Le mascherine tra materialità e agency ai tempi del Covid19

Riflessioni su un oggetto inquieto

Alessandra Broccolini


Indice

Tra stupore ed etnografia "spontanea"
Da dispositivo medico a confort blanket, iniziando da una maschera
Spazi di interpretazione tra norme e pratiche
Della maschera(ina) che diventa volto: vestizione o mascheramento?
Oggetti-agenti, persone-agenti
Tra agency e neoritualismo

Abstract. The essay proposes a critical analysis, based on an ethnographic approach, on the facial protection devices (mascherine) introduced at a global level to face the Covid pandemic19. While reflecting on how masks are redefining interpersonal relations on a decorporealized basis, on their symbolic dimension, on the relationship with the mask and masking, the contribution focuses on masks as "(s)objects". Seen in their materiality, the masks are in fact proposed as emblematic "agent-objects", invested of a "thing-power" (Bennet 2004), to influence our behaviour. But also as "acted-objects ", with reference to human agency, to the human capacity to manipulate them, to reinterpret them in ironic and subversive forms.

Keywords: Facial masks; Covid19; Agency; Materiality.

Tra stupore ed etnografia "spontanea"

Non ricordo[1] il giorno esatto in cui ho indossato la mia "prima" mascherina. E non ricordo neppure il giorno in cui i miei vicini di casa hanno iniziato a farne uso; ricordo solo l'imbarazzo della mia prima volta, una certa resistenza e la sensazione di solennità nel momento in cui ho iniziato ad indossarne una; oggetto per me raro, che ero riuscita a trovare in un negozio di telefonia bangladese, nel quartiere romano di Torpignattara dove abito. Un oggetto che appariva allo sguardo apparentemente incontaminato, sterile, da toccare con precauzione. Ricordo però anche la rabbia di una costrizione, il cattivo sapore del mio respiro ravvicinato, il primo senso di affanno a respirare con la bocca e il naso coperti, quel sorridere "sotto" la mascherina inacidito dalla paura, il dover ripensare i rapporti con vicini e conoscenti su una diversa base di cinesica e prossemica. Sentirsi uguali agli altri con questa protesi facciale nel fare il proprio "dovere", benché inizialmente non ne fosse stato imposto l'uso. Ma ricordo anche la veloce abitudine che ho fatto al "mascherinamento"; ben presto la maschera avrebbe coinciso con il mio volto pubblico.

Non ricordo un giorno esatto, ma ebbi l'impressione che l'umanità fosse cambiata all'improvviso, quasi uno scherzo, un momento ludico, lo spazio sociale stravolto da queste nuove protesi del "distanziamento sociale", uscire di casa e vedere occhi e non più volti. Non ricordo un giorno esatto, ma ricordo la varietà di forme e di colori delle mascherine che fin dai primissimi giorni della diffusione del Coronavirus in Italia hanno popolato le strade. Le più inquietanti erano quelle "con valvola", che sembravano appartenere ad un costume di Star Wars o ad un immaginario fetish, soprattutto nella versione nera; più spesso colorate, con misteriosi filtri e appuntite simili a becchi di uccello; un "mascheramento" solo apparentemente ludico che nascondeva al contrario un paesaggio umano dominato dalla paura. Era una esperienza del tutto nuova, epocale, estranea alla storia recente europea e quindi anche totalmente estranea alla nostra storia nazionale.

La parabola che hanno avuto le mascherine nel nostro paese è stata rapida. Da essere oggetti introvabili -se non in rete e con lunghissimi tempi di attesa- dei primissimi mesi del primo lockdown del marzo 2020, improvvisamente si sono diffuse con grande rapidità grazie ad una mobilitazione nazionale e mondiale che si è attivata in modo capillare sia dal basso (con numerosi casi di autoproduzione) che sul piano istituzionale, soprattutto in seguito ai diversi DPCM che come sappiamo ne hanno obbligato l'uso, scatenando un dibattito su media e giornali circa l'efficacia, le tipologie, l'approvvigionamento, un dibattito che ha visto il discorso scientifico e l'opinionismo mediatico spesso confluire nello stesso flusso di retoriche e di rappresentazioni.

Oggi questo scenario straniante, in Italia come in molte parti del mondo, è mutato e le mascherine sono diventate parte del nostro abbigliamento quotidiano, protesi abituali delle nostre relazioni. Non suscitano più né stupori né emozioni; le portiamo sempre con noi, le riponiamo nei loro contenitori per mascherine, le abbandoniamo in macchina per ogni evenienza, le troviamo gettate per la strada. Non le maneggiamo più con quel sacro timore di contagiarle o di contagiarci che avevamo all'inizio di questa "svolta", ma le "indossiamo" in modi diversi, muovendole sul volto con una certa libertà.

Da oggetto medico "professionale", confinato nella sfera medico-sanitaria, la mascherina è divenuto nel tempo della pandemia un oggetto quotidiano, accessorio del "vestiario" per tutta la famiglia, che si è guadagnato un suo spazio nella sfera pubblica (e anche in alcuni casi in quella privata), nel mondo dei media, della pubblicità, nel mercato. Necessario da avere, ma anche oggetto investito di una carica simbolica, simbolo di argine al male, nuovo (s)oggetto delle nostre rappresentazioni del puro e dell'impuro [Douglas 1975] e nello stesso tempo effimero, manipolato in forme ironiche, a volte eccessive, accessorio di moda, gadget, finanche oggetto "di genere" (ce ne sono da uomo e da donna), per bambini (con la nascita di dibattiti circa l'età e le conseguenze psicologiche circa il loro uso nell'infanzia), sportive, politiche, di categoria professionale, associative, religiose, con marchi e loghi. Nell'arco di poche settimane la mascherina facciale è stata inglobata nel mercato che ce l'ha restituita come accessorio dell'abbigliamento, colorata, differenziata nelle forme e nei materiali, diversificata in base a gusti e scelte personali, ma anche carica di potenziali distinzioni sociali, al di là dell'apparente uniformità derivata dall'obbligo. Nei primi mesi della pandemia ci fu infatti un proliferare quasi immediato di iniziative che andavano dalla sartorialità casalinga che distribuiva mascherine nei circuiti di dono, all'alta moda, ad esempio con la casa di moda Fendi che le ha subito immesse nel mercato a costi elevati[2]. Ma anche una certa artigianalità del fai-da-te della disperazione, come ad esempio la carta da forno o lo scottex spillato dietro le orecchie, o le mascherine realizzate con le traverse per i cani, con diversi tutorial su Youtube che ne insegnavano per la realizzazione[3]. Io stessa mi cimentai con le traverse con risultati a dir poco inquietanti. C'erano poi le introvabili FFP3 "per intenditori", con la valvola, che suscitavano una certa invidia a vederle, ma che si diceva fossero "egoiste" perché proteggevano se stessi senza proteggere gli altri, rispetto a quelle "altruiste" -le mascherine chirurgiche- che si diceva proteggessero gli altri senza proteggere molto se stessi. La mascherina è diventata così un "oggetto sociale totale", che ha vinto rapidamente contro le ritrosie sulle coperture del volto che caratterizzavano il nostro vivere quotidiano (almeno di una parte del mondo), tanto velocemente quanto veloce è stata la diffusione del virus che dovrebbe fermare. Percepito simbolicamente come argine necessario per frenare il nemico virus, rapidamente è diventato un dispositivo simbolico del sé entrando in un circuito anche di microritualismi quotidiani.

La materialità invasiva di queste protesi del volto si è imposta di prepotenza nel nostro quotidiano da quando i numerosi DPCM che si sono succeduti in Italia le hanno rese obbligatorie. Prescritte -anche se ambiguamente come vedremo più avanti- nello spazio pubblico, esse non permettono quella libertà di scelta tra il portarle e il non portarle che caratterizza abitualmente l'abbigliamento nei paesi dove non sono in vigore delle normative specifiche che riguardano la copertura del volto. Ciò ha creato un evidente paradosso nei confronti di quelle leggi che vietano la copertura del viso in pubblico, che negli ultimi anni sono state varate in alcuni paesi europei come la Danimarca, i Paesi Bassi, il Belgio, ultima la Svizzera in termini di tempo e ancora in piena pandemia[4]. Così, se prima della pandemia la copertura del volto in pubblico, almeno in Europa, era considerata da alcuni un atto antisociale, di resistenza ad una presunta "integrazione", o foriero di potenziali atti criminali, l'avvento delle mascherine ha rovesciato la "semantica" relativa alla copertura de volto portando la collettività più ampia a considerare l'atto del coprire il proprio volto una misura sociale (e materiale) per proteggere tutti i cittadini, un bene comune, un atto collettivo di responsabilità. Un paradosso che mostra forse meglio di qualsiasi parola l'importanza che la dimensione simbolica può rivestire rispetto all'evidenza scientifica.

