Percorsi demologici italiani: Piercarlo Grimaldi

Davide Porporato, Gianpaolo Fassino (a cura di), Sentieri della memoria. Studi offerti a Piercarlo Grimaldi in occasione del LXX compleanno, Slow Food Editore, Bra 2015.

Lia Giancristofaro

Università degli Studi “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara

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Recensione

Recensione

Il volume di Davide Porporato, Gianpaolo Fassino (a cura di), Sentieri della memoria. Studi offerti a Piercarlo Grimaldi in occasione del LXX compleanno, Slow Food Editore, Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, Bra, 2015, con i suoi quarantacinque saggi, sviluppati in oltre settecento pagine, è uno scrigno di riflessioni sulla cultura popolare in Europa. Il volume, nato come omaggio accademico per la quiescenza dal servizio e ispirato dalla intellettualità poliedrica di Piercarlo Grimaldi, già professore ordinario di Antropologia culturale e Antropologia e memoria presso l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo-Bra, già rettore dello stesso ateneo e motore di grandi progetti scientifici e didattici di archiviazione multimediale di storie di vita, come i Granai della memoria. La sua ricerca etnografica ed antropologica si è concretizzata, nella progettazione e costituzione di atlanti e mappe informatizzate dei dati etnografici, come già detto, ed in ricerche riguardanti il calendario alimentare tradizionale, le feste e le cerimonie tradizionali, l’impiego scientifico del mezzo cinematografico nella ricerca antropologica, la musealizzazione di pratiche festive e processi produttivi tradizionali. I contributi[1], suddivisi in otto sezioni, creano un “manuale di umanità” che ripercorre, in modo enciclopedico, le questioni cui Grimaldi ha dedicato l’esistenza. Il volume esordisce presentando l’antropologia indigena o dei “cortili di casa” come strumento sempre valido per reinterpretare il mondo. Carlo Petrini, infatti, ricorda l’amicizia con Grimaldi e il suo contributo, a partire dagli anni ’70, allo studio delle tradizioni popolari di un mondo contadino che stava scomparendo. Contestualizzare una fase fondamentale per la demologia italiana orienta il lettore alla scoperta della “cultura popolare” nella misura e nelle modalità in cui essa emerge allo sguardo degli intellettuali. In quegli anni, si tendeva a riconoscere il folklore come sfera culturale autonoma dal valore potenzialmente progressivo, e Grimaldi denunciava l’oblio della modernità e i perversi risultati dell’egemonia produttiva e culturale della metropoli sulla campagna, auspicando la presa di coscienza dei “saperi popolari” del cibo, del canto, della festa. Attraverso i movimenti intellettuali e giovanili di Langa e Roero, una parte del Piemonte che lentamente si trasformava, modernizzando le sue tradizioni, abbracciando una filosofia «molto progressista nel suo conservare ciò che veniva dal passato, ed estremamente legata a miti e riti della civiltà rurale» (p. 12). Si trattava di un ampliamento della “coscienza storiografica occidentale”, un movimento di risignificazione e di apertura epistemologica condotto sulla base dell’etnografia interna, in una prospettiva antropologica. Il privilegio euristico assegnato alla cultura popolare, intesa come “sapere a sé”, scaturiva dall’innovativa postura politica del folklorista, il quale sceglieva di mettere la propria scienza al servizio delle classi popolari e della loro autocoscienza. L’ampliamento della riflessività storiografica, che ha segnato il destino di tanti territori, come quello in cui appunto ha operato Grimaldi, e che ha al suo centro simbolico l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo-Bra, si è realizzato soprattutto con la diffusione del linguaggio antropologico, in grado di convogliare l’antagonismo delle culture subalterne in nuove forme di consapevolezza culturale e di classe. Questo emerge dalla prima sezione, Vivere l’antropologia tra scienza e amicizie, che di un coro di voci (Luigi Maria Lombardi Satriani, Gian Luigi Bravo, Renato Grimaldi, Sergio Zoppi, Carlo Brusa, Agostino Borra, Cesare Emanuel, Silvio Barbero, Elise Gaignebet, Michele Filippo Fontefrancesco, Valter Giuliano, Luciano Nattino, Luigi Barroero) riassume una fervenza che si è vissuta - io stessa ne fui testimone, da ragazzina - in molte delle regioni italiane. Oggi, attraverso quei ricordi possiamo ridefinire la demologia italiana e il suo rapporto ombelicale con l’antropologia culturale.

La seconda sezione, Antropologia del cibo, affronta il tema specifico del connubio tra sapore e memoria. Gli interventi di Antonino Buttitta, Marino Niola, Ambrogio Artoni, Vito Teti, Giacomo Ferrari, Fulvio Romano raccontano temi fondamentali dell’antropologia dell’alimentazione, come il sacro e il convivio, il pane e il calendario lunare popolare. La terza sezione, Antropologia simbolica, conduce nel mondo dell’antropologia simbolica attraverso una riflessione sulle filastrocche popolari italiane di Federica Tamarozzi, e un contributo di Gabriella D’Agostino sull’immaginario figurativo. La quarta sezione, Sacro e profano, riflette, come facce della stessa medaglia, le dinamiche ossimoriche colte e popolari, alimentari e funerarie, osservate da Ignazio E. Buttitta, Rinaldo Comba, Franco Quaccia, Franco Castelli, Nicolae Panea. La quinta sezione, Feste e riti, tratta uno dei temi più cari dell’antropologia, analizzando carnevali e altre feste specifiche attraverso lo sguardo di Antonio Ariño Villarroya, Laura Bonato, Matteo Varia, Cesare Locca.

