Dal contadino al cittadino

Origini e percorsi dell’antropologia urbana in Ucraina

Tamara Mykhaylyak

Università degli Studi di Napoli Federico II

Table of Contents

Gli studi ottocenteschi del mondo rurale visti come i precursori dell’antropologia urbana
Le prime narrazioni fotografiche dei contesti contadini
Quando il villaggio arriva in città
Bibliografia

Abstract. The first part of the essay seeks to examine some research conducted during the nineteenth century, whose primary topics of study focused on the peasants and their homes. Such investigations can therefore be considered as the forerunners of Ukrainian urban anthropology. The attention to rural housing was also confirmed by numerous photos taken in the villages during the expeditions. In the Soviet era, while millions of peasants were moving to the cities, the scholars’ focus of attention was gradually shifting towards new concerns, namely urbanization and the new living contexts. At present, Ukrainian scholars, not only investigate the past to gain a full perspective over the impact of the Soviet urbanization on the Ukrainian society, but also tackle new themes including ecology, urban health, new urban languages and the migratory flows. The concept of the anthropology of cities is increasingly used in the scientific fields of Ukraine, being the metropolis a complex living organism in constant change.

Keywords. Ukraine, urban anthropology, city, housing conditions, peasants and citizens.

Gli studi ottocenteschi del mondo rurale visti come i precursori dell’antropologia urbana

Le città moderne sono “organismi complessi”, si assomigliano tra loro, ma allo stesso tempo ognuna ha il suo destino e fa il suo percorso, conosce momenti di gloria e periodi di abbandono, lascia le tracce della sua storia nell’architettura e nella memoria collettiva dei suoi abitanti. A partire dalla metà dell’Ottocento, le città occidentali diventano luoghi dove avvengono processi di industrializzazione e modernizzazione, fenomeni che verranno, in seguito, studiati dai sociologi, urbanisti ed antropologi. Considerato che molte grandi città sono nate da minuscoli villaggi, composti da qualche decina di case e un centinaio di persone, sembra doveroso dedicare la prima parte di questo saggio al contesto rurale, che ci permette di capire come e da dove hanno origine gli studi urbani. Più specificamente, parleremo delle prime ricerche svolte in quest’ambito in Ucraina[1], proponendo qualche raffronto con gli studi eseguiti in Italia.

Già a partire dagli anni Cinquanta del XIX secolo, in Ucraina gli etnografi, nonché storici e geografi, oltre agli studi di natura prevalentemente folklorica e demologica, si interessavano alla dimensione domestica dei contadini [Maksymovyč 1849; Čubync’kyj 1869, 1872-1878; Šuchevyč 1899; Mohyl’čenko 1899]. La casa rurale rappresentava un interessante oggetto di studio perché forniva molteplici informazioni sulla vita quotidiana delle persone. C’era chi indagava sui materiali e sulle tecniche di costruzione nelle varie zone ucraine, chi si occupava di analizzare come erano divisi gli spazi interni delle case, delle aie e degli orti, altri invece classificavano le varie tipologie di recinti e steccati. Alcuni autori, come vedremo in seguito, imputavano alle cattive condizioni igienico sanitarie delle abitazioni, la causa della salute precaria dei contadini.

Significative indagini sul mondo rurale e sui contesti abitativi furono avviate dai collaboratori della Commissione per la descrizione dei governatorati annessi al circondario scolastico di Kiev, fondata nel 1851 e presieduta dal pubblicista Michail Dmitrievič Juzefovič. Negli anni a seguire, la Commissione aveva realizzato una ricerca articolata, nei territori dell’Ucraina centrale, che comprendeva governatorati di Kiev, Volyn’, Podil’s’k, Poltava e Černihiv [Toc’ka 2013, 91]. Era prevista una dettagliata mappatura delle condizioni economiche e delle peculiarità culturali della popolazione di quei luoghi; nel dettaglio, si assunsero informazioni di natura demografica, in primis sul numero degli abitanti, ma anche sui mezzi di sussistenza, sulla dieta alimentare, sulla vita quotidiana, sulle tipologie abitative e sull'abbigliamento. L’approccio socio-economico delle indagini, leggeva tali dati in rapporto alla stratificazione sociale e alle differenze di classe. La Commissione aveva elaborato anche un questionario per la raccolta dei dati, approvato nel 1854 e, nello stesso anno, vista la mole di lavoro da svolgere, fu deciso di istituire un’apposita sezione etnografica per organizzare la sistematizzazione delle informazioni reperite sul campo [Gorlenko 1965, 26]. Tale sezione aveva, inoltre, il compito di coordinare i collaboratori esterni, tra cui i direttori dei ginnasi, i docenti e gli esponenti della borghesia locale, ai quali si inviarono le istruzioni per la raccolta dei dati. A partire dalla metà degli anni Cinquanta, la Commissione era diventata uno dei principali luoghi per la ricerca etnografica in Ucraina.

