Medianità e pandemia

Lo sguardo dei «passeurs» di anime

Alfonsina Bellio

École pratique des hautes études-PSL, Parigi

Indice

Configurazioni rizomatiche
Elementi lessicali e definizioni
Passare è guarire
Pandemia e pulizia planetaria
Bibliografia

Abstract. Crucial moments in collective history invest the sphere of the religious and the spiritual, becoming catalysts of imaginary productions and, at the same time, of new or readapted practices. The investigation presented here starts from a specific circuit of production of meaning around Covid-19, that of heterodox spiritualities, which flourish beyond the institutional forms of the religious. Starting with a look at the pandemic of French-speaking mediums who call themselves "passeurs" of souls, the text analyses significant aspects of the contemporary relationship between the religious and political dimensions in this specific context.

Keywords: Religion and politic; channelling; mediumnity; pandemic; New spiritualities.

“Noi non abbiamo paura della morte, noi”. Aprile 2020: la voce di J.S., al telefono, mi illustra il suo punto di vista. Parole fluide senza tentennamenti. La televisione italiana ci porta a Bergamo e nelle città dei veicoli militari stipati di bare. La televisione francese mostra il dramma italiano. Parole e immagini conducono continuamente a Wuhan. Dove siamo finiti tutti? Un film a cui solitamente non accorderei neanche due minuti, stanotte ha riesumato l’umanità intera attraverso l’amore tra una Giulietta post-apocalittica e il suo Romeo, uno zombie capace di sognare.[1] Fuori dalla porta, un buco nero avrà forse inghiottito il pianeta? Esco a buttare l’umido e i cani dei vicini mi abbaiano: siamo salvi. “Le bombe delle sei non fanno male” – mi ritrovo a canticchiare - le lacrime delle sei invece si. Quelle delle quattro pure. Dietro la conta interplanetaria ci sono vite diverse da quelle di zombie felici, che magari sarebbero piaciuti a Claudio Lolli.

“Noi non abbiamo paura della morte, noi”. Fare ricerca sul campo in tempo di clausura obbligatoria, di distanziamento che definito « sociale » assume risvolti politici non trascurabili: tutto questo richiede, tra l’altro, anche di reinventare le modalità stesse della ricerca e perfino quelle dell’esser-ci, al di là del mero insistere sulla porzione di superficie terrestre occupata dal corpo. Un’etnografia di questi mesi senza alcun richiamo alla propria esperienza, senza una componente riflessiva, avrebbe, forse, meno senso.

J.S., una mia interlocutrice in questa inchiesta etnografica in forma telefonica obbligata, ha perso il suo compagno più di venti anni fa e, da allora, la sua presenza non l’ha mai abbandonata. Cos’è la morte per i medium che la sentono prossima alla vita e in dialogo costante con quest’ultima? Cos’è la morte in questo periodo in cui si vive, secondo lo psichiatra Serge Hefez, uno stato di «sidération» dilagante.[2] Al di là della dimensione ermeneutica ed epistemologica della ricerca e della negoziazione di sguardi, vivere una pandemia rende tutti attori, o tutti parimenti spettatori, di un’implosione, tutti obbligati a confrontarsi in qualche modo con una riorganizzazione e delle attività e del pensiero, tra un sovrapporsi inedito di emozioni e un dilatarsi mediatico e digitale dei luoghi, che si contrappone al restringersi dello spazio quotidiano al perimetro domestico.

J.S., dalla regione di Lille, sottolinea quel «noi» aprendo uno spazio di demarcazione simbolica tra un’umanità imprecisata e una comunità del noi meglio definita. In francese la ripetizione del soggetto attraverso il pronome assume tutta una forza assertiva, implicita nel distinguo : «noi» non temiamo la morte, al contrario di «voi», tutti gli altri. Il riferimento specifico di questo «noi» sono dunque i passeurs, tra cui J.S. stessa, medium che accompagnano le anime fino all’ultima soglia della dimensione terrena.

Il lavoro sui passeurs d’anime, che ho iniziato nel 2015 sul terreno francese, si inserisce nel contesto più ampio di una ricerca sulle forme di contatto diretto con il non-visibile nelle società contemporanee. La scelta lessicale specifica della locuzione non-visibile, in luogo dell’aggettivo «invisibile», è frutto di una riflessione teorico-metodologica di più ampio respiro. L’idea di fondo ha privilegiato un lessico inclusivo, mirando a un termine che potesse indicare, come massimo comune denominatore, diverse tipologie di attori, compresi angeli, defunti, figure divine, e nello stesso tempo sensazioni per le quali preferivo avvicinarmi il più possibile alle immagini e alle denominazioni emiche, emergenti dal terreno stesso.[3] Bisogna, inoltre, considerare quanto l’attenzione alla vista rinvii a un interesse per la visione e le immagini, che riguarda la storia di lunga durata dei mondi occidentali [Schmitt 2002]. Qui si tratta parimenti di esperienze che non evocano la vista in maniera esclusiva, ma anche l’udito, il tatto, l’odorato e altri sensi che possono oltrepassare il regime dell’ordinario.

