Industria 4.0

Riflessioni antropologiche su innovazioni e forme del lavoro a partire dal caso di Automobili Lamborghini

Fulvia D’Aloisio

Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli

Indice

Introduzione
Quattro punto zero (4.0). Ampiezza di una definizione e diversificazione dei programmi di intervento
Dai principi alle prassi. Il reparto Urus di Automobili Lamborghini tra processo e prodotto
Operai 4.0 Competenze ibride e futuro incerto entro le nuove forme del lavoro
Conclusioni
Bibliografia

Abstract. The article analyses, from an anthropological perspective, an Italian example of Industry 4.0, concerning the Urus SUV production department of Automobili Lamborghini, owned by the VW-Audi Group since 1998. Within the context of Enterprise Anthropology and starting from the polysemy of the Industry 4.0 category, it examines some aspects regarding the realisation of the department, the transformation of the car product and the productive process, which is entirely computerised and supported by paperless technology. Through the eyes of ethnography, it registers some distinguishing traits belonging to new workers, in the context of transformations related to technology and the significance of labour in their experience: Digital Blue Collars and engineers who deal with change in process and product. Finally, the article reflects upon the lights and shadows of new technologies, and the new forms of labour, characterised by increasing job insecurity, among apocalyptic views and enthusiastic perspectives.

Keywords. Industrial Transformations, Digital Blue Collars, Ethnography, Forms of Labour.

Introduzione

L’etichetta di industria 4.0 è ormai entrata nei programmi politico-industriali dei paesi Europei, delineata come una nuova transizione, in atto o da realizzarsi, e al contempo come una nuova tappa dell’industrializzazione. Generalmente intesa come un’ulteriore, più sofisticata fase della digitalizzazione della produzione e/o dei prodotti, la questione si è collocata sotto un’attenzione scientifica ad ampio raggio, non solo dei settori direttamente interessati alle trasformazioni tecnologiche, ma anche delle scienze sociali, nel quadro eterogeneo dei settori produttivi cui essa può applicarsi e della varietà delle morfologie che essa può assumere.

In questo scritto, dopo una breve premessa teorica che mette a fuoco la categoria di industria 4.0, e dunque anche la sua efficacia in termini di analisi socioculturale, si propone un’analisi delle caratteristiche di tale modello e della sua concreta attuazione entro una specifica realtà produttiva attraverso l’analisi etnografica ricavata da un caso-studio del settore automobilistico, quello di Automobili Lamborghini.[1] Essa rappresenta infatti la prima azienda, in Italia e nel mondo, ad aver attivato, tra il 2016 e il 2017, un reparto le cui caratteristiche rientrano a pieno in questa definizione, ovvero il montaggio destinato ad un modello di vettura super-SUV, denominato Urus. Nel quadro dell’antropologia dell’impresa, l’analisi si focalizza, da un lato, sul modo in cui i territori e le imprese entrano a vario titolo nei network di produzione globale e nella distribuzione delle innovazioni al loro interno [Hours e Selim 2012, Herod 2018, Harvey e Krohn-Hansen 2018]; Lamborghini è infatti protagonista dell’innovazione produttiva improntata al 4.0 entro il network di produzione globale del Gruppo VW. Più specificamente, si cerca di rispondere ad una domanda di ricerca, sollevata dalla recente discussione in Italia, relativa alla centralità dei lavoratori in queste stesse trasformazioni, alla declinazione delle innovazioni nel loro orizzonte di conoscenze di valori, e nella quotidianità lavorativa.

Se infatti le scienze tecnologiche e gestionali necessariamente guardano alle questioni tecnico-organizzative, come pure alle ricadute in termini di efficientamento e produttività, sul versante del lavoro il discorso si fa ulteriormente sfaccettato e complesso. Da un lato, si sottolinea la questione della quantità di lavoro, quindi della inevitabile riduzione numerica dei lavoratori che si legherebbe alle trasformazioni digitali [Ford 2015], mentre dall’altro versante, quello della qualità del lavoro, alcuni autori ritengono che il discorso sia ancora tutto aperto [Cipriani, Gramolati, Mari 2018, Magone, Mazali 2018]. In sostanza, esiste un certo accordo sul fatto che ci si trovi di fronte ad una accelerazione del cambiamento, che lascia aperti temi come la riconfigurazione dei ruoli, le nuove competenze, il cambiamento dei ritmi e dei tempi come pure delle forme del controllo sul lavoro [Seghezzi 2017, Negrelli 2018]. Anche in questo caso, Lamborghini, con una nuova classe di lavoratori giovani e tecnicamente competenti, incarna un primo esempio di “nuovi” operai del 4.0, la cui configurazione come classe lavorativa precaria apre però necessari scenari di riflessione.

Nello spazio del presente contributo, attraverso la lente dell’etnografia, ci si interroga sul senso delle nuove trasformazioni digitali nell’industria automobilistica, e sul modo in cui sono state realizzate nel caso di Lamborghini, tenendo in conto innanzitutto il modo in cui il prodotto auto interseca le nuove forme della digitalizzazione, quindi anche come il processo produttivo si modifichi in funzione delle trasformazioni del prodotto. Secondariamente, si analizza il significato e il valore che i nuovi lavoratori 4.0 attribuiscono alle nuove mansioni. Entro la gerarchia dei ruoli aziendali, infatti, è possibile cogliere lo spaccato di variegate esperienze: ingegneri di processo, da una parte, e nuovi operai 4.0, dall’altro, i primi più impegnati nelle trasformazioni del processo produttivo, i secondi protagonisti delle applicazioni delle stesse trasformazioni. Gli spaccati di esperienze, osservati entro l’azienda, consentono così una prima verifica etnografica di una tipologia di lavoro nuova, sui cui il dibattito delle scienze sociali è ragionevolmente tutto aperto.

Quattro punto zero (4.0). Ampiezza di una definizione e diversificazione dei programmi di intervento

La definizione di 4.0, nata in Germania entro uno specifico programma nazionale del Governo federale tedesco nell’ambito del comitato promotore della Industry-Scienze Research Alliance, è stata poi rilanciata come vessillo dell’innovazione entro il World Economic Forum (WEC) nel 2016. Ad un livello più generale, l’insieme di innovazioni che si celano nell’etichetta, nato nella realtà industriale tedesca, si predispone alla sua realizzazione in forme diverse, necessariamente ripensate e calibrate sulla base delle condizioni nazionali e delle specifiche realtà industriali e produttive entro cui ci si propone di applicarlo [Tiraboschi, Seghezzi 2017]. Del resto, le trasformazioni organizzative meglio note come toyotismo, così come la più ampia definizione di post-fordismo, hanno anch’esse dimostrato come le svolte tecnologiche, pur generate entro una regione del mondo, si sono poi rivelate declinabili, e di fatto sono state variamente applicate, entro contesti nazionali, economici, merceologici differenti, con esiti altrettanto variegati, anche nel settore automobilistico qui considerato [La Rosa 1988, Carrieri et Alii 1993, Barrucci 1996].

