Halloween. La festa delle zucche vuote

Recensione

Nicola Martellozzo

Università degli Studi di Torino

Laura Bonato, Lia Zola (a cura di), Halloween. La festa delle zucche vuote, FrancoAngeli, Milano, 2020, pp.1-146, ISBN 9788835109426.

Non sono poi molte le feste che in Italia riescono a riproporsi ogni anno con la stessa vitalità e a coinvolgere gruppi sempre più ampi di popolazione. Dopo il Natale, Halloween è probabilmente la festività che catalizza l'attenzione del pubblico più ampio, e che anche a livello commerciale riesce a reggere il confronto con la mole di prodotti e capitali del periodo natalizio. Vanta però un primato indiscusso, quello di essere la ricorrenza più criticata in tutto il calendario festivo italiano. Ormai le proteste e le accuse verso la notte del 31 ottobre sono diventate tanto tradizionali quanto la festa stessa. Anzi, sarebbe meglio dire le feste: uno dei pregi del libro che andiamo a recensire sta proprio nel palesare la grande ricchezza di adattamenti, ibridazioni e sovrapposizioni che contraddistinguono questa ricorrenza, che a dispetto delle tante somiglianze – affatto causali – con le feste dei morti della tradizione regionale italiana viene ancora considerata da tanti come “estranea”, “corruttrice”, “irrispettosa”. Il “fenomeno Halloween” fa discutere ben oltre i fatidici giorni di novembre: al di là dei consueti articoli giornalistici, anche il mondo accademico italiano ha iniziato a prestare attenzione a questa festa. Ne sono testimoni la pubblicazione per i tipi di Einaudi del volume di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi [2006] ma soprattutto la recente opera collettanea curata da Laura Bonato e Lia Zola per FrancoAngeli editore [Bonato, Zola 2020]. Sette capitoli, più la presentazione, bastano a questo volume per offrire una panoramica non solo delle origini (vere, false o pretese) di questa festa, non solo del suo graduale e dibattuto radicamento in Italia, ma anche della sua convivenza con le tante altre feste e pratiche tradizionali che caratterizzano il nostro Paese.

Le due curatrici del volume non sono affatto nuove ai temi della festa e della reinvenzione delle tradizioni. Questo vale in particolare per Laura Bonato, che negli ultimi vent'anni ha dedicato molte delle sue riflessioni all'analisi antropologica delle feste e delle forme di cerimonialità rituale [Bonato 2006]. Il suo lavoro compare sovente citato nei testi e nelle bibliografie di questo volume: un ritorno che non ha nulla – per restare in tema – dell'automatismo vuoto dei revenant ma che si distingue al contrario per la vitalità con cui i diversi autori hanno saputo sviluppare e rielaborare le tesi antropologiche sulla festa. Ci sembra dunque adatto, per introdurre la recensione di questo volume, riprendere un passaggio che ben si presta a descrivere la condizione dibattuta di una festa come Halloween:

Questa sorprendente vitalità della festa – sia essa trasformata, riciclata, riproposta, inventata, alterata – aggiunge, alla sua complicata struttura e alla complessità di lettura e di interpretazione che contraddistingue il fenomeno stesso, altri interessanti elementi da analizzare, spesso contraddittori, inerenti allo svolgimento, alle funzioni, ai significati, alle nuove alleanze assunte dal vecchio apparato rituale e simbolico [Bonato 2006, 33].

