Etnologia ucraina

Il tema della tradizione tra passato e presente

Tamara Mykhaylyak

Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Scienze Sociali

Abstract. This section seeks to highlight the path of ethnological disciplines in Ukraine after the collapse of the USSR. Following the gaining of independence, Ukrainian ethnology freed itself from the old hierarchies and began to explore new fields of research, while never abandoning the ancient and endowing theme linked to its popular traditions. The investigations in the field of material and immaterial culture still remain the basic pillar of ethnology in this country, although somewhat characterised by a broader examination of the concept of tradition viewed in its various dynamic aspects according to contemporaneity and change. The monographic section, introduced in this article, will mainly focus on the precious contributions of several Ukrainian scientists to traditions, not only from a strictly ethnographic and material viewpoint, but also on a symbolic level in relation to the past and present times.

Keywords: Ethnology, Ukraine, material culture, anthropology.

«Gli ideali e le pratiche culturali,

quando siano assimilati e messi in opera,

influenzano o condizionano effettivamente

il corso dello sviluppo umano” [Bidney 1970, 260]

In epoca sovietica le scienze erano ineluttabilmente ingabbiate dal regime, piegate ai suoi fini. Per gli studi etnografici e folklorici sviluppare teorie sulle diversità culturali oppure toccare le questioni inerenti le identità nazionali era semplicemente pericoloso e poteva avere duri risvolti sulla carriera dei ricercatori che avessero deciso di affrontare simili tematiche. Specialmente negli anni del terrore staliniano, come ricordato dall’antropologa ucraina Maryna Hrymych[1], non era nemmeno pensabile prefissare piani complessi e ambiziosi di ricerca: l’esigenza primaria per le discipline etnodemologiche era cercare di sopravvivere osservando alla lettera i dettami del partito comunista, che si serviva di tali discipline per plasmare l’identità del popolo sovietico. Nello stesso periodo in Europa e negli Stati Uniti, come è noto, la situazione si configurava in maniera ben diversa: antropologia ed etnologia, dalla scuola di Manchester ai dinamisti francesi e oltre rinnovano l’oggetto delle loro indagini attribuendo alla prospettiva del cambiamento un ruolo centrale. Si determina inoltre una progressiva “articolazione della ricerca antropologica in settori specialistici” [Signorelli 2007, 207]. In tempi ancor più recenti si sviluppa per esempio il settore dei gender studies incentrato sull’analisi delle differenze tra sesso e genere; nasce l’antropologia medica, che affronta la concezione della salute e della malattia; si diffonde l’antropologia urbana, che studia le città e la loro complessità. Si tratta di percorsi scientifici del tutto impraticabili nell’URSS e nei paesi sotto il suo controllo; gli studiosi sovietici vivevano in un clima di isolamento e i contatti con la comunità scientifica occidentale e internazionale erano occasionali e limitati. Il principale oggetto di studio delle ricerche etnografiche nell’Unione sovietica era la moltitudine dei popoli che lì abitavano. La maggioranza delle indagini privilegiava un taglio prudentemente descrittivo e si raccoglievano, di conseguenza, informazioni sulle peculiarità linguistiche, sull’alimentazione, sulle tipologie abitative, sull’abbigliamento tradizionale. Si trattava in qualche modo di un’antropologia votata a uno studio “censimentario” delle culture in una prospettiva per così dire “passatista”.