Al cuore della definizione di industria 4.0 vi è il cosiddetto Internet of Things (IoT), tradotto come Internet delle cose, centrato sull’integrazione degli impianti produttivi con le tecnologie digitali.

Mentre nella fase denominata 3.0 (anche terza rivoluzione industriale) le tecnologie elettroniche e informatiche avevano provveduto a informatizzare, singolarmente, i processi produttivi, l’obiettivo, attuale, secondo la schematizzazione operata da Cervelli, Pira e Trivelli, è quello di dare vita a sistemi ibridi, in grado di collegare e far dialogare le tecnologie informatiche tra di loro, «grazie alla sensorizzazione delle macchine, al collegamento della parte fisica delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti con il loro duale digitale, all’integrazione della parte fisica dell’azienda con i sistemi informativi usati» [Cervelli, Pira, Trivelli 2017, 18; Lombardi 2017].

Come hanno rilevato Magone e Mazali, l’etichetta di 4.0 è rimasta a lungo estranea al contesto italiano, dove i cambiamenti in atto sembrano essere individuati attraverso una serie di termini diversi ma pur collegati, come ad esempio smart manifacturing, industrial internet, fabbrica intelligente, factory of future o altro ancora [Magone e Mazali 2016]. Come rilevano le autrici, questo ventaglio di termini non indica la stessa cosa, e senz’altro ciascuno di essi si fonda nelle differenze economiche e culturali tra paesi. Al contempo la molteplicità delle denominazioni è indice della duttilità del paradigma originario, che ben si presta, come detto in apertura, a diverse declinazioni. Nel caso italiano, ad avviso di chi scrive, vi sono almeno due condizioni da tenere in considerazione: in primo luogo l’adattabilità del paradigma ad una specificità dell’industria italiana, ovvero il manifatturiero nel tessuto di piccola e media impresa [cfr. Ghezzi, infra]; in secondo luogo lo specifico programma industriale che è stato varato dall’Italia a questo riguardo, cioè il cluster denominato Fabbrica Intelligente. Si tratta di un’associazione di imprese, fondata nel 2012 ma istituzionalizzata nella forma legale nel maggio del 2018, con sede legale a Bologna, che solo nel luglio del 2020 converge nella formalizzazione di una proposta di politica industriale.[2]

Il passaggio al 4.0 rappresenta dunque innanzitutto una programmazione a livello politico, che vede importanti differenziazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa, essendo nei primi fondato essenzialmente su imprese private (inclusa l’automotive con General Motors), e dunque indipendentemente dalle amministrazioni pubbliche, grazie a investimenti di venture capital aziendali. Secondariamente, anche all’interno dell’Europa si registrano notevoli differenze, a partire dal ruolo anticipatorio della Germania, che in quanto primo paese manifatturiero in Europa, ha varato un importante pacchetto di politiche pubbliche, originato da un programma misto pubblico/privato, la European Factories of the Future Research Association (EFRA), collegato ad una specifica piattaforma denominata Plattform Industrie 4.0. Questo ha poi trovato poi riscontro nel programma di ricerca Europeo Horizon 2020, che a quelle trasformazioni si è ispirato. L’innovazione tecnologica legata al cosiddetto 4.0 va letta dunque, a parere di Garibaldo, nel quadro di una strategia di competizione sul mercato globale e di centralizzazione delle catene di valore, con al centro la Germania, che vede la tecnologia innovativa del 4.0 con un elemento prioritario per risalire e confermare il ruolo dentro le reti di produzione globali e le catene di valore che ne discendono [Garibaldo 2021].

Successivamente, come efficacemente ricostruito da alcuni autori, dal 2013 al 2016 Francia e Regno Unito, seguiti dalla Corea del Sud, Cina, Giappone e Singapore hanno varato programmi governativi (come l’Internet Plus cinese o la Super Smart Society giapponese), con il dichiarato intento di accrescere potenzialità e frontiere delle tecnologie informatiche applicate all’industria [Liao et Alii, 2017]. Gli stessi autori rimarcano anche come, dal versante delle imprese, le multinazionali informatiche abbiano avviato negli stessi anni piani industriali ed azioni coordinate, allo scopo di realizzare nuovi programmi e prodotti coerenti con gli interessi delle imprese [ivi, 2 e segg.].[3]

Come brevemente illustrato, la portata delle trasformazioni e i molteplici vertici visivi a partire dai quali esse possono essere inquadrate, aprono un ventaglio ampio di questioni e aspetti, tutti rilevanti. Come si esprime Teloni:

Il tema è oggi quanto mai attuale, se non nel pieno della maturità del suo percorso di accelerazione. La trasformazione digitale, con la sua smaterializzazione dei bite e degli atomi, rende possibile oggi la riorganizzazione di intere filiere produttive e l’evoluzione di interi settori industriali, con conseguenze sulla produttività, sui modelli organizzativi, sul capitale umano e sulla valorizzazione degli asset territoriali [Teloni 2017, 11].

Nell’ambito di una ricerca rivolta alla digitalizzazione dell’industria meccanica bolognese, Garibaldo ha recentemente rilevato che nelle molteplici declinazioni possibili entro ciascuna azienda, entra in gioco non solo il tipo di prodotto, ma anche il rapporto tra prodotto e mercato [Garibaldo 2021]. A questo proposito, egli distingue tra aziende che intendono il 4.0 come centrato sulla digitalizzazione del processo produttivo (cosiddetta smart manifacturing) e quelle che invece pongono al centro la digitalizzazione dei prodotti (smart products). All’interno di questa utile distinzione, in realtà il caso Lamborghini sembra comprendere entrambe queste prospettive, e al contempo collocarsi in maniera originale entro il primo tipo di digitalizzazione, grazie al suo nuovo, ultimo prodotto. Allo stesso tempo, i giovani operai del reparto Urus sperimentano ruoli e mansioni improntati al 4.0, cosa che consente loro di fornirci primi spunti esperienziali, nella convinzione - in accordo con Garibaldo – che le tecnologie non siano processi neutri, come tali isolabili dai contesti sociali, politici ed economici che quelle tecnologie producono e applicano [Garibaldo 2021b]. Occorre dunque guardare anche a questo imprescindibile nesso, per comprendere gli esiti delle trasformazioni negli orizzonti di valori e di vita dei lavoratori protagonisti.