Alla luce di ciò, soffermarci su alcuni aspetti del denso “apparato rituale e simbolico” di Halloween può forse consentire al lettore di guardare meglio in filigrana il volume che stiamo presentando. A dispetto della sua fama e della sua integrazione nel panorama festivo internazionale, stupisce come nell'immaginario popolare la notte di Halloween venga ancora così spesso confusa con la festa dei Morti e perfino con il giorno di Ognissanti. Spostamenti e sovrapposizioni di data tra queste ricorrenze possono confondere al più gli storici: dobbiamo alla riforma cluniacense del X secolo la commemorazione dei defunti del 2 novembre, a completare quella di Ognissanti del giorno precedente. Tuttavia è solo con papa Gregorio III (731-741) che la festa di precetto viene spostata dal 13 maggio alla data che conosciamo oggi, ed è per certi versi curioso che la precedente festività, istituita da papa Bonifacio IV nei primi anni del VII secolo, cadesse proprio in coincidenza con gli antichi Lemuralia. Questa ricorrenza della religione romana era dedicata alla figura dei Lemuri, spiriti dei morti che il pater familias doveva placare ricorrendo ad appositi rituali. Non avviene invece nessuna sostituzione di data nel caso del Feralia, giorno che chiudeva il periodo dei Parentalia (13-21 febbraio) dedicato ai “defunti famigliari” con delle cerimonie pubbliche e sacrifici ai Mani [Dumézil 2011, 322-323]. La mancata osservanza di questi riti ha effetti nefasti se, come narra Ovidio: “si racconta che gli antenati uscissero dalle tombe e nel silenzio della notte emettessero lamenti, e che una folla evanescente di ombre prive di volto vagasse ululando per le vie della città e della campagna” [Fasti II, 551-555].

In quella “folla di ombre” vogliamo riconoscere i predecessori di revenant, vampiri, zombie e altri mostri che popolano le “nostre” notti di Halloween. Non, ovviamente, nel senso di una continuità storica tra immaginari collettivi, ma di una somiglianza tra atteggiamenti culturali nei riguardi dei defunti e della tensione tra vita e morte. Parafrasando il titolo di un saggio di Antonino Buttitta, quando le società affrontano il ritorno dei morti in realtà stanno gestendo un problema di rifondazione della vita [Buttitta 2004]; si tratta di importanti momenti di reintegrazione dell'ordine culturale [de Martino 1961, 163-170], in cui alla lista che comprende Capodanno, Carnevale e Natale possiamo aggiungere a buon diritto le feste dei morti [Buttitta 2004] e lo stesso Halloween. Ne cogliamo degli echi parimenti nel Samain celtico e nella renovatio mundi che de Martino scorge nei rituali del mundus patet, come risposta al pericolo di una fine dell'ordine mondano esistente. Per la verità, l'apertura del mundus romano non prevedeva un ritorno minaccioso dei morti, bensì un'esposizione pericolosa di conoscenze riguardanti l'“altro mondo” [Dumézil 2011, 310]. Situazione ben diversa da quella dei Parentalia, periodo che Dumézil definisce significativamente una “crisi di fine inverno” [Dumézil 2011, 311], e che il mondo celtico poneva invece all'inizio della stagione fredda.

La stagionalità in questo caso si lega alla periodicità propria delle feste e delle crisi. I defunti, infatti, risiedono in un “antimondo che aveva bisogno del mondo per continuare a esistere come sua immagine riflessa in uno specchio. Nel caso in cui questa necessaria relazione avesse subito una rottura, l'equilibrio così interrotto tra mondo dei vivi e mondo dei morti avrebbe trasformato le anime dei defunti in demoni distruttivi” [Buttitta 2004, 13]. Il rischio è quello di un cortocircuito tra vivi e morti, di una confusione tra mondi con esiti potenzialmente catastrofici. Con una battuta presa da un classico della cinematografia horror, “quando l'inferno è pieno, i morti camminano sulla terra”. Ecco che allora le feste dei morti propongono altrettante soluzioni culturali per questa minaccia, opportunamente drammatizzata e messa in scena. Halloween non fa eccezione, nonostante le lunghe trasformazioni culturali rendano difficile cogliere immediatamente questo aspetto simbolico.

