Scenari futuri del lavoro e nuovi orizzonti di lotta alle acciaierie di Terni

Matteo Saltalippi

Ricercatore indipendente

Indice

Introduzione
Un approccio antropologico alle lotte dei lavoratori
Storia della conflittualità industriale degli operai metalmeccanici ternani
I due più importanti scioperi degli ultimi vent’anni a confronto
La risposta degli operai e sindacati all’emergenza pandemica
Conclusione
Bibliografia

Abstract. ​​This paper is based on ethnographic research amongst the steelworkers of Acciai Speciali Terni [AST], owned by ThyssenKrupp, that took place during a long union dispute in 2014/2015. Industrial production decline has transformed substantially the western working-class over the last decades, however forms of belonging that promote collective action and political activism persist and are based on a common understanding of past and future. In the case of Terni’s steelworkers, this understanding is based on a collective memory framed within the local worker’s conflictual and subversive tradition. The past is merged with a contemporary experience of the company’s commodification process that the workers actively fight. Through a historical review and an analysis of the ethnographic data the article aims at showing how, on one hand, consolidated forms of protest persist influence questions of identity and class belonging, and on the other provide tools and fruitful ground to compare past and present industrial landscapes. The workers and trade unions’ response to a phase of profound economic uncertainty, due to the company’s instability and the pandemic will help to understand the role of the workers struggle and the strike as terrain of comparison with traditional and consolidates forms of labour protest and to delineate future scenarios of work and unrest.

Keywords. Trade union; Strike; Metalworkers; Ethnography; Labour History.

Introduzione

Dalla loro fondazione nel 1884, le acciaierie ternane hanno contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo della città, e a differenziare la provincia di Terni dalla tendenza regionale molto meno industrializzata, caratterizzando sia la stratificazione temporale che la dimensione spaziale del contesto urbano. Con l’espansione della fabbrica e la contemporanea costruzione di interi quartieri intorno ad essa, tuttora abitati, dall’inizio del secolo scorso gli operai metalmeccanici hanno acquisito un peso determinante, essendo la presenza più solida del settore industriale ternano, e creato un tessuto associativo fatto di legami familiari e organi di rappresentanza che ha permesso di sostenere i numerosi conflitti industriali che li hanno visti protagonisti. Anch’essi soggetti al declino della produzione industriale dei paesi occidentali e al mutarsi delle condizioni del lavoro operaio, hanno contrapposto durature forme di appartenenza che sono alla base del proprio attivismo in difesa del lavoro e dell’impiego, che si trova in una passata memoria condivisa della lotta operaia.

Nel caso degli operai metalmeccanici ternani, la memoria collettiva si inquadra, come descrive Canali [2004, 37-38], in una «tradizione e cultura sovversiva» locale che affonda le proprie radici nella veloce industrializzazione della città e conseguente urbanizzazione, che tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 provocò forti squilibri tra le classi operaie e quelle dirigenti contribuendo allo sviluppo delle istituzioni operaie. Questo senso del passato si unisce alla consapevolezza di essere parte dei processi di mercificazione e compravendita a cui è sottoposta l’acciaieria di Terni, oggi di proprietà della multinazionale tedesca ThyssenKrupp. Ciò aumenta esponenzialmente l’insicurezza degli operai minando le certezze economiche acquisite nei precedenti anni di stabilità produttiva.

Alla luce di ciò, l’articolo ripercorrerà alcuni dei momenti più significativi della storia della lotta operaia ternana fino allo sciopero del 2014/2015, oggetto della ricerca etnografica, ancora vivo nella memoria cittadina e capace di consolidare e mettere in discussione identità e appartenenze di classe. La prima parte delineerà l’inquadramento teorico che fa da cornice all’etnografia, la seconda parte si concentrerà sulla storia della conflittualità industriale degli operai metalmeccanici ternani fino al secondo dopoguerra, mentre la terza metterà a confronto i due più importanti scioperi degli ultimi vent’anni, quello del 2004 e quello del 2014/2015. La quarta parte analizzerà la risposta degli operai e sindacati all’emergenza pandemica, vista attraverso le interpretazioni del sindacato Unità Sindacale di Base (USB,) formatosi dopo la vertenza del 2014/2015. Infine, la nota conclusiva farà il punto sulla situazione attuale delle acciaierie.

Il fine è individuare come forme consuete e consolidate di lotta possano servire da strumenti analitici, che forniscono il terreno di confronto sia con il portato storico locale, sia con un presente che richiede di rivedere i mezzi tradizionali della lotta, elemento fondante della cultura operaia locale, alla luce dell’operato delle multinazionali.

Così facendo si cerca di identificare in un’antropologia (e sociologia) del lavoro uno spazio di confronto con i sindacati e movimenti operai che sia in grado da un lato di facilitare un dialogo con questi attori sociali, e dall’altro di delineare, attraverso la protesta operaia, scenari futuri del lavoro, nuovi orizzonti di lotta dei lavoratori contemporanei che si trovano a operare in una geografia internazionale del lavoro in costante cambiamento.

L’articolo si basa sulla mia ricerca di dottorato condotta tra novembre 2013 e marzo 2015. L’osservazione partecipante è avvenuta prima, durante e dopo lo sciopero, le note di campo scritte, e le interviste audio registrate sono state affiancate dall’utilizzo della telecamera come strumento di raccolta di dati visuali. Grazie alla fondamentale collaborazione con due filmmaker locali, l’etnografia visuale ha dato vita a un documentario intitolato “Biografie di lotta” incentrato sulla vertenza. L’accesso al campo è stato facilitato da rappresentati della FIOM di Terni. Gli operai e i rappresentati sindacali sono stati intervistati ai picchetti di fronte la fabbrica, negli uffici delle sedi provinciali della CISL e dalla CGIL, davanti al Ministero dello Sviluppo Economico nelle case degli operai e in contesti pubblici come locali, circoli e il Centro Sociale Autogestito Germinal Cimarelli di Terni. I rappresentanti USB conosciuti sul campo durante lo sciopero (quando ancora il sindacato non si era formato) sono stati intervistati tra il 2015 e il 2020 sia in persona che online.