Dai principi alle prassi. Il reparto Urus di Automobili Lamborghini tra processo e prodotto

L’analisi del reparto Urus è stata svolta all’interno di una ricerca triennale che, attraverso una convenzione di ricerca (2017/2019) ha consentito di strutturare un’etnografia di lunga durata in azienda. Il reparto destinato alla produzione del modello Urus è stato costruito nel 2016, mentre nel gennaio del 2017 sono entrati in produzione i prototipi del nuovo SUV (Sport Utility Vehicle, sempre del segmento lusso), che è andato ad affiancare i due modelli di supersportive già in produzione, aprendo verso una fetta di mercato diversa. Attualmente il reparto produce 26 vetture al giorno, dopo la fase iniziale, denominata di rump up, partita con i prototipi e via via con crescenti numeri di vetture. Il nuovo modello, in base alle vendite, ha dimostrato da subito una grande attrattività di mercato, superando presto i pronostici. Il reparto e la sua produzione si collocano a pieno titolo nell’industria 4.0, con una produzione interamente automatizzata, che tiene insieme dal punto di vista informatico tutte le fasi, dalla progettazione e ingegnerizzazione al prodotto finito, estendendosi anche all’assistenza post-vendita (denominata after-sales). Si compone di 24 postazioni di montaggio complessive, in sequenza lineare, secondo un sistema di piattaforme denominato stop and go, dal momento che la vettura sosta, di stazione in stazione, su di una piattaforma in grado di spostarsi. La collocazione della vettura su un piano mobile è un principio innovativo nella produzione lineare, dal momento che rende possibile l’estromissione di una vettura con problemi tecnici, senza il fermo della linea, oltre a rendere più duttile le trasformazioni delle postazioni, in funzione di nuovi potenziali modelli [D’Aloisio 2021]. Ciascuna postazione dispone di un computer dotato di schermo, su cui sono visibili tutte le operazioni della cartella di lavoro (prima cartacea) relativa a ciascuna postazione, mentre ogni operatore deve identificarsi attraverso un braccialetto elettronico (in gergo si deve loggare), per avviare così la cartella di lavoro e le relative operazioni previste. Il tempo ciclo di ogni postazione è di 30 minuti, un tempo lungo per la produzione automotive, dovuto al segmento di vettura – il prodotto di lusso - e all’alta qualità richiesta. L’automazione, attraverso carrelli senza guidatore (AGV, Automatic Guided Vehicle), contraddistingue sia l’ingresso e lo scorrimento della vettura in linea, sia la fornitura di alcuni pezzi lungo le postazioni. Il processo si conclude con una prima zona interamente dedicata alla qualità (detta ZP-7), cui seguono ulteriori controlli su pista e su strada, prima della delibera finale (detta ZP-8) in linea di finizione. Il sistema informatico che regge il reparto, denominato MES (Manifacturing Execution System), tiene insieme tutte le operazioni ed opera in una rete a sé stante, denominata P-Domain, che serve a garantire la funzionalità, anche in caso di problemi sulla rete aziendale. La definizione del processo produttivo - unico nel suo genere a livello mondiale – fornita sia dall’area HR (Human Resource) e sia da gran parte dei lavoratori, è quella però di manifattura 4.0, una definizione molto evocativa della specificità e anche della complessità di questo reparto e della sua produzione. Si tratta infatti di una vettura prodotta in serie, ma con alcune specifiche forme di manifattura al suo interno. Tra l’altro, Urus si distingue anche per l’elevato livello di elettronica e connessione quale accessori della vettura, in quanto ha in dotazione un tablet operativo per ogni posto al suo interno (5 posti complessivi), trattandosi di un’auto pensata per nuclei familiari e per i loro diversi componenti, tra cui i bambini.

I lavoratori del reparto Urus, in prevalenza uomini (tratto tipico del settore auto), sono stati assunti nel corso del 2017 e del 2018, in base alle progressive esigenze della produzione, che è passata nell’arco di un anno dai prototipi alle 26 vetture del 2018 (e di oggi). I lavoratori sono stati assunti con contratto di lavoro interinale. In base all’accordo di II livello di Automobili Lamborghini, siglato nel 2012, la percentuale di lavoro interinale era fissata al tetto massimo del 10 per cento sul totale della forza lavoro; tuttavia l’accordo contemplava che, in momenti di picco produttivo legati a esigenze contingenti, tale percentuale potesse essere superata. Il terzo modello Urus, assegnato allo stabilimento di Sant’Agata sulla base di una designazione complessa nelle sue ragioni e per nulla scontata, ha rappresentato a tutti gli effetti una delle fasi straordinarie, ipotizzate dall’ accordo. L’accordo successivo (2019/2022), ha inserito un’ulteriore clausola svincolante, per così dire, nel senso che i lavoratori interinali assunti dall’agenzia Rastad (Sant’Agata Bolognese) non sono più conteggiati nel tetto del 10 per cento, incluso nel precedente accordo. Risulta evidente che, sebbene Lamborghini e il suo sindacato abbiano fatto della limitazione del lavoro interinale uno dei punti forti della tutela del lavoro in azienda, questo stesso punto ha richiesto una maggiore elasticità, dinanzi all’ampliamento della produzione e dell’occupazione, legata all’acquisizione della produzione del modello Urus nello stabilimento di Sant’Agata.[4]

La costituzione del reparto e lo sforzo richiesto ad Automobili Lamborghini e ai suoi lavoratori, può essere reso evidente dal racconto del tecnico che ha presieduto alla realizzazione del programma complessivo che automatizza il reparto. Luca, che aveva 38 anni all’epoca dell’intervista (novembre 2017), lavora all’area denominata Manufacturing Engineering, e in quanto planner (pianificatore) dei sistemi informatici di stabilimento ha curato il sistema informatico all’avanguardia che ha innovato il reparto e la linea. Si parte dunque dagli industrial PC, veri e propri terminali informatici che compongono ogni stazione del montaggio Urus, e forniscono l’intero sistema di tracciabilità della vettura, che come si diceva è interamente paperless, cioè senza più cartelle di lavoro cartacee. Il progetto informatico, denominato MES è stato sviluppato con un grande provider internazionale di servizi informatici (SAP), ricevendo un prestigioso premio nazionale nel 2017.[5] Sulla molteplicità delle forme e al contempo la plasticità dei sistemi denominati 4.0, Luca così si esprime:

Ognuno declina in base al business che ha. Noi lo abbiamo declinato come una forte digitalizzazione, e una forte connessione tra i vari sistemi che esistono, quindi tutto quello che succede in un veicolo dal momento della sua commessa alla fine, quando viene rilasciato al cliente, viene tracciato attraverso un unico sistema operativo. E quindi tutti questi dati sono in un’unica repository. Quindi bisognerà anche capire, un domani, quali sono gli effettivi dati che ti fanno la differenza. La differenza, io che ho vissuto le due realtà, quella delle supercar e quella di oggi, se sulla supercar a fine processo devi guardare due, tre sistemi operativi più la wagenprofkarte per far uscire la delibera della macchina, con Urus ti basta un unico sistema, quindi racchiudi quattro sistemi in uno. La robotica ovviamente in Lamborghini è declinata in maniera meno spinta, proprio per il tipo di prodotto che facciamo.

