Editoriale n. 2 - 2020

Eugenio Zito

Università di Napoli Federico II

Alberto Baldi

Università di Napoli Federico II

Si chiude il 2020, un anno complesso e difficile per tutti gli accadimenti connessi alla pandemia di Covid-19 che, tra le altre cose, ha avuto un grande impatto anche, specificamente, sulle pratiche di ricerca degli antropologi.

Il numero 2 2020 della rivista EtnoAntropologia, ultimo dell’anno, che ci accingiamo a presentare, ospita una sezione monografica curata da Laura Bonato e composta da un’introduzione e tre contributi dedicati al tema delle Alpi italiane. Il numero include anche quattro ulteriori articoli di ricerca nell’area miscellanea insieme a due recensioni. Di essi si riportano di seguito brevi cenni rimandando alla loro lettura.

1. Antropologia in quota

La sezione monografica “Antropologia in quota”, introdotta dalla curatrice Laura Bonato, costituisce un’occasione di riflessione antropologica sulle Alpi, un’area culturale e geografica strategica, sempre più, nel tempo, delineatasi come una “macro-regione” caratterizzata da un complesso intreccio di elementi culturali, sociali, economici e politici e attraversata negli ultimi decenni da rilevanti mutamenti demografici fino alle recentissime trasformazioni connesse alla pandemia di Covid-19.

Tre sono gli studiosi italiani – Nicola Martellozzo, Pier Paolo Viazzo e Roberta Clara Zanini – che, coordinati da Laura Bonato, offrono contributi variegati, insieme a quello della stessa curatrice, tutti dedicati a un’esplorazione antropologica delle aree alpine italiane. Gli specifici temi proposti spaziano da un’analisi di ritualità d’alta quota, tra politiche culturali, turismo e sostenibilità, analizzando l’istituto festivo in ambito alpino, per delineare in prospettiva antropologica le forme che assume la vita comunitaria e le dinamiche relazionali, materiali e culturali, insieme alle strategie che stanno ridisegnando le Alpi anche in direzione turistica (Laura Bonato), a un confronto tra regimi del patrimonio forestale in Val di Fiemme, considerando che oggi la gestione forestale congiunta e il turismo alpino stanno dando forma a un nuovo regime del patrimonio, basato su sostenibilità e valorizzazione delle foreste (Nicola Martellozzo). Le riflessioni proposte in questa sezione monografica includono un’attenta valutazione antropologica dei cambiamenti demografici, sociali e climatici vissuti dalle Alpi italiane nell’ultimo ventennio, ma anche con riferimento alle complesse trattative sul loro futuro che coinvolgono abitanti locali, vecchi e nuovi, e attori esterni, considerando sia la svolta epistemologica dell’Antropocene con l’aggiunta di nuove dimensioni ai processi di negoziazione, sia la pandemia di Covid-19, che, pur acuendo i divari preesistenti, sta riportando l’attenzione sui bisogni sociali e assistenziali delle aree marginali (Roberta Clara Zannini e Pier Paolo Viazzo).

2. Miscellanea e recensioni

Nella miscellanea trovano posto quattro saggi.

Nel primo Domenico Copertino propone un’interpretazione politico-antropologica dell’attivismo islamico, per analizzare in modo più complesso le interazioni dinamiche tra i movimenti islamisti e la da‘wa in Medio Oriente e Nord Africa, con particolare riferimento al contesto della Tunisia. Vengono discussi i concetti di pluralismo, moderazione, democrazia, governamentalità e in prospettiva interpretativa i “concetti lontani” dell’analisi politico-antropologica sono affrontati in relazione ai “concetti vicini” all’esperienza degli attori sociali coinvolti nel processo rivoluzionario, a partire da una ricerca sul campo condotta in Tunisia tra il 2012 e il 2015. Viene riletto il concetto analitico di democrazia in relazione agli strumenti ideologici e pratici dei protagonisti della rivoluzione tunisina. Le sottocategorie incluse nell’ampio concetto di democrazia e vicine all’esperienza degli attori sociali includono i concetti di libertà, dignità, giustizia sociale, stato di diritto, analizzati in riferimento sia alla loro formulazione esplicita, sia ai significati impliciti che vengono loro attribuiti da individui e gruppi coinvolti nel processo rivoluzionario. L’autore interpreta la rilettura islamica di questi concetti, compiuta dal pubblico tunisino dopo la rivoluzione del 2011, come parte di un discorso autorizzante sulla “specificità tunisina”, il cui obiettivo è di legittimare l’impegno sociale e politico in nome dell’Islam. Tale discorso si basa sulle interpretazioni locali delle pratiche islamiche, sul lavoro dei pensatori islamici moderni e classici e sui ragionamenti locali relativi a democrazia e diritti umani.