In questo senso è assai utile il saggio di apertura di Laura Bonato, nel quale un'attenta disamina dell'evoluzione di questa festa viene arricchita dai risultati di un questionario condotto nel 2019. Particolarmente interessante è la parte dedicata alla “doppia origine” di Halloween: questa ricorrenza si lega infatti alla pratica cristiana del souling, diffusa nei paesi anglosassoni (Irlanda e Regno Unito in primis) e da lì trapiantata nel Nuovo Mondo dai coloni e immigrati irlandesi. Durante questa “elemosina dell'anima” i bambini chiedevano offerte e dolci in cambio di preghiere per i defunti bloccati nel Purgatorio. La dimensione cristiana torna anche nella seconda ipotesi d'origine, anche se come fattore posteriore e trasformativo di un'antica tradizione celtica: durante il Samain, festa che segnava l'inizio dell'inverno, le comunità pre-cristiane compivano la riaccensione dei fuochi sacri e famigliari, travestendosi per non essere riconosciuti dai defunti che in quella notte tornavano a frequentare il mondo dei vivi. La prima trasformazione radicale della festa avviene con la diffusione negli Stati Uniti dove, come già per il Natale, il filtro della società borghese e del mercato capitalista impone nuove pratiche e rituali: tra tutti l'adozione di mascheramenti ispirati all'immaginario della paura e il trick or treat. Il secondo dopoguerra vede il ritorno in Europa di Halloween e la sua rapida diffusione; qui Bonato offre al lettore una panoramica dei vari adattamenti nei differenti contesti nazionali, rispondendo così implicitamente a quell'accusa che vede in Halloween una festa imposta e accettata acriticamente e passivamente, una sorta di “resa all'egemonia culturale americana”. Questa è una delle tante rappresentazioni che emerge anche nell'ampio questionario preparato dall'autrice, in cui al coro di critiche che ben rappresenta le opposizioni – ormai classiche – a questa festa, fa da contraltare l'entusiasmo di moltissimi giovani e bambini in età scolare.

Ritroviamo un'analisi approfondita di questa dimensione critica nel capitolo di Luigi Berzano. Le prime e più pesanti accuse provengono dal mondo cristiano cattolico e pentecostale, che considera Halloween come il risultato di una colonizzazione secolare che degrada l'immaginario dei defunti, mescolando elementi paganeggianti a nuance sataniste. Al di là della specifica motivazione storica di queste critiche, possiamo chiederci con Berzano se in questo caso non entri in gioco anche una sorta di competizione “tra il sistema rassicurativo della religione cristiana e il sistema apotropaico di Halloween” [40], una rivalità tra funzioni simboliche nel rapporto con la morte e i defunti. Il lettore potrà trovare nel saggio di Fabio Mugnaini interessanti riflessioni su tale questione. L'idea che fa da sfondo al saggio di Berzano è che Halloween costituisca un fenomeno sociale particolarmente interessante non solo per comprendere certi processi di secolarizzazione delle pratiche religiose, ma per la persistenza di antichi immaginari culturali all'interno di una festa globalizzata e post-moderna. Una “seconda vita” che inizia negli Stati Uniti e trasforma un rituale religioso in un loisir sostenuto dal libero mercato, e che proprio nel capitalismo ha trovato un volano culturale decisivo. Non per questo la dimensione simbolica più arcaica scompare ma viene per così dire riassorbita nella nuova festa globale.

Questo processo di riarticolazione dell'aspetto mitico e simbolico di Halloween è al centro del successivo capitolo di Antonello Ricci. La vicinanza con il Carnevale per esempio, già evocata nel saggio di Bonato, viene considerata da Ricci alla luce di interessante approccio teorico che unisce una lettura “classica” dell'aspetto mitopoietico (con riferimenti a Barthes, Eco, Buttitta) alle riflessioni meno conosciute di Peppino Ortoleva sui “miti a bassa intensità”. Halloween si caratterizza così per la presenza massiccia di narrazioni mitiche prodotte dall'industria culturale e fruite non in occasioni rituali ma nel tempo libero. Questa densa analisi teorica dialoga con un lavoro etnografico condotto in Calabria, quasi una sorta di endo-etnografia costruita attraverso le foto, le testimonianze e i racconto di alcuni bambini, i primi e più entusiasti partecipanti di questa festa. Se in passato Calabria e Sicilia si distinguevano per la ricchezza folklorica in occasione delle feste dei morti, oggi Ricci fa notare come siano il cinema e i nuovi media a influenzare l'immaginario culturale della paura, specie fra i più giovani.