La velocità con la quale questi oggetti sono entrati nella nostra vita quotidiana è pari forse solo allo stupore che abbiamo provato nell'accorgerci che, almeno in Italia, era diventato obbligatorio portarle sul viso. In un tempo in cui lo spazio pubblico si è marcatamente delocalizzato nella rete, in un tempo di vita "a distanza", di feste "sospese" e di rituali interrotti che si vanno ridefinendo per via digitale e nell'attesa quasi millenaristica di un ritorno ad una vita senza distanziamenti e mascheramenti, riflettere tra sguardo critico ed etnografia "spontanea" su questi nuovi dispositivi del sé nello spazio pubblico può essere utile per ragionare su una serie di questioni.

Tra le molte che le mascherine sollevano c'è innanzitutto la necessità di considerare la diffusione che questi dispositivi hanno avuto a livello mondiale prima della pandemia del Covid 19, passando da un ambito prettamente medico-sanitario ad un uso quotidiano [Lupton 2021], se pensiamo all'epidemia di Spagnola che ha afflitto il mondo all'inizio del Novecento, o alle varie epidemie di SARS che si sono succedute nel corso del 2000 e a come le mascherine si sono diffuse nello specifico in alcuni paesi orientali al di là dell'emergenza sanitaria [Burgess, Horii 2012]. Questi dispositivi si collocano infatti entro quella dimensione simbolica che caratterizza l'immaginario mondiale prodotto dalla diffusione delle epidemie nella storia [Alcabes 2009]. Oltre a questo aspetto anche la percezione popolare rispetto alle normative e alle narrative nazionali, o rispetto alle indicazioni dell'OMS, rappresenta un ambito importante per comprendere la diffusione ma anche la dimensione morale e simbolica che questi dispositivi hanno conquistato dentro le categorie del rischio e del puro e dell'impuro [Douglas 1975; Douglas, Wildavsky 1982].

Nell'esperienza che stiamo facendo della pandemia da Covid19, tra gli aspetti che risultano forse più interessanti da osservare etnograficamente (o anche autoetnograficamente) c'è il modo in cui le mascherine -in quanto oggetti imposti nell'uso- stanno ridefinendo le relazioni interpersonali su una base decorporeizzata, considerata l'importanza che la corporeità riveste nella percezione [Merleau-Ponty 1965], ma anche la dimensione simbolica e protettiva che queste hanno assunto nel quotidiano al di là dei reali effetti sanitari, o le forme di microritualizzazione del quotidiano con le sue forme di medicalizzazione, o ancora il rapporto con il mascheramento e la maschera nel contemporaneo, sul quale esiste un'ampia riflessione antropologica di diversa derivazione disciplinare, al di là degli aspetti puramente estetico-formali [Maertens, Debilde 1978; Napier 1986; Mack 1994; Castelli, Grimaldi 1997; Callieri, Faranda 2001; Edson 2009; Padiglione 2016, 2017].

In questo mio contributo cercherò di esplorare alcuni di questi aspetti. Tuttavia, mi concentrerò soprattutto su una dimensione di ordine differente, ovvero quella delle mascherine in quanto "(s)oggetti". Viste nella loro materialità, le mascherine si presentano infatti come oggetti interessanti di riflessione dal punto di vista dell'agency [Ahearn 2002; Kockelman 2007], concetto che in questo lavoro declinerò con un doppio significato, vedendolo sia dal punto di vista di un potere dell'oggetto-mascherina legato alla sua materialità (e quindi di una agency che viene sottratta al soggetto), ma anche dal punto di vista di una agency del soggetto che questo oggetto lo usa, lo interpreta e lo manipola. Le mascherine sono infatti emblematici "oggetti-agenti", perché pensati e imposti nello spazio pubblico in virtù del loro thing-power [Bennet 2004], il loro "potere" di influenzare il nostro comportamento [Kopytoff 2005; Miller 2014]. Ma anche emblematici "oggetti-agiti", rispetto all'agency, alla capacità umana di manipolarli, di resistere, di reinterpretarli in forme anche ironiche e sovversive. Guardare alle mascherine dal punto di vista della loro "materialità" ci permette di aggiungere uno sguardo sulle forme di agency che questo oggetto esprime nel gioco di forze e nella relazione con scelte, rimodulazioni del comportamento, norme e scenari simbolici.

Da dispositivo medico a confort blanket, iniziando da una maschera

Nella storia della medicina i primi documentati dispositivi di protezione per il viso connessi a problemi sanitari risalgono alle epidemie di peste bubbonica dell'età moderna e possono essere datati, secondo alcune fonti, intorno all'inizio del XVII secolo [Matuschek et alii 2020]. Alcune interessanti fonti iconografiche mostrano il famoso dottor Schnabel di Roma con l'abito nero e una maschera a becco (img.1) probabilmente utilizzata per proteggere il medico contro i cosiddetti "miasmi", l'"aria putrida" ritenuta responsabile della malattia. Si trattava di una vera e propria maschera a becco d'uccello la cui cavità e lunghezza permetteva all'aria di essere filtrata da varie sostanze aromatiche e dalla paglia[5]. Questa "maschera" della peste evocava in modo piuttosto esplicito sul piano simbolico un orizzonte terrificante fatto di morte e malattia; nella nota immagine del 1656 che lo ritrae si vedono infatti sullo sfondo dei bambini terrorizzati che fuggono inseguiti dal dottore mascherato. Non è un caso che la "maschera della peste" sia transitata nell'immaginario carnevalesco, dove i temi del terrificante e della morte sono molto presenti, divenendo una maschera molto nota del carnevale di Venezia e della Commedia dell'arte, nonché oggi travestimento piuttosto ricercato nel cosplay, confluito anche in alcuni videogiochi molto noti, come ad esempio Assassin's Creed [6]. Questo orizzonte simbolico che fa da sfondo alle prime forme di protezione per il viso è interessante perché storicamente, e non solo sul piano funzionale o iconografico, connette le mascherine chirurgiche all'universo simbolico della maschera, sul quale torneremo più avanti.

IMG1. Fonte Wikipedia https://de.wikipedia.org/wiki/Pestdoktor#/media/Datei:Paul_Fürst,_Der_Doctor_Schnabel_von_Rom_(coloured_version).png

La letteratura medica ha ricostruito la storia di questi dispositivi protettivi, dal loro primo uso non chirurgico nel XVII secolo, fino alla loro introduzione nella medicina moderna, a fine '800, con la progressiva evoluzione che si è avuta delle conoscenze mediche in fatto di infezioni batteriche e virali e nella pratica chirurgica [Spooner 1967], una evoluzione che ha visto nel tempo una trasformazione anche nella forma e nei materiali di questi dispositivi. Il passaggio da un uso strettamente medico-sanitario ad un uso "popolare" delle mascherine, quindi al di fuori di un ambito strettamente medico, si verificò con l'epidemia di influenza Spagnola (la "grande influenza") che tra il 1918 e il 1920 colpì tutti i paesi del mondo causando circa 50 milioni di vittime. Trattandosi di una infezione respiratoria molto contagiosa -con un numero complessivo di vittime di gran lunga superiore al Covid19- per la prima volta nella storia in molti paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna l'uso in pubblico delle mascherine facciali fu raccomandato e in alcuni casi prescritto ai cittadini [Crosby 2003]. Tuttavia, al di là delle raccomandazioni o delle vere e proprie prescrizioni (ci furono anche casi di opposizione all'uso delle maschere facciali per ragioni libertarie[7]), questa epidemia di influenza segnò un mutamento nella percezione popolare in molti paesi, facendo diventare queste "maschere facciali" (facial masks, o semplicemente masks, come sono definite in lingua inglese) un dispositivo protettivo che andava al di là della loro reale efficacia. Nel 1919 infatti, un articolo sulla rivista Science richiamava la necessità di non cadere in un utilizzo "compulsivo" delle mascherine, segno che queste erano già state investite da un'aura simbolica che andava oltre l'efficacia riconosciuta dalla scienza:

It is not desirable to close theaters, churches and schools unless public opinion emphatically demands it. It is not desirable to make the general wearing of masks compulsory. Patients should not be masked except when travelling from one point another - -they need air [Soper 1919, 505].