Durante la permanenza sul territorio, stando a stretto contatto con la gente del posto, molti componenti della Commissione denunciavano le difficili condizioni di vita dei contadini. Ricordiamo, in particolare, una dettagliata relazione di Nikolaj Alekseevič Markevyč, pubblicata nel 1855 e dedicata agli abitanti del governatorato di Poltava. L’autore non si limita a presentare le notizie di natura storico-geografica e a fornire i dati demografici circa il numero degli abitanti, l’età, il sesso, i matrimoni, il tasso di natalità o di mortalità, ma va oltre. Egli cerca di interpretare tali dati basandosi sull’esperienza delle sue osservazioni[2]. Uno spazio, in questo suo lavoro, è dedicato all’ambito domestico rurale, dove emerge un forte legame che si creava tra il contadino e la propria casa: «molti pensano che l’uomo è creato per la terra, in quanto la terra fu creata prima di lui; questi pensatori devono sapere, che l’uomo è creato per stare nella casa costruita da suo padre, perché prima fu costruita la casa e poi nacque quell’uomo» [Markevyč 1855, 26]. Nelle sue ricerche, questo studioso aveva spiegato che l'alto tasso di mortalità tra le donne e i bambini nei villaggi del governatorato di Poltava, dipendeva dalle pessime condizioni abitative. Markevyč aveva visitato molte case rurali, che erano divenute per lui un importante oggetto di studio. Grazie alle sue dettagliate descrizioni, oggi possiamo conoscere come erano allestiti gli interni delle abitazioni contadine: nella maggior parte dei casi, le mura di queste povere dimore erano costruite con sterpi e argilla, il tetto si costruiva con la paglia ed il pavimento era rivestito di argilla. Una parte della casa era destinata ad ospitare gli animali domestici come le mucche, i maiali e le galline che, rappresentando un’importante fonte di sostentamento per tutta la famiglia, dovevano, quindi, essere protetti dal gelo invernale. Sempre nei periodi freddi, le massaie lavavano e asciugavano la biancheria delle stanze. La sporcizia per terra, la polvere nell’aria, il cattivo odore proveniente dagli animali domestici e l’alto tasso di umidità si mescolavano tra loro creando un mix estremamente dannoso per la salute. Le donne e i bambini, come aveva osservato Markevyč, si ammalavano più frequentemente perché trascorrevano più tempo in casa rispetto agli uomini [Markevyč 1855, 46-49].

Il lavoro della Commissione di Kiev ricorda in parte l’Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola in Italia,promossa dal Parlamento nel 1877 e presieduta da Stefano Jacini[3]. Una parte di questo dettagliato lavoro racconta il contesto abitativo dei contadini italiani. Ad esempio, i questionari, raccolti nelle provincie di Roma e Grosseto, evidenziano che molti contadini alloggiavano in case fatiscenti e sporche, condividendo, talvolta, lo stesso tetto con gli animali domestici, così come accadeva in Ucraina. Anche questa inchiesta ha messo in evidenza le precarie condizioni abitative che non giovavano alla salute della popolazione rurale:

È noto come in queste provincie una delle usanze più deplorevoli sia la coabitazione degli uomini con gli animali [...] accennano ad un lento abbandono di questa usanza che era quasi generale qualche tempo fa in queste provincie, almeno in alcune parti, anche fra contadini non tanto poveri. Il grande interesse che essi portano alle bestie, che considerano come il loro più prezioso capitale, faceva sì che non di rado cedessero loro il miglior posto del proprio tugurio, sacrificando sé stessi al conforto del l'asino o del maiale che rappresenta tutta la loro fortuna. [...] A questa domanda della coabitazione con gli animali tien dietro un'altra molto importante, ossia, sopra il deposito dei concimi in contatto dei quali sogliono i nostri contadini, convivere con una famigliarità, che se non è sempre nociva alla salute, lo è certo alla pulizia e alla civiltà delle loro abitudini [Nobili-Vitelleschi 1883, 809].

Ritornando alla commissione kieviana, possiamo dire che, dopo circa dieci anni di lavoro, furono perfezionate le metodologie di ricerca e trattamento dei dati. Per comprendere meglio i fenomeni socio-culturali ai tradizionali strumenti dell’etnografia venivano associati tabulati statistici e rappresentazioni cartografiche. Di queste innovazioni avrebbe beneficiato in futuro anche l’antropologia urbana ucraina.

