L’organizzazione e il valore sociale del lavoro pubblico

tra riforme e crisi pandemica

Margherita Sabrina Perra

Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università di Cagliari

Indice

Introduzione
Riforme della PA e lavoro dei dipendenti
Trasformazioni recenti del lavoro nelle pubbliche amministrazioni in tempo di crisi
Etica, funzione pubblica e valore sociale del lavoro
Note conclusive
Bibliografia

Abstract.  This paper offers a discussion concerning the social value of the labour in public sector as perceived by the public employees and emerging from some research conducted from 2017 onwards in different sector of the public administration. The issue of public administration has been pertinent given that regulatory and market failures have been attributed to its inefficiencies. The last reforms have changed the public administration and modified the relationship with citizens. In this context, public employees are copying growing difficulty to reconcile their professional ethos with the aims of the public administration.

Keywords. ‘Public sector’, ‘legislative reform’, ‘public bureaucrat’s ethic’, ‘public function’.

Introduzione

La crisi pandemica da COVID-19 ha costretto la pubblica amministrazione al ricorso al lavoro a distanza [Butera 2020]. Lo smart working forzato e la possibilità di una sua adozione anche nel post-pandemia hanno suscitato una discussione più generale sull’organizzazione del lavoro nel pubblico impiego a partire anche dai recenti interventi legislativi che interessano la Pubblica Amministrazione (PA). Questi sono precedenti alla pandemia e nella sostanza poco influenzati dalle esperienze organizzative del periodo del lockdown. Infatti, la tendenza più recente espressa dal Ministro per la pubblica amministrazione e concretizzata nelle riforme collegate al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è quella di tornare al lavoro in presenza, anche se con una maggiore attenzione alle richieste di lavoro a distanza espresse dai dipendenti. Si riprende un percorso che è cominciato nel 2009 e proseguito negli anni successivi. Fino alla legge n. 124/2015, nota come riforma Madia, l’efficacia e l’efficienza della PA erano perseguite principalmente attraverso innovazioni di processo, in particolare digitalizzazione e semplificazione, mentre negli ultimi anni l’attenzione si è spostata sull’organizzazione del lavoro. Con maggiore insistenza il legislatore riconosce nei lavoratori la principale risorsa nella definizione delle strategie di miglioramento delle performance delle amministrazioni. Lo testimoniano gli interventi sui ruoli dirigenziali e la promozione di azioni di razionalizzazione delle risorse umane già disponibili e di quelle potenziali. I dirigenti sono chiamati ad una programmazione e progettazione delle attività produttive che espliciti in modo chiaro l’impiego delle risorse, non più sulla base del solo ruolo organizzativo, ma sui contenuti delle mansioni effettivamente affidate ai lavoratori. Anche il recente Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato tra il Ministro della PA e le organizzazioni sindacali confederali (marzo 2021) afferma: «il successo di ogni percorso di innovazione e riforma della PA dipende non soltanto da opportuni investimenti nella digitalizzazione, ma anche da una partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori».

Inoltre, sulla necessità della programmazione riconosce: «La costruzione di una nuova e moderna PA si fonda sulla valorizzazione delle persone, attraverso percorsi di crescita e aggiornamento professionale, e sulla definizione di un piano delle competenze su cui costruire la programmazione dei fabbisogni e le assunzioni del personale».

Il Patto afferma principi già noti e contenuti nei processi di valutazione delle performance, della digitalizzazione, di definizione del POLA[1] ma, differentemente da questi interventi, esplicita i diritti e doveri dei dipendenti e delle amministrazioni. Infatti, ai primi riconosce: «un diritto/dovere soggettivo alla formazione continua, al fine di essere realmente protagonista del cambiamento, e che la Pubblica Amministrazione dovrà utilizzare percorsi formativi di eccellenza, adatti alle persone e certificati». Alle amministrazioni garantisce l’impegno del Governo: «a definire politiche formative di ampio respiro, con particolare riferimento al miglioramento delle competenze digitali e di specifiche competenze avanzate di carattere professionale. Formazione e riqualificazione assumeranno il rango di investimento strategico e non saranno più considerati come mera voce di costo».

Di recente i principi sono stati confermati nel contratto collettivo nazionale (CCNL) del pubblico impiego (2019-2021) siglato a maggio 2022[2] e nel nuovo Piano integrato di Attività e di organizzazione[3] (PIAO) che all’art. 6, 2c:

individua la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo organizzativo, anche mediante il ricorso al lavoro agile e gli obiettivi formativi annuali e pluriennali, finalizzati ai processi di pianificazione secondo le logiche del project management, al raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali e all’accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale correlati all’ambito di impiego e alla progressione di carriera del personale.