L’interesse per le esperienze dette straordinarie vissute dagli attori come spontanee, non provocate, è nato a partire da un’indagine in Italia meridionale.[4] Da subito si è rivelato indispensabile l’apporto transdisciplinare, dall’antropologia della morte e delle religioni, a quella del simbolico e della letteratura, passando per la storia, la sociologia delle religioni, le discipline politiche e l’etnopsichiatria. Si tratta di un lavoro tuttora in fieri, di cui sono qui presentati alcuni risultati, in risonanza con un interrogativo teorico al confine tra genere, religione e politica, che da anni accompagna le mie ricerche sulle decomposizioni e ricomposizioni contemporanee del religioso e dello spirituale.

Configurazioni rizomatiche

Nel contesto di queste ricerche, ho iniziato a interessarmi ai medium di area francofona che si definiscono passeurs d’âmes [Bellio 2018, 2021]. In questa indagine multisito, i luoghi si moltiplicano in funzione degli incontri, del passaparola e di un’estensione dell’attività degli attori principali al di là dei limiti regionali e nazionali. Parte dell’inchiesta è legata anche alla presenza costante dei passeurs sui principali social network. Fin dalle etnografie preliminari, questo terreno ha evidenziato una tendenza a assumere una forma complessa, di tipo frattale o, meglio, rizomatico.[5]

La nozione di etnografia multisito è attualmente evocata dagli studiosi soprattutto in quanto sguardo fondato su una dimensione transnazionale, legata a fenomeni migratori.[6] In questo quadro, faccio riferimento invece a una estensione e, in parte, una deterritorializzazione dell’indagine sul campo, legata alla dimensione reticolare e circolatoria che riguarda gli attori: il loro mondo di studi di consultazione, di sale di conferenze, di clienti o anche pazienti, come sono definiti coloro che fanno ricorso a questo tipo di dispositivo terapeutico e di integrazione familiare della figura dei trapassati.[7]

Riguardo alle facoltà o «doni» - come vengono correntemente definiti nel perimetro di credibilità specifico - i passeurs ne rivendicano la spontaneità, nonché l’acquisizione degli stessi in modo assolutamente involontario.[8] Questo dispositivo culturale è caratterizzato da un’ampia trasversalità sociale, tanto degli operatori che del pubblico che si affida alle loro pratiche.

Allo stato attuale dell’indagine, mi occupo di una decina di passeurs in varie regioni francesi, compresi i territori d’oltremare come La Riunione, di una fascia d’età che va dalla trentina alla sessantina. Ho avuto modo di intervistare anche una ragazza di diciotto anni, G.S. Fin dall’età di dodici anni, le anime dei defunti le facevano sentire le loro stesse sensazioni, ma ha preferito non diventare una passeuse[9]. La scelta di «accettare» o meno spetta sempre alla persona, non si tratta di una forma di possessione spiritica o di imposizione, come avviene per altre esperienze di contatto con il non-visibile [Bellio 2006a]. Attraverso una serie di segni, alcune persone comprendono di essere in grado di aiutare le anime a «passare nella luce», ma la scelta di diventare passeur/passeuse spetta all’arbitrio individuale e presuppone la disponibilità a un contatto regolare con il mondo dei defunti.

Le riflessioni e il metodo hanno beneficiato di approcci fondati sull’apertura delle possibilità e dello sguardo, come, per esempio, quello di Vinciane Despret [2015], nell’idea di lasciarsi guidare dagli eventi e dai suggerimenti che la pratica del terreno suscita, nelle sue biforcazioni a volte inattese. L’osservazione «fluttuante» teorizzata da Colette Pétonnet [1982, 2007, 37-47][10] nella sua inchiesta sul cimitero parigino del Père Lachaise, è divenuta anch’essa un riferimento metodologico e teorico del mio lavoro.

Prima di soffermarci sulle costruzioni di senso legate al Covid-19 nel mondo dei passeurs, è necessario tracciare i contorni di questa figura, data la sua specificità rispetto a tipologie di operatori con caratteristiche simili, presenti altri Paesi euromediterranei.