Infatti sottolineava l'articolo:

If doubt arises as to the probable efficacy of measures which seem so lacking in specificity it must be remembered that it is better for the public morale to be doing something than nothing and the general health will not suffer for the additional care which is given it [Soper 1919, 505].

Il rapporto complesso tra prescrizioni, indicazioni, usi popolari e resistenze che ha caratterizzato l'epidemia di Spagnola mostra dunque un quadro di forte analogia con lo scenario che un secolo più tardi si sarebbe presentato con la pandemia da Covid19, che ha ugualmente visto una dinamica piuttosto complessa e contraddittoria tra le indicazioni degli organismi internazionali come l'OMS riguardo l'uso delle mascherine, le diverse prescrizioni/indicazioni degli stati nazionali e le interpretazioni locali, incluse le forme di resistenza.

Ma sono state soprattutto le più recenti epidemie respiratorie di SARS-Cov nel 2002, e poi di MERS-Cov nel 2012 che hanno colpito in particolar modo i paesi mediorientali ed orientali, ad aver fatto assumere a questi dispositivi facciali una funzione di "confort blanket", tanto che per alcuni paesi come il Giappone si è parlato addirittura di un "love affair" con questi dispositivi [Burges, Horii 2012, 1184]. Diversi studi sociologici hanno cercato di comprendere per quali ragioni questi dispositivi fossero entrati nella pratica quotidiana anche dopo le suddette epidemie, quali fossero le pressioni istituzionali, ma anche le percezioni locali (e culturali) di questi dispositivi nel quotidiano entro le categorie del puro e dell'impuro e quale dimensione simbolica avessero acquisito a livello sociale rispetto alla malattia. In alcuni paesi asiatici, infatti e in particolare in Giappone, la mascherina, nonostante il disagio espresso da molti giapponesi e gli effetti collaterali legati al loro uso prolungato, è diventata (anche per ragioni ambientali legate all'inquinamento) uno strumento di protezione generalizzata per sentirsi meglio in pubblico (usata ad esempio dalle donne anche per non abbronzarsi il viso, o per poter uscire di casa senza trucco) e in generale una "confort blanket", un oggetto "moralmente corretto", da usare in pubblico per una sorta di dovere morale nei confronti degli altri e segno di responsabilità:

Asian women wear them to avoid getting a suntan in an effort to appear more western. They also reported wearing them simply to cover their faces on public transport when they hadn’t had time to put on their make-up [...] Mask-wearing is not only an externally imposed demand but appears to have become an embedded social practice as part of the armoury of individual responsibility for good health [Burges, Horii 2012, 1185;1192].

Questa dimensione simbolica che in alcuni paesi asiatici ha caratterizzato l'uso delle mascherine è stata letta entro la sfera del rituale, tanto che alcuni autori hanno spiegato il loro uso interpretandolo nei termini di un microrituale sociale obbligatorio, dove la mascherina ha segnato una nuova regola di condotta, un gesto per proteggere la comunità e rinforzare la solidarietà:

Mask-wearing became the quickly improvised, if obligatory, social ritual; failure to don one was met with righteous indignation, a clear sign of ritual violation. The mask symbolised a rule of conduct – namely an obligation to protect the wider community and an expectation regarding how one was to be treated by others [su Hong Kong, Baehr 2008, 150].

Altri autori hanno sottolineato il carattere di dissonanza dell'uso delle mascherine rispetto al potere trasformativo del rituale e al suo carattere di finitezza, interpretando questi dispositivi, seguendo Beck [1992] come nuove forme di rituali legati all'insicurezza, dei risk rituals, o pratiche routinarie legate all'insicurezza:

These risk rituals may characteristically involve new, more specialised products like the now ubiquitous hand-wash gels or, in this case, face masks [...] Rather than promoting solidarity and offering transformation – as social rituals are understood to have done in the past – mask-wearing appears to have become a permanent part of the social fabric, tenuously linking the individual to a health-focused risk society [Burgess 2012, 1193-1194].

Spazi di interpretazione tra norme e pratiche

Nella pandemia da Covid 19, soprattutto nel corso dei primi mesi del 2020, uno degli aspetti più evidenti relativi all'uso dei dispositivi facciali di protezione è stata l'assenza di un accordo chiaro da parte delle autorità nazionali dei diversi paesi del mondo circa l'uso collettivo di questi dispositivi. Al contrario si sono invece susseguite voci molto discordanti, provenienti sia dal mondo della scienza che dalle autorità, circa l'efficacia, la necessità o l'obbligo di indossare queste protezioni facciali nello spazio pubblico. Dal dibattito scaturito a livello mondiale sui media, le spiegazioni che tendenzialmente sono state date questa divergenza di opinioni espressa dal mondo della scienza e dalle istituzioni sono state diverse. Alcuni hanno ipotizzato una ragione prettamente materiale, ovvero la scarsità iniziale di questi dispositivi, la quale avrebbe impedito ai governi di promuoverle per un uso collettivo. Altre voci hanno invece visto delle ragioni storiche, secondo le quali erano soprattutto i paesi orientali ad essere storicamente più familiari con le mascherine per via delle recenti epidemie di SARS. Altri ancora hanno infine sottolineato l'importanza di fattori culturali, secondo i quali i paesi occidentali sarebbero "culturalmente" più ostili ai dispositivi di copertura del viso rispetto ad altri paesi, ragione per cui nella fase iniziale della pandemia ci fu una divergenza di opinioni e di prese di posizioni pro e contro una imposizione di questi dispositivi generalizzato nello spazio pubblico [Quiaoan 2020, 336].

Nei primi mesi della pandemia, infatti, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) aveva espresso pareri piuttosto cauti circa l'efficacia di questi dispositivi in contesti non medici e dunque pubblici, sottolineando al contrario come questi potessero creare un senso di falsa sicurezza e quindi peggiorare le stesse possibilità di contagio. Le mascherine mediche avrebbero dovuto essere indossate solo dal personale medico o da persone con chiari sintomi di Covid19[8]. Qualche mese dopo, tuttavia, nel giugno 2020, la WHO ha rettificato le indicazioni circa l'uso delle mascherine (mediche e non mediche) per l'uso comunitario e, anche per rispondere ad una generalizzata diffusione di raccomandazioni (e obblighi) introdotti da molti governi, ha aggiornato le sue indicazioni dichiarando che i governi avrebbero dovuto incoraggiarne l'uso anche nei luoghi pubblici[9]. Questo mutamento di prospettiva, unito ad altri fattori interni ai diversi paesi, ha portato ad una sorta di globalizzazione nell'uso collettivo delle mascherine proposte come freno alla diffusione della pandemia; un uso mondiale che non era mai stato sperimentato prima. Nei diversi paesi dell'Unione Europea, infatti, nonostante le resistenze, le mascherine sono state progressivamente incoraggiate e in diversi paesi imposte in tutti i luoghi pubblici, anche all'aperto. Un dispositivo di protezione che "culturalmente" non apparteneva alle pratiche quotidiane, né era mai stato imposto nei luoghi pubblici, è diventato dunque, anche in Europa, parte delle pratiche quotidiane di milioni di persone.