Partendo da queste osservazioni generali, il contributo pone il tema del valore sociale del lavoro pubblico come specificazione del valore pubblico dell’azione amministrativa. L’attenzione sarà posta sui significati che i dipendenti pubblici esprimono rispetto ai contenuti del proprio lavoro e al bisogno di riconoscimento delle conseguenze che esso produce sui cittadini. Numerose indagini nazionali e internazionali hanno evidenziato che tale significato differisce dal convincimento del legislatore. Questa discrasia costituisce il punto di partenza del contributo. Infatti, sfruttando la collaborazione con diverse amministrazioni pubbliche cominciata nel 2017, gli incontri e le interviste a testimoni privilegiati (dirigenti e dipendenti), le attività formative rivolte ai dirigenti di alcune amministrazioni della Regione Sardegna, l’INPS e l’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA), è cominciata un’osservazione partecipata finalizzata a verificare i processi di costruzione del significato del valore sociale del lavoro pubblico così come elaborata dai dipendenti pubblici nelle relazioni interorganizzative e nel rapporto con i cittadini/utenti. Nel contributo si propongono alcuni risultati preliminari. Per questioni di spazio, non si fa esplicito riferimento ai testi delle interviste o alla descrizione dell’osservazione partecipante anche perché, a causa della pandemia, essa si è svolta in modo frammentario con interruzioni.

Anche se il carattere qualitativo ed esplorativo della ricerca non consente la generalizzazione dei risultati, essa permette di proporre alcuni elementi di riflessione che potrebbero essere approfonditi con gli strumenti dell’antropologia, principalmente le etnografie del lavoro [D’Alosio 2014; 2021; Capello 2020; Ghezzi e D’Aloisio 2020].

Riforme della PA e lavoro dei dipendenti

Nel corso degli ultimi anni spinte endogene ed esogene sollecitano la PA a notevoli sforzi organizzativi. La prima spinta esogena si iscrive nei processi di riforma della PA cominciati nel corso degli anni Novanta [Capano 2011; dell’Orta 2011; Dell’Aringa, Della Rocca 2017] che ha introdotto la privatizzazione e il decentramento amministrativo; la seconda, sempre a carattere esogeno, nasce da una riscrittura del rapporto tra l’amministrazione e i cittadini più orientata a rispondere alle richieste di questi ultimi, dapprima in una logica di customer satisfaction, poi di domande sociali. La terza spinta, a carattere endogeno, riguarda la rilegificazione e centralizzazione di molti elementi costitutivi delle politiche del personale dapprima riconosciute all’interno di quadro di generale autonomia delle amministrazioni locali [Sepe et al. 2003; Melis 1996; Capano, Gualmini 2011; Girotti 2013]. Sulla spinta del New Public Management e in maniera più radicale della Public Governance l’amministrazione pubblica sta modificando i suoi assetti organizzativi, sebbene perduri un modello burocratico, soprattutto per quanto attiene all’esercizio del comando e ai meccanismi di controllo [Denhardt R., Denhardt 2009]. Sotto il profilo organizzativo, l’azione riformatrice ha determinato un innalzamento dell’incertezza ambientale e la spinta ad organizzare e valutare l’azione amministrativa secondo criteri aziendalistici. La dirigenza ha assunto un ruolo centrale perché spetta ad essa la definizione dei fini organizzativi (ruolo di programmazione e progettazione), ma anche quello di raccordo delle razionalità individuali e collettive, con lo sviluppo di processi di produzione di senso da parte di ciascun dipendente che costituiscono la base dell’attività di coordinamento.

Tra i compiti dei dirigenti uno dei più importanti è quello di direzione del personale in un quadro di nuova concezione del pubblico impiego che prevede, in primo luogo, il passaggio da un’impostazione di tipo burocratico (gerarchico-funzionale) a quello per obiettivi[4]. Secondo quanto definito dal legislatore sulla performance organizzativa e sui sistemi di valutazione[5], ogni fase del rapporto di lavoro dovrebbe essere accompagnata da una valutazione delle competenze concrete e non solo di quelle formalmente riconosciute nel ruolo e verificate nella fase concorsuale. Infatti, le innovazioni dei contenuti e degli strumenti dei processi di lavoro hanno modificato, arricchendole e complicandole, le mansioni dei lavoratori senza che questi trovino un riconoscimento in termini di progressione di carriera e/o di retribuzione[6]. Tale discrasia rappresenta una delle più importanti ragioni di conflitto all’interno delle amministrazioni che non trovano ancora un consolidato canale di legittimazione nei processi di negoziazione della contrattazione collettiva del pubblico impiego[7].

I dipendenti pubblici sono, quindi, al centro di un’intensa attività di riforma dei ruoli e delle mansioni che prosegue parallelamente alla riforma dei processi organizzativi orientati principalmente alla semplificazione. Il legislatore interviene continuando a tenere distinta l’organizzazione amministrativa, strictu sensu, e la regolamentazione dei rapporti di lavoro. Si osserva per questa ragione una doppia anima dell’organizzazione in cui si contrappongono, anziché integrarsi, il lavoro e il sistema socio-tecnico. Nei fatti i due ambiti sono inscindibili. Le difficoltà connesse all’organizzazione sono aggravate anche dal turn over e dalle nuove regole del reclutamento dei dipendenti pubblici che conducono a una parziale sostituzione dei lavoratori più anziani con altri più giovani e qualificati e al ricorso più frequente a contratti a tempo determinato e a nuove regole (basate sulla competizione interna) per le progressioni di carriera.