Nello stesso periodo in cui operava la Commissione, un medico di origini francesi, Dominique Pierre de la Flise, che lavorava e viveva nei dintorni di Kiev, pubblicò il manoscritto dal titolo Descrizioni Etnografiche dei contadini del Governatorato di Kiev. Il testo è diviso in varie sezioni che descrivono i tratti somatici dei contadini, i loro mestieri, l'abbigliamento, le festività, le usanze, nonché le tipologie abitative. Anche de la Flise, così come Marchevyč, segnalava che molte case rurali, specialmente in quelle dove vivevano le famiglie numerose, erano sporche e maleodoranti. A tal proposito il medico scriveva che le autorità locali emanarono un’apposita ordinanza nella quale i contadini erano obbligati ad osservare l’ordine e la pulizia nelle proprie dimore. L’autore sottolinea come un tale semplice provvedimento, avrebbe dovuto contribuire a migliorare le condizioni di salute, prevenendo la diffusione di molte malattie nei villaggi [Flise 1854, 9]. Oltre al testo, de la Flise, essendo un discreto disegnatore, aveva integrato il suo manoscritto con numerose illustrazioni colorate. Una parte di queste immagini raffigura differenti tipologie di case rurali, situate nei vari distretti, nonché gli arredamenti interni, la mobilia, i forni e gli utensili domestici. Un altro elemento prezioso, presente nel suo lavoro, è una dettagliata planimetria, riprodotta in scala, grazie alla quale è possibile renderci conto delle suddivisioni e delle dimensioni di stanze e cortili. Il testo, i disegni e le planimetrie forniscono un quadro completo e aiutano a comprendere meglio gli effetti di abitazioni sovraffollate e cattive condizioni igieniche, sulla salute delle persone. Il tema delle condizioni abitative diventerà molto attuale anche per i ricercatori contemporanei, basti pensare ad esempio, alla ricerca sui disagi abitativi dei bassi napoletani, condotta dall’antropologo italiano Lello Mazzacane [Mazzacane 1978], oppure all’indagine dello studioso russo Il’ja Utechin, su kommunalki di San Pietroburgo, abitazioni di grandi dimensioni dove nelle singole stanze vivevano differenti nuclei famigliari che condividevano i servizi comuni come il bagno, la cucina e il corridoio [Utechin 2004].

Le prime narrazioni fotografiche dei contesti contadini

A partire dalla metà dell’Ottocento, in Europa vi furono dei cambiamenti epocali, si assisteva alla crescita industriale e capitalistica senza precedenti; le campagne e le città non sarebbero state mai più le stesse. Le importanti scoperte, nel campo scientifico, e le innovazioni tecnologiche mutarono la vita quotidiana delle persone. Tra le nuove invenzioni ci fu anche il procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini, nascevano e venivano perfezionate le prime macchine fotografiche, aprivano molti atelier dove era possibile scattare i ritratti singoli o di gruppo. Grazie all’evoluzione tecnologica, le dimensioni degli apparecchi fotografici si riducevano notevolmente, permettendo ai fotografi di uscire fuori dai loro studi per ritrarre il mondo esterno. La macchina fotografica era diventata anche un importante strumento per le ricerche demo-etno-antropologiche, gli scatti offrivano una preziosa fonte visiva di tipi umani, le loro fattezze e i loro costumi.

Anche in Ucraina vi erano alcuni studiosi che avevano scoperto il grande potenziale della fotografia; essi viaggiavano da un villaggio all’altro “armati” di macchina fotografica, entravano nelle case dei contadini e riprendevano le scene di vita quotidiana. Tali immagini mostravano gli interni delle abitazioni rurali, abbellite talvolta da icone, teli ricamati, panchine di legno intagliato, bauli decorati, oppure evidenziavano la sistematizzazione dei cortili e delle aie, dove nel periodo estivo si svolgeva la maggior parte della vita domestica. All’occhio dei ricercatori non sfuggivano le condizioni di estrema miseria in cui viveva la maggior parte dei contadini. In alcuni casi l’obiettivo apriva uno squarcio su disagi abitativi patiti dai più poveri. Ad esempio, ci sono delle riprese fotografiche che testimoniano il deterioramento delle abitazioni, l’incuria e la sporcizia.

Tra i fotografi che testimoniavano la vita quotidiana della popolazione rurale, esprimendo al contempo le proprie vocazioni etnografiche, spicca il nome di Samijlo Martynovyč Dudin, che viene considerato il primo fotografo-etnografo ucraino. Lo studioso nacque nel 1863 in un piccolo villaggio ucraino, Rivne, nella famiglia di un insegnante. Da giovane, poco più di venti anni, fu arrestato con l’accusa di far parte del movimento nazionalista ucraino ed esiliato per tre anni nella regione di Zabajkal’e (Siberia meridionale), dove si appassionò alla fotografia. Dudin, negli anni a seguire, aveva partecipato a molte spedizioni scientifiche in Asia centrale, producendo centinaia di immagini uniche. Nell'estate del 1894, durante il soggiorno in Ucraina, ricevette l’incarico, dall’accademico Vasilij Vasilievič Radlov, di raccogliere alcuni manufatti per la collezione etnografica di un museo pietroburghese [Rezvan 2010, 4-5]. Dudin era molto impegnato nell’acquisizione e catalogazione dei reperti, ma nonostante ciò, aveva anche trovato il tempo per creare un album fotografico dedicato alla vita dei contadini ucraini nel governatorato di Poltava e Cherson. Da queste immagini[4], che raffigurano un mondo lontano e oggi a noi del tutto estraneo, emergono due principali attori: il contadino e la sua casa. Oltre ai lavori, che raffigurano i volti di uomini e donne, il loro abbigliamento e gli attrezzi da lavoro, l’autore si interessa anche all’architettura rurale. Infatti le sue foto svelano come cambiavano le tipologie abitative, le stalle, i granai, i recinti nelle varie aree geografiche ucraine.