Dietro la realizzazione del reparto Urus ci sono le scelte e gli investimenti economici di Audi e del Gruppo VW, cosa che ha garantito non solo la disponibilità di budget, ma anche una circolazione di know-how e di expertise che hanno fortemente concorso alla realizzazione di questo reparto di avanguardia, entro l’automotive globale. Nel quadro del network di produzione del Gruppo VW, infatti, è molto frequente che si scambino esperienze, che si combinino competenze tra stabilimenti diversi e distanti, anche entro rapporti non sempre e non solo simmetrici e - come è facile comprendere - non privi di momenti competitivi, oltre che cooperativi. A questo riguardo, stando a quanto appreso nell’osservatorio etnografico di Lamborghini, il sistema di relazioni industriali partecipativo, tipico della casa madre tedesca, funziona da agevolatore delle pratiche di scambio e di cooperazione. Questo aspetto, non analizzabile entro questo contributo e per il quale si rimanda a una più ampia pubblicazione [D’Aloisio 2021], rappresenta un rilevante dato di sfondo, che consente di meglio comprendere la complessa operazione di realizzazione del 4.0, nei suoi passaggi preparatori ma anche nelle specifiche forme che poi ha assunto in Lamborghini. Come ci racconta sempre Luca:

Noi siamo andati a veder cosa fanno le varie aziende che ci son nel Gruppo, cosa fanno loro, cosa fanno gli altri. In Porsche hanno una loro declinazione della cosa, non è come la nostra, hanno più sistemi operativi. Noi abbiam cercato di farlo in base alla nostra realtà, di capire come poterlo rendere nostro e come poterlo rendere utile per i nostri numeri, per quello che facciamo noi. Audi ha 15, 20 sistemi informatici differenti, e difficilmente si riesce a farli intrecciare fra di loro, perché hanno sistemi… faccio un esempio: gli avvitatori nascevano con il loro sistema informatico, e veniva implementato, studiato, portato al dettaglio il sistema informatico degli avvitatori. Il sistema di qualità nasceva col suo sistema informatico, e si arrivava a portarlo al dettaglio fino alla virgola. Difficilmente questi due mondi si riusciva a farli incontrare, perché una volta che si era declinato al dettaglio tutto un sistema informatico su tutto un processo, poi c’è una certa resistenza a cambiarlo. È faticoso, bisogna cambiare un intero processo da zero! Anche noi sulla linea supercar facciamo fatica a pensare di cambiare tutto il nostro processo, tutti i nostri fornitori, tutto il nostro know-how. La fortuna è stata aver un flusso completamente nuovo, una tavola bianca, su cui poter dire: benissimo, come lo facciamo? E abbiamo deciso di farlo integrato.

Per quanto attiene invece alla digitalizzazione del prodotto, Urus rappresenta una vettura con una nuova concezione degli ambienti digitali e del loro utilizzo nell’auto, come si evince dagli accessori informatici che essa prevede, oltre che dalle nuove modalità di organizzazione del processo di progettazione, particolarmente orientate ad intercettare le esigenze dei clienti e a spingere lo sviluppo di nuove tecnologie interne all’auto, legate dunque al prodotto. In altri termini i desiderata dei clienti vengono intercettati e raccolti attraverso le opinioni dal basso, come ci spiega Carla, giovane ingegnere delle telecomunicazioni di 38 anni, che si è occupata proprio dello sviluppo di taluni aspetti software della vettura. Questa ha infatti richiesto la strutturazione di nuovi ambiti del processo produttivo, a partire dalla cosiddetta users experience del cliente, ovvero tutto ciò che attiene all’uso dei display e delle apparecchiature informatiche della vettura. Le modalità di interazione digitale del cliente con la vettura, raccolte a valle, hanno comportato infatti un influsso di informazioni a ritroso sui processi di progettazione e ingegnerizzazione, che è andato via via riformulando i desiderata raccolti entro il processo di produzione. Ho commentato con la mia interlocutrice che il marketing (e l’after-sales), da un lato, e la produzione, dall’altro, mi erano sembrati ambiti un po’ distanti, se non proprio scarsamente comunicanti, poiché dotati di finalità diverse e indipendenti, e che in questa rivoluzione del prodotto mi sembravano invece molto riavvicinati. Carla ha concordato, e ha spiegato così:

Fino a qualche anno fa non c’era questo grado di complessità nelle vetture, effettivamente erano quasi due binari paralleli che si scontravano, qualche volta durante tutto il periodo di vista del progetto, o comunque della vettura. L’obiettivo che invece ora abbiamo messo in piedi è proprio quello di coinvolgerli, sin dagli albori, perché il prodotto deve essere figlio di quello che vuole il cliente, ora vanno coinvolti in modo che il lato tecnico e quello che vuole il cliente vadano di pari passo. Dall’analisi che ho fatto per realizzare questo processo diciamo che mancavano dei punti di condivisione sin da subito, quindi a volte le richieste arrivano quando si arriva a vedere il primo prototipo, che dal punto di vista della produzione è già tardi. Oggi invece si tende ad anticipare in modo che al prototipo non si arrivi con la sorpresa. Magari c’è bisogno di tempo per arrivare a regime, però questo è l’obiettivo. E’ maturo ormai questo punto nell’automotive in generale, ma prima, 10 o 20 anni fa, l’effetto finale della vettura era un insieme di motore e design, invece negli anni, nel mezzo, quello che fa differenza tra due vetture, a parità di motore e a parità di design, è proprio quanto ci si può interagire con la vettura, quindi tutti i contenuti, i connettivi, quanto è bello quello che io vedo nei sistemi di infotainment[6], come mi posso connettere col cellulare, come posso navigare, il tipo di navigatore. Tutte cose che, anche solo dieci anni fa, non esistevano.