Elementi lessicali e definizioni

Nel panorama variegato dei professionisti di cure non convenzionali in Francia e altri Paesi francofoni (Belgio, Svizzera e Canada, per esempio), i passeurs di anime rappresentano un gruppo in espansione. Si tratta di persone che affermano essere state oggetto di una scelta da parte di guide spirituali, ovvero entità disincarnate, per aiutare le anime dei defunti che non riescono ad attraversare le soglie dell’aldilà, a lasciare questo mondo per proseguire il percorso « verso la luce », ovvero verso i luoghi di destinazione dopo la morte, la cui rappresentazione dipende dalle credenze individuali. I passeurs esercitano in varie città e paesi, spostandosi a volte. Alcuni organizzano conferenze pubbliche, con dimostrazioni pratiche finalizzate a far conoscere la propria attività, e un chiaro ricorso al lessico e alle procedure di divulgazione scientifica e medica. Si autodefiniscono anche «lavoratori di luce e persone in via di risveglio», definendo «cure spirituali» la propria attività di supporto a chi vive difficoltà causate dall’anima di un defunto che non può o non vuole lasciare i luoghi del proprio percorso terreno. L’analisi lessicale costituisce uno strumento di grande importanza nelle scienze sociali e, in particolare, il quadro semantico di un’esperienza che esce dall’ordinario è sempre polimorfo. Anche nel caso specifico, l’attenzione al lessico permette di comprendere sfumature e nessi altrimenti relegati ai margini.

Il termine passeur, senza specificazione alcuna, in francese indica «colui che permette di superare un ostacolo (a qualcuno o a qualcosa); colui che trasporta qualcuno o qualcosa (da qualche parte)».[11] L’idea dell’aiuto per attraversare una soglia si estende a diverse forme di passaggio: di un fiume, per esempio, e in questo caso il registro semantico è il medesimo di nocher, «nocchiero». L’attualità politica mediterranea risuona di un’altra accezione del termine, sempre più dolorosa, che indica la persona che permette a qualcuno di varcare le frontiere: l’immagine che il termine evoca è quella di barconi affollati dai dimenticati del pianeta. C’è, infine, un significato ulteriore, radicato nella mitologia greco-romana e che ha aperto la strada alla nozione di passeur propria del nostro percorso di indagine, quella di passeur des enfers ou nocher des enfers, «passeur o nocchiero degli inferi», o anche di passeur d’ombres o d’âmes, «passeur di ombre» o «di anime». Questa perifrasi designava Caronte, il nocchier de la livida palude [Dante Alighieri, Inferno, III, vv. 83-99], che permette alle anime di passare nel mondo dei morti, la cui immagine ha percorso secoli e letterature diverse. La ritroviamo anche oggi, talora personaggio di un fumetto, come per esempio in quello di Ced et Waltch [2011], sotto le spoglie di Iota Caron, che «Lavora negli inferi ma non è né morto, né un dio. Solo un mortale, l’ultimo di un lignaggio di persone che svolgono da sempre questo lavoro, e con grande professionalità» [Ibid., 5]. L’idea di passeur evoca una figura mitica umana o paraumana preposta al passaggio verso il mondo delle anime. Nella medesima accezione, si ritrova oggi in un campo al confine tra medico e spirituale. Éric Dudoit [2016], psicologo clinico e ricercatore in un un reparto di cure palliative, a esempio, evoca il passeur di anime come figura di accompagnamento ai pazienti terminali, ma con una prospettiva che integra competenze teologiche ed esperienze spirituali a quella quella puramente psicologica e scientifica. La lingua francese contemporanea conosce inoltre la nozione «passeur religioso», con riferimento all’ufficio della Chiesa per il passaggio delle anime dei defunti [Molinié 2006, 124]. Il termine passeurs d’anime, nell’accezione che ne danno i medium presso i quali svolgo le mie ricerche, è diffuso anche in una serie di romanzi, fumetti e telefilm.[12]

