ho conosciuto a fondo nel 2019-2020, fervente credente e assidua frequentatrice delle riunioni dell'UNP. Era stata rilasciata circa un anno prima:

Lo stesso personale della prigione ha detto che Rosa ha molto di cui ringraziarci perché ha cambiato il suo comportamento. Il fatto che vada all'incontro della IURD, il fatto che noi siamo lì per questo sostegno spirituale le ha fatto cambiare il suo comportamento e questo ha portato alla riduzione della sua pena. È uscita per buona condotta, ha iniziato ad ottenere benefici e il permesso di uscire; ogni mese andava a casa. Doveva presentarsi alle 5 ma alle 2 di pomeriggio era già lì. Tutti -guardie, staff penitenziario, direzione- hanno detto che è cambiata molto e l'hanno scarcerata! Parlo spesso con il direttore e dico: se possiamo aiutare una reclusa, è una reclusa in meno che dà problemi (Paula, 7/12/2021 videochiamata).

Il discorso sulla libertà era dunque ambivalente. Veniva presentato alle detenute in termini spirituali con possibili risvolti eccezionali di carattere soprannaturale che determinavano l’affrancamento dalla carcerazione. Quando l’interlocutore era l’autorità (o l’antropologa), Paula riportava il discorso su un piano normativo-securitario più affine all’interpretazione laica di quanto accadeva e, di fatto, concomitante con gli obiettivi dell’istituzione penitenziaria.

Tuttavia, l’ambito riconoscimento del buon operato della IURD arrivava soprattutto quando casi disperati di persone violente e difficilmente gestibili, relegate permanentemente nella sezione di alta sicurezza, modificavano il loro comportamento per merito della Chiesa Cristiana:

Questo è un risultato per noi, è una vittoria, siamo stati in grado di lavorare con loro in modo che cambiassero il loro comportamento. È una vittoria per la IURD. Ho sentito sia il direttore che il capo della sicurezza dire che le due recluse più problematiche ora sono amiche e che questo è il risultato del nostro lavoro. Questo ci rende molto soddisfatti. Essere notati dal capo della sicurezza e dal direttore del carcere, ci rende molto felici, questo è il nostro obiettivo (Paula,10/11/ 2021, luogo di culto cittadino della IURD).

Le attività dell'UNP sono realizzate quindi sul doppio binario dell’aiuto e della visibilità finalizzata all’encomio da parte dell'istituzione. La visibilità, inoltre, combinata con un regime di controllo e sorveglianza, assicurava non solo la presenza spirituale della IURD al di là della celebrazione ma rappresentava anche un messaggio di trasformazione possibile, consegnato a tutto il personale della prigione e alla popolazione penitenziaria. Infatti, come per altri gruppi pentecostali operanti in carcere, la distinzione per decoro e buona condotta dei propri proseliti, in antitesi con qualsiasi stereotipo negativo affibbiato alla popolazione carceraria, era alla base della relazione con l’istituzione. Questa antitesi tra reclusi e reclusi pentecostali praticanti è specialmente ricercata in quei contesti in cui le chiese pentecostali possono governare una parte dello spazio interno [Dias 2006, 86; Johnson 2017]. E in proposito, in una delle nostre ultime conversazioni, sia Paula che Elvira si sono spinte ad affermare (quasi sottovoce) un dato in teoria già acquisito e che nel corso della ricerca si faceva sempre più evidente, ovvero che la IURD-UNP, in Portogallo e nel resto del mondo in cui opera, aspira a riprodurre il modello gestionale “ibrido” del carcere brasiliano, in cui la Chiesa Cristiana ha assunto un ruolo rilevante. Un modus operandi impensabile nel contesto secolare portoghese e che pure, tacitamente, guidava l’azione della congregazione nelle carceri di questo paese.

Conclusioni: “il prodotto”

L’emergenza sanitaria ha accresciuto il disagio sociale delle fasce sociali marginali, per lo più coincidenti con il profilo socioeconomico delle recluse[16] protagoniste di questo lavoro, trasformando le disuguaglianze in emergenze. Ha inoltre messo in luce le carenze e le falle del sistema penitenziario portoghese, le sue vulnerabilità ed incongruenze [Frois 2020; Silva 2020].