Nel corso del tempo si è modificata la composizione degli organici e questo ha dato luogo a una pluralizzazione degli interessi tra lavoratori, come emerge dal CCNL del pubblico impiego che adegua i sistemi di partecipazione sindacale, valorizzando gli strumenti di partecipazione organizzativa e il ruolo della contrattazione integrativa. Inoltre, vi è stato un rafforzamento della privatizzazione del rapporto di lavoro del pubblico impiego che stenta a trovare pieno riconoscimento nell’attività negoziale e nella capacità dei sindacati di gestire il conflitto [Romagnoli 2020, in De Masi p. 436]. È chiaro che le parti sociali faticano soprattutto per ciò che attiene al riconoscimento delle mansioni sempre più specializzate e non sempre identificabili nell’attuale repertorio delle professioni[8]. Tali processi riguardano potenzialmente circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici.

La negoziazione rappresenta una sede fondamentale di definizione del valore del lavoro dato che i suoi esiti, in termini di condizioni di lavoro garantite, possono costituire un indicatore del valore riconosciuto al lavoro pubblico, non solo all’interno dell’amministrazione, ma nella società. Le interviste e le osservazioni partecipate condotte durante la collaborazione con alcune amministrazioni hanno consentito di rilevare che il valore attribuito dai lavoratori pubblici al proprio lavoro è fortemente condizionato dalla rappresentazione sociale prevalente tra i cittadini e dalle interazioni quotidiane tra dipendenti e utenti. Fino a ora, tale relazione è stata considerata nella dimensione quantitativa, ovvero nella capacità dell’amministrazione di rispondere alle istanze dei cittadini in tempi brevi mediante la “presa in carico” della richiesta. La valutazione dell’azione amministrativa collegata alla performance non considera gli effetti che questa produrrà nella vita dell’utente, né quanti utenti “potenziali” non hanno voluto o potuto accedere alla prestazione o al servizio. Al contrario, tale dimensione che attiene più all’outcomes che all’output, è una componente essenziale del percorso di autoriflessione che i dipendenti pubblici fanno della propria azione all’interno delle interazioni con l’utente, oltre che nell’impegno profuso nell’erogazione della prestazione anche quando non vi sono rapporti diretti con il cittadino. Nelle osservazioni partecipate e nelle interlocuzioni con i dipendenti dell’Inps emergeva chiaramente la preoccupazione di «lavorare velocemente la pratica» per ridurre i tempi di attesa del beneficiario.

Trasformazioni recenti del lavoro nelle pubbliche amministrazioni in tempo di crisi

Gli interventi legislativi di riordino della pubblica amministrazione e la progressiva riduzione di risorse economiche hanno comportato, per le amministrazioni, un impegno di carattere organizzativo finalizzato alla ri-scrittura dei processi produttivi e del lavoro. Lo spazio e il tempo di lavoro sono elementi centrali nella definizione del rapporto di lavoro e costituiscono la base delle organizzazioni a carattere gerarchico-funzionale, che richiedono elevati livelli di certezza organizzativa basati su ruoli e mansioni chiaramente definiti e integrati.

Negli ultimi due decenni le mansioni incluse nei ruoli organizzativi sono aumentate, si sono specializzate e la loro esecuzione ha richiesto l’apprendimento di competenze necessarie a fronteggiare le innovazioni tecniche e tecnologiche che hanno interessato la PA. Queste ultime rappresentano gli strumenti disponili per la semplificazione dell’azione amministrativa, divenuta sempre più complessa anche in ragione della diversificazione degli obiettivi della funzione pubblica. La declinazione in compiti specifici, complessi e non sempre chiari, ha ridotto le capacità dei dipendenti di controllare i contenuti del proprio lavoro e ridotto le capacità di produzione di senso della catena mezzi-fini con una tendenza al formalismo burocratico[9].