In Italia è stato il DPCM del 26 aprile 2020 a raccomandare un uso estensivo delle mascherine rendendole obbligatorie nei luoghi chiusi[10]; il primo DPCM dell'8 marzo 2020, infatti, le aveva raccomandate (seguendo la prima indicazione della WHO) solo in caso di contatto con una persona malata o se infetti al virus. Indicazioni che sono state riprese dall'Istituto Superiore di Sanità[11] ed estese da alcune Regioni anche ad altri ambiti. Il riferimento esplicito ad un obbligo di uso all'aperto è stato introdotto nel DPCM del 25 ottobre 2020, poi confermato dai diversi DPCM successivi[12]. Tuttavia, in questo nuovo provvedimento, come negli altri DPCM che sono seguiti[13], l'obbligo di portare la mascherina nei luoghi aperti non è mai stato generalizzato, ma al contrario è sempre stato limitato a quelle circostanze nelle quali non era possibile garantire "una condizione di isolamento" rispetto a persone non conviventi. Il Decreto di ottobre, infatti, usa una espressione piuttosto ambigua per definire tale obbligo, lasciando aperto di fatto uno spazio di interpretazione ampio. L'obbligo delle mascherine all'aperto -leggiamo- non vale per quei casi in cui "per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto" sia possibile mantenere il distanziamento. Ora, cosa significhi nella pratica "caratteristiche dei luoghi" e "circostanze di fatto" è ovviamente soggetto all'interpretazione dei singoli e al giudizio collettivo. Lo stesso concetto di isolamento nei luoghi pubblici rimane una definizione fortemente arbitraria.

Tuttavia, nonostante questa ambigua apertura, che nei luoghi all'aperto non ne obbligherebbe l'uso in modo estensivo, in Italia già nei primissimi mesi della pandemia si era diffuso a livello popolare un uso totalizzante ed estensivo delle mascherine in tutti i luoghi all'aperto, tanto da scatenare un progressivo obbligo "morale" ad utilizzarle diffusamente e dappertutto, con conseguenti forme di demonizzazione nei confronti di chi non le indossava. Ci sono state infatti reazioni individuali nei confronti della paura del contagio, scelte anche "oppositive" nei confronti delle norme e interpretazioni diversificate delle ambigue indicazioni contenute nei DPCM. Reazione difformi sia nelle diverse regioni italiane che nelle diverse fasce d'età, con una maggiore propensione come sappiamo della fascia più giovane della popolazione a non uniformarsi.

Le diverse reazioni e le pratiche conseguenti alla percezione del pericolo e all'interpretazione della norma meriterebbero un'analisi più approfondita. Tuttavia, l'uso estensivo delle mascherine in qualsiasi luogo all'aperto sembra essere stata indipendente, inizialmente, dalle indicazioni contenute dai DPCM. Ciò ha comportato anche una corsa all'accaparramento di questi dispositivi, con forme di speculazione e svariati esempi di fai-da-te, a volte disperatamente comici. Le mascherine vengono così portate anche quando si è da soli in macchina, in moto, quando si cammina per strade deserte o scarsamente frequentate, quando si passeggia su una spiaggia, o nei parchi. I mezzi di informazione, anche nazionali, hanno incoraggiato "moralmente" questa interpretazione popolare facendola slittare nella norma, anche quando il risultato sfiorava il paradosso, innescando una sorta di circolo vizioso/virtuoso tra interpretazione delle norme e pratiche. È il caso, tra i diversi esempi che si possono portare, di un paese della Valnerina in Umbria totalmente spopolato - Nortosce - dove i due unici abitanti rimasti -sottolinea quasi orgogliosamente la stampa- fanno regolarmente uso della mascherina all'aperto[14].

Limitandoci all'Italia sembra quindi che la diffusione delle mascherine a livello pubblico sia stata da un lato guidata dalle indicazioni diffuse a livello internazionale dall'OMS e poi recepite e interpretate nella forma dell'obbligo dal governo dietro supporto del Comitato Tecnico Scientifico, anche se nella forma ambigua che abbiamo visto. Dall'altro lato sembra essere stata, piuttosto, una percezione popolare del rischio a diffonderne un utilizzo estensivo, che è andato oltre i DPCM; un uso che le norme sembrano aver rafforzato e in qualche modo "canalizzato" nella forma della prescrizione. Le normative non hanno obbligato infatti l'uso delle mascherine in tutti gli spazi pubblici all'aperto, ma solo in quegli spazi che non consentivano la misura del distanziamento fisico. Al contrario, la pratica popolare ne ha esteso l'uso anche in quegli spazi aperti dove il distanziamento sarebbe stato soddisfatto e ciò ha portato ad un grande adeguamento di massa nell'uso delle mascherine all'aperto. Il fatto che in Italia siano state prescritte, e nella pratica "moralmente" imposte, ha ridotto il margine di scelta individuale tra il metterle e il non metterle sottraendole all'agency della scelta individuale. Per questa ragione il loro uso e il rapporto che si è andato a definire con questi nuovi oggetti del sé pubblico, rappresenta uno scenario di osservazione interessante per l'antropologia.

Della maschera(ina) che diventa volto: vestizione o mascheramento?

In Italia il termine "mascherina" era utilizzato già prima della pandemia da Covid19 in ambito medico per definire questi dispositivi di protezione facciale. Si tratta di un termine però che solo apparentemente è diminutivo di "maschera"; in realtà è un falso diminutivo perché non definisce semplicemente una maschera su scala ridotta, ma qualcos'altro sia nella forma che nella funzione. In altre lingue, come ad esempio in inglese, non c'è diminutivo perché viene usato il termine masks, o facial masks, e lo stesso è in francese, che usa il termine masque. Sia in inglese che in francese si usa comunque un termine che fa riferimento alla maschera.

Anche la terminologia relativa alle diverse tipologie di mascherine merita una riflessione, perché anche in questo caso la grande diffusione che hanno avuto questi dispositivi a livello popolare ha fatto emergere un ambito di produzione alternativo e non "medico", che ha richiesto da parte della WHO (e poi recepita anche dai DPCM del governo italiano), una distinzione tra mascherine mediche e non mediche (nonmedical masks o fabric masks), e una definizione "tecnico-scientifica" delle due tipologie sulla base di forme, materiali e ambiti di utilizzo. In questo processo di diversificazione delle mascherine due elementi di interesse emergono, da un lato la definizione che è stata data delle mascherine non mediche, dove prevale il riferimento alla "comunità" (nei documenti ufficiali vengono chiamate in Italia "mascherine di comunità", traducendolo dall'inglese "community masks"), dall'altro è interessante il fatto che, sia le indicazioni della WHO come anche i decreti che sono stati emanati in Italia abbiano in qualche modo recepito (tentando di disciplinarne l'uso) quella che fin dai primi giorni della pandemia è stata una pratica popolare, cioè quella di realizzare mascherine in casa, favorita dalla difficoltà di reperimento di quelle mediche.

Comunque, l'etimologia della parola "mascherina" come si è detto richiama la maschera, che deriva il suo etimo dal latino mascara che significa "spettro", "essere demoniaco". E la maschera evoca degli scenari principalmente rituali e tutt'altro che contaminati, anche se comunque eccessivi e finanche "diabolici", se pensiamo alle condanne che la chiesa ha rivolto nei confronti del mascheramento, o all'ostilità dei poteri costituiti per la maschera nel mondo folklorico fino alle proibizioni attuali relative alla copertura del volto e se pensiamo, come detto, alla stessa etimologia del termine [Callieri, Faranda 2001, 33ss.]. La maschera evoca scenari rituali complessi, performativi, espressivi, creativi; evoca precisi momenti del calendario, i carnevali, scenari di possessione, di guarigione, di comunicazione con il sovrannaturale. Ma evoca anche il mascheramento diffuso che attraversa il contemporaneo con la fuoriuscita della maschera nel tempo libero. Penso ad esempio alle rievocazioni storiche e al cosplay. Non è un caso che la prima forma di dispositivo di protezione facciale conosciuta (la maschera del medico della peste del '600) sia confluita nell'immaginario del mascheramento contemporaneo passando dal carnevale.

Il diminutivo (*ina) nel quale questo nuovo oggetto è imprigionato, non è solo legato alle sue dimensioni ridotte rispetto alle maschere che conosciamo (per es. quelle note del carnevale), ma esprime una sua collocazione semantica, simbolica e di uso, che lo pone su un piano diverso rispetto alle maschere rituali, apparentemente minore, ma non lo sottrae all'occultamento del volto e al gioco dell'eccesso che vediamo nella maschera, in quella che possiamo leggere come una nuova fase di identità che si vanno definendo nella crisi di un tempo incerto, per un manufatto non più condannato, non più diabolico o sinonimo di falsità (Imparerai a tue spese -scriveva Pirandello -che nel tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti), ma divenuto simbolo questa volta di ragione, di rispetto di regole, di resistenza al "male", al contagio.