Un approccio antropologico alle lotte dei lavoratori

Grazie al potenziamento delle infrastrutture e all’espansione urbana, l’industria dell’acciaio ha giocato un ruolo strategico nello sviluppo delle moderne economie nazionali che ha comportato investimenti sostanziali, generato impiego su larga scala, e ottenuto l’impegno degli stati-nazione verso il sostegno dell’industria dell’acciaio – un impegno che ha contribuito a creare realtà di urbanizzazione a misura di fabbrica, conosciute come company-town. Essendo contenitori di vita pubblica e privata, questi contesti urbani fornivano un modello per alloggiare, incorporare e disciplinare un’ampia forza lavoro, creando complesse reti di relazioni reciproche tra i datori di lavoro, i sindacati, i lavoratori e le loro famiglie, e dunque favorendo nuove forme di socialità, identità e appartenenza [Goddard 2017, 3]. Seguendo questo modello di sviluppo, e costruito all’interno di un progetto nazionale volto a potenziare il settore della difesa, lo stabilimento di Terni fu soggetto a un’espansione tale da trasformare un villaggio agricolo in una città industriale, che generò una classe lavoratrice in grado di plasmare in maniera cruciale gli ultimi 130 anni della vita economica, sociale e politica di Terni [Portelli 1985, 2008].

In Europa, gli operai metalmeccanici nati in contesti come quello ternano, o più grandi, diventarono i protagonisti dei settori produttivi dalla Prima guerra mondiale, fino alla ricostruzione del Secondo dopoguerra. Il panorama di allora rifletteva ideologie e pratiche paternalistiche in cui i lavoratori venivano inclusi nei progetti nazionali e dell’economia capitalista, nella produzione intrecciata di interessi economici e politici che sfociavano in forti interventi statali, in grado di risolvere le crisi dell’acciaio. Ciò conferiva alle classi lavoratrici un potere considerevole, capace di «fermare l’intera economia nazionale» con le loro proteste per un salario migliore, e migliori condizioni lavorative, come riportato con orgoglio dai miei informatori più anziani che ricordavano le esperienze lavorative e di lotta degli anni Sessanta. Tuttavia, alla fine di quel decennio, il mercato globale sotto l’egemonia statunitense si trovò danneggiato dal fallimento del sistema Bretton Woods, la recessione e la crisi del petrolio che stravolse i progetti a lungo termine come quelli della company-town. In sintesi, le condizioni globali minavano le relazioni paternalistiche su cui questo modello si fondava [Goddard 2017, 4]. In seguito, si assistette all’adozione di modelli economici neoliberisti in cui i progetti statali di modernizzazione fallirono, e la dipendenza dei lavoratori dal potere regolatorio del mercato diminuì gradualmente [Harvey 2005]. I processi di ristrutturazione e privatizzazione portati avanti dalle riforme neoliberiste resero gli stabilimenti e l’impiego maggiormente suscettibili a fenomeni di concorrenza, tagli e chiusure: in Europa, tra il 1975 e il 1995, si perse oltre il 65% dei posti di lavoro. A Terni, circa il 35% dei lavori nell’intero settore industriale scomparì nel decennio 1981-1991 [Patalocco 2013, 69]. David Harvey [2003] studiando l’espansione del capitale e la reazione dei lavoratori al neoliberismo elabora il concetto di accumulazione per espropriazione (accumulation by dispossession) partendo dalle teorie di Luxemburg sull’accumulazione primaria di Marx in quanto caratteristica continua dell’espansione del capitale. L’accumulazione per espropriazione per Harvey è una relazione dialettica tra la riproduzione espansa del capitale e il processo violento di espropriazione che ha modellato la geografia storica del capitalismo. Secondo Harvey, il processo di espropriazione si fonda sulla capacità del capitalismo di creare la propria alternativa, sia al di fuori di sé, in formazioni sociali non capitaliste, sia al suo interno, in settori non ancora proletarizzati [Harvey 2003, 141-142]. La lotta dei lavoratori all’interno di una riproduzione espansa dev’essere quindi concepita in relazione dialettica con la lotta contro l’accumulazione per espropriazione dei movimenti sociali e anti-globali (Harvey 2003, 168-170). Harvey identifica due tipologie di lotta lavoratrice e popolare: quella del Nord globale, in cui il potenziale difensivo dei movimenti dei lavoratori rischia di perdere i propri privilegi; e quella del Sud globale, del potenziale progressivo e rivoluzionario dei movimenti sociali e anti-globali.

Questo approccio è stato affrontato in maniera critica da antropologi come Kasmir e Carbonella [2008, 2014] i quali considerano l’accumulazione per espropriazione come una base valida per comprendere la globalizzazione neoliberista. Dall’altro, credono che la demarcazione tra Nord e Sud porti a immaginare l’espropriazione come un processo relativamente diviso, o come il semplice risultato di un dato evento – senza, dunque, la fondamentale complessità delle esperienze e delle risposte politiche dei lavoratori coinvolti. Inoltre, la dicotomia di Harvey impedisce di tracciare nuovamente i confini geografici dell’accumulazione del lavoro nel passato e nel presente, insieme alle «lotte che sono urgentemente necessarie» [Kasmir, Carbonella 2014, 7]. I processi di espropriazione, rimozione, reazione e frammentazione della coscienza di classe sono vissuti in maniera diversa a seconda del luogo, a causa delle caratteristiche storiche del contesto. Il concetto chiave che accomuna questi processi è quello del lavoro, inteso dagli autori come un insieme di strategie volte alla riproduzione sociale, o altresì «lavoro» come attività sociale, due concetti molto vicini. Il lavoro è un’entità visibilmente politica, le cui organizzazioni, culture, proteste e momenti di quiete riflettono i suoi molteplici legami con il capitale e lo stato, e le sue relazioni con i lavoratori a livello locale e globale.

In linea con questa nozione di lavoro e con la critica a Harvey mossa dagli autori sopracitati, questo articolo si basa sull’idea che c’è bisogno di sviluppare un concetto più olistico di espropriazione, che faccia riferimento più espressamente ai vari atti di disorganizzazione, sconfitta e delimitazione che sono allo stesso tempo economici, sociali e culturali, e che generano le condizioni per una nuova serie di relazioni e reazioni sociali all’atto dell’espropriazione.

Considerando i tratti culturali della lotta di classe in quanto parte del contesto industriale, generati dalla memoria delle lotte passate, e immersi in maniera sincretica nell’attuale sfera socioeconomica del lavoro in fabbrica, questo articolo elabora l’idea di Durrenberger [2012, 10-11] secondo cui la coscienza emerge dall’esperienza e dall’azione nel mondo sociale e materiale, impiegando le risorse disponibili per raggiungere obiettivi prefissati. Ricerche etnografiche svolte durante le lotte dei lavoratori [Bonilla 2011; Carbonella 2014; Kasmir 2005; Turner 1999] mostrano una forte relazione dialettica tra l’esperienza e la coscienza. Gli scioperi, infatti, anche se spesso hanno un’efficacia più simbolica che razionale, come evidenziato da D’Aloisio [2014, 99-101] nella ricerca sulla FIAT-SATA di Melfi, sono un punto importante che rimane saldo nella memoria, nell’esperienza delle operaie e operai, i quali sono in grado di avanzare una temporanea coesione ed esprimersi come una classe per sé.