Ciò rende conto non solo della mutata temperie culturale e della capacità di Halloween di catalizzare attorno a sé tutta una serie di riferimenti della cultura popolare globalizzata, ma anche di un più profondo slittamento da un immaginario dei defunti a un immaginario della paura. Ciò viene messo brillantemente in luce da Fabio Mugnaini in uno dei capitoli più penetranti di tutto il volume. Il saggio si apre con una riflessione di taglio biografico, in cui l'antropologo ripercorre l'esperienza personale con Halloween alla luce del suo retroterra famigliare; la sua attenzione va in particolare alle pratiche commemorative dei defunti nella società rurale toscana. Già de Martino aveva dedicato diverse pagine al vissuto di questa celebrazione da parte di Francesca Armento, contadina lucana e madre del poeta Rocco Scotellaro [de Martino 1961, 122-138]. Nei paesi della Basilicata come nei borghi toscani di cui scrive Mugnaini, il primo e il 2 novembre si andava a “trovare i propri morti”. Mentre la commemorazione dei defunti si basava su un rapporto personale con i morti famigliari, in Halloween i defunti perdono questi connotati domestici per diventare una schiera anonima e minacciosa. Nessuno, osserva l'autore, si azzarderebbe di sfilare ad Halloween “mascherato da cadavere della propria zia o del proprio nonno” [91]. Il trait d'union è rappresentato dal revenant, il defunto che ritorna privato però della propria identità, prototipo dei tanti vampiri, ghoul e zombie che infestano l'immaginario hollywoodiano. In questa figura l'immaginario della paura del mondo contadino trapassa in un mondo dove la morte (e i morti) diventano oggetto di intrattenimento collettivo, e dove la festa della comunità diventa consumo della festa.

È interessante soffermarsi anche sull'uso “strategico” che la Lega Nord ha fatto di Halloween negli anni Novanta: il partito verde cercò di legittimare l'appropriazione italiana della festa richiamandosi alle sue origini celtiche, in accordo con certe narrazioni fondative “mitiche” della Lega stessa. Questa assimilazione di Halloween da parte di un movimento indipendentista in cerca di radici dimostra in modo inequivocabile come le tradizioni siano oggetto di continue reinvenzioni e ibridazioni. Lo vediamo bene nel successivo saggio di Sebastiano Mannia, il primo di due capitoli che, insieme a quello di Domenico Branca, trattano della presenza di Halloween in Sardegna. Giova dunque presentarli insieme, dato che le pratiche rituali di cui trattano coprono gran parte del territorio dell'isola. Ci sono notevoli somiglianze tra le questue sarde e la pratica del souling: in entrambe i bambini vanno di casa in casa a chiedere doni in cambio di preghiere, reggendo ora una rapa (Jack O'Lantern), ora una zucca intagliata a simboleggiare l'anima dei morti (s'animedda). In entrambe le isole, Sardegna e Irlanda, Halloween si è fortemente ibridato con le pratiche tradizionali, rimodellando la festa dei morti. Questo è particolarmente vero per l'Irlanda, dove la ricerca etnografica multi-situata di Branca si concentra sul festival di Derry; dell'antica questua e del souling non rimane altro che il trick or treat, inserito però in un evento che conta più di 40.000 spettatori, un notevole apparato commerciale e il coinvolgimento di tutta la comunità. In Sardegna, al contrario, la pratica del su mortu-mortu rimane ancora radicata sul territorio, anche se sovente confusa dagli stessi partecipanti con Halloween. Il segno più tangibile di questa sovrapposizione è l'uso di travestimenti, assente nella questua tradizionale, che però sia Branca che Mannia riconoscono come un elemento ormai proprio delle feste sarde.

