Recensione

Il dolore illegittimo. Un’etnografia della sindrome fibromialgica

Gianfranca Ranisio

Dipartimento di Scienze Sociali, Università degli Studi di Napoli, Federico II

Chiara Moretti, Il dolore illegittimo. Un’etnografia della sindrome fibromialgica, Edizioni ETS, Pisa 2019, pp. 375. ISBN 978-884675515-5.

La sindrome fibromialgica è una patologia di rilevante attualità, la quale non ha ancora un chiaro status medico ed è oggetto di controversie tra coloro che danno credito al sintomo e coloro che riconducono queste manifestazioni all’isteria, sovrapponendo sfera organica e sfera psicologica. Si tratta di una patologia cronica dolorosa, non causata da un danno organico dei tessuti, per la quale la medicina non ha trovato una spiegazione scientifica univoca; per questo, pur essendo stata diagnosticata come patologia, manca di un riconoscimento ufficiale ed è pertanto ancora una patologia sfuggente per le diagnosi, ma non per i pazienti che invece ne sperimentano gli effetti nel quotidiano e ne sono condizionati dovendo modificare il loro modo di vivere.

Su questa tematica Chiara Moretti ha fornito un utile contributo all’antropologia medica, affrontando con rigore scientifico, ma anche con passione, che diventa empatia, la condizione di coloro che con la loro sofferenza testimoniano l’esistenza di questa patologia.

Come scrive Le Breton nella prefazione, questa patologia è un enigma per i medici, una tragedia per i pazienti e «al contempo ci mostra come questo intreccio di corpo e significato abbia in realtà un codice di decrittazione difficile da scoprire». Chiama in causa infatti i linguaggi del corpo o meglio il modo in cui le percezioni della sofferenza si esprimono nel corpo e attraverso il corpo.

In questo testo Chiara Moretti confrontandosi con un’ampia letteratura internazionale, sia di antropologia medica che clinica, esplora il mondo del dolore cronico e ne considera le molteplici dimensioni che riguardano l’indicibile e l’inafferrabile, poiché ci si trova di fronte a una sofferenza che non si inserisce all’interno di un paradigma precostituito. L’antropologa presenta i risultati di una ricerca durata più anni, dall’ottobre 2013 al marzo 2018, condotta con gli strumenti propri della metodologia antropologica in contesti sanitari pubblici, durante la quale ha avuto modo, sia pure con modalità differenti, di assistere alle consultazioni cliniche, di intervistare gli operatori sanitari e i pazienti, di raccogliere storie di malattia.

La ricerca si è articolata in due fasi, nella I fase (2013-14) l’osservazione è stata svolta sia presso un ambulatorio medico dedicato al trattamento del dolore in un ospedale pubblico francese, che presso un analogo centro di terapia del dolore nell’Italia centromeridionale. In questa fase, pertanto, l’antropologa ha iniziato con l’occuparsi di terapia del dolore affrontando il dolore cronico nella sua complessità, a partire dal significato complesso che esso assume nella percezione del soggetto e dal senso che la realtà gli assegna, nella convinzione che il dolore in questo caso non è un sintomo, ma è esso stesso la malattia. Da questo ne consegue che la prospettiva da cui l’autrice analizza il significato profondo del dolore tiene conto dei molteplici elementi attorno ai quali si costituisce questa esperienza nei soggetti considerati.

La seconda fase della ricerca - dal novembre 2014 all’aprile 2016 - è stata svolta più specificamente presso un centro di diagnosi e trattamento della fibromialgia all’interno di un ospedale pubblico dell’Italia centrale. In questa seconda fase il focus è stato concentrato su questa patologia, come sindrome del dolore cronico e questo ha permesso di analizzare quali siano i riferimenti clinici e culturali dei medici in relazione alla diagnosi, con particolare riferimento al modo in cui si è costituita l’interpretazione dominante che tende a considerare la sindrome come prettamente femminile. Infatti spesso i dati fisiologici sono interpretati facendo riferimento al sistema ormonale femminile e a una maggiore vulnerabilità al dolore, che sarebbe propria delle donne, introducendo perciò non solo approcci psicologici ma anche una certa stereotipizzazione nell’interpretazione dei comportamenti femminili.

Il libro si può suddividere in tre parti, nella prima l’autrice sviluppa una ampia problematizzazione dei significati del dolore cronico considerando le modalità attraverso le quali esso è emerso come malattia e non più solo come sintomo, quindi analizza come questo sia entrato e abbia trovato legittimità nella medicina contemporanea.

La seconda parte è poi incentrata sulla costruzione di questa sindrome e sui tentativi di classificazione operati dalla medicina, per renderla una categoria nosologica, per la quale sviluppare la diagnosi e successivamente individuare una terapia personalizzata. È interessante il modo in cui è ricostruito il processo di individuazione della malattia, facendo riferimento ai fattori psicologici, psichiatrici e comportamentali, attraverso i quali se ne identificano i meccanismi. Un’ampia riflessione è dedicata ad analizzare come questa sindrome sia stata costruita quale sindrome femminile e come su questo abbiano inciso stereotipi di genere. Partendo da questi presupposti, Chiara Moretti affronta il tema in un’ottica di genere, ponendo in evidenza come su questa sindrome le poche certezze della medicina sono che colpisce le donne e quindi su di esse sono proiettati stereotipi di genere, di cui la stessa definizione biomedica è permeata. Di fronte a tale tendenza, l’approccio di Chiara Moretti è critico, poiché invita a non proporre categorie generalizzanti, ma a concentrarsi sull’esperienza dei pazienti, sulla loro storia della malattia, sul loro vissuto, per poi concludere: «Affermare che la fibromialgia sia una sindrome femminile per via delle caratteristiche di genere equivale a proporre un concetto generalizzante e privo di significato».

Il libro si chiude con la storia di Marzia, una donna affetta da fibromialgia da più di cinque anni. L’approccio narrativo di questa sezione lascia ampio spazio alla soggettività femminile. Infatti le vicende di Marzia pongono in evidenza come la malattia rimodelli l’esperienza e la stessa quotidianità, stabilisca dei limiti alle relazioni con gli altri e con l’ambiente circostante. Questa storia, come le altre testimonianze presenti nel testo, induce a riflettere sulle esperienze e sul modo in cui queste vengono rielaborate; pertanto è particolarmente utile l’inserimento delle narrazioni e dei racconti di malattia, che diventano componenti essenziali del testo etnografico. In questo modo Chiara Marchetti fa emergere attraverso le voci dei soggetti le specifiche problematiche, i comportamenti legati al manifestarsi del dolore nelle sue varie forme, il modo in cui modalità individuali, pratiche biomediche, discorsi istituzionali intessono il vissuto dei soggetti interessati intrecciandosi tra loro con modalità non sempre chiare, a volte contraddittorie, producendo anche nuove tensioni.