Emigranti cineasti. Regie di un successo

Recensione

Tamara Mykhaylyak

Dipartimento di Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli Federico II

Alberto Baldi, Emigranti cineasti. Regie di un successo, Squilibri, Roma, 2021 (volume con sezione fotografica autonoma, lungometraggio in DVD e quattro mediometraggi in QR Code), pp. 1-356, ISBN 978-88- 85571-54-9.

L’autore non intende riferirsi in senso stretto a una emigrazione da inquadrare in base alle interpretazioni che scientificamente e storicamente caratterizzano in linea di massima l’approccio a cotale tematica da parte dell’antropologia.

Si tratta invece di una indagine e di una conseguente riflessione su un contenuto numero di casi, casi comunque di notevole significatività nei termini di un progetto migratorio coronato da patente e vistoso successo. Si evocano, si ricostruiscono e si articolano storie di emigrazioni dalla Basilicata verso gli Stati Uniti, dagli anni Ottanta dell’Ottocento ai Cinquanta del Novecento, andate decisamente a buon fine.

Ancor più nel dettaglio l’attenzione dell’autore si è specificamente appuntata su certune luminose, anche volutamente “ingombranti” rappresentazioni del progetto migratorio quando, come egli segnala, “esso assunse le connotazioni di un’impresa caratterizzata dal raggiungimento di un benessere, dal coronamento di un successo, più o meno assai evidenti e consolidati, ma comunque sostanzialmente tali, tali per aver consentito agli emigranti di […] voltare pagina, rifondandosi, soprattutto nei casi in cui decisero di radicarsi all’estero, in un nuovo mondo, tanto duro e impietoso quanto ricco di opportunità economiche e professionali”.

Fine ultimo di questa ricerca è quello di individuare e distinguere le rappresentazioni, talora davvero singolari e, per il periodo storico considerato, tecnologicamente molto moderne, mediante le quali l’esperienza migratoria fu narrata, soprattutto ai paesani che non avevano avuto il coraggio di espatriare, con grande e vistosa pompa, mediante il ricorso deliberato a lessici, retoriche e registri eminentemente visivi. Siamo dunque al cospetto di raffigurazioni che intesero affidarsi intenzionalmente e scientemente a stereofotografie e visori tridimensionali unitamente ad altri dispositivi tipici dell’epoca del precinema, come anche alla fotografia e successivamente alla cinepresa; codeste raffigurazioni furono talora rese maggiormente efficaci e convincenti grazie all’associazione a strumenti musicali, per l’epoca, a grammofoni a tromba a cui spettò il compito di farsi colonna sonora alle immagini. Siffatto concerto di apparati e strumenti “audio-visivi” era mosso dal fine di organizzare sia metaforicamente, sia concretamente, delle vistose proiezioni delle nuove identità sociali, economiche e infine culturali conseguite dopo anni di permanenza e radicamento all’estero. In base a una consuetudine via via radicatosi negli anni l’emigrante, pur essendo divenuto “qualcuno” oltre oceano, non cessava di “rivolgersi” al borgo natio in cui periodicamente gradiva tornare per soggiorni solo momentanei. Il proprio paese l’emigrante eleggeva a interlocutore favorito per la messa in scena, per la raffigurazione del raggiunto successo supportata da foto, stereofotografie, filmati e un’ulteriore varia serie di oggetti “americani” mediante i quali stigmatizzare e indelebilmente “certificare” la raggiunta prosperità. Era prevalente compito delle sequenze filmiche, girate ad hoc negli Stati Uniti dagli emigrati e proiettate agli esterrefatti compaesani, descrivere enfaticamente il nuovo e opulento mondo americano nel quale chi era partito in cerca di fortuna, fortuna aveva avuto, ora oggettivata “obiettivamente” dalle immagini, fisse, in 3D, in movimento che egli aveva avuto cura di scattare, di girare.

Il tema proposto da Alberto Baldi, in relazione alla sua intrinseca natura “vistosa”, predilige espressamente e conseguentemente le fonti visive, affidandosi sul piano etnografico ai metodi e alle tecniche di rilevazione dell’Antropologia visuale. Videointerviste, riproduzioni di materiali fotografici e stereoscopici, realizzazioni di videosequenze per documentare il funzionamento di differenti e antichi strumenti di riproduzione ottica e musicale, ricerche iconografiche in Italia e negli Stati Uniti per sostenere le molte truke resesi necessarie nel montaggio del documentario principale sono solo alcuni dei mezzi e delle indagini effettuate sul terreno.

Trasferendoci dalla ricerca alle modalità con le quali è stato organata la restituzione di quanto raccolto sul terreno, in sintonia con il palese e predominante taglio antropologico-visuale attribuito a tutto il lavoro, sono altresì presenti alcuni prodotti distinti ma al tempo medesimo parimenti complementari. Il volume di cui qui parliamo, a ben vedere, come una matriosca, comprende certamente un testo, diviso in due sezioni principali, seguito però da una corposa e autonoma parte fotografica dotata di proprio e denso commentario, da un documentario, appena ricordato, un lungometraggio di circa cinquanta minuti su supporto DVD allocato in una tasca nella terza di copertina e associato ad altri quattro mediometraggi consultabili mediante QR Code. Dando di nuovo spazio alle parole dell’autore “nel rispetto delle reciproche retoriche espressive che presiedono alla stesura di una monografia e parimenti a sceneggiatura e regia, nel nostro caso, di un lungometraggio (e di ulteriori quattro filmati), i “veicoli” dianzi ricordati assolvono al duplice compito di essere al contempo analitici e divulgativi. Alla parola è spettato il compito di restituire in una prospettiva storica e antropologica eminentemente interpretativa i caratteri di questa luminosa rappresentazione del successo conseguente alla decisione di imbarcarsi per l’America. […] Il documentario, potendosi avvalere di foto e filmati direttamente realizzati dagli emigrati nonché di riprese e videointerviste, ha in modo ancor più esplicito reso la vistosa vocazione celebrativa di siffatte testimonianze visive che, in quanto tali, esigevano di essere innanzitutto “viste” e non solo descritte”.

A fare da anello di congiunzione tra sezione testuale e filmica è una corposa parte fotografica disposta in totale autonomia nel cuore del volume in posizione mai ancillare rispetto ai testi. La natura eminentemente sintetica della foto che non può dipanarsi e coniugarsi nella più pletorica sequenza filmica, ribadisce ed esplicita in modo “inoppugnabile”, quasi stentoreo e lapidario, le “oggettive” risultanze di un successo visibilmente consolidato, con le sue molteplici ambientazioni soprattutto e specificamente cittadine, con le rassicuranti e persuasive retoriche dei suoi riti festivi e familiari, con ricche libagioni, ozi, viaggi e ostentati consumi, in primis quello del tempo libero.

A tal proposito l’autore tiene a “sottolineare in qual modo, sullo sfondo in cui prendono corpo e si articolano queste rappresentazioni “belle”, sgargianti e suadenti dell’esperienza migratoria, agisca una precocità mediatica per mezzo della quale, anche in contesti di subalternità economica e sociale come quelli a lungo patiti dalle popolazioni rurali del nostro meridione, viene rapidamente intuita la potenza esplicativa, esemplificativa, promozionale dell’immagine “modernamente” intesa, dunque prodotta […] da agili folding, da più sofisticate macchine a telemetro talora con ottiche intercambiabili e finanche da professionali cineprese 16mm.