In tale scenario, questo lavoro propone materiali e punti di vista piuttosto originali nel panorama di studi sugli aspetti securitari e disciplinari che legano religione e carcere, generalmente concentrati sul fondamentalismo islamico e le dinamiche di un proselitismo teso all’azione violenta e alla distruzione del sistema. Rimangono tuttavia aperti numerosi interrogativi che in parte si strutturano sulla difficoltà di distinguere, nell'emergenza, tra il proselitismo aggressivo, il fondamentalismo religioso e le contraddizioni che informano le ragioni umanitarie e la compassione, capaci di proiettare i margini al cuore dello stato [Fassin 2012; Fassin et al. 2015]. In parte si strutturano sulle ambiguità del rapporto tra IURD e istituzione penitenziaria: siamo di fronte alla creazione di uno stato di eccezione in un momento di sospensione dovuto all’emergenza? Le dinamiche informali di gestione congiunta dello spazio carcerario, intraviste nei commenti dei protagonisti di questo lavoro, svaniranno insieme alla pandemia? Sono semplicemente aspirazioni trasformate nella percezione di una realtà che non potrà mai esistere, almeno su un piano formale? O invece suggeriscono una governance carceraria “post-secolare” che appare impossibile da una prospettiva eurocentrica ma più familiare da una prospettiva dal Sud [Comaroff, Comaroff 2012]? Sorveglianza e sicurezza potrebbero diventare, come già accade in altre carceri del sud del mondo, prerogativa di gruppi religiosi in accordo con gli apparati di vigilanza ufficiali? In sintesi, questa etnografia coglie una situazione eccezionale o descrive una fase di transizione, fotografata nel suo stadio primordiale e favorita dalla pandemia?

In queste pagine ho evidenziato strategie relazionali e reti di significato che influiscono e sono determinate dalla percezione che ogni attore sociale ha del proprio ruolo nello spazio penitenziario. Percezioni analizzate mediante la lente di ingrandimento dell’etnografia, investite di un proprio statuto di realtà e che influenzano, di fatto, l’economia, la sorveglianza e la sicurezza dell’istituzione.

L'etnografia ha mostrato una realtà complessa, basata su piccoli attriti, scambi ineguali, fedeltà temporanee e risultati inaspettati che hanno permesso di portare a segno un certo numero di “vittorie” per la IURD, termine spesso impiegato da Paula, basate sul buon rapporto con le autorità, sulla fiducia e la considerazione dell’operato della IURD sotto la forma dell’azione caritatevole e dell’impegno nella riabilitazione delle detenute. Diritti e necessità sono diventati un idioma comune, una modalità approssimativa di tradurre concetti che nella lingua originale, quella della IURD e quella dello Stato, hanno significati diversi ma convergenti sul terreno del controllo e della sicurezza. Da qui il posizionamento sempre più centrale della Chiesa Cristiana dello Spirito Santo nelle questioni riguardanti la quotidianità della vita in carcere, producendo così un particolare tipo di libertà che non è più solo spirituale ma, nella percezione delle detenute, ha implicazioni importanti per la propria situazione giuridica.

La IURD ha così dimostrato di padroneggiare la mimesi e lo scambio, la velocità e l'opacità come forme di «navigazione sociale» [Vigh 2010] in un simile ambiente. Radio, televisioni, denaro, cibo, materiali per la cura della persona, la Bibbia entrano nel penitenziario sia come oggetti sia come simboli di un equilibrio fragile, di un intreccio grazie al quale la macchina penitenziaria è più che mai funzionante, trasformando la IURD in un potente attore coinvolto nei meccanismi gestionali dell’istituzione. Così, le donazioni massicce di beni sono una strategia di visibilità costosa che non porta un ritorno immediato in termini di nuove adesioni. Ganhar almas (salvare le anime) può essere una conseguenza di questo impiego di risorse ma in gioco è soprattutto il rapporto con l'istituzione e l’acquisizione di un peso sempre più rilevante per gli equilibri interni. Questo è “il prodotto”, per rispondere alla battuta della guardia penitenziaria citata all’inizio.

