Antropologia del consumo

Doni, merci, simboli

Ciriaca Coretti


Pietro Meloni, Antropologia del consumo. Doni, merci, simboli, Carocci, Roma 2018, pp. 1-256, ISBN: 9788843090969

Il volume, pubblicato in prima edizione nel marzo 2018, affronta la pratica del consumo come fatto sociale e ci introduce a uno dei temi più classici dell’antropologia del consumo, e cioè la relazione tra processi di mercificazione e processi di simbolizzazione, partendo dalla continua tensione, presente nel campo di studi, sin dalla sua genesi, del rapporto tra merce e dono.

L’autore ripercorre, nei rispettivi capitoli, quattro fasi storiche, confrontando gli studi antropologici, e non, di diversi autori, che hanno contribuito alla formazione di un pensiero critico delle teorie del consumo.

Nel primo capitolo, L’antropologia del consumo prima dell’antropologia del consumo, l’autore, partendo dagli studi, condotti da Malinoski, Mauss, Veblen e Godbout, sulla pratica del dono, mette in evidenza come le loro opere abbiano preannunciato «una possibile antropologia del consumo prima ancora della sua definizione come campo di ricerca».

Attraverso l’analisi del dono, inteso come forma di scambio: il kula per Malinowski [Argonauti del Pacifico occidentale 1922] e il potlach per Marcel Mauss [Saggio sul dono 2000], l’autore evidenzia come, al di là della sua utilità pratica legata allo scambio commerciale di beni, il suo valore simbolico consista nella capacità di creare legami e tessere relazioni sociali. In riferimento alla forma cerimoniale del potlach, l’autore rintraccia nell’opera di Veblen, sociologo ed economista, La teoria della classe agiata [2007], il primo lavoro che parli esplicitamente di consumo come pratica utile alla comprensione del modo di agire delle società. Veblen, riferendosi al vestiario, individua nel consumo e nello sciupio vistoso della classe agiata, uno degli elementi principali attraverso cui l’individuo manifesta la propria condizione sociale. Godbout, autore de Lo spirito del dono [1993], ci riporta invece alla relazione, nelle società moderne, tra dono e consumo sottolineando il carattere altruistico del primo, e analizzando tre sfere sociali: la sfera domestica, il mercato, lo Stato, dove la circolazione del dono si distingue da quella dello scambio utilitaristico di merci e servizi. Emerge dall’analisi dei testi il principio di non equivalenza del dono e la sua complessità come fatto sociale.

Nel secondo capitolo, Lo scambio simbolico e la merce, l’autore prende in esame le teorie classiche del consumo formulate negli anni Settanta del Nocevento, riprendendo il tema dello scambio simbolico in contrapposizione ai processi di mercificazione, attraverso una riflessione sui lavori del sociologo francese, Jean Baudrillard. Quest’ultimo, a sua volta, richiamando le nozioni di potlach e kula, riportate nell’opera di Mauss, recupera la posizione vebleniana sull’idea del consumo come forma di predominio sociale richiamando l’attenzione sul significato simbolico dello scambio. L’autore sottolinea come, nella società contemporanea, il valore simbolico degli oggetti si esprima attraverso l’attribuzione di un significato. Segue l’analisi di due autori che, in un certo senso, contribuiscono a una prima definizione di antropologia del consumo come campo di studio: Mary Douglas e Pierre Bourdieu. Nel primo caso, l’autrice, discostandosi dalle teorie vebleniane sul dispendio e la competizione sociale, ma anche da quelle che inseriscono il consumo sul piano dell’utilitarismo economico, teorizza una relazione tra beni materiali e rapporti sociali, categorie della cultura, vita quotidiana: «è nel consumo che si evidenzia l’adesione o l’opposizione alla società» [Meloni 2018, 48]. A Mary Douglas si deve anche l’introduzione alla teoria del gusto, successivamente indagata da Bourdieu nella sua opera, La distinzione. Critica sociale del gusto [2011], in cui l’autore, partendo dall’analisi della borghesia parigina degli anni Sessanta, teorizza un sistema di competizione tra individui attraverso l’esternalizzazione dei gusti. L’autore sottolinea come, a Bourdieu, si deva l’introduzione, nel campo delle scienze sociali e antropologiche, di termini quali: habitus, campo, capitale, riproduzione: tutti riconducibili a un sistema complesso di pratiche di consumo che concorrono alla distinzione e all’affermazione di uno stile di vita. Conclude il capitolo il contributo dello studioso Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano [2001], che, con la sua lettura del consumo come pratica attiva e consapevole, introduce a due azioni: le tattiche e le strategie, individuando nell’attuazione delle prime la caratteristica principale del consumatore contemporaneo. L’autore evidenzia come, nonostante questa visione possa apparire massimalista, «l’analisi delle pratiche del quotidiano apra a una lettura del consumo come attività consapevole mai passiva, dove le persone entrano in contatto con le merci e con i loro produttori, mettendo in gioco non il potere di acquisto ma quello di possibilità d’uso» [Meloni 2018, 63].

