Antropologia dei social media

Comunicare nel mondo globale

Ciriaca Coretti


Angela Biscaldi, Vincenzo Matera, Antropologia dei social media. Comunicare nel mondo globale, Carocci, Roma 2019, pp. 1-139, ISBN: 9788843095216

Il volume, pubblicato in prima edizione nel 2019, e giunto alla seconda ristampa nel 2020, è stato realizzato congiuntamente dai due autori. Nello specifico, i capitoli 1, 2 e 6, e i paragrafi 3.1 e 3.2 sono stati scritti da Angela Biscaldi, i capitoli 4 e 5 e i paragrafi 3.1.1 e 3.1.2, da Vincenzo Matera; il paragrafo 3.3, come anche l’introduzione e le conclusioni al volume, sono stati scritti congiuntamente da entrambi. Il testo indaga l’utilizzo dei media digitali nella quotidianità, a partire dalla consapevolezza che non esiste comunicazione umana che non sia mediata da un qualche medium: da un lato, il medium non è mai neutro, dall’altro, esso si conforma continuamente adattandosi alle partiche comunicative quotidiane. Gli autori esaminano la complessità di queste nuove forme di comunicazione, partendo dal presupposto che essa sia insita in tutti quei processi che, negli anni, hanno comportato la nascita e la diffusione di un nuovo mezzo comunicativo; è successo, ad esempio, per l’introduzione della scrittura nelle culture orali; per l’invenzione della stampa a caratteri mobili, nel Quattrocento; con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, nel Novecento, e oggi, con la diffusione dei nuovi media.

A tale proposito, il capitolo primo, Nuovi strumenti di comunicazione: continuità e rotture, si apre presentando problematiche e perplessità che, nella storia occidentale, hanno accompagnato le trasformazioni indotte dall’introduzione della scrittura, della stampa, dei mass media, dei media digitali. L’autrice, riportando il dibattito nella contemporaneità, analizza, in maniera critica, tre diverse letture delle trasformazioni socio-culturali legate alla diffusione dei media. La prima prospettiva concerne l’accusa, rivolta ai nuovi mezzi di comunicazione, di causare un generale impoverimento del sapere, una perdita della memoria storica, un deterioramento delle capacità di apprendimento e un eccesso di circolazione di informazioni che genera, conseguentemente, un’alterazione dei rapporti tra generazioni e uno squilibrio sociale. Il secondo approccio si concentra sulla componente politica implicita alla progettazione e all’uso delle nuove tecnologie, prestando attenzione a non cadere negli errori del determinismo tecnologico. Un terzo tipo di prospettiva, di tipo funzionale e performativo, vede nei mezzi di comunicazione una risorsa espressiva; focalizzando l’attenzione sulle pratiche d’uso, l’autrice riflette sulla capacità di agency degli individui.

Il secondo capitolo è dedicato a I nuovi media digitali sociali, e a come essi si inseriscono nella stessa dinamica che ha caratterizzato la nascita e l’affermazione di tutti i media nella storia dell’umanità. Partendo dalla definizione dell’espressione “media digitali”, l’autrice ne sottolinea, innanzitutto, il carattere sociale, che si manifesta anche nel modo di costruire e mantenere relazioni; altri studi critici si concentrano invece «sull’analisi del modo in cui le nuove tecnologie incorporano, veicolano e alimentano precise strutture di potere, legate al funzionamento del mercato globale» [Biscaldi 2019]. In una prospettiva diversa, l’autrice si concentra, anziché su «ciò che i media fanno alle persone, su che cosa le persone fanno con i social media nella vita reale». In tale contesto, si colloca il concetto di individualismo di rete (networked individualism), proposto da Lee Rainei e Barry Wellman, e le riflessioni di Daniel Miller su reti egocentrate e azione sociale.