Il termine antropologia, inteso come antropologia culturale, non veniva neanche utilizzato nel periodo sovietico perché, per ragioni eminentemente ideologico-politiche, l’antropologia era considerata come la scienza dei borghesi, dunque i peggiori nemici del popolo sovietico. In tutte le repubbliche dell’Unione Sovietica gli specialisti che studiavano le culture delle popolazioni locali venivano chiamati etnografi, mentre il termine etnologo, indicava un titolo “gerarchicamente” più elevato. Gli etnologi, sempre secondo Hrymych, erano considerati come ricercatori privilegiati a cui era dato di lavorare nei centri di ricerca più centrali e prestigiosi presenti a Mosca e Leningrado. Qui si forgiavano, per così dire, nuove idee e teorie, ma anche in questi poli scientifici più avanzati argomenti relativi ai concetti di etnia e identità nazionali e regionali, ai processi di acculturazione e mutamento venivano maneggiati con molta circospezione. Le discipline antropologiche, in buona sostanza, sia in centri, si direbbe oggi, di “eccellenza”, sia in contesti più modesti e circoscritti, si muovevano nei perimetri di un descrittivismo che privilegiava lo studio della cultura materiale.

Una situazione pressoché similare si riscontrava anche in Ucraina. Tutto questo fino al crollo dell’impero sovietico, quando per l’etnologia ucraina (non più etnografia) inizia un nuovo periodo. I ricercatori hanno alfine la possibilità di condurre le loro indagini cercando di lasciarsi alle spalle i vecchi condizionamenti ideologici. Non è comunque un processo immediato ma graduale dove le scienze etnologiche ucraine si strutturano e caratterizzano cercando una qualche forma di equilibrio e di relazione tra il lascito sovietico e l’influenza delle teorie europee [Savčuk 2004, 17]. Nelle maggiori città come Kiev, Leopoli, Odessa, Černivci, in prevalenza presso dipartimenti di discipline storiche, vengono istituite nuove cattedre di etnologia e si fondano vari periodici per accogliere un numero sempre più crescente di saggi e ricerche.

All’etnologia ucraina e agli studi inerenti la cultura materiale e le tradizioni quale cerniera tra passato e presente disciplinare è specificamente dedicata la sezione monografica di questo numero di EtnoAntropologia. Gli autori, i cui saggi la rivista ha accolto, fanno parte dell’Istituto di Etnologia con sede a Leopoli, uno dei più grandi centri di ricerca etnoantropologica nel paese ove marcato è un interesse di natura folklorica. Questa scelta è dovuta al fatto che in Ucraina il settore degli studi demologici e delle ricerche nell’ambito degli usi e costumi locali rimane tutt’ora, come detto, il pilastro fondamentale dell’etnologia.

Sappiamo come in epoca sovietica le relazioni con la “tradizione” fossero ambigue e prettamente funzionali, tradizione da un lato evocata quale utile mezzo di valorizzazione strumentale e di cementazione di un consenso di realtà sociali e identità locali e dall’altro quale tradizione sovraregionale, artatamente promossa a livello di sedicente, artificiosa e omnicomprensiva espressione di un coagulante folklore nazionale.

La persistenza, ancora oggi, di un preminente interesse per la dimensione tradizionale, per le multiformi e indubbiamente assai pregevoli espressioni di manifatture antiche, di consuetudini plurisecolari risponde ad altre e più moderne istanze. Esiste certamente l’intenzione di preservare tale ricca pregevolezza in un’ottica conservativa e museografica ma agisce in parallelo il desiderio di tutelarne la persistenza, di garantirne un futuro, di valutarne i possibili sviluppi, i mutamenti, gli aggiornamenti, l’adeguamento ai gusti odierni, alle esigenze di mercati e fruitori contemporanei. Cultura materiale sì, quale manifestazione di un’identità dalle profonde radici in grado però di stare nella modernità cogliendone le opportunità e da essa traendo nuova linfa. D’altronde, come ricorda Berardino Palumbo, le indagini sul patrimonio storico-artistico, etno-antropologico o gastronomico «spesso, anche se non necessariamente, legati al passato, non contribuiscono, forse, a fissare specifiche emozioni e, dunque, precisi livelli d’appartenenza?» [Palumbo 2006, 23].