Fino a ora, nella PA, il lavoro è attributo sulla base delle funzioni riconosciute all’ente che, per immedesimazione organica, le declina secondo le mansioni previste nei ruoli organizzativi. Permane invece una notevole incertezza rispetto al modo in cui le mansioni si sviluppano in processi organizzativi e di lavoro [Giorgiantonio et al. 2016]. Alcune indicazioni in tal senso sono contenute nel POLA e nel PIAO e nelle linee guida fornite dal Dipartimento della Funzione pubblica rispetto all’introduzione di nuovi modelli organizzativi[10]. Il PIAO è l’ultimo strumento messo a disposizione delle amministrazioni che fa leva, direttamente e indirettamente, sull’acquisizione di nuove competenze e la razionalizzazione di quelle disponibili[11]. Il processo richiede l’integrazione con le dotazioni tecnologiche potenziate da routine organizzative basate su nuovi modi di intendere i tempi del lavoro e la loro organizzazione[12]. Secondo quanto specificato nel PIAO, l’amministrazione dovrà indicare l’elenco delle procedure da semplificare e reingegnerizzare ogni anno, anche mediante il ricorso alla tecnologia e sulla base della consultazione degli utenti, ma anche la pianificazione delle attività, inclusa la graduale misurazione dei tempi effettivi di completamento delle procedure effettuata attraverso strumenti automatizzati. I presupposti essenziali di questa innovazione sono due: la disponibilità di professionalità più elevate cui corrispondono mansioni sempre meno esecutive e a maggiore discrezionalità [De Masi 2020] e un elevato livello di coordinamento dei dirigenti. Questi ultimi sono individuati come veri e propri «imprenditori burocratici» [Forouharfar 2020] cui spetta l’avvio e la gestione dei processi di innovazione istituzionale attraverso l’attuazione degli ultimi interventi legislativi di riorganizzazione della pubblica amministrazione. In questo modo il legislatore auspica di potere ridurre le differenze rilevate nella qualità dell’azione amministrativa rispetto ai livelli della governance, ai tipi di amministrazione, alle capacità organizzative di ciascuna amministrazione, ai singoli contesti territoriali [Cerase 2017].

I correttivi individuati per invertire la tendenza sono quelli della semplificazione[13] dei procedimenti amministrativi di quelli organizzativi e produttivi, anche mediante la digitalizzazione degli stessi, la razionalizzazione delle risorse disponibili e il rafforzamento delle competenze favorito dal turn over. A questi si associa il passaggio verso un’attività amministrativa orientata agli obiettivi con elevati livelli di adattabilità. Prerequisito per la realizzazione di questo cambiamento è la creazione di gruppi di lavoro coesi e collaborativi in grado di trasferire competenze all’interno di una struttura che si mantiene di tipo gerarchico-funzionale e per questo agevola la persistenza di una cultura organizzativa incentrata sulla disposizione all’obbedienza dei dipendenti. Tale incapacità addestrata[14] si è mantenuta nel tempo anche per la limitata formazione professionale orientata a sviluppare il sense making organizzativo [Weick 1995].

Nei mesi del lockdown dirigenti e dipendenti hanno sperimentato la possibilità di organizzare il lavoro secondo nuove modalità di controllo e con maggiore autonomia dei lavoratori. Nelle prime indagini condotte dal Dipartimento della Funzione pubblica e in quelle successive[15] è emerso che la condizione di emergenza ha costretto le amministrazioni al ricorso a soluzioni “ibride” di lavoro a distanza, senza che fosse possibile considerare come queste avrebbero inciso sull’organizzazione. Nel passaggio ad una situazione ordinaria, queste soluzioni possono divenire routines se si chiariscono le modalità attraverso le quali integrare il lavoro in presenza e quello a distanza mediante la definizione di processi organizzativi e di lavoro che si avvalgano pienamente degli strumenti offerti dalle ICT e dalla digitalizzazione [ENEA 2020].

Sul fronte dei dipendenti, nelle prime fasi dell’emergenza, questi hanno valutato positivamente l’esperienza del lavoro a distanza che ha consentito di apprezzare l’autonomia che caratterizza lo smart working e che deriva da un’attenuazione del controllo. Tutti i lavoratori hanno però espresso i loro giudizi sapendo che si trattava di una esperienza transitoria e limitata nel tempo. Nelle stesse indagini, infatti, gli intervistati hanno ribadito che nella vita ordinaria delle organizzazioni è importante non «allontanarsi troppo» dai luoghi di lavoro per non perdere i vantaggi connessi al lavoro condiviso e in co-presenza [ENEA 2020; Dipartimento della Funzione Pubblica 2020].

Etica, funzione pubblica e valore sociale del lavoro

Quanto detto fino a questo punto evidenzia che i contenuti, i tempi e metodi del lavoro pubblico stanno subendo notevoli trasformazioni. Nelle esperienze di ricerca sul campo su cui si basa questo contributo, è stato possibile osservare che, come conseguenza, i dipendenti faticano a conciliare gli orientamenti valoriali personali con quelli strumentali dell’organizzazione imposti nello svolgimento quotidiano del lavoro. I dipendenti e i dirigenti più giovani nutrono il pieno convincimento che il lavoro pubblico possiede un valore sociale intrinseco derivante dal fatto di assolvere alla funzione pubblica, così come stabilita dalla Costituzione, da cui derivano diritti e doveri dei dipendenti pubblici e principi che regolamentano la condotta di ciascuno. Esiste ed è riaffermata con forza l’idea dell’«etica del burocrate» che si scontra con l’immagine stereotipata prevalente tra i cittadini e che ne condiziona spesso le interazioni[16]. È su questa dimensione che si fonda il carattere sociale del valore attribuito al proprio lavoro dai dipendenti. Essa non costituisce solo un principio morale, ma la base della razionalità del lavoro.