Passare è guarire

Il 9 luglio 2016 ho conosciuto J.M., durante una conferenza a Carros[13] sulla medianità e l’azione dei guaritori. Mi sono sempre interessata alle scienze dette parallele e alle medicine dolci e ho beneficiato delle cure di operatori di mesmerismo animale, con risultati più o meno efficaci! J.M., durante la conferenza, ha chiesto che una persona del pubblico accettasse di sottoporsi a un trattamento e descrivesse le sensazioni. Mi sono proposta, nella speranza che potesse offrire una soluzione ai mei problemi. Soffro d’insonnia dalla morte di mio marito, avvenuta nel 1982. Avevo allora trentatre anni e ho perso il sonno a vivere nello stress della malattia del mio partner: undici anni di cure per un lupus eritematoso. Ho sempre trovato difficoltà a lasciare libero sfogo alle mie emozioni e tre psicoterapie non hanno cambiato nulla. Quella sera, J.M. ha iniziato il suo lavoro percorrendo la mia schiena con le mani, mentre io ero rivolta all’assemblea, e immediatamente ho sentito un formicolio nelle mani e una grande pesantezza nelle braccia. Poi ha spiegato che sentiva un ostacolo a livello della parte bassa della mia schiena e si è concentrato sui reni. Nei due minuti seguenti, ho sentito un’onda di emozione intensa risalire dal più profondo, assolutamente incontrollabile, e sono scoppiata in singhiozzi. Ho fatto fatica a riprendere fiato, le gambe prive di forza per l’emozione, mi sono dovuta sedere e aspettare lunghi minuti prima di riuscire a bere un bicchiere d’acqua fresca. Non capivo cosa mi stesse succedendo. J.M. ci spiega che l’anima di mio marito non era passata nella luce. Troppo preoccupato di lasciarci soli, da trentaquattro anni la sua anima era aggrappata a me. Dall’indomani, mi sono resa conto che mi sentivo leggera! Mentre prima faticavo a percorrere una salita, ora il fiato non mi mancava più, avevo l’impressione di aver posato lo zaino che mi serve nel cammino verso Compostela. Da quel giorno ho ritrovato una pace interiore e penso, dopo trentaquattro anni di vedovanza, di aver compiuto il lutto di mio marito, grazie all’aiuto di J.M. che l’ha aiutato a passare dall’altro lato. So che mio marito è sempre presente vicino a noi, ma ora nella luce, e questo grazie a J.M., che non ringrazierò mai a sufficienza!

Questa testimonianza di una donna di Nizza, e la storia stessa di J.M., permettono di comprendere meglio la figura del «passeur d’anime» e di quello che posso definire un triplo percorso di guarigione. Nato a Lione nel 1964, J.M., dopo la licenza media, ha lavorato come camionista, per poi dedicarsi a tempo pieno all’attività di passeur-guaritore, oltre che a una attività commerciale nel ramo della litoterapia. La sua autobiografia, diffusa sul web, permette di comprendere il processo di costruzione narrativa in atto.

Mi presento: la mia storia è un po’ complicata ma cercherò di spiegarla. Ho perso mio padre nel 1965 a causa di un incidente sul lavoro. Mia madre, in seguito a questo evento, è stata ricoverata in psichiatria quell’anno stesso e io sono stato accolto da una cugina. Ho visto mia madre tre volte in tutta la mia vita, lei era sempre imbottita di farmaci. L’ospedale l’ha fatta ammalare davvero. È morta il 15 aprile. Ho saputo del suo decesso un anno dopo, una ricerca di famiglia me lo ha rivelato. Per quanto ne sapessi, ero orfano dal 1965! Durante una serata in famiglia con i miei figli e mia moglie, ho sentito un forte calore entrare nel mio corpo: era mia madre. Un calore di amore enorme. Quel giorno, lei mi ha donato qualcosa: è venuta nei miei sogni a mostrarmi qualche messaggio e qualche immagine della mia infanzia. Un giorno un’anima smarrita è venuta da me. D’istinto, come se fosse consueto per me, l’ho aiutata a passare. Parecchie anime sono passate da allora. Ho ricevuto anche la visita dell’arcangelo Gabriele, che mi ha dettato la mia missione: aiutare i vivi e le anime. In seguito, mia nonna paterna è venuta a presentarmi mio padre defunto, e questo mi ha fatto comprendere veramente chi sono ora. Un po’ più tardi, ho dovuto far passare anche mia mamma, poiché era rimasta tutto questo tempo con me per proteggermi. È stato davvero difficile, ma era necessario. Sono passeur di anime, medium e guaritore spirituale, non ho mai conosciuto i miei genitori ma tutti i giorni parlo con loro con amore immenso.

In primo luogo, siamo di fronte al racconto di una guarigione, il che è apparso subito evidente durante i nostri colloqui, che hanno raggiunto momenti di grande emozione, fino alle lacrime. J.M. racconta della sua esperienza di orfano, del dolore profondo che ha trovato conforto con la scoperta delle sue facoltà di passeur di anime. Una famiglia esplosa dopo il decesso del padre e la malattia psichiatrica della madre, si ricompone come unità metastorica [Lombardi Satriani, Meligrana 1989], attraverso esperienze straordinarie che varcano i confini del tempo e dello spazio. Il passaggio dei genitori nella luce ha partorito questo nucleo familiare che, di fatto, non era esistito prima.