Con la mascherina la maschera "si fa volto" molto più di quanto accada con il mascheramento carnevalesco e con tutte le altre forme di "possessioni bianche" che attraversano il contemporaneo [Padiglione 2017, 119]. O forse è il volto stesso che si fa "mascherina" non essendo quest'ultima altro da sé, ma piuttosto una protesi del sé. La mascher(ina) si fa volto perché è diventata essa stessa nuovo volto. Ma quando questo accade, come ha scritto Vincenzo Padiglione in una bella pagina dedicata alla maschera: «la stagione del cambiamento appare alle porte: emergono ibridi, si rendono immaginabili mutazioni antropologiche. Segno che l’evoluzione procede verso orizzonti imprecisati» [Padiglione 2016, 30]. Con le mascherine la maschera si fa quindi volto pubblico, diventando un'interfaccia tra noi e gli altri, accessorio emblematico del vestiario, oggetto di "vestizione", non di "mascheramento"[15]. La differenza tra vestizione e mascheramento è utile per svincolare questo oggetto così vicino all'universo della maschera dall'ambito del carnevalesco e dal quel desiderio di mascheramento che attraversa il contemporaneo [Padiglione 2017, 123] E tuttavia, pur nella drammaticità del momento storico, dissimulando il volto le mascherine, come vedremo più avanti, non si sottraggono al gioco agentivo della maschera e camminano sull'incerto crinale dell'essere maschera forzata e mascheramento ironico di un possibile rituale di resistenza, di straniamento e di elaborazione di un lutto.

Ma in che modo queste nuove protesi delle politiche del distanziamento sociale possono cambiare o stanno cambiando le nostre relazioni interpersonali e sociali? Che ne è delle relazioni quando non si vedono i volti? Siamo in presenza di manufatti inibenti delle relazioni, oppure possiamo individuare uno spazio agentivo e soggettivo capace di rimodulare e rimettere in gioco le relazioni attraverso una diversa forma comunicativa? Come si rimodulano le prossemiche, le cinesiche con l'entrata in scena di questa protesi facciale che diventa volto?

Oggetti-agenti, persone-agenti

Parlare di mascherine come oggetti del quotidiano, in un uso che ormai è diventato accessorio del vestiario, non significa solo guardare gli scenari materiali della loro produzione, circolazione e distribuzione, o il rapporto tra le norme che abbiamo visto e le pratiche nella percezione popolare del rischio, ma anche parlare della "vita sociale" di questi oggetti nelle loro relazioni con gli umani e vederne il ruolo attivo di oggetti-agenti nella costruzione della realtà. Seguendo gli studi sulla cultura materiale di antropologi come Kopytoff, Appadurai, Miller e di altri, si pone la necessità di guardare a questi nuovi dispositivi del sé nel quotidiano dal punto di vista del loro thing-power [Bennett 2004; Lupton 2021], la loro capacità di orientare azioni, modificare relazioni sulla base della loro forma-funzione. Le mascherine hanno, infatti, delle caratteristiche peculiari in quanto oggetti, perché sono state pensate materialmente con una precisa funzione medico-sanitaria che va ad interessare il corpo e per di più il viso, ma una volta che questa funzione è stata estesa alla vita quotidiana, diventando accessorio del vestiario e aderendo inesorabilmente sul nostro viso, sono diventate seconda pelle, maschera-volto del nostro sé pubblico. Oggetti-soggetti dunque che, anche in virtù del loro essere stati "prescritti" per un uso quotidiano, hanno acquisito una loro agency; un'agency a largo spettro che va dalla capacità "materiale" di modificare le relazioni umane, alla significazione che hanno acquisito sul piano simbolico nello specifico momento storico che le ha viste protagoniste; in questo senso se ne può prefigurare la loro capacità di "creare le persone" e di "agire" su di esse [Miller 2013, 39].

Come oggetti prescritti per un uso quotidiano, quindi di uso vestiario, le mascherine sono infatti state pensate per ridefinire il comportamento umano, soprattutto quando la prescrizione non si limita alla sfera medico-sanitaria, ma coinvolge il loro uso nello spazio pubblico. In realtà, con l'irrompere di questi oggetti "nella storia" quotidiana (e nel vestiario) è lo stesso spazio pubblico ad essersi medicalizzato e questo lo vediamo anche con le pratiche di igienizzazione alle quali siamo sottoposti nella vita quotidiana. Potremmo quindi chiederci se e in che modo le mascherine, al di là del "potere" che la scienza riconosce loro come barriera protettiva nei confronti di agenti esterni nocivi e al di là del fine per il quale sono state disegnate, che è quello di proteggere naso e bocca nel doppio senso di emissione e recezione di particelle virali, sono degli oggetti-agenti, dotati innanzitutto di un loro "potere" sul piano simbolico di "combattere" il "nemico" virus e di lavorare per la salute e per il "bene". Ma anche dotati del potere di condizionare il nostro comportamento sociale e di imporre una loro agency capace di risignificare le relazioni.

Come oggetti-agenti, i due poli simbolici tra i quali le mascherine oscillano sono da un lato quello degli oggetti di costrizione, perché quasi al pari di strumenti di tortura, imbrigliano, chiudono, soffocano, nascondono, impediscono. La voce viene soffocata, l'aria che emettiamo viene contenuta, le espressioni del nostro viso sono nascoste, l'invisibile virus rimane bloccato. Mentre dall'altro sono simbolicamente associate a strumenti di protezione e di salvezza, le "confort blanket" delle quali si parlava per il Giappone durante e dopo l'epidemia di SARS, o potemmo anche dire "security blanket". In questo senso le mascherine vanno a confluire nel novero dei numerosi oggetti-agenti del vestiario che nella storia umana hanno avuto un potere disciplinante sul corpo; si pensi ad esempio al busto per le donne, all'uso obbligatorio del cappello per gli uomini, delle diverse forme di copertura del viso e della testa nei mondi islamici, con la differenza che in Occidente l'ascesa delle mascherina è stata tanto rapida quanto inattesa e forse per questo il suo "potere" di agire sul corpo (e quindi sul comportamento) è stato pari al suo potere di agire sul nostro immaginario.Questo thing-power delle mascherine lo possiamo vedere nel modo in cui hanno modificato le regole dell'interazione, hanno dilatato lo spazio fisico in cui queste si producono, imponendo una nuova grammatica del comportamento "approvato" e "disapprovato" [Goffman 2019, 8], modificando i microrituali dell'interazione quotidiana, quello che Goffman chiama "l'ordine disciplinato della facciata personale" [Goffman 2019, 27-30] e la percezione della sicurezza pubblica.

Se esploriamo questa dimensione la prima cosa che vediamo è che la mascherina si presenta come un nuovo volto-facciata che copre la maggior parte delle espressioni del viso e produce un vacuum, un vuoto di lettura, che non fa capire all'interlocutore, per esempio, le mie espressioni del viso; se sto ridendo o se sto facendo uno sberleffo mentre lo ascolto o ci parlo alla dovuta distanza. Che nasconde le "reti di significati" che sono prodotte nell'interazione e non fa comprendere se il mio strizzare entrambi gli occhi è frutto di una risata, di disapprovazione o di un ghigno. Sono soprattutto gli occhi ad essere i protagonisti di questo nuovo corso del distanziamento, occhi che diventano unico riferimento nella comunicazione non verbale, laddove neppure la voce dell'altro ci arriva più così chiara.

Forse non abbiamo ancora sviluppato una competenza, o codici condivisi di comunicazione che non lascino spazio a malintesi. E poi, chi si nasconderà dietro quella bellissima maschera a becco di cigno? Chissà se nei luoghi pubblici si viene trattati in modo diverso, più impersonale, ora che il nostro volto è visibile solo parzialmente e lo si può solo immaginare. La nostra nuova facciata pubblica produce quindi un vuoto collettivo che ci impedisce di leggere alcuni frames della comunicazione che in precedenza erano visibili e che davamo per scontati. In questo senso la mascherina è un oggetto-agente, capace di esercitare un controllo sulle nostre interazioni. D'altra parte il suo fine che è quello di essere barriera al virus si produce impedendo o ridefinendo la comunicazione umana.