Come si comprende, Carla fa riferimento alle specifiche caratteristiche di un prodotto, il super-SUV altamente informatizzato, in cui il corredo tecnologico diviene l’elemento di punta di un modello di avanguardia: qui il 4.0 è non solo un connotato distintivo del prodotto, ma diventa anche elemento che retroagisce sulle trasformazioni del processo produttivo, concorrendo a rimodularlo sulla base della richiesta di funzioni informatiche, sempre più al centro degli interessi del cliente. In questa testimonianza traspare l’adesione al 4.0 che Lamborghini sta realizzando sia sotto il versante del processo, con l’automazione dell’intera produzione, sia sotto il versante del prodotto. Nel complesso, si accresce la prospettiva on demand, sempre più tesa a modellare il prodotto a partire dal cliente, secondo la crescente necessità della produzione diversificata, tratto centrale della competizione tra prodotti nel mercato attuale. Nel segmento dei prodotti di lusso, ovviamente, questo tratto non può che essere sempre più esasperato, dal momento che si rivolge a nicchie di clienti dove la domanda di beni è sempre più articolata, e dal canto suo l’offerta concorre a creare differenze e specificità. Nel caso delle auto di lusso, dunque, la possibilità di personalizzazione, oltre a fondarsi su caratteristiche di design, accessori meccanici o ampia gamma di colori, si rivolge con Urus anche alle caratteristiche informatiche di interattività, nel quadro di una tendenza già diffusa nella recente produzione automobilistica su larga scala. In questo senso, Lamborghini si allinea ad una tendenza già rilevata da alcuni studi, secondo cui le tecnologie manifatturiere aggiuntive del 4.0 aprono nuovi spazi per forme di co-design con i clienti, secondo un processo definito di customizzazione, che ovviamente amplia e rafforza il valore percepito del prodotto e, allo stesso tempo, anche le fasce di mercato [Weller et Alii 2015, Dalenogare, Ayala, Benites, Frank 2018].

Operai 4.0 Competenze ibride e futuro incerto entro le nuove forme del lavoro

I primi operai del reparto Urus sono stati assunti nel 2017, anno in cui sono stati varati i prototipi, mentre nel 2018 hanno raggiunto l’incremento maggiore, con un totale di 229 nuovi lavoratori assunti nell’anno, con età media di 29,8 anni [Automobili Lamborghini 2019, 11-12]. Sono in netta prevalenza diplomati in informatica ed elettronica e sono stati assunti, secondo la legge vigente, con contratto interinale della durata di 18 mesi.[7] Al contempo, il totale complessivo delle vetture prodotte nello stesso anno è stato di 5750 (per i due modelli di supercar più Urus), con un incremento del 51 per cento rispetto all’anno precedente.

Nell’etnografia che ha raccolto i punti di vista dei lavoratori, si analizzano qui sinteticamente gli aspetti relativi alle nuove mansioni tecnico/informatiche e alla visione del futuro, tendo conto della posizione di lavoratori a termine che i nuovi operai hanno in azienda. L’obiettivo è quello di scandagliare, dal basso, le esperienze entro il nuovo contesto lavorativo, oltre a cercare di cogliere l’autopercezione e la rappresentazione degli operai cosiddetti 4.0 Giuliano ha 22 anni, è diplomato all’Istituto meccanico di Cento (Ferrara), dopo due anni è stato assunto da Lamborghini, avendo già alle spalle alcuni contratti interinali all’interno del distretto meccanico emiliano, come pure una fase di collaborazione nella piccola azienda artigianale di infissi di suo padre. In Lamborghini è stato destinato alla zona del collaudo (denominata ZP7), dove la macchina viene collocata su un banco, per poi procedere a verificare innanzitutto altezza e convergenza delle ruote, per garantire in strada l’assetto complessivo.

Vengono anche controllati i sensori, tutti elettronici, tutti i sensori di sicurezza della vettura. Fatto questo vengono rilevati dei dati, i dati devono rientrare nei parametri della vettura, fatto questo la vettura esce dal banco assetto, quindi viene abbassata, vengono controllate anche le sospensioni facendo così, poi entra nel banco rulli, una sorta di piccola linea, in più, rispetto a quella dello stabilimento. Al banco rulli viene testato per la prima volta il motore, che non abbia problemi, il test freni, lo sterzo, sui rulli viene testato anche l’assetto, l’angolazione, se è stato tutto fatto correttamente. Fatto questo la macchina viene portata ai 140 Km orari, dopo di che vengono scalate le marce e bisogna seguire un monitor, cambiare marcia a seconda del monitor come ti dice di fare e alla fine, se la prova è andata bene, dà verde. Se no si ripete solo la prova parziale, cioè la parte che non è andata a buon fine. […]

Al momento io sono un jolly, io col fatto che ho lavorato un po’ con mio padre, un lavoro un po’ artigianale, che sapevo fare varie cose, a me piace molto imparare cose nuove. […] Sono due ambiti diversi, però il fatto del sapersi integrare un po’ in tutto, saper sempre risolvere il problema, non stare mai con le mani in mano. Faccio un esempio, il banco a rulli si è fermato, c’è una quindicina di minuti da attendere: in quella quindicina di minuti c’è da montare uno specchietto, invece di stare lì fermi ad aspettare che il banco rulli si sblocchi, uno va a montare lo specchietto in area re-work.

Dopo il banco rulli, spiega poi Giuliano, hanno inizio i controlli specificamente elettronici, ed infine viene montato il “sottoscocca”, cioè la parte di sotto che ricopre motore e cavi di connessione delle varie funzioni della vettura. Giuliano chiarisce bene che il lavoro della linea Urus è strettamente organizzato a monte, quanto alle fasi lavorative (nelle cartelle su sistema MES) e alla tempistica. Egli non manca di apprezzare il livello di organizzazione e integrazione, che nel complesso rende il lavoro fluido e scorrevole, come pure il fatto che una banale interruzione, dettata dalla mancanza temporanea di un rifornimento pezzi, possa essere colmata con facilità, perché l’informatizzazione produce appunto effetti di velocizzazione del lavoro. Al contempo, però, non nega la rilevanza di quelle competenze di matrice più artigianale, come ad esempio, per restare al caso da lui sopra citato, la necessità di maneggiare e rimaneggiare il montaggio di uno specchietto, in un caso in cui quest’ultimo non riusciva ad entrare immediatamente nel suo assetto. Sull’apprendimento dell’uso dei sistemi informatici, come ad esempio un check guidato che chiede in forma vocale taluni controlli e al quale bisogna rispondere vocalmente sì/no, chiarisce che essi presentano un certo grado di complessità, accresciuto anche dal suo ruolo di jolly, che lo porta a ruotare spesso nelle mansioni. Tuttavia, a suo avviso si impara presto, anche grazie alla motivazione derivante dal fatto di lavorare ad una vettura di lusso, piena di accessori e di attrattive, una macchina spettacolare, come egli la definisce, altamente esclusiva, che diviene motivo di orgoglio e di soddisfazione. La linea del modello Urus, tiene a ricordarmi, è nota nell’ambiente automobilistico come la linea di montaggio più avanzata al mondo, ed è stata realizzata in tempi molto brevi, pochi mesi, come io stessa ho avuto modo di osservare attraverso l’etnografia. Infatti, lo scenario complessivo dell’azienda è mutato in breve tempo, realizzando un reparto enorme, che comporta molte novità nell’ambiente di fabbrica, immediatamente percepibili alla vista sin dalle prime osservazioni compiute: si tratta infatti di un ambiente pulito, poco rumoroso, denso di display digitali e schermi di computer, uno per ogni stazione, mentre il tempo ciclo di circa 30 minuti concorre a dare l’immagine complessiva di un tempo di lavoro non eccessivamente saturato. Infatti, non si riscontra un’alta velocità degli operatori, o gesti affannosi, né concitazione o successioni di azioni particolarmente accelerate. Al contrario, è stato possibile osservare momenti di fermo, di breve discussione tra gli operatori nel merito delle operazioni in corso, come pure è possibile vedere sopraggiungere altri operatori, che concorrono di volta in volta a fornire indicazioni tecniche o operative.