Proprio il desiderio di ricercare e ribadire questo senso di appartenenza, ha stimolato molti studiosi a rimanere ancora, pur nell’ambito delle citate nuove prospettive e con nuovi metodi e strumenti analitici, euristici ed espositivi, sulla stessa strada dei padri fondatori dell’etnografia ucraina[2], di non cambiare l’oggetto delle loro ricerche, cercando di ridefinire e meglio dettagliare una mappa aggiornata dei beni culturali del paese. In virtù di questo approccio l’etnologo Stepan Pavljuk, in occasione del venticinquesimo anniversario dell’Istituto di Etnologia, scriveva: «solo ora, ai tempi dello stato ucraino, per gli studiosi contemporanei è diventato possibile in modo sincero, onesto e con senso di responsabilità civile, mettere in luce le ricche tradizioni degli ucraini» [Pavljuk 2017, 503].

Quando il 24 agosto del 1991 fu proclamata l’indipendenza, il paese ebbe bisogno di ricostruire la propria identità nazionale, schiacciata per lunghi decenni dal regime comunista. Anche gli etnologi, gli storici e i museologi, nonostante i pochi mezzi a disposizione[3], diedero un significativo contributo a questa ricostruzione. Basti pensare che nel primo decennio dell’indipendenza sul territorio nazionale furono inaugurati numerosi musei storico-etnografici, tra cui il Museo storico e dell’etnografia locale di Bortnyky nella regione di Ivano-Frankivs'k, che custodisce ricche collezioni di manufatti di origine contadina, il Museo di Ivan Hončar, importante centro nazionale della cultura popolare a Kiev, il Museo etnografico Chata-Gražda (in ucraino Хата-Ґражда) creato nel villaggio Kryvorivnja all’interno di una casa tradizionale dove viveva una famiglia degli Hutsuly[4], il Centro dell’arte popolare Petrykivka (in ucraino Петриківка) vicino Dnipropetrovs'k, un museo-laboratorio dove vengono custodite e tramandate le tecniche di pittura tradizionale di quello specifico luogo. Codeste siti espositivi furono inaugurati uno dopo l’altro, rispettivamente nel 1992, nel 1993, nel 1994 e nel 1998 a testimonianza del rinato fervore per le tradizioni.

A giudicare dai contenuti di queste e molte altre strutture, aperte in tempi ancor più recenti, la cultura contadina e l’arte popolare rimangono i temi preferiti per molti etnologi. Questa tendenza si riverbera e si ribadisce nel saggio di Olena Fedorchuk, che indaga le tradizioni artistiche etniche, che secondo l’autrice possono evolversi non solo in base a mutamenti culturali, ambientali o sociali, ma anche in virtù di fattori individuali e psicologici. La nascita, ad esempio, di nuove forme di arte popolare può dipendere dal livello di “passionalità”, inteso quale energia creativa e ricreativa innescata da periodi contraddistinti da agitazioni (politiche, culturali o economiche) in seno a un tessuto sociale in cui si determinano attriti e conflitti. Si tratterebbe, a nostro modo di vedere, di una sorta di “nevrosi culturale” come quando, nei secoli passati, la popolazione ucraina in assenza di libertà e di uno stato nazionale, per ritrovare un proprio senso dell’appartenenza, “correva ai ripari” attivando meccanismi di rifondazione spirituali e culturali. In particolare, Fedorchuk segnala come tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo nacquero in Ucraina almeno tre nuove tradizioni artistiche, tra queste la decorazione dei costumi tradizionali con perline colorate. Tali ornamenti, non solo abbellivano ed impreziosivano vestiari, ma avevano una moltitudine di simboli che definivano i caratteri e le appartenenze di chi li indossava. Di questo specifico campo di studi l’autrice è considerata una delle maggiori esperte nazionali [Fedorchuk, 2007].