Un altro grande appassionato di fotografia era Mykola Mychajlovyč Mohyljanc’kyj, che apparteneva alla borghesia ucraina; durante il 1895-1897 aveva studiato a Parigi, specializzandosi in antropologia, archeologia ed etnografia. Il suo primo lavoro scientifico fu pubblicato su Revue mensuelle de l'École d'anthropologie de Paris. Oltre ai suoi interessi per l’etnografia, Mohyljanc’kyj si rivelò un attento osservatore sociale, che spesso e volentieri annotava ciò che vedeva attraverso la macchina fotografica [Golovčenko 2010, 18]. Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX lavorò presso la sezione etnografica del Museo Russo di San Pietroburgo e, come Dudin, svolse l’attività di raccolta dei reperti in Ucraina per ampliare alcune collezioni museali. Durante suoi viaggi, essendo amante della fotografia, aveva creato quello che oggi possiamo definire come un fotoreportage sulla vita dei contadini di Černihiv. Oltre alle foto più classiche, dalle sfumature prettamente etnografiche, come la raffigurazione dei contadini in abiti tradizionali e gli scatti di natura antropometrica, destinati ad essere fedeli riproduzioni di una morfologia fisica, all’occhio di Mohyljanc’kyj non sfuggivano i contesti abitativi dei villaggi. Tra i protagonisti delle sue immagini possiamo vedere le costruzioni incompiute e abbandonate, le vie sterrate dei villaggi, le stalle per animali domestici, i cortili dei contadini più poveri. Un altro evento, che amava immortalare lo studioso, erano le scene delle fiere popolari, archetipi a ciel aperto dei moderni centri commerciali. Come si evince dalle foto, queste kermesse venivano allestite in un enorme campo e vi partecipavano un gran numero di persone, vi erano le donne che preparavano da mangiare all’aperto, gli uomini che vendevano il vasellame di terracotta, le tende con i commercianti di dolciumi, i venditori che proponevano le ruote per i carri e altre infinità di bancarelle e genti di ogni genere. Infatti come molte città, che si sviluppavano intorno ad una piazza, anche le aree dove si organizzavano le fiere erano situate in mezzo a tanti piccoli villaggi e rappresentavano l’ombelico intorno al quale ruotava la vita rurale, se pur in maniera temporanea. Per i contadini, la fiera rappresentava un’importante luogo di condivisione e aggregazione sociale, diventava uno spazio comune provvisorio dove vendere e comprare, ma anche vedere, ascoltare e parlare.

Anche in Europa c’erano gli studiosi che viaggiavano per indagare sulla vita domestica dei contadini, ad esempio il linguista svizzero Paul Scheuermeier, «un giovanotto di città curioso ed entusiasta, filologo fresco di laurea», nel 1920 era partito alla scoperta del mondo rurale italiano [Frasa, Grassi, Lurà, 2008, 7]. Nel corso degli anni, tornò più volte in Italia per raccogliere e trascrivere varie forme dialettali del paese. Questo attento e scrupoloso ricercatore, oltre a penna e taccuino, utilizzava la macchina fotografica per riprendere le persone affaccendate nei lavori domestici, scattava le foto agli arnesi agricoli, agli utensili casalinghi ed agli altri oggetti legati alla quotidianità contadina. Gli scatti di Scheuermeier, che raffigurano le vie dei villaggi, le case, i cortili, le stalle tipiche di molte zone rurali italiane, così come quelli di Dudin e Mohyljanc’kyj, testimoniano le condizioni abitative della popolazione agricola.

Le immagini, lasciate in eredità da questi tre studiosi, al giorno d’oggi, rappresentano un’importante fonte di informazioni anche per i ricercatori che operano nell’ambito dell'antropologia urbana. Infatti utilizzando tali foto, in chiave storico-comparativa, è possibile indagare su come sono mutati i villaggi nelle varie parti d’Europa e sull’influenza che produce l’espansione delle metropoli sulle zone rurali.

Quando il villaggio arriva in città

Nel XX secolo, epocali avvenimenti storici, come le due guerre mondiali, l’Holodomor[5] del 1929-1933, le politiche agrarie e l’industrializzazione dell’URSS, cambiavano per sempre il volto del mondo rurale ucraino. Da una parte i contadini si riversavano nelle città portando usanze e tradizioni e dall’altra l’espansione urbana, inghiottiva piccoli paeselli facendoli diventare sobborghi periferici, cambiando quindi le abitudini dei suoi abitanti. Queste nuove realtà urbane diventavano gli ambiti di studio per i ricercatori di molte discipline umanistiche, tra questi l’antropologia urbana, che in Ucraina si era sviluppata con un notevole ritardo rispetto agli Stati Uniti ed Europa.