La scoperta può avvenire in modi diversi, talora in un clima di paura: a riguardo, la testimonianza di Claude, informatico quarantenne, è eloquente. All’inizio era terrorizzato: se faceva tardi al lavoro, gli capitavano eventi strani, dalla luce che si spegneva e accendeva da sola, alla percezione di ombre che attraversavano rapidamente il suo ufficio. Quando ha trovato il coraggio di parlarne con una sua conoscenza, questi lo ha messo in contatto con un medium, che gli ha rivelato: “Claude, sei anche tu un passeur!”. A volte capita che la persona senta una voce interiore che la spinge a scrivere e la mano si muove da sola, tracciando frasi con una scrittura inabituale. Altre volte, un defunto si presenta alla vista o all’udito, o comunica attraverso una locuzione interiore, dando indicazioni precise. A volte, ci si rende conto di essere passeur in seguito a esperienze traumatiche di lutti [Darré 2012, Soyez 2013, 2016], cui seguono tutta una serie di segni della presenza del congiunto scomparso, come carezze sul volto, oggetti spostati e altro. Altre volte, dopo aver consultato un medium o un veggente per altri motivi, questi rivela alla persona di essere passeur [Lafeuil, Pulvinage 2009, 34]. La scoperta/rivelazione avviene attraverso un’esperienza corporea e materica, talora molto forte in termini di paura, rumori, brividi, odori strani o associabili a un defunto noto, spostamenti improvvisi di oggetti, etc.

Segue quindi una fase di apprendistato, durante la quale segni ed esperienze molteplici costruiscono il passeur, un medium la cui specificità consiste nel vedere, sentire e aiutare le anime erranti. Queste facoltà sono guidate da insegnamenti provenienti dal mondo spirituale, da esseri disincarnati pronti a fornire aiuto e ogni indicazione necessaria all’apprendimento e alla protezione. Si tratta di un’attività che comporta una perdita costante di energie e potrebbe causare malattie, se non si apprende a gestire correttamente i passaggi, che avvengono comunque in maniera spontanea, come guidati da un sapere da sempre presente, benché prima sconosciuto alla persona.

Il passeur entra dunque in contatto con anime smarrite, che non possono o non vogliono continuare il viaggio «verso la luce», aggrappate a questo mondo perché legate ai luoghi, o a persone che non vogliono lasciare. In caso di morte improvvisa, per esempio, il defunto a volte non si rende conto di essere morto, oppure ha paura, o non vuole lasciare nel dolore i propri cari. Un eccesso d’amore potrebbe trattenere l’anima in questo mondo, se i familiari non riescono a elaborare la perdita e a lasciar andare lo scomparso. Il passaggio dell’anima è un processo interattivo, che riguarda il defunto, ma anche i suoi familiari; niente e nessuno deve trattenere l’anima, da qui l’importanza attribuita a una corretta elaborazione del lutto.

Il dispositivo entra in azione a iniziativa di un defunto, che si presenta direttamente a un passeur in cerca di aiuto. In altri casi, un vivente è condotto da una serie di problemi, per lo più di salute, a consultare un passeur, che rivela la presenza di un’anima aggrappata alla persona, che necessita di aiuto per passare. I disturbi causati da un’anima a un vivente possono essere di genere vario, dall’insonnia a dolori diffusi, a disturbi della personalità. Il ruolo del passeur è quello di rassicurare le anime e di aiutarle a proseguire il cammino, giungendo a liberare della presenza persone o luoghi ai quali l’anima era rimasta aggrappata. Questa dimensione dell’erranza evoca tutto un orizzonte di credenze polimorfe sulla possessione spiritica, come altri possibili temi di comparazione con le forme di contatto con il non-visibile in altri contesti, per esempio quello delle mie ricerche nel Sud Italia, ma anche con forme di esorcismo o di guarigione dell’albero genealogico, al confine tra intervento medico e azione spirituale [McAll 1998].

L’analisi del materiale etnografico permette di riconoscere il processo di guarigione, che riguarda tre tipi di attori: i passeurs, per i quali comprendere di essere tali significa anche guarire da ferite profonde dell’infanzia o da un lutto traumatico; i sopravvissuti, che beneficiano del passaggio verso la luce di un congiunto defunto, guarendo da patologie e sintomi causati dalla sua anima aggrappata al loro stesso corpo, in un percorso che richiede amore reciproco e, talora, il perdono e la risoluzione di blocchi del passato; i defunti stessi, che possono guarire dall’erranza e continuare il proprio percorso verso la luce.

Pandemia e pulizia planetaria

Un elemento centrale e ricorrente nei discorsi riguarda la guarigione collettiva alla quale i passeur contribuiscono. I dati etnografici evocano un numero molto elevato di anime che necessitano di aiuto per compiere il passaggio, che può crescere in modo esponenziale in occasione di attentati, calamità, e altre circostanze letali su ampia scala. Nel periodo degli attentati terroristici di Parigi, Nizza, Bruxelles, per esempio, tra il 2015 e il 2016, la parola dei passeurs nei social network era spesso legata alla descrizione di passaggi continui delle vittime, come alla comunicazione di messaggi spirituali di protezione o di messa in guardia dalla possibilità del ripetersi di eventi terroristici.