Ma la mascherina sembra stia avendo il potere nell'ambito dei canoni occidentali, anche di ridefinire l'idea di bellezza, il trucco e l'idea stessa di visibilità pubblica. In seguito alla pandemia si è ad esempio sviluppato un dibattito in ambito estetico occidentale sul cambiamento che stanno avendo il make up e lo skin care dopo il Coronavirus. I make-up artist sostengono ad esempio che "coprire tanta parte del viso cambia completamente le proporzioni dei lineamenti"[16] e che di conseguenza va ridefinito totalmente il modo di truccarsi, con una preferenza per gli occhi a scapito del lipstick. Lo stesso occultare il proprio viso in pubblico ad alcuni sta iniziando a mostrare anche i lati positivi; la mascherina per alcuni protegge anche da sguardi indiscreti, dalla pressione di una continua performance estetica, liberando così l'immaginazione. Un dibattito nuovo nei mondi occidentali che al contrario in altri contesti culturali è parte di pratiche e rappresentazioni già ampiamente sviluppate nel corso della modernità; si pensi ai mondi islamici, dove l'estetica degli occhi e dello sguardo, la cura del trucco per gli occhi e lo stesso significato che viene attribuito allo sguardo in ambito pubblico sono molto più sviluppati rispetto ad altre parti del viso celate dal velo.

Un ulteriore aspetto del potere disciplinante e agentivo delle mascherine sui nostri corpi è dato da un altro fattore non secondario, ma i cui effetti potremo forse valutarli nel lungo periodo e che meriteranno un'analisi specifica nel futuro. È un aspetto che potremmo chiamare: "ricordati di me". Ha a che fare con il ricordo e sulla base di esperienze personali mi fa domandare se, dopo un anno di mascheramenti, sono in grado (e sarò in grado) di ricordare chi ho conosciuto e le persone con le quali ho interloquito da un anno a questa parte con la mascherina. Non è un aspetto secondario, perché una interazione di lungo periodo nello spazio pubblico che si muove in un vacuum di riconoscimenti, potrebbe avere un forte potere di condizionare il ricordo e ciò rafforzerebbe un potere agentivo di questi dispositivi, che va al di là della barriera nei confronti di un virus. Chi sarò in grado di riconoscere e di ricordare delle persone che ho conosciuto con la mascherina nelle strade, nei negozi, negli uffici? Come cambierà il mio rapporto con chi ho conosciuto solo attraverso questo dispositivo?

Infine i danni: le mascherine, come è anche riconosciuto dalla WHO, possono essere anche potenzialmente pericolose, quindi agenti dannosi. Fin dalle prime linee guida, infatti, la WHO ha sottolineato quelli che potrebbero essere i potenziali rischi per il corpo nell'uso di questi dispositivi, rischi che vanno dall'autocontaminazione, al mal di testa, difficoltà respiratorie, lesioni facciali, dermatiti, problemi nella comunicazione, disagio, falso senso di sicurezza, danni ambientali e problemi per persone disabili, sorde, o con particolari patologie[17].

Tra agency e neoritualismo

Nel rapporto tra l'umano e le mascherine-agenti si colloca tuttavia anche il ruolo che riveste l'agency umana, la capacità umana di interagire attivamente e di farsi strada tra i vincoli e i limiti imposti dalla loro presenza sui nostri volti. La domanda che ci poniamo è allora capire se le nostre relazioni e il nostro comportamento siano (e in che misura) determinati da questo oggetto invadente, o se al contrario (e come) la nostra vita si svolga nonostante la sua presenza e soprattutto se possiamo vederne le manipolazioni, le resistenze, le interpretazioni, da quelle filologicamente e politicamente corrette a quelle ironiche o critiche e anche tentare di ragionare su un possibile slittamento nelle funzioni di questi oggetti, dall'ambito medico-sanitario a quello della manipolazione sul piano simbolico.

Abbiamo già detto della velocità con la quale il mercato ed i soggetti più svariati hanno occupato i possibili spazi di interpretazione di questo oggetto e ce lo hanno restituito creativamente nelle forme più svariate, da quelle artigianali e locali, domestiche, personali a quelle più "globali". Lo stesso termine "mascherine di comunità" che troviamo nelle normative sembra essere subentrato per disciplinare la pratica diffusa di realizzare localmente questi dispositivi, che era già in atto nei primi mesi della pandemia. Se spostiamo lo sguardo dal comportamento collettivo alla pratica individualistica [Burgess, Horii 2012] le mascherine ci appaiono sottoposte ad una forte manipolazione, che le investe sia come prodotto, nelle sue forme e materiali, che come utilizzo su viso nelle varie posizioni che conosciamo. D'altra parte la globalizzazione dei mercati ha fatto attivare rapidamente diversi macroattori che hanno saturato l'offerta a fronte di una domanda esponenziale, dando luogo ad una rete di produzione, di canali di reperimento e di circolazione (e anche di dono), che hanno fornito una gamma ampia di scelte possibili, che esprimono sul virus convinzioni personali, gusti, stili, interpretazioni, condizioni economiche diverse, e diverse reti di contatti personali. C'è quindi uno spazio di interpretazione soggettiva relativa a questi oggetti, nella scelta delle forme e dei materiali possibili e anche degli usi possibili, nonostante o a dispetto della normativa.

C'è poi una seconda prospettiva che condenserei nella frase: abbiamo imparato a sorridere con gli occhi. Una frase che sentiamo dire soprattutto al personale medico-sanitario, ma anche nel nostro quotidiano quando ci troviamo in pubblico ad interagire con gli altri. Sta a significare che benché costretti da questo oggetto-agente a non poter accedere all'intera superficie dei volti per poterne leggere le espressioni e benché impossibilitati a comunicare le nostre reazioni/intenzioni con la mimica facciale[18], potremmo essere comunque capaci di andare nei dettagli delle espressioni leggendo/utilizzando la parte "emersa" del nostro sé pubblico, cioè gli occhi e la fronte. La capacità di modulare la comunicazione facciale "nonostante" le mascherine si va definendo nel tempo e denota uno spazio di azione inedito, attivando dettagli e capacità di lettura prima celate nello spazio pubblico nei mondi occidentali o semplicemente inattive. Più significativamente la mascherina innesca un gioco di occultamenti che, al pari del velo, apre nuovi spazi di lettura delle azioni/reazioni. Un aspetto che ci ricollega a quanto già detto riguardo al trucco e all'emergente dibattito in ambito estetico.

IMG 2. https://www.wired.it/gadget/accessori/2020/05/04/10-mascherine-strane-da-ridere/ (consultato maggio 2021)

IMG 3. https://www.keblog.it/mascherine-chirurgiche-decorate-divertenti-jyo-john-mullor/

IMG 4. https://www.facebook.com/413802955484149/photos/d41d8cd9/1450087315189036/ (consultato maggio 2021)

Ma lo spazio dell'agency umana sul potere disciplinante di questo oggetto si esprime anche nell'uso ironico delle mascherine che vediamo sul piano iconografico e comunicativo. Qui si apre un campo di osservazione di notevole interesse, che con i meme ed i social si è espresso in tutto il suo potere (o contropotere) dissacrante rispetto alla norma. Un'ironia che investe gli usi popolari, i post su Facebook, ma anche le scritte sui muri, così come anche il campo dell'arte e del design, dove la mascherina diventa nuova maschera ironica, e critica delle numerose conseguenze e derive prodotte dalla pandemia, ma anche nuovo gioco di mascheramento. La casistica è incredibilmente ampia e per essere colta in tutta la sua forza espressiva e agentiva avrebbe bisogno di un robusto apparato iconografico. Questa va dalle mascherine che riproducono le più svariate espressioni del viso - riso, pianto rabbia - in un gioco di occultamento e di svelamento parodistico (img2; img3), i volti di animali o le scritte ironiche, ai meme ironici sui malintesi prodotti da un nuovo modo di comunicare, sulle relazioni amorose ai tempi delle mascherine (la famosa scritta sul muro "Stai meglio con la mascherina") (img4), interpretazioni parodistiche fotografiche, vere e proprie composizioni spesso popolari, o immagini prese dal quotidiano e circolate via social. In questi usi creativi, popolari, ma anche connessi al mondo dell'arte, la mascherina diventa una forma di comunicazione, un prisma attraverso il quale leggere la nuova era che si sta attraversando e con essa il disagio, la resistenza, il gioco, la critica, non ultimo il tentativo di elaborare ironicamente un lutto (img. 5-6-7) Uno di questi progetti ha visto l'artista e fotografo di origine tedesco-namibiana, Max Siedentopf, lanciare nel febbraio 2020 una campagna di immagini piuttosto provocatorie dal titolo How To Survive A Deadly Global Virus, che ritraevano oggetti di uso quotidiano usati come mascherine, con un effetto decisamente ironico[19], dove soggetti provenienti da diversi paesi e continenti indossavano mascherine realizzate da assorbenti, scarpe da ginnastica, foglie di insalata, reggiseno, vasetti di nutella, mutande, taniche, buste per la spesa e altri svariati oggetti (img. 8-9-10).