Nel secondo saggio Annalisa Di Nuzzo esplora il rapporto tra la nuova letteratura sulle migrazioni e l’antropologia riflessiva, muovendo dalla considerazione che la relazione tra letteratura e antropologia diventa sempre più significativa, fornendo utili chiavi di lettura per l’etnografia transculturale. La letteratura migratoria in italiano è indagata attraverso scrittori migranti di prima e seconda generazione, tanto da definire una letteratura italiana postcoloniale. Genere, etnia e migrazione si configurano così come le chiavi di volta delle nuove soggettività plurali e transculturali dell’Italia postmoderna, con uno sguardo attento alle scritture di donne migranti. Il linguaggio poetico diviene uno spazio privilegiato che assume su se stesso il valore di quella thick description dell’antropologia interpretativa geertziana. In questa prospettiva alla produzione letteraria, e in particolare alla poesia, si attribuisce la capacità di cogliere con immediatezza e attenzione ai dettagli il mondo originario cui si riferisce, diventando una “fonte calda” per un’interpretazione delle culture e dunque strumento conoscitivo imprescindibile di cui l’analisi antropologica può fare uso proficuo. Infatti la poesia, che è intuizione e rivelazione, nutre come l’antropologia, che aspira a descrivere e dimostrare, uno specifico interesse per il particolare, realistico e simbolico ed entrambe, costituendo modelli di relazioni e interconnessioni, approdano alla rappresentazione dell’universale. Infine l’autrice evidenzia quanto i testi poetici e letterari presentino, per la letteratura dell’erranza, con il loro peculiare “punto di vista”, una consistente base etnografica con ricche rappresentazioni di modelli culturali, descrizioni di comunità, luoghi simbolici o reali che forniscono preziosi materiali da esaminare.

Nel terzo saggio Maryna Hrymych, Leading Expert del National Center of Folk Culture “Ivan Honchar Museum” di Kiev in Ucraina, tracciando la storia degli Ukrainian Folk Studies nel corso dei secoli XX e XXI, mostra il dato di molteplici cambiamenti nella denominazione di questo ambito scientifico: da etnografia, ad etnologia e infine ad antropologia. Tale passaggio è stato determinato da profonde crisi negli studi umanistici e da relative trasformazioni accademiche in connessione con la fine del dominio sovietico e la successiva apertura al mondo occidentale. La transizione dal termine “etnografo” a quello di “etnologo” avviene in Ucraina negli anni Novanta del Novecento e segna una rottura con la metodologia scientifica sovietica. La crisi dell’etnologia ucraina negli anni 2010 conduce poi alla nascita di una nuova disciplina scientifica: l’antropologia. Entrambi gli eventi assumono la forma di una “rivoluzione silenziosa” e ciò può essere spiegato anche con la mancanza di un’adeguata formazione professionale per questa tipologia di studiosi: in epoca sovietica, né etnografi né etnologi sono formati in Ucraina e ad oggi non esiste una specializzazione in antropologia nel percorso formativo in questo Paese. Per tale motivo i nuovi specialisti sono emersi grazie all’autoformazione e alla riqualificazione da altri campi scientifici, il che ha però condotto anche, in questo ambito, a un certo eclettismo della metodologia di ricerca in Ucraina.