La rilevanza all’interno dell’istituzione associata alla rivalutazione in termini positivi dell’operato della IURD influenzano le rappresentazioni di Paula ed Elvira della realtà carceraria e del loro ruolo al suo interno, mirato alla crescita del gruppo neopentecostale e al rafforzamento dell'agenda istituzionale incentrata sull’ordine e la sicurezza.

Si delineano così forme di potere e di governo per nulla tese alla rottura dello status quo. Tra diritto, laicità, neoliberismo e negoziazione, la presenza della IURD in uno spazio sempre maggiore si fonde con una funzione pre-secolare (o post-secolare?) di vigilanza religiosa all’interno del carcere, riaffermata attraverso relazioni e dipendenze reciprocamente costitutive, costruite su ambiguità e “zone grigie”. Per la IURD si tratta tutto sommato, idealmente, di un ritorno all’essenza del cristianesimo, quella superpotenza politica ed economica che ha inventato il penitenziario dandogli un senso, una forma ed un nome.

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[1] In Portogallo quindi, la legge sulla Libertà Religiosa (2001) è la base giuridica per l’entrata in carcere di diverse confessioni, che affiancano quella che rimane la religione egemone, cattolica, favorita dal Concordato siglato tra la Santa Sede e lo stato (1940, rinnovato nel 2004).

[2] Si veda Teixeira [2019] per il caso portoghese.

[3] Per approfondire le molteplici sfaccettature del legame tra neoliberismo e gruppi pentecostali-carismatici si vedano, tra gli altri, Schirripa [2012], Attanasi e Yong [2012].

[4] Questo discorso ovviamente non è esente da pregiudizi e prese di posizione del tutto arbitrarie nei confronti della congregazione. In proposito, si veda Cerbini [2022].

[5] Per proteggere l’anonimato delle persone coinvolte nella ricerca non farò riferimento all’area geografica in cui essa si svolge. I nomi sono inventati.

[6] A causa delle restrizioni dovute alla pandemia, sono riuscita ad avere scarsissimi contatti con le persone recluse. Per questo, purtroppo, in questo lavoro le loro voci rimangono marginali. Allo stesso tempo, alcuni dei meccanismi descritti e riguardanti la relazione tra IURD e recluse erano già osservabili durante la ricerca e prendono ulteriore vigore durante la crisi sanitaria, come emerge dalle interviste con i membri della IURD.

[7] Vedi tra gli altri Becci, Roy [2015]. Per una panoramica bibliografica esaustiva sul tema, si veda Beckford [2015].

[8] “Universale nelle carceri”.

[9] Il fascicolo a edizione limitata mi è stato donato da uno dei vescovi della IURD in Portogallo durante un incontro che si è svolto nel novembre 2021 in uno dei principali templi del paese, organizzato da un membro della IURD-UNP conosciuto nel carcere femminile.

[10] Riprendo l’acronimo usato in Portogallo.

[11] Si vedano: Capone Mary [2012]; Freston [1999]; Mafra [2002; 2003]; Oro [2004; 2019]; Oro et al. [2003]; Oro Alves [2015, 952-953]; Rodrigues Silva [2014]; Vilaça [2013:85].

[12] Sul “sacrificio” finanziario e le donazioni degli adepti come metodo per “testare” Dio, si veda in particolare il lavoro di van Wyk [2014].

[13] Si veda: Freston [2010].

[14] Si veda Cerbini [2022].

[15] In un contesto extraeuropeo [Cerbini 2016, 139-161] ho analizzato le narrazioni riguardanti la scarcerazione quale evento miracoloso ed inspiegabile o poco probabile in termini giuridici. Un concetto che Manchado [2019, 148] definisce “prosperità penale”, mettendolo in relazione con il “vangelo della prosperità” alla base dell’operato di molti gruppi neopentecostali in carcere.

[16] In proposito si vedano anche i lavori di Cunha [2002] e Frois [2017].