Storia della conflittualità industriale degli operai metalmeccanici ternani

Uno dei primi importanti scioperi fu quello della Serrata del 1907, quando le mogli degli operai metallurgici bloccarono la stazione e l’accesso alle altre piccole fabbriche in città [Portelli 2017, 86-91]. Nel 1905, la direzione decise di introdurre una serie di regolamenti che non furono ben accolti dagli operai e le proprie rappresentanze. Un nuovo piano fu presentato nel 1907, anch’esso senza il consenso dei rappresentanti degli operai, i quali si rifiutarono di firmare l’accordo che ne ratificava la messa in opera, e annunciarono lo sciopero. La direzione rispose licenziando i 24 lavoratori che si erano ribellati per primi, e proclamando la ‘Serrata’, ossia la chiusura dello stabilimento, che durò 93 giorni [Covino et al. 1980, 700; Canali 2004, 55-56]. I maggiori esponenti della Camera del Lavoro si unirono per avviare i negoziati con l’azienda, che terminarono con una vittoria per i lavoratori, i quali ottennero un accordo su nuovi regolamenti che includevano la maggior parte delle loro richieste rispetto a salari, sanzioni e norme di assunzione (per una cronologia dettagliata degli eventi, si veda Carnieri 2004).

Uno dei fattori determinanti nella risoluzione della vertenza riguarda i legami di solidarietà tra i lavoratori e le loro famiglie. Le proteste furono in parte portate avanti dalle mogli dei lavoratori, le quali bloccarono la stazione ferroviaria, si scontrarono con la polizia a fianco dei propri mariti, e costrinsero i lavoratori delle altre piccole fabbriche presenti in città unirsi alla lotta delle acciaierie, impedendo loro l’accesso al posto di lavoro. La ‘Serrata’ costituisce il primo esempio nella storia de La Terni (nome con cui viene chiamata l’acciaieria) in cui i lavoratori diventarono ‘attori’ del proprio destino personale e professionale [Portelli 1985, 105].

Questa dimensione di consapevolezza si unì allo ‘spirito ribelle’ degli operai ternani, associato al movimento anarchico nato prima delle acciaierie, che lasciò un importante traccia nel movimento comunista durante il primo processo di industrializzazione [Portelli 1991, 133] e che attraversò il periodo fascista sfuggendo al paternalismo della ‘Fabbrica Totale’, consolidandosi contro l’occupazione tedesca e nel movimento di Liberazione degli operai delle acciaierie [Canali 2004, 60, 79-86]. Il movimento antifascista, infatti, non smise mai di esistere all’interno della forza lavoro, e promosse un fermento politico che contribuì largamente alla Resistenza durante la Seconda guerra mondiale. Nella ricostruzione del dopoguerra, questo aprì la strada sia a una gestione innovativa delle assunzioni per la ripresa della produzione, sia a una forte difesa contro i licenziamenti e le ristrutturazioni aziendali. In questa fase, i sindacati e il Partito Comunista divennero la roccaforte dei lavoratori; una posizione egemonica che fu in seguito indebolita durante il clima bellicoso che si venne a creare agli inizi degli anni Cinquanta.

Nel 1952-53, il licenziamento di duemila operai fu un evento molto drammatico, ancora narrato dai miei intervistati come un momento in cui la conflittualità degli operai ternani raggiunse la sua massima espressione e fu in grado di coinvolgere la città, che reagì a quello che fu percepito come un attacco a tutta la comunità ternana. All’inizio degli anni Cinquanta l’eccessivo numero di lavoratori, che negli anni precedenti era stato tollerato per far fronte alla disoccupazione di massa del dopoguerra, divenne sempre meno sostenibile. Mentre l’Italia potenziava l’industrializzazione sull’onda del miracolo economico, a seguito di un calo dei prezzi dell’acciaio (che portò alla luce l’instabilità economica della fabbrica e l’eccesso di forza lavoro) alle acciaierie ternane ebbe luogo la cosiddetta “terapia dei licenziamenti” [Bonelli 1975, 259]. Di conseguenza, la cultura rivoluzionaria della Resistenza tornò alla carica, ora forte di una maggiore esperienza nell’organizzazione della resistenza e della rappresentanza sindacale [Covino 2005]. I licenziamenti del 1952-53 ebbero gravi conseguenze socioeconomiche: prima vennero licenziati 739 lavoratori, poi 1634 [Vasio 1979, 107]; l’intera città reagì in massa. Per tre giorni, i lavoratori si scontrarono per le strade in una lotta faccia a faccia con i poliziotti, che fu sedata solo grazie all’intervento della FIOM. L’evento, definito da Raspadori [2006] come “un’eroica sconfitta”, viene spesso ricordato come un trauma profondo per l’intera comunità [Portelli 2005] e contribuì a creare un martire simbolico, Luigi Trastulli, operaio morto durante una manifestazione contro l’annessione alla NATO quattro anni prima, ma che i testimoni dell’epoca attribuiscono agli scontri con la polizia durante lo sciopero [Portelli 2017, 244-249].

Negli anni Sessanta e Settanta, l’organico risalì notevolmente superando le 10.000 unità, e la fabbrica divenne il principale datore di lavoro della provincia – posizione mantenuta ancora oggi. Al contempo, gli operai metalmeccanici divennero protagonisti dell’incremento delle lotte sindacali e una nuova generazione di lavoratori più scolarizzati, la cui formazione culturale non era stata costruita a contatto esclusivo con la fabbrica, fece il suo ingresso in acciaieria. Verso la fine degli anni Sessanta, infatti, i giovani della classe operaia avevano ricevuto un livello di istruzione formale più consolidato, ottenuto per la prima volta al di fuori della “cittadella proletaria” [Canali 2004, 73], e in aperto contrasto con la tradizione rivoluzionaria dei sindacalisti del dopoguerra, che ancora ricoprivano ruoli chiave.