Anche in Italia, a differenza del resto d’Europa occidentale, le ricerche nell’ambito dell'antropologia urbana, erano iniziate in ritardo perché molti studiosi continuavano ad essere impegnati “negli studi di natura demologica” [Giglia 1989, 83]. Uno dei motivi di questo ritardo è chiamato da Amalia Signorelli “il pregiudizio antiurbano”.

A partire dagli anni ʼ60 in Italia la critica della società capitalista assunse assai spesso la forma di una critica della città, considerata il luogo per eccellenza non solo dello sfruttamento capitalistico ma anche della alienazione consumistica. [...] Sul rifiuto della città come oggetto di studio convergevano sia folkloristi ed etnologi di scuola tradizionale, che vedevano nell’interesse per la cultura urbana una pericolosa tendenza «sociologizzante» sia nuovi teorici del «folklore come cultura di contestazione»[...] Comunque per i paladini del folklore come scienza, così come per i paladini del folklore come cultura di contestazione, la città divenne per definizione il luogo dello sradicamento, della perdita di ogni carattere culturale originario e specifico, dell’alienazione culturale, dell’omologazione [Signorelli 2004, 18-19].

In Unione Sovietica, di cui l'Ucraina faceva parte fino al 1991, gli studi nell’ambito dell’antropologia urbana erano frammentari ed episodici. I due fondamentali motivi di questo ritardo, rispetto al resto dei paesi occidentali, sono da ricercare nella preferenza del regime per gli studi folklorici ed etnologici “pilotati” per esaltare la multietnicità e la multiculturalità dell’URSS. Molti studiosi, a partire dal dopoguerra, continuavano a “fare” l’etnografia rispettando i canoni più tradizionali: venivano organizzate le spedizioni negli angoli più remoti del paese dalla Siberia (L. F. Anisimov, B. O. Dolgich, A. M. Zoloterev, L. P. Potapov) al Caucaso (E.M. Šilling, L. I. Lavrov), piuttosto che prestare l’attenzione ai fenomeni urbani. In secondo luogo la città sovietica, a partire dagli anni Cinquanta, diventava il simbolo della crescita e della grandezza del comunismo, un posto fatto, apparentemente, a misura d’uomo con una vasta rete di servizi, parchi pubblici, asili e mense, ma in pratica si trattava di realtà molto complesse e problematiche, sulle quali, all’epoca di regime, nessuno osava indagare. Le città crescevano a dismisura e molti luoghi periferici erano simili l’uno all’altro, non solo per gli aspetti architettonici, ma anche per lo stile di vita dei suoi abitanti. Si delinea una specifica forma di organizzazione dello spazio urbano e la standardizzazione dei consumi di massa.

A partire dagli anni Sessanta, alcuni sociologi ed etnografi iniziano a interessarsi alle tematiche legate agli studi sulla vita quotidiana della classe operaia che viveva nei contesti urbani. I ricercatori si concentravano principalmente sugli aspetti della cultura spirituale e sui riti familiari, cercavano gli elementi della cultura tradizionale all’interno delle abitazioni cittadine, nell'abbigliamento oppure nel tempo libero. Tra gli etnografi ucraini, che erano impegnati nelle ricerche sulla classe operaia, possiamo citare S.A. Makarčuk, A. V. Orlov, D. I. Fogol’ [Polek 2017, 65].

Per molta gente il passaggio da una piccola casetta rurale, che si trovava in un villaggio sperduto con le strade sterrate, ad una moderna e luminosa casa, con risaldamento centralizzato e acqua corrente, non sempre era facile e indolore. Ma in uno Stato come l’URSS, dove il regime controllava e metteva la scienza al suo servizio, gli studiosi non potevano scrivere apertamente sugli effetti negativi dell’urbanizzazione sovietica; a questo punto sarà il cinema, nonché i film di animazione, a raccontare le problematiche relative all’adattamento urbano che insorgevano in molte famiglie di origine contadina. Emblematica, in questo caso, è la commedia del regista bielorusso Igor’ Dobrolyubov Belye Rosy (in italiano Le rugiade bianche). Attraverso una narrazione tragicomica emergono le criticità dell’urbanizzazione che schiaccia un tradizionale villaggio slavo. I principali personaggi del film vivono a ridosso di una grande città che sta inghiottendo il loro villaggio; tutti si preparano ad un'imminente demolizione e al trasloco presso gli appartamenti standardizzati nei condomini multipiano. In effetti, il regista propone una valida ricostruzione di ciò che effettivamente avveniva in molti villaggi sovietici, dove la gente era costretta a lasciare la propria casa e ad adattarsi ai nuovi ritmi della vita cittadina.