L’etica del burocrate descritta dai dipendenti e rilevata nei comportamenti concretamente osservati, è motivata dalla responsabilità individuale dell’attuazione della funzione pubblica che si declina nel rapporto con gli utenti. Questo, a sua volta, è considerato il nucleo centrale del proprio lavoro. Al momento, i dipendenti pubblici[17] attribuiscono alle modalità di svolgimento delle mansioni imposto dai nuovi principi di organizzazione del lavoro una complessiva perdita di valore delle relazioni sociali tra i colleghi e con gli utenti. La dimensione relazionale non trova spazio nella limitatissima attività di formazione dei dipendenti e dei dirigenti e, cosa ancora più grave, nello svolgimento quotidiano del lavoro.

I tempi di lavoro e le modalità di erogazione della prestazione hanno ridotto molti ambiti della socialità all’interno dell’organizzazione, ivi compresi i processi di apprendimento collettivo che maturano nella condivisione delle pratiche e con essa degli obiettivi dell’organizzazione declinati nelle mansioni concretamente svolte. Al momento, tale dimensione del rapporto sfugge all’attenzione del legislatore e anche dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni. La valutazione delle performance individuale e per unità organizzativa basata sulla competizione, i criteri aziendalistici che vanno imponendosi attraverso l’ingegnerizzazione dei processi e il ricorso ai carichi di lavoro lasciano poco spazio alle relazioni di lavoro e al rapporto tra i dipendenti e i cittadini. Queste ultime sono affidate alle capacità individuali e rimangono nell’area informale delle pratiche organizzative. Se questo può essere positivo per la creazione di un clima organizzativo più sereno, è pur vero che i dipendenti segnalano la necessità di tenerne conto nella definizione degli obiettivi e dell’organizzazione del lavoro.

A livello aggregato, il valore sociale del lavoro pubblico – così come lo abbiamo definito - appare secondario nella valutazione dell’azione amministrativa incentrata sugli aspetti tecnico-strumentali[18].

Nelle ricerche empiriche condotte è emerso che nella vita quotidiana ci sono due fattori che rinforzano l’etica dei dipendenti pubblici: la legittimazione del loro lavoro da parte dei cittadini; la contrattazione del valore sociale del lavoro che si sviluppa nelle interazioni con i cittadini/utenti. I dipendenti si percepiscono come professionisti che svolgono una funzione tecnica inquadrata nel contesto normativo di riferimento e che rappresenta il presupposto della razionalità strumentale. Questa si scontra, però, con una razionalità orientata al valore il cui presupposto è la realizzazione della funzione pubblica. I dipendenti coinvolti nella ricerca segnalano che, al momento, i dirigenti cercano di sviluppare la razionalità strumentale, mentre le domande dei cittadini costituiscono un richiamo continuo alla razionalità orientata al valore[19]. Tale dicotomia è ritenuta la ragione della de-legittimazione del lavoro pubblico e della perdita del valore sociale del lavoro prodotto nel rapporto quotidiano con gli utenti. L’impossibilità di dedicare il tempo necessario, il ricorso a criteri organizzativi e procedure di difficile comprensione per i cittadini impediscono la costruzione di un set valoriale condiviso che legittimi il lavoro dei dipendenti. L’attuazione della norma e la volontà di rispondere alla domanda dei cittadini costituiscono l’ambito più problematico per i lavoratori e il campo di contrattazione con loro. La dimensione sostanziale della norma, che si crea nell’interazione con gli utenti, richiede tempi e risorse maggiori rispetto a quelle previste dall’organizzazione. Gli esiti non sono scontati e non necessariamente conducono alla concreta attuazione del principio di legalità e di solidarietà alla base della funzione pubblica. Tale risultato è possibile se l’etica del funzionario e quella dell’utente sono vicendevolmente orientati all’interesse generale e all’accesso ai servizi e alle prestazioni erogate dalla pubblica amministrazione.

L’etica costituisce anche l’elemento centrale della vita del dipendente all’interno dell’organizzazione che si sviluppa in valori comuni e condivisi, declinati nelle pratiche organizzative, nel senso di appartenenza ad una comunità di lavoro, nell’individuazione del valore sociale del proprio lavoro come fine non strumentale dell’azione. Lo sviluppo di questi processi è un compito per l’organizzazione che non può essere lasciato alle volontà del singolo.