Tuttavia, la contestazione del 1968-69, caratterizzata dall’Autunno Caldo e dal Movimento Studentesco, attraversò tiepidamente il sindacato ternano senza apportare cambiamenti significativi, come spiega Fogliano [1984, p. 25]. Questo fu dovuto dall’assenza di un’università a Terni, e dal fatto che esisteva una continuità fra generazioni dal punto di vista politico. I giovani erano comunque figli degli operai che lavoravano in acciaieria, membri della FIGC (Federazione Italiana Giovani Comunisti) che rispondevano alla struttura ideologica del PCI [Portelli 1985, 333]. Mario Tronti, uno dei leader dell’Operaismo, afferma in un’intervista a Portelli [1985, 331] che durante la sua militanza nella metà degli anni Sessanta non riuscì mai a stabilire un rapporto con nuclei di operai, dell’acciaieria.

Noi andavamo a cercare alle acciaierie di Terni una figura operaio che avevamo trovato, che so, a Mirafiori: le famose forze giovani operaie che erano entrate in fabbrica sgombre di schemi ideologici, privi come si dice oggi di memoria storica — per fortuna privi di memoria storica, perché adottarono anche forme di lotta nuove. E mi ricordo che cercandole a Terni non [le] trovavamo [Portelli 1985, 331].

Tra il 1970 e il 1974, parte della fabbrica fu ammodernata e la sua capacità produttiva aumentò.

Questi anni furono caratterizzati dalla nascita dei Consigli di Fabbrica nel 1971 che non crearono una rottura ma anzi una continuità con la precedente commissione interna [Fogliano 1984, 25] e da una generalmente bassa conflittualità che attraverso un moto sindacale riformista contribuì non solo a migliorare le condizioni lavorative e le misure di salute e sicurezza, ma anche a sviluppare piani industriali che garantivano alla fabbrica un ruolo strategico sul territorio nazionale. Un recente studio quantitativo di Raspadori [2020, 87] mostra come in Umbria, nonostante la bassa conflittualità negli anni 1968-1975, oltre agli innalzamenti retributivi dovuti ai rinnovi contrattuali nazionali e alla firma di nuovi contratti aziendali, si registra un notevole incremento delle adesioni sindacali. Quest’ultimo aspetto, come scrive lo storico riferendosi alla regione tutta e dunque valido anche e soprattutto per gli operai della grande industria ternana, è caratterizzato dal fatto che:

[…] i sindacati confederali fecero proprie le richieste avanzate dalla base operaia e accettarono i nuovi strumenti di lotta e di contrattazione (scioperi a singhiozzo, a scacchiera o a campana; assemblee e cortei sul luogo di lavoro; delegati di cottimo e di reparto, ecc.) emersi nel corso del ciclo di proteste a cavallo dell’Autunno caldo [Raspadori 2020, 89].

Gli anni successivi furono caratterizzati da un forte indebitamento, un bilancio negativo e numerosi licenziamenti [Dringoli 2000, 28]. Sul finire degli anni Ottanta, la fabbrica divenne una holding denominata TAS (Terni Acciai Speciali S.p.A.) e i suoi impianti diventarono parte dell’Ilva che aveva rimpiazzato la FINSIDER, iniziando così il passaggio epocale dalla proprietà pubblica a quella privata (per i dettagli del passaggio si veda Covino, Papuli 1998, 33). Nel 1988, dopo due settimane di picchetti davanti ai cancelli della fabbrica, 1000 operai andarono a Roma e occuparono la sede della FINSIDER per impedire il processo di acquisizione. L’intervento non ebbe il risultato sperato dai lavoratori, anzi segnò la fine dell’autonomia dell’acciaierie ternane all’interno della FINSIDER, e con molta probabilità fu l’episodio più significativo degli anni Ottanta per quanto riguarda le proteste dei lavoratori.

Va evidenziato che fino all’ondata di privatizzazione che spazzò via le aziende pubbliche negli anni ‘90, la forza della militanza proveniva principalmente da un accumulo di resistenza dei precedenti periodi storici [Mandel 1992, 333-334], sia a causa di contingenze nazionali a livello politico-economico, sia come reazione a particolari mancanze produttive ed economiche, o in difesa dell’impiego.

Negli anni Ottanta e Novanta, dunque prima del passaggio dell’acciaieria dalla proprietà pubblica a quella privata, l’organico diminuì fino a raggiungere circa le 3.000 unità. In questi anni, la sicurezza del salario e del posto di lavoro, e lo sviluppo del terzo settore che offriva altre opportunità nel contesto provinciale, contribuirono a diminuire la conflittualità, e a ridurre la presenza socialmente riconoscibile degli operai metalmeccanici [Patalocco 2013; Portelli 2008, 2017]. Dopo un periodo di relativa quiete e crescita produttiva, negli anni Duemila gli operai ternani dovettero impegnarsi in lunghe vertenze sindacali e scioperi che mutuavano il sentimento e l’appartenenza di luogo e di classe dalla memoria di un glorioso passato conflittuale.

I due più importanti scioperi degli ultimi vent’anni a confronto

A seguito del processo di privatizzazione del secondo settore, nel 1994 la fabbrica fu acquisita dalla multinazionale tedesca ThyssenKrupp (TK) diventando Acciai Speciali Terni (AST), una delle prime industrie italiane di proprietà straniera. Nel 2004, la multinazionale tedesca decise di trasferire il reparto in cui si produceva acciaio al silicio, detto ‘Magnetico’, in Germania, licenziando 400 lavoratori su circa 2400. La vertenza sindacale, che prese il nome dal reparto oggetto della contesa, fu la prima disputa contro una multinazionale straniera che i lavoratori ternani si trovarono ad affrontare, e in seguito diventò punto di confronto con l’altra importante vertenza del 2014/2015, di cui discuterò più avanti. Essa evidenziò il potere della ThyssenKrupp sulla forza lavoro, le istituzioni locali e il governo. I sindacati e i movimenti dei lavoratori marciarono in protesta per le vie cittadine insieme a 30.000 cittadini per difendere lo stabilimento; nonostante ciò, il reparto fu irrimediabilmente chiuso, le competenze di una produzione specializzata andarono perse, e i lavoratori licenziati [Patalocco 2013; Portelli 2008]. Come sottolinea Carniani [2009, 180-184], il ‘Magnetico’ promosse una costruzione identitaria basata sulla resistenza che fece emergere una diffusa radicalità contraria ad ogni forma di negoziazione e mediazione con l’azienda. Questa radicalità nella lotta non era il prodotto di un’elaborazione in termini di classe della realtà sociale e territoriale, bensì un’elaborazione delle esperienze maturate nella quotidianità della fabbrica soprattutto dai più giovani, che mal si adattavano alla scelta manageriale di trasferire il reparto magnetico. Portelli [2008, 107-111] indica come la vertenza portò a nuove forme di espressione e tattiche di lotta, proprio da parte dei lavoratori più giovani, più distanti e meno conformi alla cultura della classe operaia e alla sua locale tradizione di resistenza. Le provocazioni, i toni polemici e sarcastici, gli slogan che caratterizzarono lo sciopero, a volte presi in prestito dalla cultura dello stadio, contribuirono alla formazione di un antagonismo in termini nazionali tra Germania e Italia. Un sentimento che affondava le radici nella memoria storica della Resistenza contro l’occupazione tedesca del 1943-44, e che fu utilizzato anche a livello istituzionale per situare il conflitto su un terreno in cui diventò facile proporre l’unità fra tutte le componenti politiche e sociali, e invocare l’intervento del governo.