L’Ucraina ha dunque nell’abbigliamento popolare una significativa e antica tradizione a cui corrisponde un altrettanto consolidato filone di ricerca ad essa dedicato che ha saputo registrare le persistenze stilistiche e decorative di questa manifattura unitamente a cambiamenti e innovazioni determinatisi nel tempo. Ne sono recente testimonianza, ad esempio, Ukraïns’kyj strij (Vestiario ucraino) [Bilan, Stel’maščuk 2011] e Narodni škirjani vyroby ukraïnciv (Tradizionali indumenti in pellame degli ucraini) [Horyn’, 2016], due ricchi volumi illustrati i cui autori hanno ricostruito la storia, le tipologie e le modalità di realizzazione dell’abbigliamento tradizionale, nonché degli accessori che lo impreziosiscono nelle varie parti del paese. Gli abiti costituiscono un «simbolo sociale» - ricorda Cirese - «chiunque se ne sia occupato sa molto bene che i famosi costumi ʻpopolariʼ (e intendo proprio quelli dei ceti popolari), più che con la romantica ʻanima del popoloʼ, hanno a che fare con precise norme scritte e non scritte» [Cirese 1968-1971, 86]. Le ricerche sul vestiario non sono in tal senso circoscritte ad un’analisi formale ma ne valutano la funzione sociale e simbolica anche in una prospettiva di genere. Sulle differenze tra i costumi tradizionali degli uomini e quelli delle donne si sofferma Tetiana Kutsyr, mettendo in risalto e nel dettaglio le specifiche significazioni degli abiti indossati durante i riti di passaggio e nella vita quotidiana. Come ricorda l’autrice, rispetto a quanto sovente accade nella maggior parte dei paesi occidentali, dove l’uso degli abiti tradizionali è stato pressoché abbandonato, in Ucraina, invece, persiste fino a godere di un rinnovato interesse. Su tutti l’esempio della camicia tipica ricamata (vyšyvanka) tornata di gran moda e sfoggiata in occasioni importanti, anche in relazione alle sue presunte funzioni augurali e apotropaiche [www.lvivpost.net].

Su altri oggetti che hanno funzioni simili indaga Oksana Triska. La sua attenzione va alla tradizione di esporre icone nelle abitazioni ucraine. Quest’antica usanza risale al periodo di Rus´ di Kiev, dunque al IX - XIII secolo. La maggior parte delle immagini sacre erano dipinte su tavole di legno di varie misure e, successivamente, anche su vetro. Come ricordava F. Vovk, grande studioso della cultura materiale ucraina, che durante numerose spedizioni ebbe modo di visitare molte abitazioni in varie zone del paese, in ogni dimora non mancava mai uno spazio destinato ad accogliere le icone domestiche associate a una mensola dove venivano conservate bottiglie d’acqua benedetta, portafortuna, medicinali e candele rituali che si accendevano durante i temporali o in caso di morte di un familiare [Vovk 1985, 113-114]. Nel passato, ma anche al giorno d’oggi, le icone domestiche, parte sostanziale di più articolati altarini casalinghi, rappresentano al contempo espressione della vocazione artistica e spirituale del popolo ucraino.

Un altro importante settore dell’arte tradizionale ucraina è legato alla lavorazione del legno, materia prima di cui la parte occidentale del paese possiede ingenti risorse. Il contributo di Oleh Bolyuk ha come oggetto di studio le creazioni in legno realizzate per scopi domestici, cerimoniali e religiosi dagli artigiani di Bojkivščina, regione storica dei Carpazi. In una prospettiva innanzitutto diacronica l’autore presta attenzione ai gusti estetici e artistici della popolazione di Bojki paragonandoli con quelli degli Lemki e Hutsuly. Le fotografie incluse nell’articolo sono state tutte eseguite da Bolyuk durante le sue permanenze sul campo e fanno parte di un ampio archivio personale. L’indagine sulla scultura lignea non si limita alla realizzazione di documentazioni iconografiche quale indispensabile supporto a ricerche su categorie di oggetti a forte vocazione estetica e visiva, ma anche alla conservazione di tali manufatti. In questa sede vale la pena di ricordare che a Sambir, una cittadina situata a circa settanta chilometri da Leopoli esiste un museo che ospita una ricca collezione etnografica dedicata alla cultura contadina dei Bojki, dove sono presenti anche numerosi arredi in legno [Dančyn, 2005-2012].