Anche i film di animazione raccontano l’urbanizzazione. Ad esempio nel cartone Domovenok Kuzja (in italiano Spiritello Kuzja), tratto dai racconti per i bambini di Tat’jana Aleksandrova, è presente una scena che raffigura il momento dell'abbattimento di una vecchia casa rurale. Lo spiritello di questa dimora, Kuzja è costretto a trasferirsi in un moderno condominio, dove, in modo buffo, affronta gli effetti di questa forzata civilizzazione. Si può dire che Kuzja, un personaggio bizzarro e simpatico, ha rappresentato una metafora perfetta di tutti quei contadini che si dovevano adeguare alle anonime abitazioni che “inscatolavano” la vita dei cittadini sovietici.

Dopo il crollo dell’URSS, molti umanisti approfondirono l’interesse verso lo studio delle realtà urbane. L’immagine della città post-sovietica è un'immagine mutevole, i cambiamenti toccano tutti gli aspetti della quotidianità degli cittadini e persino i simboli urbani, come monumenti, opere architettoniche, i nomi delle strade. Molte città ucraine cambiano loro aspetto a causa della ricostruzione su larga scala e del risveglio patriotico. Il sovietismo, il patriottismo e il cosmopolitismo si mescolano tra di loro lasciando significative impronte nella cultura urbana ucraina.

I temi ricorrenti di queste indagini riguardavano gli effetti dell’industrializzazione veicolati dai pjatiletki[6], i flussi migratori dalla popolazione rurale e l'immagine della città post-sovietica con i suoi mutamenti culturali e sociali. Tutte queste ricerche confermano che la rapidissima espansione urbana, avvenuta nel dopoguerra a Mosca, Leningrado, Kiev, ma anche in altre città come Tashkent, Baku, Minsk, Novosibirsk, non era in grado di soddisfare tutti bisogni delle nuove persone che arrivavano dalla campagna.

Ondate di migrazione rurale, particolarmente potenti negli anni Trenta e poi negli anni Cinquanta e Settanta, letteralmente hanno "allagato" le città della Russia [ma anche di tutta l'Unione Sovietica], provocando il dissesto dell'urbanizzazione russa per molti decenni e determinando le origini della sua attuale crisi acuta. Fin dall'inizio, rispetto all’aumento della civiltà urbana, la crescita delle città stesse resta rovinosamente indietro, vecchi e nuovi centri non erano capaci a “digerire” [...] questi giganteschi afflussi di popolazione contadina [Pivobarov 2001, 104].

A partire dagli anni Duemila, l’antropologia urbana diventa sempre più popolare tra gli etnografi e antropologi. A differenza dell’antropologia urbana occidentale, che intreccia il suo percorso con gli studi di matrice sociologica, in Ucraina, così come anche in altri paesi dell’ex Unione Sovietica, questa disciplina discende dall'etnografia classica e quindi inizialmente molte ricerche urbane fatte dagli etnografi venivano incentrate sui temi della cultura tradizionale presenti nelle città. Ai contesti urbani si approcciava con le stesse metodologie usate per esplorare i contesti rurali. In seguito gli studiosi si resero conto che la città, rappresentava un oggetto di studio complesso ed articolato ed occorreva sviluppare delle metodologie di ricerca alternative.

Al giorno d’oggi gli studiosi ucraini, da un lato si trovano ad indagare sul passato, al fine di ricomporre un quadro generale per comprendere gli effetti che l’urbanizzazione sovietica ha avuto sulla società ucraina e dall’altro esplorano nuovi campi di ricerca: ecologia e salute nelle città, nuovi linguaggi urbani e flussi migratori a seguito della guerra del Donbass. Tra i lavori realizzati negli ultimi anni possiamo ricordare, come esempi, il saggio di H.H. Feresenko, che attraverso un analisi filosofico-antropologica riflette sulla progettazione di spazi culturali nelle città odierne [Feresenko 2012], M. P. Prepotenc’ka, fa una ricerca dove mette in evidenza le differenze comunicative tra i sessi nelle metropoli [Prepotenc’ka 2013], M. Karpovec’, nel suo libro, descrive la città come un fenomeno complesso della cultura umana [Karpovec’ 2014], V. A. Esakov, nella sua monografia, propone un’analisi della situazione socio-culturale nelle maggiori metropoli del mondo, soffermandosi, nel dettaglio, su Mosca [Esakov 2016]. Infine, è stata recentemente pubblicata una raccolta di saggi dal titolo L’Antropologia dello spazio, dove gli autori mettono in evidenza alcune problematiche connesse ai processi di urbanizzazione, ruralizzazione e mutamento dei paesaggi, analizzando anche gli aspetti teorico-metodologici dell’antropologia urbana in Ucraina [Hrymyč 2017]. In questi saggi ci sono tante citazioni che riguardano i lavori di Emile Durkheim, Max Weber, Franz Boas, Werner Sombart, Walter Benjamin e Georg Simmel, studiosi che hanno fatto la storia dell’antropologia urbana in Occidente. Il concetto di antropologia della città è sempre più utilizzato negli ambiti scientifici, sia russi che ucraini e la metropoli viene vista come un organismo vivente in costante mutamento nonché come un luogo dove coesistono un insieme di sottoculture.