Anche se nei paesi della Gallura e in poche altre zone il su mortu-mortu rimane predominante, negli ultimi vent'anni Halloween è riuscito a imporsi nell'immaginario locale e ibridarsi con le questue, in certi casi rivitalizzando una tradizione altrimenti in declino. Il principale canale attraverso cui la festa “americana” è riuscita ad affermarsi sul territorio italiano è senza dubbio la scuola: non solo Mannia e Branca, ma molti degli autori di questo volume e le stesse curatrici non mancano di sottolineare il contributo essenziale delle attività scolastiche (lezioni, bricolage, feste a tema, ecc) nel diffondere tra i bambini una conoscenza e un interesse per Halloween.

Questo è vero anche per il saggio conclusivo di Lia Zola, in cui questo processo di assimilazione è tanto più interessante perché riguarda una comunità multi-etnica. Lo scritto di Zola è infatti quello che ci porta più lontano: non solo geograficamente, occupandosi della Siberia e più in particolare della Repubblica di Sacha-Jakuzia, ma in termini culturali. L'autrice offre al lettore una panoramica sulla ricezione di Halloween tra la comunità sacha-jacuta, contestualizzando tale fenomeno nel più ampio immaginario dell'aldilà di questa popolazione. Non sorprende scoprire che Halloween si è diffuso inizialmente nei centri urbani ed è penetrato solo gradualmente nelle aree rurali siberiane, dove vive comunque un terzo della popolazione; nonostante la religione ufficiale sia quella cristiana ortodossa, lo sciamanesimo permea ancora profondamente pratiche e concezioni della comunità sacha-jacuta, come ad esempio la triplice articolazione dell'“anima” o l'esistenza di un mondo inferiore abitato da diversi tipi di spiriti: dai defunti famigliari, agli spiriti abaahy strettamente legati agli sciamani, fino ai più pericolosi jör. La ricerca di Zola ha messo in luce come il sospetto con cui i sacha-jacuti guardano Halloween derivi specificatamente dal “timore che gli abitanti del mondo inferiore, nella fattispecie gli spiriti abaahy, se invocati o attirati accidentalmente attraverso mascheramenti o atteggiamenti particolari, possano invadere la terra di mezzo e rapire anime, provocare malattie agli umani e al bestiame” [142]. Una pericolosa confusione tra il mondo dei vivi e dei morti, generata da un contatto non mediato ritualmente e privo di operatori specializzati (gli sciamani) e che pertanto può degenerare. Questo ci riporta alle nostre riflessioni iniziali: a differenza dei contesti storici che abbiamo brevemente passato in rassegna, nel caso della comunità sacha-jacuta è la festa che rischia di innescare una crisi, anziché risolverla.

In sintesi, possiamo affermare che questo volume riesce nel suo intento dichiarato, cioè di colmare uno “spazio vuoto nel panorama antropologico italiano” [8]. Lo fa dando spazio alle interessanti esperienze etnografiche degli autori, accompagnate da una riflessione teorica che pur partendo da alcuni capisaldi comuni riesce a dialogare efficacemente con i singoli contesti. La festa di Halloween viene descritta e analizzata attraverso quello che probabilmente è l'approccio antropologico più efficace e consolidato: problematizzando il familiare, ciò che risulta spesso invisibile dietro la sua normalità, attraverso reti di somiglianze e differenze.

Bibliografia

Baldini E., Bellosi G. 2006, Halloween. Nei giorni che i morti ritornano, Torino: Einaudi.

Bonato L. 2006, Tutti in festa. Antropologia della cerimonialità, Milano: FrancoAngeli.

Bonato L., Zola L. (a cura di) 2020, Halloween. La festa delle zucche vuote, Milano: FrancoAngeli.

Buttitta A. 2004, Ritorno dei morti e rifondazione della vita, introduzione a Lévi-Strauss C. 2004, Babbo Natale giustiziato, Palermo: Sellerio, pp. 9-42.

de Martino E. 1961, Furore Simbolo Valore, Milano: il Saggiatore.

Dumézil G. 2011, La religione romana arcaica, Milano: Rizzoli.