Sergio, modenese, ha 19 anni al momento dell’intervista, è diplomato tecnico elettronico, è in azienda da circa un anno, lavora nelle stazioni dedicate alla plancia, alla moquette interna, ai vetri e alle guarnizioni. Ha iniziato a lavorare nella fase iniziale della produzione, attestata su due macchine al giorno, con pochi operai, cosa che gli ha consentito di imparare molte e diverse operazioni, in un clima di apprendimento e perfezionamento crescenti del processo produttivo. La produzione del nuovo modello, vista sin dalle prime fasi, è da lui descritta come una bella esperienza, caratterizzata dallo stupore degli stessi lavoratori per le potenzialità di un reparto che ha dispiegato subito la sua velocità di realizzazione, raggiungendo in pochi mesi una produzione di 13 macchine al giorno. La sua prima impressione ha riguardato anche il buon clima con il responsabile del gruppo di lavoro (team leader), caratterizzato da coesione e collaborazione, in vista degli aggiustamenti progressivi necessari per mettere a regime il reparto. Al contempo riconosce pure che c’è una certa rigidità nei reparti, sulla sicurezza o anche sulle regole del lavoro, fattori che egli attribuisce ad un rigore tipico dell’azienda tedesca proprietaria, rafforzato dalle frequenti visite di tedeschi nel reparto, allo scopo di conoscere il nuovo ciclo produttivo. Dal punto di vista più strettamente tecnico, Sergio coglie invece la delicatezza dell’integrazione dei processi informatici, dalla cui concatenazione sempre efficiente dipende la possibilità stessa di lavorare:

All’inizio l’impatto con la tecnologia è stato un poco… perché qui è tutto tecnologico, non va una cosa, non riesci a fare mille operazioni. Anche il fatto che abbiamo il MES, c’è un computer in ogni postazione, apri il computer e si collega agli avvitatori e gli avvitatori funzionano, ma se non va il MES tu non puoi fare la macchina. All’inizio è successo, adesso non succede, anche gli avvitatori, a volte capita che un avvitatore non funzioni e lì ti blocchi per forza. Avvitatori certificati, e quindi devi farlo per forza con quelli. Comunque diciamo, deve andare tutto bene, perché la tecnologia ti aiuta, però… a volte è faticosa. Secondo me ha molte meno possibilità di fermarsi la linea in Huracan, che è meccanica, piuttosto che qua, che è tutta elettronica.

A proposito delle sue prospettive future, inoltre, così si esprime:

Ovviamente vorrei rimanere qua, con un contratto a tempo indeterminato, in teoria l’anno prossimo, se tutto va bene. A dicembre faccio un anno, poi altri 4 mesi e poi in teoria ti dovrebbero fare il contratto. Poi ovviamente l’obiettivo sarebbe di andare via dalla linea e avere anche un po’ più responsabilità, perché poi comunque sei in piedi e devi girare intorno alla macchina. Ti stanca la linea. Poi ci sono anche delle cose che sono, non dico difficili da montare, per esempio gli interni. Però anche essere in linea non è male, poi questa azienda è sempre in crescita. È in crescita, poi sta prendendo anche un giro più ampio di clienti, perché comunque Urus è una macchina più utilitaria, e poi comunque è bella, è sportiva. […] È un’azienda molto importante, lo stipendio è buono, hai possibilità di crescita, fino a un certo punto, ovviamente. Si sta bene. […] Poi dal punto di vista dell’organizzazione, si vede che ci sono i tedeschi, qua.

Conclusioni

Come si evince dai pochi frammenti etnografici riportati, i lavoratori del reparto Urus sono tra i primi ad incarnare il ruolo di operai in ambiente 4.0, a sperimentarne le mansioni, ad entrare in un’organizzazione di fabbrica totalmente improntata all’informatizzazione dialogante dei processi, alla tracciabilità delle operazioni, al rapporto costante con l’informatica entro tutte le fasi della linea. Dalle loro testimonianze etnografiche sono evidenti taluni fattori, considerati come punti di forza e rappresentati come tali dai protagonisti, nel corso delle interviste. Allo stesso tempo, i lavoratori sono anche in grado di rilevare talune criticità, che si prestano ad una prima più generale riflessione sulla produzione automobilistica 4.0, pur tenendo conto delle specificità del prodotto di super-lusso, tipico di Lamborghini.

Sul piano della riflessione teorica, inizia ad avvertirsi la necessità di una più equa posizione intermedia, tra posizione più apocalittiche, e quelle più integrate. Tra le prime, relative proprio al comparto auto, quelle che si appellano al rischio, sulla linea, di un nuovo possibile tylorismo digitale [Bellucci 2012, Pardi, Krzywdzinski, Luethje 2020], che rischierebbe di riprodurre dequalificazione e alienazione in nuove forme. Per le seconde, le posizioni che abbiamo definito integrate, per utilizzare un binomio oppositivo entrato ormai nel lessico ad ampio raggio, la ricerca empirica è ancora poca e insufficiente. A partire dal caso qui Lamborghini, sarebbe irrealistico pronosticare, come risultato delle trasformazioni 4.0 – di per sé un ampio ed eterogeneo contenitore, come si è cercato di evidenziare – solo problemi [Cipriani 2018], come pure Garibaldo richiama esplicitamente «la necessità e la possibilità di evitare una scelta tra profezie di sventura e tecno-ottimismo» [Garibaldo 2021b, 20]. All’inverso, aggiungiamo qui, è altrettanto improbabile pensare ad una rivoluzione produttiva, con una palingenesi tecnologica a tutto tondo, stanti pure i grandi ritardi registrati in questo ordine di trasformazioni nell’industria italiana, accompagnati spesso, sempre secondo Cipriani, da dichiarazioni manageriali improntate al marketing, che poco corrispondono a effettive trasformazioni del modus operandi, e che più ancora non tengono conto della necessità di rendere le persone attivamente protagoniste di questi processi [Cipriani 2018, 176].