Altra tradizione ucraina molto antica è quella della ceramica a cui Halyna Ivashkiv ha dedicato lunghi anni di studio e un suo saggio è ospitato anch’esso nella presente sezione monografica. Il tema trattato riguarda gli utensili rituali. Già nel passato la studiosa si era soffermata con dovizia di particolari sui decori della ceramica popolare analizzando le principali tecniche impiegate per la realizzazione degli ornamenti e i motivi iconografici dei disegni [Ivashkiv, 2007]. In questa sede vengono esaminate le simbologie e le funzioni dei tipici tripli candelabri in ceramica e del vasellame in terracotta impiegati soprattutto in occasione delle maggiori festività religiose a cominciare dal Natale e dalla Pasqua. Questi particolari utensili sono considerati veri e propri capolavori dell’arte popolare: alcuni hanno forme particolari legate alla loro funzione, altri sono ornati di croci, altri ancora presentano motivi floreali e geometrici. Siamo perciò in presenza di una moltitudine di significati che testimoniano in qual modo per i contadini gli oggetti in ceramica non fossero semplici utensili dove custodire cibi e bevande, facendosi veri e propri “contenitori” delle loro tradizioni.

Tra gli aspetti della cultura ucraina a cui gli studiosi hanno prestato molta attenzione è l’alimentazione. Il cibo rappresenta molto più che una semplice soddisfazione di uno dei nostri bisogni primari, legandosi a numerose usanze che diventano i segni distinguibili di una determinata cultura. Come ricorda Vito Teti «il folklore, a saperlo leggere, tramanda norme, indicazioni, avvertenze sulla bontà e la qualità dei cibi, sui modi di cucinarli, prepararli, consumarli, conservarli» [Teti 1999, 70]. Uno degli alimenti più usati nei contesti rituali ucraini è il miele. Sebbene questo prodotto «si situa infatti al di qua della cucina, nella misura in cui la natura lo fornisce all’uomo allo stato di piatto già pronto e di alimento concentrato che basta diluire» [Lévi-Strauss 2008, 513], in vari parti del mondo la gente ha imparato ad allevare colonie di api e a utilizzare il miele nei modi più svariati. Anche l’Ucraina presenta una ben radicata tradizione nel campo dell’apicoltura, di cui Ulyana Movna, diventata appassionata cultrice, in quindici anni di lavoro sul campo è riuscita a raccogliere molte informazioni sulle quali si basa una sua recente monografia sull’argomento [Movna, 2017]. Nel suo contributo a questa sezione la studiosa analizza aspetti semantici e simbolici dell’apicoltura, indaga sulle funzioni dei prodotti apistici nel mondo rurale ucraino, nonché rileva alcune somiglianze tra i rituali legati all'apicoltura in Ucraina e negli altri paesi slavi.

Anche il saggio conclusivo a firma di Volodymyr Konopka e Andrii Ziubrovskyi è dedicato all’alimentazione, in particolare al pane, il cibo per eccellenza dei popoli slavi. Viene utilizzato in molti riti di passaggio e le sue simbologie, molto complesse, variano da paese a paese [Sumcov, 1885]. Il pane non è solo un alimento, ma soprattutto un potente simbolo, che assieme al rušnyk (asciugamano) ricamato rappresentano gli emblemi più conosciuti della cultura tradizionale ucraina e svolgono importanti ruoli nelle cerimonie domestiche e nella vita pubblica[5]. Nella maggior parte dei casi, gli studi sul pane si sono concentrati sui contesti rituali in cui viene consumato; Konopka e Ziubrovskyi auspicano che le ricerche si estendano anche alla dimensione più squisitamente materiale del pane, su lavori che ne indaghino parimenti le molteplici e differenti modalità di preparazione, cottura e consumo quotidiano e non solo festivo.