Al giorno d’oggi sono stati fatti importanti passi avanti nello sviluppo degli studi urbani in Ucraina. Le ricerche, alcune delle quali sopra citate, abbracciano tematiche più svariate, dalle riflessioni più generali di natura filosofico-antropologica, agli argomenti più specifici, dove le indagini sul campo e l’interazione con gli informatori diventano di fondamentale rilevanza. Tuttavia manca ancora una sistematizzazione delle ricerche urbane, con una reale carenza di centri e laboratori per lo studio urbano che dovrebbero organizzare indagini più capillari, dalla capitale, fino alle cittadine periferiche. Alimentare queste aree di aggregazione, darebbe un contributo importante alle attività di raccolta di dati statistici, con supporto di interviste, foto e video per permettere l’evoluzione da analisi di singoli casi ad una visione più ampia dell’agglomerato urbano, attraverso il perfezionamento di nuove metodologie di ricerca antropologica per lo studio delle città.

Bibliografia

Čubync’kyj P. P. 1869, Očerki narodnych obyčaev i ponjatij v Malorossii, San Pietroburgo.

Čubync’kyj P. P. 1872-1878, Trudy ėtnografičesko-statističeskoj ėkspedicii v Zapadno-Russkij Kraj, San Pietroburgo, Vol. 1-7.

de la Flise D. 1854, Ėtnografičeskoe opisanie Kievskoj gubernii a v" osobennosti sostojaščich v" Gosudarstvennych" imuščestvach" i raznye mestnye istoričeskie pamjatniki, drevnosti i risunki,Kiev (trattasi di un manoscritto).

Esakov V. A. 2016, Megapolis v zerkale social’noj filosofii, Mosca, INFRA-M.

Fesenko H. 2012, “Mystectvo žyty” u misti: filosofs’ko-antropolohični aspekty proektuvannja kul’turnoho prostoru, «Ljudoznavči studiji. Ser. Filosofija», 26: 140-151.

Frasa M., Grassi L., Lurà F. (a cura di) 2008, Parole in immagine. Le ricerche di Paul Scheuermeier nella Svizzera italiana 1920-1927, Bellinzona: Centro di dialettologia e di etnografia.

Giglia A. 1989, L'antropologia urbana in Italia, «La Ricerca Folklorica», 20: 83-90.

Golovčenko V.I. 2010, Mohyljanc’kyj Mykola Mychajlovyč in Enzyklopedija Istoriji Ukrajiny, Kiev: Naukova Dumka, vol. 7: 18.

Gorlenko V. F. 1965, Komissija dlja opisanija gubernij Kievskogo učebnogo okruga, in Azadovskij M. K. et. al. 1965, Očerki istorii russkoj etnografii fol’kloristiki i antropologii, Accademia delle Scienze dell’URSS, Мosca: Nauka.

Hrymyč M. 2017 (a cura di) Antropolohija prostoru. Kul’turnyj landšavt Kyeva ta okolyc’, Kiev: Duliby, vol. 1.

Kovalevskij M. M. 1895-1897, Proischoždenie sovremennoj demokratii, Mosca: Tipografija A. I. Mamontova, Vol. 1-4.

Kovalevskij M. M. 1904, Ėtnografija i sociologija, «Vestnik vospitanija», n. 3.

Kostomarov M. I. 1918, Istoryja Urcaїny v žytepysjach vyznačnijšych eї dijačiv, Leopoli: drukarnja Naukovoho Tovarystva imeny Ševčenka.

Kostomarov M.I. 1921, Knyhу byttija ucraїns’koho narodu, Leopoli - Kiev: Novitynija biblioteka.

Karpovec’ M. 2014, Misto jak svit ljuds’koho buttja, Ostroh: Vydavnyctvo Nacional’noho universytetu «Ostroz’ka akademija».

Maksymovyč M. O. 1849, Sbornik ukrainskich pesen, Kiev: Tipografija Feofila Gljuksberga.

Markevyč N. A. 1855, O narodonaselenii Poltavskoj gubernii, in Trudy Komissii dlja opisanija gubernij Kievskogo učebnogo okruga 1855, Kiev: v" Universitetskoj tipografij,vol. 3.

Marx K., Engels F. 1955, Sočinenija, Mosca: Gosudarstvennoe izdatel’stvo političeskoj literatury, vol. 2.

Mazzacane L. (a cura di) 1978, I "bassi" a Napoli, Napoli: Guida.