In seguito alla perdita del Magnetico, TK-AST fu ristrutturata e convertita in uno stabilimento a monoproduzione, concentrato unicamente sulla produzione dell’acciaio inossidabile. Gli operai intervistati nel 2014 propongono due visioni contrastanti riguardo alla conversione. Alcuni hanno una visione positiva, in quanto la scelta fu controbilanciata da investimenti che migliorarono la lavorazione integrata dell’acciaio, permettendo così all’azienda di diventare un punto di riferimento per l’acciaio inossidabile nel decennio a venire.

Grazie agli investimenti degli anni passati, e al fatto che una parte di un gruppo industriale multinazionale è in grado di fronteggiare delle perdite, Thyssen è riuscita a mantenere la posizione egemonica di AST nell’economia locale con il 20% del PIL regionale, nonostante i suoi difetti e contraddizioni, e nonostante l’antipatia dei tedeschi rispetto ai lavoratori ternani. (Cristiano[1] 06/03/2014, Terni - rappresentante sindacale FIOM)

Altri reagiscono negativamente, ritenendo la vertenza del Magnetico colpevole della situazione creatasi dieci anni più tardi; secondo questi, nel momento in cui l’acciaio avesse perso quote di mercato, la produzione elettrica avrebbe potuto bilanciare i profitti e quindi ridurre le perdite dell’azienda. Tuttavia, queste voci contrastanti confluiscono all’unisono nello stesso discorso che vede la lotta operaia come una sconfitta politica e sindacale. A questo proposito, Luca commenta:

Thyssen ha investito finché era conveniente […]. Penso che il Magnetico fu una sconfitta per i sindacati, e in parte lo credo ancora. Perché nessuno voleva veramente assumersi le responsabilità, e portare i nostri problemi davanti al parlamento. (Luca 28/08/2014, Terni - operaio AST e rappresentante sindacale FIOM)

Allo stesso tempo, molti intervistati credono che la lotta abbia risvegliato la coscienza di classe e lo spirito di resistenza che si erano assopiti durante i dieci anni precedenti:

Prima del Magnetico, la domanda più frequente era: quando andiamo in pensione? Perché ovviamente, AST era un’isola felice […]. Per me il Magnetico fu un’esperienza costruttiva, mi spinse verso una maggiore consapevolezza sociale. Perché a quel punto gli operai erano diventati troppo borghesi. (Mario 05/01/2015, Terni - operaio ILSERV)

Nel 2012, la presenza ventennale della ThyssenKrupp era prossima al termine quando l’azienda cedette il sito alla multinazionale finlandese Outokumpu: l’operazione di vendita comprendeva tutto Inoxum, il gruppo di produzione dell’acciaio di TK con sedi in tre continenti, tra cui lo stabilimento ternano. A causa del mancato rispetto delle leggi sull’antitrust da parte di Outokumpu, l’Unione Europea non approvò il passaggio fino al novembre dello stesso anno. Infatti, per poter acquisire Inoxum e allo stesso tempo evitare di avere una posizione dominante sul mercato, Outokumpu avrebbe dovuto vendere lo stabilimento di Terni [Cristofori et al. 2014, 75]. Senza alcun preavviso pubblico, a novembre 2013 la ThyssenKrupp formalizzò la riacquisizione di AST.

L’anno successivo, a causa di un importante deficit di bilancio[2], le acciaierie furono sottoposte a un processo di ristrutturazione che nel piano industriale del nuovo Amministratore Delegato (AD) prevedeva la ripresa economica in quattro anni. Questa era da raggiungere tramite una riduzione di 550 unità del personale, il taglio dei bonus agli operai AST, il taglio del 10% dei costi di assunzione in tutti i reparti, il taglio del 20% del costo delle ditte in appalto, e la chiusura di una delle due fornaci per ridurre la produzione di laminati a caldo[3]. La risposta fu, come dieci anni prima, la mobilitazione dei lavoratori metalmeccanici e dei loro sindacati, tesa al coinvolgimento della comunità ternana tutta. Ma a differenza del 2004, nel 2014 gli operai erano forti di una lunga esperienza con la multinazionale, che li portava a elaborare la situazione e il conflitto non più solamente in termini dualistici e connotati localmente come «noi ternani ed operai, contro un loro tedeschi e multinazionale» [Cristofori et al 2009, 181], ma in un contesto politico ed economico più ampio, complesso e precario in cui la volatilità della sicurezza del lavoro in fabbrica si accentuava col complesso passaggio di proprietà da TK a OTK iniziato nel 2012. Questo aspetto viene descritto da un operaio della ILSERV, una delle maggiori ditte in appalto in AST:

Quando ero stato assunto tredici anni fa c’hanno fatto credere che non avevamo niente di cui preoccuparci, che era meglio comprare la casa che affittarla, così il 90% degli operai ha un mutuo […] abbiamo vissuto un tipo di vita fino a ieri sera … e se domani non c’è più niente? Bisogna abituarci: la multinazionale è così, la sera c’è e la mattina dopo non c’è più. (Gianni 04/10/2014, Terni - operaio ILSERV)

I sindacati iniziarono le negoziazioni con i proprietari tedeschi e l’AD, ma in seguito alla completa intransigenza da parte dell’azienda rispetto alla salvaguardia dei volumi di produzione e della forza lavoro, a fine settembre i rappresentanti dei lavoratori annunciarono lo sciopero totale, con i picchetti fuori dai cancelli della fabbrica. L’azione sindacale culminò in ottobre, quando una manifestazione generale organizzata dalle sigle sindacali riunite portò 20.000 persone in piazza in difesa dei lavoratori. Dopo una vertenza di sette mesi, l’accordo raggiunto a dicembre prevedeva la buonuscita di 80.000 euro per licenziamento su base volontaria per circa 500 persone, il taglio dello stipendio di circa 100 euro per quelli che rimanevano direttamente impiegati da AST, e il taglio del 20% sul costo degli appalti alle ditte esterne. Come dieci anni prima, il processo di ridimensionamento della forza lavoro fu attuato in pieno, ma si possono delineare differenze importanti nella prospettiva della lotta e del rapporto con la multinazionale. Difatti, come si legge nei commenti di due operai che furono parte attiva dello sciopero, la conflittualità non viene vista in termini dualistici:

Il problema è che dobbiamo distaccarci da quest’idea provinciale che noi siamo Terni. Noi non siamo più Terni, noi siamo una multinazionale con una bandiera tedesca e un proprietario “X”. (Fabio 18/02/2015, Terni - operaio AST)

Tu non vivi questa situazione per colpa della Merkel, della Morselli [AD di AST al tempo della vertenza n.d.a] o della BCE [Banca Centrale Europea n.d.a] ma per via del sistema speculativo finanziario. (Giuseppe 20/20/2015, Terni - operaio AST)

In uno dei viaggi in pullman organizzati dai sindacati per portare gli operai a manifestare di fronte al Ministero dello Sviluppo Economico durante la discussione tra governo, rappresentanze sindacali e azienda, assistei a una conversazione tra operai, in cui chiaramente si diceva:

Interlocutore 1: Il manufatto è passato in secondo grado, perché adesso l’economia se fa sulla finanza e sulla speculazione de borsa, e non se fa più sul manufatto…

Interlocutore 2: Eh già, e se non fai gli utili, li fanno da un’altra parte!. (Operai AST 04/07/2014, Roma)

Anche il linguaggio adottato durante la vertenza registrata nella fase di campo rifletteva questa visione: i miei interlocutori parlavano spesso di come il piano industriale fosse un «piano finanziario», la ristrutturazione dell’azienda una «manovra finanziaria» e di come la ThyssenKrupp operasse in un «mercato globale e speculativo» in cui l’AST aveva un ruolo marginale. Come sottolinea D’Aloisio [2015, 100-101] rifacendosi al concetto de «l’odierna frenesia» coniato da Standing [2012], oggi le stesse imprese sono soggette a mercificazione e sono sempre più vendute e acquistate in fusioni e acquisizioni. Ciò produce una riduzione del valore degli impegni assunti dai loro proprietari, e l’aumento dell’insicurezza dei lavoratori, che va dalla perdita di garanzie nel lavoro al posto stesso di lavoro, perché l’azienda per cui lavoravano è stata rilevata o perché è fallita e riconvertita. Questa consapevolezza di essere operai metalmeccanici in un contesto di mercificazione dell’azienda è accompagnata dalla critica delle attuali modalità di lotta anche da parte di rappresentanti della CIGL-FIOM, che a differenza delle altre sigle, ha sempre portato avanti una linea di sciopero a oltranza:

Oggi lo sciopero e i vecchi metodi di lotta non funzionano più, perché lavoriamo per una multinazionale e non c’è più l’idea di appartenere a una classe, il mondo sta cambiando e noi sindacalisti stiamo usando metodi che sono vecchi di cent'anni. Funzionano veramente? […] È un’arma a doppio taglio: andare in sciopero significa non consegnare il prodotto al cliente che paga… e poi perdi il cliente. (Luca 29/08/2014, Terni - operaio AST e rappresentante sindacale FIOM)

Su queste considerazioni critiche si inseriscono tuttavia dei meccanismi complessi di confronto col passato e visione del futuro. Lo sciopero e il blocco delle merci possono essere considerati mezzi inefficaci e desueti nel conflitto contro la multinazionale, ma come nota Debouzy [1990, 62], durante i periodi di forte attivismo della classe lavoratrice, questi costituiscono dei punti di riferimento attorno i quali le memorie passate vengono narrate e ricordate come momenti chiave che conferiscono ai lavoratori un forte senso del potere. Questo tipo di memorie collettive della classe operaia possono essere concepite come un fenomeno prodotto e stimolato dalla complessa rete relazionale tra lavoratori che garantisce la continuità del gruppo nel tempo, e trasmesso e riprodotto di generazione in generazione attraverso l’istruzione, le pratiche commemorative e rituali. Nel contesto specifico delle istituzioni dei lavoratori, queste pratiche tendono a creare continuità tra le lotte dei lavoratori nel tempo, così che esse appaiano in una lineare progressione temporale appiattendo/sopprimendo i conflitti interni che essa comporta, aiutando la costruzione di una mitologia del lavoro [Debouzy 1990, 64-66].

Lo stesso rappresentante FIOM che prese parte allo sciopero di dieci anni prima, ricordando la vertenza del Magnetico, al netto della sconfitta sottolinea come i più anziani, ora in pensione, erano le vere guide della lotta che sapevano cosa significasse scioperare, davano consigli, e impartivano comandi:

[…] se a volte non facevi il tuo dovere durante la lotta, ti prendevano per le orecchie e ti dicevano: devi stare ai picchetti! (Luca 29/08/2014, Terni - operaio AST e rappresentante sindacale FIOM)

Allo stesso tempo, questi ricordi venivano anche utilizzati per innalzare il livello di conflitto, per portare avanti azioni sempre più estreme, o piuttosto più plateali, come quella di sequestrare l’AD nel suo stesso ufficio per dodici ore, come commenta un altro operaio iscritto alla FIOM, molto attivo durante lo sciopero del 2014/2015:

Non so cos’altro dobbiamo dimostrare a loro [i più anziani], abbiamo sequestrato il CEO per ore! Non penso che qualcuno abbia mai fatto una cosa del genere, qui. (Augusto 08/08/2014, Terni - operaio AST)

Gonzalez-Polledo e Sabaté-Muriel [2019, 17-21] nella loro analisi comparativa di come due acciaierie operanti nel nord della Spagna si siano adattate a processi di globalizzazione e politiche neoliberiste, hanno notato che nonostante la trasformazione della classe operaia e il declino della produzione industriale persistono forme di appartenenza che promuovono azioni collettive basate su un comune senso del passato e del futuro. Allo stesso modo, come suggerisce Narotzky [2011], le istanze, strategie e pratiche di lotta dei lavoratori di oggi sono inquadrate e attuate all’interno di una rivisitazione delle lotte passate e una selezione dei successi e gli insuccessi del passato, riconfigurati come progetti futuri.