Volendo tirare le somme di quanto è stato qui detto, la conquista dell’indipendenza ha offerto sicuramente nuova linfa all’etnologia ucraina, che, pur non avendo mai smesso di occuparsi di tradizioni popolari, può, eminentemente dagli anni Novanta del Novecento a oggi, implementare le indagini, spaziando dalla dimensione materiale a quella immateriale e viceversa, leggendo le proprie tradizioni sia in una prospettiva diacronica che sincronica. L’accesso libero a Internet sta facilitando l’ingresso a banche dati estere permettendo agli studiosi ucraini di aprirsi a nuove e più recenti tematiche di indagine. A tal proposito, possiamo segnalare come sul territorio ucraino siano nati in tempi assai recenti due importanti centri di ricerca dedicati agli studi antropologici. A Leopoli, nel 2013, presso l’Istituto di Etnologia, che appartiene all’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Ucraina, è stata inaugurata la Sezione di Antropologia sociale e, successivamente, nel 2017, a Kiev ha aperto i battenti la società che porta il nome di Centro di Antropologia applicata. L’attenzione degli studiosi che appartengono a queste due organizzazioni è focalizzata sulle tematiche sociali, sulle questioni di genere, sui processi migratori, sugli spazi urbani e sulle trasformazioni culturali all’interno delle città e delle periferie. Auspichiamo che in futuro, al fine di incoraggiare il dialogo italo-ucraino in ambito accademico, sulle pagine di EtnoAntropologia possano trovar spazio alcuni contributi di studiosi che, al di là del cementato e antico interesse per le tradizioni di cui in questa sede abbiamo dato conto, hanno accolto la complessità e la contemporaneità quale privilegiato focus delle loro ricerche.

Bibliografia

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Vovk F. 1995, Studiï zukraïns’koï etnografiï ta antropologiï, Kiev: Mystectvo.



[1] Facciamo qui riferimento alla sua relazione «From ethnography to Ethnology and Anthropology: the metamorphoses of demological studies in Ukraine in the 20th and 21st centuries” al convegno internazionale «History and pathways of ukrainian anthropology. Italy and Ukraine in academic dialogue” tenutosi il 6 dicembre 2019 presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

[2] Fondamentale contributo allo sviluppo degli studi etnografici e antropologici diedero grandi figure dell'intellighenzia nazionale come M. Maksymovyč, M. Kostomarov, P. Čubyns’ryj, V. Šuchevyč, F. Vovk ecc., piuttosto di guardare lontano, ai luoghi remoti e ai popoli sconosciuti, loro, attraverso sistematiche spedizioni, preferivano osservare, studiare e catalogare la cultura e le tradizioni della propria gente, per questa ragione l’etnografia ucraina si è formata prevalentemente come disciplina descrittiva.

[3] La crisi che ha colpito il paese negli anni Novanta, ha provocato l’impoverimento della popolazione e l’arricchimento di quei pochi che riuscirono a saccheggiare le industrie statati. Ingenti tagli al finanziamento della ricerca scientifica erano inevitabili, anche perché la comunità scientifica, che apparteneva a un gruppo sociale relativamente piccolo, non era abbastanza influente per avere voce in capitolo.

[4] Gruppo etnico-culturale ucraino nella regione dei Carpazi.

[5] Ad esempio, tutt’ora in Ucraina e negli altri paesi slavi, durante le cerimonie ufficiali, agli ospiti viene portato il pane e il sale sul rušnyk ricamato, come segno di ospitalità e benevolenza. Baciare il pane, staccarne un pezzettino, metterci il sale e mangiarlo significava esprimere profondo rispetto nei confronti di chi lo offriva.