Stando al punto di vista dei lavoratori intervistati nel caso di Lambotghini, la giovane manodopera, tutta con formazione informatica di base e sottoposta poi ad ulteriore formazione in azienda, ha accolto con entusiasmo l’idea di lavorare in un reparto innovativo, mettendo insieme la formazione di base, la disposizione generazionale verso i mezzi informatici e l’elevata attrattività dell’azienda e del un prodotto. Pertanto, nel complesso i “nuovi” operai incontrati, molti dei quali immessi nel sistema 4.0 con poche esperienze pregresse, manifestano un complessivo apprezzamento verso un lavoro che, in termini di ergonomia, tempi di lavoro e condizioni ambientali manifesta molti vantaggi.

Certamente il caso di Automobili Lamborghini è a sé stante, sia per il segmento di prodotto e sia per la proprietà tedesca, le due dimensioni principali che hanno reso di fatto possibile l’esperimento avanzato di cui qui si discute. La terza, non da meno, è la presenza di un sistema di relazioni industriali innovativo, ispirato alla co-determinazione [Telljohann 2015; Ferrari 2017 Tossini 2017; Carcano 2018; D’Aloisio 2018; Santagata 2020]. Dal canto suo, tale sistema è in grado di funzionare da meccanismo di regolazione e di operare per mettere maggiormente i lavoratori al centro del processo produttivo e delle sue innovazioni, con lo scopo di mitigarne gli effetti potenzialmente negativi.

Tuttavia, suscita interesse come, nelle interviste, la condizione di lavoro a termine non appaia fonte di grande preoccupazione, ad onta del fatto che per molti il contratto interinale non comporterà l’assunzione definitiva. La giovane età media dei neo-assunti, il loro essere avvezzi all’idea di lavori temporanei, come pure il bagaglio esperienziale che si può comunque acquisire in Lamborghini, mitigano la prospettiva di lavoro a breve termine e di complessiva incertezza sul futuro. Resta invece aperta la questione che l’acquisizione del grande investimento per il nuovo prodotto Urus, entro il quadro della produzione del Gruppo VW, hanno richiesto un aumento della percentuale di lavoratori precari, quale contrappeso per un’assegnazione che è facile immaginare come una difficile partita, entro la catena complessiva della produzione del Gruppo VW.

Per quanto attiene agli aspetti di criticità, oltre alla accresciuta precarizzazione, nel racconto dell’esperienza dei lavoratori si intravvedono alcune contraddizioni tipiche dell’alta informatizzazione, come la stretta interdipendenza dei processi, cui si lega il fatto che un blocco può mandare in paralisi molte operazioni. Al contempo, la linea di montaggio di nuova generazione consente l’eventuale estromissione di una vettura ferma in una postazione, mitigando così uno degli aspetti più tristemente noti del flusso produttivo continuo, legato all’alienazione e allo stress. In sostanza, il 4.0, pur innestandosi proficuamente entro la cosiddetta produzione snella (lean production) [Gaddi 2019], sembra in questo caso fornire aspetti vantaggiosi per la produzione ma in parte anche per i lavoratori. Allargando lo sguardo, ulteriori trasformazioni potrebbero riguardare i ruoli dei lavoratori, ad esempio con un possibile travaso tra blu collars e white collars, accrescendo questi ultimi, attraverso un ampliamento delle attività di concezione e anticipazione dei cambiamenti produttivi [Magone, Mazzali 2018]. All’inverso, a pare di alcuni permangono anche i rischi di dequalificazione (de-skilling), sia per le fasce di lavoratori destinati alla semplice alimentazione dei macchinari e sia per i nuovi tecnici e ingegneri, i quali, mentre sperimentano le facilitazioni del processo produttivo, vedono svanire il valore della loro esperienza, a fronte del peso crescente di controllori elettronici e simulatori [Garibaldo 2021b, Krzywdzinski, Jurgens, Pfeiffer 2016].

Per Lamborghini, infine, un ruolo centrale è dato dalle caratteristiche del prodotto, che conserva aspetti di tipo manifatturiero e molti tratti artigianali, sia negli accessori dei vari modelli e sia nella monoscocca in fibra composita di carbonio, propria del modello Aventador [D’Aloisio 2017]. Senza potere estendere il caso Lamborghini al di fuori delle sue caratteristiche specifiche, esso ha costituto un osservatorio privilegiato, ove il lavoro cosiddetto 4.0, nel quadro di opportuni meccanismi di regolazione mutuati dal sistema di relazioni industriali VW, sembra comunque fornire talune agevolazioni, ma al contempo anche nuove criticità, che necessitano di ulteriori riflessioni, a partire dall’esperienza e dalle rappresentazioni che ne stanno elaborando i “pionieri” del territorio emiliano.

Bibliografia

Automobili Lamborghini 2019, Focus, Rivista Aziendale.

Barucci P. 1996, Fattore Lavoro e qualità totale. Tra innovazioni tecnologiche e mutamenti organizzativi, Bari: Consiglio Regionale della Basilicata.

Bellucci S. 2012, Capitale, lavoro e conflitto nel capitalismo digitale, in Caruso L. (a cura) 2012, Trasformazioni del lavoro nell’economia della conoscenza. Analisi, esperienze, conflitti, Roma: Edizioni Conoscenza, 55-68.

Carcano M. 2018, Il graduale progredire delle esperienze di partecipazione, in Antoniazzi S., Carcano M., Zaninelli S. 2018, La partecipazione dei lavoratori. Una democrazia inedita, Milano: Jaca Book.

Carrierri M., Cerruti G. et Alii 1993, Fiat Punto e a capo. Problemi e prospettive della fabbrica integrata da Termoli a Melfi, Roma: Ediesse.

Cervelli G., Pira S., Trivelli L. 2017, Industria 4.0. Senza slogan, «Quaderni Fondazione Giacomo Brodoloini», 58.

Cipriani A. 2018, La partecipazione innovativa dei lavoratori, Creatività e contraddizioni nel lavoro 4.0, in Cipriani A., Gramolati A., Mari G. (a cura) 2018, Il lavoro 4.0. La quarta rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze: Firenze University Press, 175-201.

Cipriani A, Gramolati A., Mari G. (a cura) 2018, Il lavoro 4.0. La quarta rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze: Firenze University Press.

Dalenogare L., Ayala N.F., Benitez G.B., Frank A.G. 2018, The expected contribution of Industry 4.0 technologies for industrial performance, «International Journal of Production Economics», 204, 383-394.

D’Aloisio F. 2021, Partecipare all’impresa globale. Una ricerca antropologica in Automobili Lamborghini, Milano: Franco Angeli.

-- 2020, Dalla mitbestimmung alla partecipazione. La traduzione culturale di un sistema di relqazioni industriali in Automobili Lamborghini, «Etnoantropologia», 6 (2), 7-29.