Tra gli operai ternani, questi ricordi e sguardi al futuro si ispirano a conflitti industriali del passato, spesso narrati a posteriori in modo tale da creare continuità con la tradizione conflittuale della classe operaia locale, e allo stesso tempo creare una presenza contemporanea che si confronta e contrappone al passato. Il potenziale trasformativo intrinseco all’azione di protesta, seppur temporaneo, come conferma Kasmir in relazione alle vertenze della Saturn Auto Factory in Tennessee [2005, 81], è infatti in grado di generare nuove coesioni attorno ad obiettivi collettivi e avanzare nuove identità che, come quelle che rimpiazzano, sono irregolari, contraddittorie e spesso combinano significati e aspirazioni in opposizione, come discusso nella prossima sezione.

La risposta degli operai e sindacati all’emergenza pandemica

La difficile gestione della vertenza del 2014/2015 da parte del sindacato locale ha messo in evidenza il bisogno di ridimensionare il proprio ruolo, ma al tempo stesso è stata fondamentale per creare un’esperienza di lotta e costruire una critica attiva nei confronti dei sindacati confederati e dar vita a una nuova esperienza sindacale in fabbrica. Come descritto da India [2017, 156-157] nel caso della FIAT di Termini Imerese e della difficile gestione del marginale potere di negoziazione, in momenti di alta conflittualità il sindacato va incontro a divisioni e fuoriuscite di gruppi di lavoratori che si iscrivono ad altre sigle sindacali, o ne formano di nuove. L’Unione Sindacale di Base (USB) costituitosi in AST solamente dopo la vertenza, «è un sindacato di classe e conflittuale» come descritto da Giuseppe, uno dei suoi membri. Fu fondato da due ex-iscritti alla FIOM che criticavano fortemente l’operato del loro sindacato, considerato incapace di radicalizzare la lotta e cedere alla pressione dell’azienda, motivi per cui lo sciopero era terminato prematuramente. USB è operativa all’interno di AST dal 2016, e si tratta di una micro-organizzazione con un delegato e all’incirca 30 iscritti, tutti militanti, e con un’età media di 30 anni. Come spiega Giuseppe, il delegato USB:

L’esperienza del 2014 è stato un grosso momento di formazione, […] non sotto il profilo della formazione sindacale, noi l’abbiamo vissuta da lavoratori che hanno sviluppato una critica alla gestione della vertenza quindi ai [sindacati] confederali è lì che è maturata l’insufficienza e la perdita di ogni natura di classe soprattutto all’interno della CGIL. (Giuseppe, 05/02/2020, Terni - operaio AST e delegato USB)

Uno dei punti su cui insistono fortemente è l’investimento per rinnovare i forni nel reparto a caldo, il più inquinante. Inoltre, consapevoli del fatto che la fabbrica riveste ancora una presenza economica ma non sociale, spingono per la nazionalizzazione del sito così che possano essere i cittadini, attraverso lo stato, a decidere il destino della fabbrica. L’acciaieria è solo uno dei principali inquinanti nella cittadina: oltre ad essa ci sono due inceneritori, i gas di scarico delle automobili, e la discarica che si trova proprio fuori dal perimetro della fabbrica, utilizzata non solo da quest’ultima, ma anche dal comune per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. La più recente attenzione nei confronti delle questioni ambientali e della salute pubblica è alla base delle formazioni di gruppi ambientalisti costituiti da membri molto spesso giovani che non hanno legami con la fabbrica. I militanti della USB cercano di ristabilire questi legami, interpretando la salvaguardia dell’ambiente e della salute come una questione di coscienza di classe e organizzando eventi atti a unire le istanze dell’ambiente con quelle della salvaguardia del sito produttivo, ponendo l’accento sulla resistenza al «ricatto salute/lavoro». Come descrive Giuseppe, «oggi lo scontro capitale e lavoro si svolge tutto all’interno della dicotomia ambiente e lavoro» (Giuseppe 24/05/2020, Terni - operaio AST e delegato USB).

La prima vera emergenza che il nuovo sindacato si è trovato ad affrontare è stata quella relativa al Covid-19 e al confronto difficile con l’amministrazione di AST sulla salvaguardia della sicurezza del personale e allo stesso tempo dei volumi di produzione. Durante la prima fase della pandemia, Giuseppe descriveva l’azienda come sorda alla preoccupazione dei sindacati e dei lavoratori. La posizione del sindacato fu quella di condannare l’operato dell’azienda, che spingeva per non chiudere le acciaierie durante le fasi di adattamento delle misure di sicurezza al fine di garantire la continuità del lavoro e la salvaguardia del personale.

Nelle comunicazioni ufficiali e sui giornali nazionali, da un lato l’azienda ribadiva la strategicità delle acciaierie che, tra i propri clienti annovera anche aziende che producono materiali utili all’emergenza sanitaria (come letti, bombole d’ossigeno e diversi altri macchinari e dispositivi medici). Dall’altro lato, l’amministratore Delegato comunicava che una chiusura prolungata poteva avere ripercussioni a lungo termine in quanto in altri paesi d’Europa, come Francia e Germania, la siderurgia era stata considerata strategica e dunque non era stata fermata. La preoccupazione dell’AD intervistato dal Corriere della Sera[4] era che, una volta finita l’emergenza, la siderurgia italiana si sarebbe ritrovata priva di quote importanti di mercato, acquisite dalle aziende che hanno continuato a produrre.

Come spiegato da Giuseppe, intervistato tra aprile e maggio 2020, in risposta all’AD fu proclamato uno sciopero di 48 ore[5] indetto da tutte le sigle sindacali per fermare gli impianti che spinse l’azienda – anche di fronte a volumi che non permettevano una marcia a pieno regime – a chiudere per due settimane e pianificare misure per la prevenzione. A marzo 2020 i forni furono spenti e lo stabilimento chiuso: ciò non era mai accaduto, l’impianto non si era mai fermato neanche sotto i bombardamenti nella Seconda Guerra Mondiale. A seguito dello sciopero, l’azienda si impegnò a mettere in sicurezza il sito con percorsi protetti, ambienti sanificati, controlli con termo-scanner all'ingresso. Grazie a queste misure, AST divenne la prima azienda italiana certificata anti Covid-19, e la prima ad ottenere la riapertura da parte del governo a maggio 2020[6]. Nella valutazione di Giuseppe, lo sciopero era stato funzionale a ottenere il risultato nell’immediato, ma la nuova esperienza di lavoro durante una pandemia di cui non si era mai avuta esperienza poteva essere strumento di lotta con una visione più ampia e lungimirante:

Se questa fino ad ora è stata una gestione della riorganizzazione in chiave emergenziale e siccome la fase sarà molto lunga può cominciare a essere una gestione quotidiana, fino che non se trova un vaccino, e su questo noi come organizzazione sindacale ci basiamo un pezzo di battaglia. Siamo arrivati al punto di ragionare di lavorare sei, sette ore non più otto. Questo è un momento molto idoneo, se non ne parli ora, non ne parlerai mai più. (Giuseppe 24/05/2020, Terni - operaio AST e delegato USB)

La pandemia, essendo un evento di cui non c’è memoria nella storia operaia ternana, viene dunque affrontato con i mezzi tradizionali della lotta operaia come lo sciopero, e oltre a evidenziare le contraddizioni e i limiti del tardo capitalismo, crea un precedente che influenza la visione di una lotta sindacale che si vuole emancipare dalle posizioni tradizionali, e spingere la conflittualità alla conquista di nuovi diritti.