Note conclusive

Nel dibattito pubblico-politico italiano sulla PA uno dei temi più importante è quello delle risorse umane. Infatti, il lento cambiamento della PA e la sua inefficienza sono stati attribuiti, frequentemente, ai limiti imposti dalle risorse umane e al modesto livello di tecnologie disponibili. Sfatata la diffusa credenza che i dipendenti pubblici siano un numero più alto rispetto alla media europea, si è accreditata l’ipotesi che le modeste competenze e alcune caratteristiche socio-anagrafiche li rendessero scarsamente produttivi, refrattari al cambiamento e ritualisti. Ad un’analisi più attenta, che si è concentrata sui processi organizzativi e sui fabbisogni del personale in alcune amministrazioni pubbliche, oltre che sugli esiti di numerose ricerche condotte sulla PA, segnalano profili più complessi che riguardano i dipendenti pubblici e il loro lavoro.

In primo luogo, l’azione amministrativa e la sua traduzione in processi organizzativi e di lavoro è complicata dalla incongruenza tra le professionalità presenti nell’amministrazione, le competenze disponibili, le nuove funzioni della PA, i ruoli e le mansioni individuate nell’organizzazione. Infatti, il reclutamento del personale è ancora prevalentemente incentrato su professioni generiche con mansioni formalmente attribuite per legge e nella contrattazione collettiva. Nei fatti, le mansioni si sono progressivamente modificate connotandosi per un maggiore intellettualizzazione che richiede competenze specialistiche che i lavoratori acquisiscono prevalentemente con il learning by doing e, solo limitatamente, attraverso un’adeguata formazione professionale[20]. Il ruolo assume centralità nella definizione di uffici che, sulla spinta della digitalizzazione e dell’introduzione di una crescente flessibilità oraria, possono essere immaginati (e quindi programmati) all’interno di sistemi sociotecnici in cui si accentua la dimensione sociale e relazionale del ruolo. In questa fase di transizione, è auspicabile l’approfondimento della conoscenza circa le competenze effettivamente disponibili nella PA al fine di razionalizzare la domanda di nuove figure professionali (soprattutto ruoli tecnici), nella definizione dei piani della formazione professionale e nella costruzione delle carriere lavorative[21]. Gli esiti di queste trasformazioni sono incerti, ma le premesse pongono perplessità riguardo al mancato riconoscimento delle competenze, allo sviluppo delle comunità professionali e alle conseguenze che queste condizioni possono porre in termini di partecipazione dei lavoratori ai processi produttivi e di costruzione di senso dell’agire organizzativo.

Bibliografia

Bonolis M., Sabetta L. 2019, Verso una congiunzione funzionale delle due “etiche”weberiane, «Quaderni di Sociologia» [Online], 81- LXIII | 2019, http://journals.openedition.org/qds/3483.

Butera F. 2020, Le condizioni organizzative e professionali dello smart working dopo l’emergenza: progettare il lavoro ubiquo fatto di ruoli aperti e di professioni a larga banda, «Studi Organizzativi», 1: 142-166.

Capano G., Gualmini E. 2011, Le pubbliche amministrazioni in Italia, Bologna: Il Mulino.

Capello C. 2020, Ai margini del lavoro. Un'antropologia della disoccupazione a Torino, Verona: Ombre Corte.

Cerase F.P., 2017, La “performance” e l’efficienza del settore pubblico in chiave comparata, in «Amministrare» 1, supplemento: 95-138.

Dell’Aringa C., Della Rocca G. (a cura di) 2017, Lavoro pubblico fuori dal tunnel? Retribuzioni, produttività, organizzazione, Bologna: Il Mulino.

De Masi D. 2020, Lo Stato necessario. Lavoro e pubblico impiego nell’Italia postindustriale, Milano: Rizzoli.

Denhardt R., Denhardt J., 2009, Public Administration. An Action Orientation, Belmont: T. Wadswoth.

D’Aloisio F. 2003, Donne in tuta amaranto. Trasformazione del lavoro e mutamento culturale alla Fiat-Sata di Melfi, Milano: Guerini e associati.

__2021, Partecipare all'impresa globale. Una ricerca antropologica in Automobili Lamborghini, Milano: Franco Angeli.

D'Aloisio F., Ghezzi S. 2020, Facing the Crisis: Ethnographies of Work in Italian Industrial Capitalism, New York (USA); Oxford (UK): Berghahn Books.

D’Onofrio P. 2018, La formazione nella pubblica amministrazione, «Lavoro@confronto,26»: http://www.lavoro-confronto.it/archivio/numero-26/la-formazione-nella-pubblica-amministrazione.

Fiorentino L. 2013, I corpi tecnici nelle amministrazioni: problemi attuali, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 2: 479-487.

Forouharfar A. 2020, Entrepreneurial Bureaucracy, in Farazmand A. (eds) 202, Global Encyclopedia of Public Administration, Public Policy, and Governance, Springer, Cham.

Giorgiantonio C. et al. 2016, Incentivi e selezione nel pubblico impiego, «Questioni di Economia e Finanza», Occasional Paper 342, Banca d’Italia, 2016.