In questo orizzonte di credenze, il passaggio verso la luce è percepito come un dispositivo di garanzia della salvezza collettiva, di ricomposizione di un equilibrio per i luoghi e per le persone che li frequentano. La guarigione evocata dai passeur riguarda il pianeta intero, poiché legata a un disegno d’amore voluto da gerarchie spirituali superiori. Ogni passeur che si fa carico della guarigione di persone/anime sofferenti, partecipa a un processo di guarigione e di «risveglio» collettivo, che porterà tutti gli esseri umani, secondo queste testimonianze, a conoscere e utilizzare i propri doni spirituali.

I momenti cruciali della storia collettiva investono la sfera del religioso e dello spirituale, diventando catalizzatori di produzioni immaginarie e, al contempo, di pratiche nuove o riadattate. Questo circuito specifico di produzione di senso, delle spiritualità eterodosse che fioriscono al di là delle forme istituzionali del religioso, offre elementi di lettura interessanti anche riguardo alla pandemia da Covid-19. Sempre J.S. di Lille, fa riferimento a una necessità continua di effettuare passaggi durante la pandemia. Molte anime in cerca di aiuto si presentano, bisogna effettuare molti passaggi simultanei e, affinché questo possa avvenire, le è stato necessario far ricorso anche a strutture architettoniche pubbliche: il campanile di una chiesa, come una sorta di tunnel, le ha permesso di far passare anche più di cento anime per volta.[14] La testimonianza di J.M., invece, è di tutt’altro segno, le circostanze attuali non incidono sul numero dei passaggi, non direttamente: “Il tempo non esiste nell’aldilà e possiamo essere contattati da defunti morti molti anni fa, senza alcun legame con l’attualità”, ci dice questo passeur che esercita nel Var.

La pandemia ha un impatto sulle pratiche dei passeur. J.S. riferisce dei cambiamenti in corso. Le modalità rimangono le stesse: i passeur in genere non compiono indagini specifiche quando un’anima – o più anime insieme – si presenta loro in cerca di aiuto, ma si prodigano affinché questo stesso passaggio avvenga correttamente e “nell’amore”. Le differenze riguardano altri aspetti della relazione passeur-anime-viventi. Nel corso del 2020, del primo confinamento soprattutto, questa passeuse di Lille ha ricevuto molte sollecitazioni da anime smarrite, i contatti con i viventi, che si svolgono tramite richiesta da parte di persone specifiche, sono al contrario molto diminuiti. Le conferenze che i passeurs organizzano per divulgare le proprie conoscenze sono al momento sospese a causa delle norme sanitarie e dei divieti di assembramento.

Secondo le testimonianze, il dato più rilevante da prendere in considerazione è un sentimento di rabbia diffuso, di smarrimento, che riguarda le anime – e le innumerevoli morti improvvise causate dal virus – ma anche i sopravvissuti. Ancora è presto per elaborare bilanci: gli effetti dell’impatto sociale della pandemia si avvertiranno negli anni a venire, ci informano i passeurs, sarà necessario occuparsi delle anime impigliate nell’aldiquà, ma anche dei familiari che vivono nel dolore di lutti improvvisi e nella collera. “Sarà necessario raccoglierne molti col cucchiaino”[15], dice J.S., riferendosi al fatto che questi medium dalla funzione specifica dovranno accompagnare molti familiari di vittime, aiutarli a superare la disperazione e a elaborare il lutto. I passeur si preparano a impegnarsi ancora di più, a investire nuove energie, a ricevere richieste, a elaborare metodi per effettuare passaggi collettivi che potrebbero essere frequenti.

Tutte le testimonianze concordano sulla lettura profonda della crisi attuale dovuta alla pandemia in termini spirituali, il che permette un’analisi su più piani: quello ecologico e politico innanzi tutto, ma anche un aspetto ontologico emerge dai discorsi. É.P., della Turenna, per esempio, come molti altri intervistati, individua nel confinamento una risorsa, che ha permesso alla natura di «riprendersi i propri diritti». Gli animali hanno percorso e riguadagnato, seppur temporaneamente, spazi che l’antropizzazione aveva loro interdetto. I cieli hanno ritrovato colori e luminosità a lungo negati, e questo grazie alla riduzione di emissioni gassose nocive, nella situazione inedita di sospensione di molte attività a partire da marzo 2020. E, soprattutto, sottolinea É.P., la pandemia da Covid-19 ha posto gli esseri umani, in maniera improvvisa quanto significativa, di fronte alla propria finitezza, malgrado i deliri di onnipotenza che li caratterizzano. “Non siamo nulla”, ci dice, “Ma le persone «sveglie» lo sapevano da molto tempo”.[16]