-- 2017, Tra la Germania, l’Abruzzo e l’Emilia. Transiti di lavoro e competenze nell’insourcing della scocca in carbonio in Automobili Lamborghini, «Archivio Antropologico Mediterraneo», XX, 19 (2), 173-183.

Evans P.C., Annunziata M. 2012, Industrial Internet. Pushing the Boundaries of Minds and Machines, Boston MA: General Electric.

Ferrari R. 2017, Il coinvolgimento dei lavoratori come valorizzazione del capitale umano: l’analisi di alcuni casi, in Carcano M., Ferrari R., Volpe V. 2017, La partecipazione dei lavoratori all’impresa. Un progetto possibile, Milano: Guerini,109-124.

Ford M. 2017, Il futuro senza lavoro. Accelerazione tecnologica e macchine intelligenti. Come prepararsi alla rivoluzione economica in arrivo, Milano: Il Saggiatore, (ed.or.) Rise of the Robots, Technology and the Threat of a Jobless Future, New York: Basic Books.

Gaddi M, 2019, Industria 4.0. Più liberi o più sfruttati? Milano: Edizioni Punto Rosso.

Garibaldo F. 2021, I fattori critici per l’industria metalmeccanica bolognese al tempo della digitalizzazione, in Garibaldo F. (a cura) 2021, Il lavoro operaio digitalizzato. Inchiesta nell’industria meccanica bolognese, Bologna: Il Mulino, 81-91.

-- 2021b, Le radici culturali di Industria 4.0, in Garibaldo F. (a cura) 2021, Il lavoro operaio digitalizzato. Inchiesta nell’industria meccanica bolognese, Bologna: Il Mulino, 17-39.

Harvey P., Krohn-Hansen C. (eds.) 2018, Dislocating Labour: Anthropological Reconfigurations, «Journal of the Royal Anthropological Institute», 24, 51.

Herod A. (2018), Labor, Cambridge: Polity.

Hours B., Selim M. (eds.) 2012, Fare antropologia nella realtà globale, Torino: Hramattan Italia.

Krzywdzinski M., Jurgens U., Pfeiffer S. 2016, The Fourth Revolution: The Transformation of Manufacturing Work in the Age of Digitalization, WZB Report.

La Rosa M. 1988 (a cura), Il Modello Giapponese, «Sociologia del Lavoro», 34.

Liao Y., Deshamps F., Rocha Loures E., Ramos L.F. 2017, Past, present and future of Industry 4.0. A systematic literature review and research agenda proposal, «International Journal of Production Research», 55, 1, 1-21.

Lombardi M. 2017, Fabbrica 4.0: i processi innovativi nel Multiverso fisico-digitale, Firenze: Firenze University Press.

Magone A, Mazali T. 2016, Industria 4.0. Uomini e macchine nella fabbrica digitale, Milano: Gerini e Associati.

Magone A., Mazali T., 2018, Il lavoro che serve. Persone nell’industria 4.0, Milano: Gerini e Associati.

Negrelli S., Pacetti V. 2018, Tecnologie, lavoro, organizzazione nell’industria 4.0, in Il lavoro 4.0. La quarta rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze: Firenze University Press, 373-388.

Pardi T., Krzywdzinski M., Luethje B. 2020, Digital manufacturing revolutions as political projects and hypes: evidences from the auto sector, ILO Working Paper, 3.

Santagata De Castro R. 2020, Sistema tedesco di codeterminazione e trasformazioni dell’impresa nel contesto globale: un modello di ispirazione per Lamborghini, «Diritto delle Relazioni Industriali», 2, 421-451.

Seghezzi F. 2017, Lavoro e competenze nel paradigma di Industria 4.0: inquadramento teorico e prime risultanze empiriche, in «Professionalità studi», 1,

Teloni D. 2017, Prefazione, In Industria 4.0. Senza slogan, «Quaderni Fondazione Giacomo Brodolini», 58, 11-12.

Tiraboschi M., Seghezzi F. 2017, Il Piano Industriale 4.0: una lettura lavoristica, in Prodi E., Seghezzi F., Tiraboschi M. 2017, Il Piano Industria 4.0 un anno dopo. Analisi e prospettive future, Modena: ADAPT University Press. 19-68.

Telljohann V. 2015, Le nuove piste di Lamborghini e di Ducati, in Carrieri M., Nerozzi P., Treu T. 2015 (a cura), La partecipazione incisiva, Idee e proposte per rilanciare la democrazia nelle imprese, Bologna: Il Mulino, 71-91.

Tossini U. 2017, La partecipazione tra pratica operativa e meccanismo culturale: l’esperienza Lamborghini, in Carcano M., Ferrari R., Volpe V. 2017, La partecipazione dei lavoratori all’impresa. Un progetto possibile, Milano: Guerini, 231-240.

Weller C., Kleer R., Piller F.T. 2015, Economic Implication of 3D printing: Market structure models in light of additive manufacturing revisited, «International Journal of Production Economics», 164, 43, 56.



[1] Automobili Lamborghini è proprietà del Gruppo VW, sotto la holding Audi, dal 1998. Conta 1822 dipendenti e una produzione complessiva di 8405 vetture (fonte: Automobili Lamborghini, al 2021), tra cui due modelli di super-sportcar (Huracan e Aventador/Sian) ed il Suv Urus.

[3] Nel 2014 AT&T, Cisco, General Electric, IBM e Intel hanno fondato l’Industrial Internet Consortium (IIC), con lo scopo di catalizzare e coordinare le priorità e mettere a punto le tecnologie rivolte alle industrie, denominate Industrial Internet [Evans e Annunziata 2012].

[4] Nel complessivo network di produzione globale del Gruppo VW, la produzione di un nuovo modello e la localizzazione della sua produzione comportano dinamiche complesse, che attivano forme di competizione tra gli stabilimenti, i cui esiti sono mutevoli e affatto scontati.

[5] Nel 2018 Lamborghini si è aggiudicata il primo posto al SAP (Systems of Authomatic Planning) Quality Awards, nella categoria Business Transformation, per la creazione innovativa del progetto MES (Manufacturing Execution System).

[6] Il termine infotainment è un neologismo anglosassone che fonde i termini information e entertainment, sorto in ambito radio-televisivo per indicare la fusione di informazione e intrattenimento nello scopo di alcuni prodotti di spettacolo.

[7] Per intervistare i lavoratori del reparto Urus è stata necessaria l‘autorizzazione dell’agenzia Rastad, da cui gli interinali dipendono. Il reparto HR ha operato e ottenuto per me il permesso. Ringrazio il dott. Giuseppe Nardacchione, e con lui il dott. Alberto Cocchi, per il continuo supporto fornito all’attività di ricerca.