Il capitolo terzo, Etnografia della comunicazione dei media digitali, analizza, in riferimento ai concetti di faticità, ideologia linguistica e performatività, gli aspetti meno ovvi degli usi sociali dei nuovi media, presentando il contributo specifico che l’etnografia ha avuto nello studio dei media digitali e della comunicazione social. Partendo dalla nozione di “comunicazione fatica” (phatic communion), formulata per la prima volta da Bronislaw Malinowski [1923], Vincenzo Matera riporta l’esempio del “talanoa”, un’attività comunicativa della comunità di parlanti hindi delle isole Figi, dove, allo stesso modo della comunicazione social, a dispetto della qualità dei contenuti, vengono messi in gioco aspetti importanti dell’identità personale degli individui. Altri utili strumenti di analisi sono rintracciati dai due autori nei concetti di ideologia linguistica e performatività; anche in questo caso, le riflessioni sono accompagnate da due casi etnografici che fanno riferimento al “significato della lettura” e al “dialogo rituale come performance”.

Nel capitolo quarto, Comunicazione, identità, potere all’epoca dei social, l’autore, attraverso la nozione di affordance, porta l’attenzione sul modo in cui l’utilizzo dei social media influisca nei processi di comunicazione e interazione, in riferimento al loro potere trasformativo nella costruzione identitaria, nella mediazione e nell’articolazione delle relazioni di potere nelle società contemporanee. In tale contesto l’antropologia ha dovuto confrontarsi con nuove pratiche e rappresentazioni, con il potere trasformativo dei media, ma anche con la difficoltà relativa alla loro osservazione, studio e descrizione. Partendo dalla dicotomia tradizione/modernità e alla supposta perdita di interazione creativa, l’autore sottolinea come la stessa percezione del moderno vari in relazione a significati culturali specifici diversi in tutto il mondo.

Il capitolo quinto, Ricerca sul campo e nuovi media, sostiene la rilevanza di un approccio etnografico, a partire dalla recente indagine, più volte trattata nel volume, coordinata da Miller et al, e considerata un punto di svolta nello studio antropologico dei social: l’autore sottolinea come, al di là del suo carattere fortemente divulgativo, essa abbia avuto il merito di “sdoganare”, una volta per tutte, l’etnografia dei social. Riflettendo sulle trasformazioni che da tempo hanno riguardato il processo di produzione delle conoscenze antropologiche e la stessa nozione di “campo”, l’autore sottolinea come le nuove forme di comunicazione consentite dalla tecnologia si integrino alle forme culturali tradizionali, ricordando che sarebbe un grave errore metodologico distinguere nettamente le une dalle altre e, nello stesso modo, pensare che un’etnografia delle prime debba essere separata da un’etnografia delle seconde.

Nell’ultimo capitolo, l’autrice discute i risultati di una ricerca etnografica, condotta nell’arco di un anno scolastico, tra 46 studenti del triennio liceale, sul rapporto tra giovani e social network. Attraverso questionari, focus, interviste, e anche la proposta di astenersi per una settimana dai social, l’obiettivo è stato quello di esplicitare alcuni dei significati culturali connessi all’utilizzo quotidiano dei social, come anche le implicazioni «in termini di percezione e costruzione della propria identità sociale e della propria modalità di pensare e costruire relazioni sociali» [Biscaldi 2019, 98]. La ricerca ha messo in luce come l’utilizzo dei social rappresenti il desiderio dei giovani di uscire dal proprio individualismo attraverso una strategia di adattamento a un contesto in rapida accelerazione.

Il volume si conclude ponendo alcune questioni teoriche e metodologiche in riferimento al contributo dell’antropologia della comunicazione e alla comprensione critica dell’uso sociale dei nuovi media nel mondo contemporaneo. Esso, attraverso un interessante punto di vista antropologico, presenta, a mio avviso, un interessante modello di approfondimento di come gli stimoli forniti dall’utilizzo dei nuovi media possano continuamente sollecitare la ricerca etnografica, non solo, a ripensare e ridefinire concetti, strumenti e metodologie di indagine, ma anche a interrogarsi sulle nuove rappresentazioni digitali, sulle nuove pratiche di costruzione dell’identità e su nuove strategie comunicative.

Infine, il volume riporta un’ampia e interessante bibliografia, alquanto recente, dedicata interamente agli studi e ai contributi prodotti, negli ultimi trent’anni, dalle scienze antropologiche e sociali, nel campo dell’analisi della comunicazione e dei nuovi media.