S.T., della Riunione, descrive con enfasi una transizione epocale, sia collettiva che individuale:

Tra quattro o cinque anni se ne vedranno i risultati positivi. I segni si manifestavano da diversi anni. Questa pandemia è una grande pulizia. Ci sono molti morti, è vero, ma nello stesso tempo un vero cambiamento planetario è in atto. Il confinamento è una buona cosa, poiché ha permesso a molte persone di riconnettersi con sé stesse, di cambiare vibrazione[17], di aver accesso a ricordi dell’infanzia che erano stati rimossi.

Tutto questo assume un risvolto politico significativo.

Da un punto di vista più generale, e da qualche anno ormai, i passeurs francesi chiedono un riconoscimento alle autorità statali, che permetta di inserire le loro attività di guaritori nel regime delle medicine dolci, il che consentirebbe di accedere all’assistenza pubblica per il rimborso parziale di questo tipo di terapie. Su piani meso e macro di indagine sociale, si tratta di una rivendicazione significativa.

Per quanto riguarda, invece, il quadro della crisi pandemica in corso, molte testimonianze provenienti dai passeurs parlano di «verità nascoste dai governi». Tuttavia, in questo contesto specifico di spiritualità eterodosse, non si percepisce un vero e proprio appello alla ribellione, anzi. I passeurs propendono per un riconoscimento della fragilità umana, una fragilità che sulla base delle testimonianze raccolte posso definire ontologica e non circostanziale. Tale vulnerabilità dell’umano, una volta riconosciuta e ammessa, porterebbe a una vera liberazione collettiva, a partire da ogni singolo individuo che contribuisce al processo planetario riprendendo in mano le redini della propria vita.

La pandemia, in ultima analisi, diviene uno strumento di elevazione spirituale collettiva, di svolta epocale, di «risveglio» e purificazione planetari. L’elemento spirituale si sovrappone a quello politico, suscitando interazioni che, pur derivando da un dissenso rispetto al sistema e allo status quo, non si traducono in appelli alla lotta sul piano dell’azione politica concreta.

Il mondo dei passeurs d’anime si rivela un osservatorio interessante delle ricomposizioni attuali del religioso e del politico, e, per la sua stessa trasversalità, offre elementi di riflessione sul ruolo delle spiritualità emergenti nel contesto delle società del rischio, delle forme di vulnerabilità che la sociologia e l’antropologia delle religioni analizzano.

La specificità dei doni attribuiti ai passeur si iscrive nell’insieme delle credenze, o delle ortopratiche, che riguardano le difficoltà e i blocchi che l’anima potrebbe incontrare al momento dell’uscita dal corpo. Elementi disparati emergono, e in forte commistione, di un insieme variegato e proteiforme che riguarda la spiritualità nelle sue espressioni più eterogenee. Sincretismi, ibridazioni, nebulosa mistico-esoterica [Champion 1994], New Age, meticciati: si potrebbe far ricorso a tutto un insieme di interpretazioni sociologiche e antropologiche che non è questa la sede per approfondire, per comprendere il dispositivo del passaggio di anime, i suoi attori, il suo raggio di azione e il socius che si configura.

Nel principio di un’attenzione peculiare al lessico e ai processi di costruzione del discorso – quelli degli attori come quelli degli studiosi – mi sembra interessante, a questo punto della ricerca, pensare in termini di massimo comune denominatore. Tra credenze sul destino delle anime dopo la morte e dispositivi di cure alternative, l’azione dei passeur si radica in un sistema rizomico di gesti del pensiero, ontologie, saperi, credenze e pratiche da esplorare nella loro semantica specifica. Tale sistema può contribuire a riflettere sulle ricomposizioni del religioso e del politico nella nostra contemporaneità, anche quando tutto sembra rimesso in gioco da una pandemia in corso.

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[1] Jonathan Levine, Warms bodies, 2013.

[2] «Il sintomo principale che vedo nel mio studio, al di là dell’ansia, della depressione o della paranoia ordinaria, è l’effetto di una siderazione. Le persone non riescono più a pensare, come se la mente fosse gelata» [Hefez 2020].