Girotti F. 2013, Amministrazioni pubbliche. Un’introduzione, Roma: Carocci.

Melis G. 1996 Storia dell’amministrazione italiana, Bologna: Il Mulino.

Merton R.K. (1949, 1° ed.), Social Theory and Social Structure, Free Press, Glengoe (tr. It., Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna, 1966, 2° ed.).

Moore M. 1997 Creating Public Value. Strategic Management in Government, Harvard: Harvard University Press.

OECD 2016, Be flexible: background brief on how workplace flexibility can help European employees to balance work and family, https://www.oecd.org/els/family/Be-Flexible-Backgrounder-Workplace-Flexibility.pdf

Pisauro G. 2008, Le storture del pubblico impiego riformato, «Rivista Trimestrale di diritto pubblico», 58, 2: 449-459.

Pisauro G. 2018, La pubblica amministrazione italiana: il punto di vista di un economista pubblico, «Public Management», vol.1: 60-67.

Rizzica L. 2015, The use of fixed-term contracts and the (adverse) selection of public sector workers, «Temi di discussione (Economic working papers) 1041», Bank of Italy, Economic Research and International Relations Area.

Rizzica L. 2016, Why go public? A study of the individual determinants of public sector employment choice, «Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers) 343», Bank of Italy, Economic Research and International Relations Area.

Sepe S. et al. 2003, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana, Roma: Carocci.

Weick K. E.1995, Sensemaking in organizations, Housand Oaks: Sage Publications.



[1] Il Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) è stato introdotto dal D.L. 34/2020. È lo strumento prioritario di cui le amministrazioni avrebbero dovuto dotarsi per passare allo smart working nella fase post-pandemia. Il POLA era descritto come un documento di visione, politico e di programmazione. Il POLA è già stato superato dato che, entro il giugno 2022, i suoi contenuti dovranno essere inseriti nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO). Il PIAO è stato introdotto all’articolo 6 del decreto-legge n. 80/2021, il cosiddetto “Decreto Reclutamento”. Esso è definito come un documento unico di programmazione e governance per le pubbliche amministrazioni che permette di superare la frammentazione degli strumenti ad oggi in uso e che accorperà tra gli altri i piani della performance, del lavoro agile e dell’anticorruzione.

[3] Il PIAO risponde alla finalità di «migliorare la qualità dei servizi ai cittadini alle imprese» (art. 6 del D.L 80/2021) nell’ambito della Milestone M1C1 -56 Riforma 1.9 – Riforma della PA e nella logica più ampia della semplificazione.

[4] Esiste un ampio dibattito sulla coerenza tra il nuovo profilo del dirigente (a modello unico) e le istanze di innovazione previste nelle riforme recenti [Fiorentino 2013].

[5] Nelle linee guida del PIAO, in relazione alla Sezione “Organizzazione e capitale umano”, il monitoraggio della coerenza con gli obiettivi di performance sarà effettuato su base triennale dall’OIV/Nucleo di valutazione.

[6] Nell’ultimo CCNL si dà concreta attuazione alla milestone del PNRR relativa alla riforma del lavoro pubblico, con la revisione dell’ordinamento professionale e lo sviluppo delle carriere, l’introduzione della quarta area relativa alle “elevate professionalità”, la rinnovata attenzione alla formazione e la previsione di “differenziali stipendiali” capaci di remunerare il maggior grado di competenze progressivamente acquisite dai dipendenti.

[7] L’attenzione al tema è confermata dai contenuti del CCNL del pubblico impiego che fa riferimento al nuovo ordinamento professionale e il superamento dei limiti all’incremento dei Fondi risorse decentrate.

[8] La revisione dell’ordinamento professionale e del sistema di classificazione dei profili professionali è uno degli obiettivi previsti nella riforma della PA che costituisce il target M1C1-56 in scadenza al 30 giugno 2022. Per il dettaglio si veda il sito del Dipartimento della Funzione Pubblica:

https://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/presentazionepnrr.pdf

[9] Il segnale più evidente di questi processi a livello aggregato è rappresentato dall’affermazione progressiva della “burocrazia difensiva”. Indica l’atteggiamento inerte di molti dipendenti che rallentano l’iter dei procedimenti di propria competenza con infinite e ingiustificate richieste di documenti, pareri e adempimenti per timore di incorrere in responsabilità.

[10] Nell’audizione al Senato (Doc. XXVII, n. 18 - (proposta di "Piano nazionale di ripresa e resilienza") il Prof. D. Limone – allora direttore della Scuola Nazionale di Amministrazione Digitale (SNAD) – ha sottolineato che: “i processi di digitalizzazione si caratterizzano ancora come processi di “automazione” di procedure sconnesse da una evoluzione dei modelli organizzativi e dei modelli di organizzazione del lavoro”.