IMG 5. https://www.facciabuco.com/post/11534102q2/mascherina-per-fase-quattro-buongiorno-facciabuchi.html (consultato giugno 2021)

IMG 6. https://bonkaday.com/fotodivertenti/immagini-divertenti-al-tempo-del-coronavirus-25-foto/ (consultato maggio 2021)

IMG 7. https://laltravicenza.it/lironia-veneta-lancia-la-moda-dellestate-mascherina-da-prosecco/ (consultato aprile 2021).

IMG 8. https://www.dezeen.com/2020/02/17/alternative-coronavirus-masks-max-siedentopf/ (consultato aprile 2021)

IMG 9. https://www.dezeen.com/2020/02/17/alternative-coronavirus-masks-max-siedentopf/ (consultato aprile 2021)

IMG 10. https://www.dezeen.com/2020/02/17/alternative-coronavirus-masks-max-siedentopf/ (consultato aprile 2021)

Anche il rifiuto della mascherina, al di là delle prese di posizione verbali, rappresenta uno spazio di azione che possiamo vedere espresso in forme ironiche, ma che comunica dissenso nei confronti delle politiche e si colloca a volte entro scenari cosiddetti "complottisti". Anche qui il terreno è ricco di usi agentivi dell'oggetto-mascherina. C'è chi criticamente ha definito la mascherina il dress code per partecipare al Ballo Mascherato del Coronavirus, quindi chiamando in causa il discorso rituale e ancora una volta la maschera, ma questa volta come sinonimo di falsità. È il caso del gruppo bolognese Wu Ming (in cinese "Senza nome")[20]. Sul loro blog GIAP una lunga critica delle mascherine (Al ballo mascherato della viralità. Sull’obbligo di coprirsi la faccia anche quando non serve) è corredata da una serie di interpretazioni grafiche e fotomontaggi ironici di opere letterarie che hanno per protagoniste le mascherine[21] (img 11-12).

IMG 11. https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/04/obbligo-mascherina/ (consultato aprile 2021).

IMG 12. https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/04/obbligo-mascherina/ (consultato aprile 2021).

Infine una conclusione sul rito. Adam Burgess and Mitsutoshi Horii nel loro studio sull'uso delle mascherine in Giappone dopo l'epidemia di SARS [Burgess, Horii 2012] avevano definito come ritualistico un uso delle mascherine che in quella circostanza appariva chiaramente disgiunto dalla reale efficacia di questi dispositivi, ma determinato piuttosto da un bisogno individualistico di canalizzare l'ansia e sentirsi a proprio agio, ed avevano parlato di risk rituals, rituali del rischio riflettendo sulle differenze tra questo comportamento ritualistico e l'agire rituale classico. A differenza del Giappone, dove le mascherine erano state incoraggiate ma non prescritte, nel contesto italiano è intervenuto obbligo ad indossarle che ha impedito la possibilità di una scelta. Per questo motivo non si può forse accostare il loro uso ad un comportamento rituale in quanto le mascherine si collocano attualmente in una zona ancora intermedia tra l'accettazione collettiva e meccanica di una prescrizione e un uso generalizzato che appare investito di una dimensione simbolica connessa all'elaborazione di paure e ad una collettiva percezione di un rischio.

IMG. 13. https://www.giornaledibrescia.it/italia-ed-estero/mascherina-in-pizzo-per-le-spose-all-altare-ai-tempi-del-covid-1.3475155 (consultato aprile 2021).

Una relazione più diretta tra le mascherine ed il rituale la vediamo invece in quei contesti festivi che dopo il primo lockdown hanno avuto il breve tempo per essere riproposti. Non mi riferisco alla semplice presenza di questi dispositivi nei rituali, visto che sono stati imposti dappertutto, ma agli adattamenti che hanno avuto dentro i rituali, proprio in virtù del loro essere diventato accessorio obbligatorio nei contesti pubblici. Ci sono stati infatti casi di matrimoni, di festività locali, di rievocazioni storiche e di altre celebrazioni, religiose e non, che nel breve tempo che hanno avuto per potersi realizzare, hanno visto l'accessorio-mascherina adattato in forme sartoriali alla festa e al rito. E qui il pensiero va alle mascherine personalizzate offerte come dono di nozze dagli sposi[22], a quelle di pizzo che si adattano al vestito della sposa[23] (img13), alle rievocazioni storiche dove le mascherine sartoriali sono state abbinate al costume[24], ma anche alle mascherine-gadget con impresso il marchio del comitato festivo organizzatore della festa[25].

Oltre a questo, c'è un aspetto ancora più interessante ed emblematico della rivincita dell'agency sugli oggetti-agenti, ed è in quei casi in cui la mascherina è diventata simbolicamente essa stessa oggetto di ritualizzazione nell'ambito di un evento festivo. L'ampia casistica che si offre all'osservazione impedisce un'analisi puntuale dei casi, ma solo un avvio di rassegna. Tra questi, ad Acireale ad esempio, in provincia di Catania, la sfilata di carnevale ha visto nel 2020 un gruppo allegorico "rappresentare" una equipe di sanitari abbigliati con tute e mascherine[26]. Qui la mascherina è diventata maschera di carnevale (img14). Ancora più emblematico il caso del Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, dove è stato introdotto un nuovo cerimoniale avente come protagoniste le mascherine[27]. In occasione della festa di Santa Reparata è stata celebrata infatti una cerimonia di consegna di mascherine raffiguranti il giglio di Firenze. In questo ultimo caso fiorentino la mascherina è stata trasformata in oggetto cerimoniale sul quale costruire ritualità, in quanto oggetto da donare pubblicamente (img15-16).

IMG 14. http://www.meteoweb.eu/2020/02/il-coronavirus-e-la-maschera-piu-gettonata-del-carnevale-di-acireale-come-esorcizzare-la-paura-foto/1392842/ (consultato marzo 2021).

IMG 15. https://www.facebook.com/corteoRepubblicafi/photos/pcb.2770550426519675/2770547713186613.

IMG 16. https://www.facebook.com/corteoRepubblicafi/photos/pcb.2770550426519675/2770547713186613.

***

La casistica tra mascherine-agenti, agency, reinterpretazioni e rituali può essere molto ampia e non può essere trattata in modo esaustivo in questo contributo. La multiforme complessità di questo piccolo oggetto all'apparenza semplice impedisce letture univoche, ma al contrario suggerisce più campi di interpretazione che vanno dalla complessa relazione che abbiamo visto esprimersi tra norme e pratiche, o anche dall'agentività degli oggetti nel nostro quotidiano, in questo caso un oggetto pensato per disciplinare e modificare il comportamento umano, agli spazi di azione che abbiamo visto aprirsi intorno a questo potere disciplinante, spazi critici, ironici, ma anche i rituali e i microrituali del quotidiano, non ultimo il campo rituale vero e proprio dove le mascherine hanno trovato una loro collocazione, un posto che ci appare oggi ancora forse sorprendente, ma che solo nel futuro potrà rivelare il suo potere di cambiamento, al di là delle norme d'uso imposte.