Il terzo capitolo, Dell’alienazione e dell’agency, affronta, attraverso gli studi di Daniel Miller e Arjun Appadurai, l’antropologia del consumo nella sua veste attuale, collocandola nel campo di indagine delle società contemporanee. Attraverso l’analisi delle opere dei due studiosi, l’autore ne riporta il punto di vista, sottolineando come, entrambi, ridefiniscano una teoria del consumo contemporaneo sulla base di una concezione che si oppone all’elementare approccio materialistico, e che indaga, invece, attraverso gli oggetti quotidiani, il significato delle relazioni umane, dei comportamenti e di alcune pratiche sociali, inserendole in una cornice rituale. L’autore individua negli studi di Miller un «forte carattere di globalità» che, a partire dai suoi lavori sul consumo di massa [The Comfort of Things 2008; Teoria dello shopping 1998], si serve dell’antropologia per indagare alcuni micro-contesti e riportare la riflessione sul significato di alcune pratiche in un quadro globale. L’autore fa notare come anche, i numerosi scritti di Appadurai prendano in considerazione una critica all’omologazione dei consumi come effetto della modernità, sottolineando come: «la tendenza del mondo globale invece di produce omogeneizzazione produce eterogeneizzazione». A questo proposito, evidenzia alcuni degli elementi che per Appadurai, definiscono il consumo come attività sociale: la ripetizione, il tempo, la nostalgia; nello stesso tempo, l’autore riporta alcune considerazioni, attorno al volume The Social Life of Things. Commodities in Cultural Perspective [Appadurai 1986], che avranno ampio seguito negli studi di cultura materiale e sul consumo. Il capitolo si chiude affrontando il tema del consumo dei media, a partire dalla ricerca etnografica condotta da Lila Abu-Lughod, sulla visione delle soap operas nell’Alto Egitto rurale come espressione di un habitus condiviso e di adesione, o meno, a un modello politico nazionale, per mostrare come il mezzo televisivo, inteso come strumento della modernità, possa concorrere a plasmare, in un contesto più "localistico", l’immaginario delle singole persone.

Nel capitolo quarto, I paradossi della riflessività, l’autore, riprendendo la connotazione politica assunta attraverso lo spostamento del campo di studi sulla relazione tra media, cultura e politica, e tenendo presente la critica al sistema capitalistico dei consumi, riporta il contributo di alcuni autori, esterni al campo di studi, il cui contributo è stato però rilevante nella comprensione del valore del consumo nella società contemporanea. Nello specifico, in tutti i contributi riportati, l’autore intravede, una convergenza di elementi: una critica al consumo alienante di massa, teorizzato dai marxisti e un auspicio al ritorno di una economia del dono; una testimonianza del fatto che il dono, inteso come scambio simbolico, non sia mai scomparso, neppure nella società del consumo di massa.

In conclusione, l’autore riflette su due aspetti: il rapporto produzione/consumo e il contributo dell’antropologia italiana al tema del consumo, sottolineando come il superamento del primo aspetto sia di fondamentale importanza per la comprensione del secondo.

Riportando la visione di Ritzer, l’autore dimostra come non vi sia mai una divisione netta tra produttore e consumatore, ma, nello stesso tempo, questo non vuol dire assimilare le due figure, perché tale considerazione ricollocherebbe i processi di produzione e consumo nell’ottica dell’alienazione e sottomissione al sistema capitalistico. Da una parte, l’autore intende, come consumo, la consapevolezza da parte del produttore di mettere parte di sé nell’atto di produzione, dall’altra, la consapevolezza del consumatore di sfuggire proprio attraverso le sue scelte ai processi di omologazione e mercificazione. Riferendosi al panorama italiano, l’autore inserisce gli studi sul consumo entro due settori disciplinari: l’antropologia economica e la cultura materiale, riportando i contributi di numerosi autori che nel corso degli anni si sono occupati dei temi del consumo. Meloni osserva come, nel panorama italiano legato all’antropologia classica, il tema del consumo si leghi necessariamente a quello della cultura materiale e ai suoi oggetti di studio: la casa, la vita quotidiana, l’identità, il cibo, la parentela, ecc. L’autore, infine, conclude cercando di superare la dicotomia tra merce e scambio simbolico, assimilando quest’ultimo alla pratica del dono, e cercando di rileggere il significato che queste due categorie assumono in funzione dei moderni processi di scambio e di rilocalizzazione: «Merce e dono coesistono e si sovrappongono, fino a confondersi l’una con l’altro; i doni vengono mercificati e le merci simbolizzate fino ad assumere un valore che le pone su un piano antieconomico» [Meloni 2018, 145].

Il volume è corredato da un’ampia bibliografia che ripercorre l’ampio campo di studi, non soltanto di matrice antropologica, dedicato tutto al tema del consumo.