[3] Dal lat. tardo invisibĭlis, comp. di in- e visibĭlis «visibile», l’aggettivo indica, in senso generico, «Non visibile, che non può essere veduto». E, in senso assoluto, «[...] si dice di ciò che, per essere puro spirito o comunque incorporeo, non si manifesta materialmente» [Voce «invisibile» Vocabolario online della lingua italiana Treccani, consultato il 15 febbraio 2021]. Il prefisso negativo latino ĭn-, corrispondente all’ἀ- privativo greco, indica una privazione, un’assenza, nello specifico cio’ che non puo’ essere visto. Le testimonianze derivanti dal terreno evocano piuttosto un’assenza momentanea e circostanziale di visibilità, o ancora un oggetto che non puo’ essere percepito da tutti e/o sempre, ma solo da alcune persone e/o in determinate circostanze.

[4] Ho condotto una serie di ricerche in Calabria principalmente, a partire da un lavoro su donne ritenute in grando di comunicare con i defunti in modo spontaneo [Bellio 2006a, 2008, 2009]. Questo percorso mi ha condotta a interessarmi alle connessioni tra gli elementi emergenti direttamente dal terreno e le figure del mito antico, greco-romano in particolare [Bellio 2006b]. Le mie ricerche attuali focalizzano la problematica sulle trasformazioni di questi dispositivi culturali nelle società contemporanee e, al contempo, sull’analisi delle forme di patrimonializzazione, ma anche di plasmazione e normalizzazione istituzionali, a opera della Chiesa cattolica per esempio [Bellio 2014, 2015, 2016a, 2017, 2019].

[5] Gli elementi già emersi lasciano intravedere una struttura orizzontale e non verticistica e piramidale, soprattutto riguardo al ruolo dei singoli attori, all’assenza di gerarchia tra passeurs e in riferimento a forme di autorità e di istituzioni possibili. Siamo di fronte a un sistema che evolve in modo permanente, in svariate direzioni orizzontali, suggerendo l’associazione con le nozioni di frattali [Mandelbrot 1982] e, ancor di più, di rizoma polimorfo e policefalo [Deleuze et Guattari 1972, 1980].

[6] Si vedano, a puro titolo di esempio sul terreno francese: Quiminal 2000, Boesen et Marfaing 2007, Dia 2008, Argyriadis 2009, Argyriadis e Capone 2011.

[7] Il concetto di etnografia multisito qui evocato richiama direttamente la nozione elaborata da Appadurai [2012] e Marcus [1998], con riferimento a un oggetto di studio mobile e multiplo, legato a fenomeni all’apparenza distanti tra di loro.

[8] In determinati contesti, in Belgio per esempio, stanno nascendo scuole di formazione per medium, che molti operatori tra quelli che rivendicano la spontaneità del «dono» considerano inutili o dannose.

[9] Passeuse è, in francese, il femminile di passeur.

[10] «Questa consiste nel restare, in ogni circostanza, libero e disponibile, nel non focalizzare l’attenzione su un oggetto preciso, ma nel lasciarla "fluttuare", affinché le informazioni la penetrino senza filtro, senza a priori, fino a che si manifestino punti di riferimento e di convergenze, e si giunga allora a scoprire le regole soggiacenti» [Pétonnet 1982, 39].

[11] Cfr. voce «passeur», Dictionnaire du Centre de Ressources Textuelles et Lexicales, online, consultato il 10 febbraio 2021.

[12] Cfr. Romy [2014], nel romanzo di cui è protagonista Tenda Merlin, la cui infanzia è tormentata da anime erranti come alcuni personaggi cinematografici più noti, Cole Sear, per esempio, protagonista del film di M. Night Shyamalan Sesto senso [1999], o Melinda, nel telefilm canadese Ghost Wisperer. Ai passeurs ha dedicato un fumetto Golo Zhao, artista cinese, tradotto in francese col titolo di Passeur d’âmes [2014].

[13] Dipartimento francese delle Alpi-Marittime.

[14] Questi passaggi collettivi avvengono, secondo la testimonianza di J.L., senza che gli abitanti dei luoghi in questione ne abbiano percezione.

[15] «Ramasser à la petite cuillère» è un’espressione familiare che indica l’aiuto a una persona distrutta, «a pezzi» che è necessario « accogliere».

[16] Nei contesti delle nuove spiritualità, l’aggettivo «sveglio» è frequentemente impiegato a indicare persona che ha compiuto un cammino ed è aperta a forme di consapevolezza superiori, che trascendono la conoscenza razionale dei più.

[17] Nel linguaggio dei passeurs, il tasso vibratorio indica l’energia emanata dalla persona, che la connette direttamente con il cosmo, attirando energie affini: se questo è elevato, si attirano situazioni e individui che apportano serenità e buoni risultati. Più il tasso vibratorio è basso, più si attirano situazioni dolorose, difficoltà e individui nocivi. L’elevazione del tasso vibratorio si ottiene liberandosi da ogni forma di « inquinamento spirituale »: sofferenze, rimorsi, sensi di colpa, ma anche persone che «attirano verso il basso».