Conclusione

Ripercorrere la storia delle lotte operaie alle acciaierie di Terni mostra come la Serrata del 1907 fu caratterizzata da azioni difensive, in cui i lavoratori lottarono per i diritti di base, facendo affidamento sulle reti familiari per ottenere la solidarietà della città. Negli anni a seguire, la crisi dell’industria pubblica dell’acciaio costrinse gli operai ternani al compromesso sulle assunzioni per mantenere la produttività. Ciò creò un conflitto in cui sia i lavoratori che le loro istituzioni (non abituate a lottare al di fuori del contesto paternalista di un’azienda pubblica) si trovarono ad affrontare una potente multinazionale, costituendo così un importante spartiacque nella tradizione locale della lotta operaia. A confronto con le vertenze nel periodo antecedente alla privatizzazione, le lotte degli ultimi vent’anni e specialmente quella del 2014-15 rivelano un panorama preoccupante, una spinta verso la deindustrializzazione che ha bisogno di nuove sinergie e solidarietà tra gli operai e la città.

Le vertenze in AST più recenti (quella del 2004 e del 2014) si configurano in maniera diversa, la prima in termini di conflittualità dualistica tra fabbrica italiana e proprietà tedesca, la seconda tramite la consapevolezza di vivere in un contesto in cui la condizione precaria dei lavoratori è acuita dal fatto di essere parte di una multinazionale «con una bandiera tedesca e un proprietario “X”».  In entrambi i casi, nella lotta contemporanea per la difesa della fabbrica è ancora rintracciabile il portato storico della cultura conflittuale della classe operaia ternana.  Lo sciopero, inteso come termine che raccoglie varie modalità di lotta, come l’occupazione del sito produttivo e il blocco delle merci, costituisce sia una continuità con le lotte operaie del passato sia un terreno di confronto in visione di una narrazione a posteriori. Lo sciopero può rappresentare inoltre anche un’esperienza che genera rotture e nuove entità come l’USB, da utilizzare anche quando si operano rivendicazioni per i lavoratori all’interno di problematiche mai affrontate, come la pandemia.

Attualmente, AST produce il 37% del PIL regionale dell’Umbria, e il 67% del PIL della provincia di Terni, e il suo impatto sul tessuto socioeconomico è ancora molto forte. Ma la posizione economica dominante dell’acciaieria e il suo ruolo come principale fonte di lavoro per la città potrebbero ridursi fortemente, e insieme a questi la possibilità di un processo di riconfigurazione di traiettorie di lotta. Il piano industriale firmato dalla direzione e i sindacati nel dicembre 2014 doveva scadere nel 2018, ma fu prolungato con un nuovo contratto firmato a giugno 2019, con scadenza a settembre 2020. Il piano prevedeva altri tre obiettivi: nuovi investimenti (da 50 e 60 milioni di euro) e un aumento della produzione che permettesse il raggiungimento di 1 milione di tonnellate di acciaio grezzo, e l’impiego di 2.350 lavoratori e impiegati assunti direttamente dall’azienda. Alla fine del 2020, i tre obiettivi non erano stati raggiunti, e AST è tuttora incanalata in una monoproduzione che la espone ai rischi delle oscillazioni dell’acciaio e altre materie prime sul mercato globale. Nel 2021 l’acciaieria ha chiuso con un profitto di oltre 50 milioni di euro, producendo un tonnellaggio che non era stato raggiunto dal 2013 a causa della crescita della domanda che ha portato a un aumento dei livelli di produzione[7]. Di nuovo in vendita[8], AST è stata acquisita dal gruppo Italiano Arvedi[9], uno sviluppo che potrebbe significare ulteriori ristrutturazioni della produzione e della forza lavoro e nuovi orizzonti di lotta.

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[1]  I nomi degli intervistati sono stati cambiati, e alcune forme dialettali rese in italiano.

[2]  A causa della stagnazione del mercato, e il conseguente aumento della concorrenza, nel 2014 TK-AST perdeva circa 809 milioni di euro di guadagni rispetto ai 5 anni precedenti, di cui 150 milioni solo nel 2013/2014 [<https://drive.google.com/file/d/0B9BO3Epy7nlFWWlSVmtyMk10eGs/view> ultimo accesso: 10 settembre 2020]

[3]  I dati sono una elaborazione dell’autore sulla base delle slides presentate al Ministero dello Sviluppo Economico da TK-AST durante la presentazione del piano industriale il 17/07/2014 consultabili su: <http://www.umbria24.it/attualita/tk-ast-per-i-sindacati-e-il-momento-di-chiudere-resta-aperto-il-problema-esuberi-tra-gliimpiegati >

[4]  <https://www.corriere.it/economia/aziende/20_marzo_31/acciai-speciali-terni-ripartiamo-cosi-governo-ha-fermato-anche-forniture-la-sanita-francia-germania-siderurgia-va-avanti-8a54b460-7320-11ea-bc49-338bb9c7b205.shtml> [27 aprile 2020]

[5]  <https://www.umbria24.it/economia/coronavirus-stato-di-agitazione-in-ast-proclamati-due-giorni-di-sciopero> [ultimo accesso 13 maggio 2020]

[6]  <https://www.ilmessaggero.it/italia/covid_free_terni_12_maggio_2020-5223786.html> [ultimo accesso 13 maggio 2020]

[7] <https://www.steelorbis.com/steel-news/latest-news/acciai-speciali-terni-closes-2021-with-net-profit-above-53-million-1227575.htm> [ultimo accesso 30 gennaio 2022]

[8]  <https://www.siderweb.com/articoli/industry/706301-ast-in-vendita-le-reazioni-in-umbria> [ultimo accesso 20 luglio 2020]

[9]  <https://www.steelorbis.com/steel-news/latest-news/european-commission-approves-acciai-speciali-terni-sale-to-arvedi-1226624.htm> [ultimo accesso 30 gennaio 2022]