La sesta sezione, Animali mitici, affronta il tema del “selvatico”, caro a Grimaldi, attraverso i contributi di Samuel Kinser, Davide Porporato, Cesare Poppi, Sonia Maura Barillari, Battista Saiu, André Carénini: le mascherate e le rappresentazioni carnevalesche di orsi e lupi rappresentano la chiave di lettura per comprendere i calendari festivi della tradizione e le pratiche cerimoniali apotropaiche, tanto da consentire considerazioni di zooantropologia comparativa.

La settima sezione, Fonti e ricerca etnoantropologica, approfondisce il rapporto tra la ricerca e le fonti con gli interventi di Jean-Dominique Lajoux, Gianpaolo Fassino, Alexis Bétemps, Giuseppe Zaccaria. Documenti audiovisivi, musei ed archivi sono le fonti imprescindibili per il ricercatore e, nello stesso tempo, strumenti di partecipazione culturale per le comunità protagoniste, e occasione di trasmissione del sapere. L’ultima sezione, Musei ed ecomusei, raccoglie riflessioni su strumenti politici e culturali vecchi e nuovi, cioè musei, ecomusei, patrimonio demoetnoantropologico e patrimonio immateriale, con contributi di Tiziana Mo, Bartolomeo Vaudano, Diego Mondo, Paolo Giardelli, lasciando intravvedere la differenza tra le aporie contemporanee della rivitalizzazione delle tradizioni, mera tradizionalizzazione della modernità, e la modernizzazione delle tradizioni, realizzata dalla società civile sulla base di una maggiore consapevolezza culturale e sostenuta dalla sinergia tra il mondo degli studiosi e il mondo produttivo.

Il volume ripercorre, insomma, cinquant’anni della demologia italiana che, storicamente, identificava la cultura popolare con il folklore rurale e, negli anni ’70, anche con i movimenti sindacali di rivendicazione della terra. Parallelamente alla scomparsa del s/oggetto dei suoi interessi, ovvero il “contadino analfabeta”, la demologia sembrò inabissarsi, impedita, per sua natura, da uno sguardo riflessivo e antropologico che non riusciva a spaziare dalle campagne alle città, dalle periferie sociali ai centri del potere. Nel corso dei cinquant’anni di carriera di Grimaldi, mentre le definizioni originarie e la perimetrazione sociale della “scienza della cultura popolare” diventavano insufficienti, l’antropologia culturale si apriva allo studio dei processi di patrimonializzazione attraverso specifici e fecondi percorsi etnografici, tra cui ricordiamo Il calendario rituale contadino (1993), Tempi grassi, tempi magri (1996) o Cibo e rito (2012), e collegandosi agli studi culturali internazionali che, a loro volta, si sviluppavano in un’ottica gramsciana ma più sociologica. Le traiettorie dell’antropologia del dono, dell’alimentazione e dell’habitat, esplorate da Grimaldi e da quanti hanno voluto scrivere in suo onore, dimostrano che lo sguardo antropologico, uno sguardo che è al tempo stesso “da vicino e da lontano”, è imprescindibile per comprendere le società di massa del tempo presente e la sua dialettica interculturale che muta e plasma la storia, realizzando movimenti politici che oggi gli studiosi chiamano “populisti” e che si rifanno alla tradizione come ad un dispositivo egemonico-educativo, secondo il principio del passato che produce il presente. Attraverso l’indicazione di un percorso enciclopedico ed esemplare, il volume è vettore, in ultima analisi, di un veemente “richiamo all’etnografia” o, meglio, ad una etnografia che sia in grado di esplicitare i terreni più impliciti e di percorrere i sentieri più oscuri.



[1] I colleghi, gli amici e gli allievi che si sono confrontati con il lavoro di ricerca antropologica condotto da Piercarlo Grimaldi nel corso della sua lunga carriera di studioso sono Antonio Ariño Villarroya, Ambrogio Artoni, Silvio Barbero, Sonia Maura Barillari, Luigi Barroero, Alexis Bétemps, Laura Bonato, Agostino Borra, Gian Luigi Bravo, Carlo Brusa, Antonino Buttitta, Ignazio E. Buttitta, André Carénini, Franco Castelli, Rinaldo Comba, Gabriella D’Agostino, Cesare Emanuel, Gianpaolo Fassino, Giacomo Ferrari, Michele Filippo Fontefrancesco, Elise Gaignebet, Paolo Giardelli, Valter Giuliano, Renato Grimaldi, Samuel Kinser, Jean-Dominique Lajoux, Cesare Locca, Luigi M. Lombardi Satriani, Tiziana Mo, Diego Mondo, Luciano Nattino, Marino Niola, Nicolae Panea, Carlo Petrini, Cesare Poppi, Davide Porporato, Franco Quaccia, Fulvio Romano, Battista Saiu, Federica Tamarozzi, Vito Teti, Matteo Varia, Lino Vaudano, Giuseppe Zaccaria, Sergio Zoppi.