[11] Da qualche anno, il CNEL nell’ambito della sua attività di tenuta e aggiornamento dell'Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro nel settore pubblico sta lavorando all’individuazione delle professioni emergenti.

[12] Di recente il legislatore sembra avere invertito la rotta con le recenti modifiche in tema di reclutamento del personale amministrativo, che traggono origine dalla c.d. “riforma Madia” (legge 7 agosto 2015, n. 154), dal successivo decreto delegato (D.lgs. 25 maggio 2017, n. 75), che ha interessato il pubblico impiego e il relativo testo unico, e dalle conseguenti “Linee di indirizzo per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale da parte delle amministrazioni pubbliche”, introdotte col Decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione del 8 maggio 2018 (in G.U., Serie Generale n. 173 del 27 luglio 2018).

[13] Sulla semplificazione è tornato di recente anche il DL 76/2020 “Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale che si è limitato, ad individuare alcuni processi da semplificare senza indicazioni sul rapporto tra semplificazione, digitalizzazione e organizzazione dei processi organizzativi e di lavoro.

[14] Con questa espressione R. Merton [1949] indica la conseguenza inattesa dell’azione amministrativa. Il funzionario viene addestrato ad una certa procedura nella presunzione che la realtà da affrontare rimanga indefinitamente la stessa. Ma quando la realtà muta e sorgono problemi inediti, tutto l’apparato di tecniche, abitudini, riferimenti a procedure o a decisioni precedenti viene messo in crisi. L’addestramento troppo specifico del funzionario si traduce in mancanza di duttilità nell’applicazione delle norme e quindi in un mancato perseguimento degli scopi per cui l’organismo burocratico era stato creato.

[15] Al fine di analizzare l’esperienza del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche durante l’emergenza, il Dipartimento della funzione pubblica ha avviato una specifica iniziativa di monitoraggio sul lavoro agile. Il link per accedere ai dati e ai rapporti di sintesi è: http://www.funzionepubblica.gov.it/lavoro-agile-e-covid-19/monitoraggio-lavoro-agile

Altri dati sono resi disponibili dall’ENEA che ha presentato i primi risultati dell'indagine nazionale su lavoro agile e telelavoro nel settore pubblico: https://www.enea.it/it/seguici/pubblicazioni/pdf-volumi/2020/smart_working_nella_pa.pdf

Infine, vi sono i dati sulla diffusione dello smart working derivanti dalle indagini condotte dall'Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano: https://www.som.polimi.it/lavoro-agile-presentati-i-dati-della-ricerca-dellosservatorio-smart-working/

[16] A questo proposito, un’analisi specifica dovrebbe riguardare l’organizzazione degli uffici di relazione con il pubblico. Nel caso dell’INPS la ristrutturazione del servizio imposta a livello centralizzato sta generando molti problemi nella gestione degli utenti con un grande disagio dei dipendenti che nella nuova modalità sentono una spersonalizzazione del servizio.

[17] Ovviamente vi sono numerose differenze tra di essi che dipendono dal genere, dalla posizioni professionale e soprattutto dall’anzianità di servizio da cui deriva la condivisione di una specifica cultura del lavoro dell’ente di appartenenza.

[18] A questo proposito si consideri la struttura del DESI (Digital Economy and Society Index) ovvero l’indice sintetico usato per misurare il progresso degli Stati membri dell’Unione europea verso un’economia e una società digitale, basato su una serie di indicatori considerati rilevanti per valutare l’attuazione dell’Agenda Digitale Europea. Il DESI si compone di cinque principali dimensioni – strettamente collegate con le aree di policy dell’Agenda Digitale Europea - che rappresentano complessivamente oltre 30 indicatori. Nessuno di questi misura le dimensioni evidenziate dai lavoratori pubblici.

[19] La distinzione tra i due tipi di razionalità è proposta da Max Weber e dà origine ad un dibattito cui non è possibile fare cenno. Per un approfondimento si rimanda a Bonolis e Sabetta [2019].

[20] Secondo uno studio della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (2013), l’apprendimento avviene per il 90 per cento nelle attività quotidiane e solo il 10 per cento circa attraverso la formazione professionale. Inoltre, vi è una notevole polarizzazione tra poche amministrazioni in cui vi è un elevato investimento in formazione ad elevata specializzazione e la quasi totalità che presenta modesti livelli di investimento in tal senso. Nonostante la formazione professionale sia considerata una priorità per migliorare l’azione amministrativa e valorizzata nei CCNL, la sua diffusione è ancora gravemente insufficiente [D’Onofrio 2018].

[21] Il tema delle carriere all’interno delle burocrazie è al centro di importanti riflessioni che non è possibile discutere in questo contributo. Si può solo accennare al fatto che si discute sull’eventualità di introdurre nuovi criteri per le progressioni e la mobilità orizzontale e verticale che si muovano tra incentivi individuali retribuzione di risultato e collettivi Pisauro [2008, 2018].