Nel quarto saggio Gianfranca Ranisio sviluppa alcune interessanti riflessioni in merito al Festival di Sanremo quale complesso evento di massa che coinvolge una pluralità di fattori e piani socio-economici, culturali e territoriali, tali da richiedere necessariamente una prospettiva di analisi multidisciplinare. Muovendosi tuttavia in una precisa prospettiva antropologica l’autrice evidenzia che l’evento ha dimostrato la sua vitalità attraverso varie tappe, avendo compiuto settant’anni nel 2020 ed essendo stato nel frattempo oggetto di significative trasformazioni. Nel saggio ci si sofferma non tanto sugli aspetti musicali e di costume, quanto sulle valenze storico-culturali e in particolare sul modo in cui gli eventi e le vicende del Festival si sono intrecciati con le rappresentazioni non solo della nazione, ma anche della città di Sanremo, attraverso l’uso e il riuso degli spazi urbani, sottolineando come intorno a questo evento si sia creato un peculiare “senso del luogo”, divenendone nel tempo parte costitutiva. D’altro canto l’apparato festivo è stato oggetto privilegiato della letteratura antropologica sia che si studiassero i grandi rituali collettivi, nelle loro dimensioni religiose o laiche, sia i grandi eventi della contemporaneità. Lo spettacolo, considerato per lo più come un ingrediente e allo stesso tempo un effetto del festivo, ha avuto meno attenzione rispetto ad altre dimensioni del rituale, eppure l’autrice ci ricorda quanto esso si riveli un elemento utile per ripensare le origini dell’efficacia del rituale stesso e l’azione del potere nelle cerimonie pubbliche. Vengono inoltre individuati spazio e tempo come le categorie fondamentali per analizzare questa tipologia di eventi, dal momento che proprio la prospettiva spazio-temporale rivela un’attenzione congiunta a micro- e macro-fenomeni e colloca le dinamiche osservate in uno scenario culturale.

Chiudono infine questo numero due recensioni.

La prima, firmata da Tamara Mykhaylyak, fa riferimento all’interessante libro di Eugenio Imbriani dal titolo Breve storia del Natale. Una strana festa raccontata da un antropologo edito nel 2020 da Edizioni Grifo (Palermo). Si tratta di un’originale riflessione antropologica sul tema del Natale e sui molteplici complessi interrogativi che avvolgono questa festività a cui l’autore, prendendo in considerazione le disparate controverse che nei secoli si sono sviluppate intorno ai suoi rituali, cristiani e pagani, prova a dare risposta. Infatti, nel volume si evidenzia come la maggior parte delle nozioni sull’evento della nascita di Gesù, più che dai Vangeli canonici, provenga da un ampio numero di fonti che si sono mano a mano ampliate nel corso del tempo, per completare e integrare le ridotte informazioni derivate dagli evangelisti. Il nostro attuale Natale è dunque il risultato di questa eredità ricca e densa, modificatasi nel tempo e arricchitasi via via, sempre più, di temi ed elementi nuovi quali, per esempio, il trionfo della luce, la collocazione calendariale della natività, le celebrazioni pagane, idee diverse sullo scorrere del tempo, il viaggio dei magi, la Befana, Babbo Natale, l’albero dei doni e tante altre ancora. L’interessante esplorazione antropologica proposta su questa festività così importante e nota percorre vie originali, non sempre conosciute, restituendo così, ai lettori, alcuni dei motivi di fascino e seduzione che ancora oggi il Natale esercita sull’immaginario collettivo in una grande parte del mondo.

La seconda recensione, firmata da Eugenio Zito, è relativa al corposo volume di Roberta Raffaetà dal titolo Antropologia dei microbi. Come la metagenomica sta riconfigurando l’umano e la salute, edito nel 2020 da CISU (Roma). Questo stimolante libro esplora in modo originale come gli scienziati analizzano il mondo microbico tra biologia, medicina e informatica, attraverso avanzate tecnologie di sequenziamento, big data e sistemi di intelligenza artificiale che solo da poco più di dieci anni hanno consentito uno studio di esso, delle comunità microbiche coabitanti dentro e attorno agli esseri umani e componenti il “microbioma”, fondamentale per la salute di uomini e ambiente. Come l’autrice ci mostra, conducendo il lettore in un territorio di frontiera, affascinante, ma anche difficile da esplorare nella sua complessità, i microbi, entità estremamente più resilienti ed essenziali alla vita rispetto agli esseri umani, ci insegnano che, al di là di ogni antropocentrismo, umani, microbi stessi e non umani sono tutti interdipendenti. D’altro canto le pratiche di ricerca degli scienziati avvengono nella dialettica tra una “visione molecolare” – legata alla mappatura del genoma microbico – e una visione “ecosistemica”, dato che i microbi sono interdipendenti con l’ambiente e le sue dinamiche biosociali e culturali. In questo processo, biologia, medicina, informatica e antropologia si riconfigurano nel loro incontro. Ciò porta a riconsiderare cosa significhi essere umani e il relativo ruolo in un mondo che esiste grazie, soprattutto, ai microbi. L’autrice pone così le basi per un’antropologia che si occupa dei microbi non solo nella prospettiva del complesso e ben noto rapporto natura/cultura, ma anche come occasione di confronto, e quindi di integrazione, tra sapere scientifico biotecnologico e sapere antropologico, senza contrapposizioni tra i due.