In questo contributo ho voluto solo introdurre un campo di ricerca che si è rivelato ben più complesso della sua apparente semplicità. Tuttavia, al di là di una casistica ampia e di una altrettanto ampia possibilità di chiavi di lettura e di ricerca, se vogliamo tentare una prima interpretazione forse possiamo dire che in questo tempo incerto di lotta tra il virus e l'umano le mascherine possono funzionare come dispositivi "inquieti", di elaborazione di un lutto e, per usare concetti demartiniani, di "affermazione di una presenza". Nella prospettiva apocalittica alla quale ci hanno esposti la pandemia e le sue conseguenze socio-politiche, di "perdere il mondo" e di "essere perduti nel mondo" [De Martino 1977, 475], questi piccoli e semplici oggetti di costrizione possono costituire uno spazio da dotare di una valenza simbolica che può rappresentare un argine, un orizzonte rassicurante contro la pandemia, da interpretare, da investire di aspettative, da manipolare in forme anche ironiche. Se dalle mascherine usciremo trasformati o se saremo noi a trasformare loro inglobandole nelle nostre pratiche di vita, nelle nostre soggettività dotandole di senso, lo vedremo nel corso di questo tempo incerto.

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Spooner, J.,1967, History of surgical face masks: the myths, the masks, and the men and women

behind them, in AORN, 5(1): 76–80.

Tomes, N., 2010, Destroyers and teacher: managing the masses during the 1918–1919 influenza pandemic, in «Public Health Reports», 125(3): 48–62.



[1] Le osservazioni introduttive che seguono in questo primo paragrafo si basano su una osservazione "autoetnografica" che sento di definire "spontanea" effettuata intorno al mio luogo di residenza a Roma durante i mesi del primo lockdown del marzo-aprile 2020 e risentono dunque di un certo presentismo e delle vicende contingenti che hanno caratterizzato le esperienze e le vicende legate a questo specifico arco temporale. Più in generale il testo è costruito intorno a modalità di scrittura diversificate che producono nel complesso una forma di restituzione mista, che oscilla tra una scrittura necessariamente "autoetnografica", il confronto con contesti spazio-temporali diversi da quello legato alla pandemia da Covid19, l'analisi di linguaggi e procedure normative (necessaria per comprendere scarti tra norme e pratiche), una rassegna di esempi e casi rinvenuti in rete e una serie di riflessioni tenute insieme dalla chiave di lettura che è esplicitata in questo paragrafo di apertura. Considero questo testo una riflessione introduttiva intorno ad un tema molto articolato, che oltre ad essere in veloce divenire, si offre ad una molteplicità di chiavi di lettura che non potranno avere tutte lo stesso spazio in questo testo.

[2] https://www.affaritaliani.it/costume/coronavirus-fendi-lancia-la-mascherina-chic-l-accessorio-da-190-euro-va-a-ruba-654879.html (consultato dicembre 2020).

[3] https://www.youtube.com/watch?v=JIfu4igRURQ (consultato dicembre 2020).

[4] https://www.huffingtonpost.it/entry/in-svizzera-sara-vietato-il-burqa-nei-luoghi-pubblici-vince-il-si-al-referendum_it_6045087ec5b660a0f38958a7 (consultato marzo 2021).

[5] https://www.spels.it/index.php/der-doctor-schnabel-von-rom-il-dottor-schnabel-di-roma (consultato marzo 2021).

[6] Basta fare una breve ricerca sui principali motori di ricerca per vedere l'attuale diffusione commerciale che ha questa maschera nell'ambito del carnevalesco e dei mascheramenti contemporanei.

[7] [Tomes 2010].

[8] "However, there is currently no evidence that wearing a mask (whether medical or other types) by healthy persons in the wider community setting, including universal community masking, can prevent them from infection with respiratory viruses, including COVID-19. Medical masks should be reserved for health care workers. The use of medical masks in the community may create a false sense of security, with neglect of other essential measures, such as hand hygiene practices and physical distancing, and may lead to touching the face under the masks and under the eyes" (WHO/2019-nCoV/IPC_Masks/2020.3).

[9] "WHO has updated its guidance to advise that to prevent COVID-19 transmission effectively in areas of community transmission, governments should encourage the general public to wear masks in specific situations and settings as part of a comprehensive approach to suppress SARS-CoV-2 transmission" (WHO/2019-nCov/IPC_Masks/2020.4).

[10] G.U. 27.04.2020. Art. 3 "è fatto obbligo sull'intero territorio nazionale di usare protezioni delle vie respiratorie nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile il mantenimento della distanza di sicurezza".

[11] https://www.iss.it/coronavirus/-/asset_publisher/1SRKHcCJJQ7E/content/l-uso-delle-mascherine-nella-vita%25C2%25A0quotidiana-le%25C2%25A0indicazioni-del-dpcm. (consultato marzo 2021).

[12] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/10/25/20A05861/sg (art 1. "Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, è fatto obbligo sull'intero territorio nazionale di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, nonché obbligo di indossarli nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all'aperto a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi").

[13] https://www.gazzettaufficiale.it/ eli/id/2020/10/25/ 20A05861/sg; https://www.gazzettaufficiale.it/ eli/id/2021/03/02/ 21A01331/sg (consultato marzo 2021).

[14] https://www.ansa.it/umbria/notizie/2020/10/10/ a-nortosce-solo-2-abitanti-sempre-con-la- mascherina_bdf69e0b-b67c-411b-b63f-adbe5c90f70b.html (consultato marzo 2021): "Sono solo in due ad abitare a Nortosce, minuscolo borgo della Valnerina umbra, ma alla mascherina anti Covid non rinunciano. Quassù, in mezzo alle montagne, a 867 metri di quota e solitudine, il virus in verità non fa paura ai due residenti fissi: "ma noi la mascherina la mettiamo sempre quando ci incontriamo e restiamo a un metro di distanza", racconta Giovanni Carilli, uno degli uomini, appunto, di questa frazione sperduta di Cerreto di Spoleto raggiunta dall'ANSA".

[15] Come è stato sottolineato per le rievocazioni storiche [Di Pasquale 2017, 34].

[16] https://www.starbene.it/bellezza/viso/ come-truccarsi-sotto-mascherina/ (consultato marzo 2021); https://www.grazia.it/bellezza/make-up/trucco-mascherina-make-up-consigli (consultato marzo 2021)

[17] Advice on the use of masks in the context of COVID-19. Interim guidance. 5 june 2020 (WHO/2019-nCov/IPC_Masks/2020.4, p. 8).

[18] Vedi paragrafo 5.

[19] http://maxsiedentopf.com/how-to-survive-a-deadly-global-virus (consultato novembre 2020).

[20] Si tratta di un gruppo di scrittori nato ad inizio anni 2000 e proveniente dalla sezione bolognese del Luther Blisset Project negli anni Novanta, che lavora con progetti individuali e collettivi, romanzi, readings teatrali, grafica, fumetti e musica.

[21] https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/04/obbligo-mascherina/ (consultato gennaio 2021); https://www.corpiepolitica.it/2020/04/09/al-ballo-mascherato-della-viralita-sullobbligo-di-coprirsi-la-faccia-anche-quando-non-serve/ (consultato novembre 2020).

[22] Per es. https://www.articolipromozionali.eu/nuovo_promozionale.asp?id=394 (consultato marzo 2021);

[23] https://www.giornaledibrescia.it/italia-ed-estero/mascherina-in-pizzo-per-le-spose-all-altare-ai-tempi-del-covid-1.3475155; oppure https://www.pinterest.it/pin/526358275205526420/ (consultato marzo 2021)

[24] https://www.ilrestodelcarlino.it/macerata/ cronaca/palio-ai-tempi-del- covid-dame-in-mascherina-1.5433556 (consultato marzo 2021).

[25] Qui il mio pensiero va ad esempio alle mascherine con il logo del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa che ho visto nel settembre 2020 a Viterbo in occasione dei pochi momenti rituali ammessi in questa festività dedicata alla patrona viterbese.

[26] http://www.meteoweb.eu/2020/02/il-coronavirus-e-la-maschera-piu-gettonata-del-carnevale-di-acireale-come-esorcizzare-la-paura-foto/1392842/ (consultato marzo 2021).

[27] https://www.facebook.com/corteoRepubblicafi/photos/pcb.2770550426519675/2770547713186613/ (consultato dicembre 2020).