Mohyl’čenko M. 1899, Budivlja na Černigivščynji, «Materyjaly do ukrajins’ko-rus’koji etnol’ogiji», Leopoli, I: 79-95.

Nobili-Vitelleschi F. 1883, Fascicolo I - Province di Roma e Grosseto, in Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria sulle condizioni della classe agricola 1883, vol. XI, Roma: Forzani e C.

Ol’sevič Ju. Ja. 2015, Pjatiletnie plany in Bol’šaja rossijskaja ėnciklopedija, Mosca, vol. 28.

Pivovarov Ju. L. 2001, Urbanizacija Rossii v XX veke: predstavlenija i real’nost’, «Obščestvennye nauki i sovremennost’», 6: 101-113.

Polek T. 2017, Iz sela v misto: na šljachu do urbanistyčnoji antropolohiji v Ucrajini, in Hrymyč M. 2017 (a cura di) Antropolohija prostoru. Kul’turnyj landšavt Kyeva ta okolyc’, Kiev: Duliby, vol. 1.

Prepotens’ka M. 2013, Mehapolis jak seredovyšče komunikaciji: hendernyj aspekt ta osvitnja perspektyva, «Filosofija osvity», 1(12): 297-308.

Rezvan E. A. 2010, Samuil Dudin – fotografo, pittore, etnografo (materiale delle spedizioni in Kazakistan anno 1899 e anno 2010), San Pietroburgo: Museo di Antropologia e di Etnografia Pietro il Grande – Kunstkamera MAE RAS.

Signorelli A. 2004, Antropologia urbana. Introduzione alla ricerca in Italia, Milano: Guerini Studio.

Šuchevyč V. O. 1899, Hucul’ščyna, «Materyjaly do ukrajins’ko-rus’koji etnol’ogiji», Leopoli, II.

Toc’ka Z. 2013, Vnesok “Komissii dlja opisanija gubernij Kievskogo učebnogo okruga” u rozvytok istoryčnoho krajeznavstva na Černihivščyni, «Siverjans’kyj litopys», 3: 91-99.

Utechin I. B. 2004, Očerchi komunal’nogo byta, Mosca: OGI.

Vasylenko V. 2009, Holodomor 1932-1933 rokiv v Ukraїni jak zločin henocydu. Pravova ozinka, Kiev, O. Teliga.

Vovk Ch. K. 1928, Studiï z ukraïns’koï etnografiï ta antropologiï , Praga: Ukraïns’kij gromads’kij vydavnyčij fond.

Fonti visive

Belye Rosy (film), 1983, Dobrolyubov I., Belarus’film.

Dom dlja Kuz’ki (Passo Uno), 1984, Zjablikova A., Ėkran.



[1] In questo periodo storico le terre dell’Ucraina erano spartite tra due grandi imperi: l’ovest era sotto il dominio austro-ungarico e i territori orientali appartenevano alla Russia zarista; nonostante questa divisione, c'erano gli studiosi impegnati ad elevare il potenziale della scienza ucraina al livello europeo: tra loro stimati etnografi ed antropologi, i cui nomi e le opere, per evidenti barriere linguistiche, rimasero poco conosciute in Italia e all’estero [Kovalevskij 1895-1897, 1904; Kostomarov 1918, 1921; Vovk 1928].

[2] Leggendo la relazione di Markevyč viene in mente lo scritto del giovanissimo Friedrich Engels La situazione della classe operaia in Inghilterra pubblicato nel 1845. Anche in questo caso l’autore si è basato sulle osservazioni fatte in prima persona, riproponendo un resoconto relativo alle condizioni in cui versava il proletariato britannico dell’epoca, mettendo in evidenza le precarie condizioni abitative degli operai, sottolineando che tali alloggi umidi, sporchi e freddi, non erano adeguati per accogliere le persone [Marx, Engels, 1955: 361].

[3] L’Inchiesta è composta da 15 volumi divisi in 22 tomi, rappresenta un'imponente testimonianza sulle condizioni dell’agricoltura italiana negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, tuttavia questa indagine non ha prodotto alcun provvedimento concreto per migliorare i contratti agrari, per rivedere le forme e le modalità di conduzione delle campagne tantomeno per migliorare le condizioni dei contadini.

[4] Molte di queste foto sono custodite a San Pietroburgo, presso l’archivio del Museo di Antropologia e di Etnografia Pietro il Grande – Kunstkamera.

[5] Holodomor (dal ucraino moryty holodom significa far morire di fame) la terribile carestia provocata dal regime di Stalin che causò, nei primi anni Trenta, la morte di oltre cinque milioni di ucraini [Vasylenko, 2009]. Al giorno d’oggi solo alcuni Stati indipendenti hanno definito le azioni del governo sovietico, in Ucraina, come atti di genocidio.

[6] Trattasi dei piani quinquennali per lo sviluppo dell'economia nazionale dell'URSS, dal 1928 al 1991, chiamate appunto pjatiletka, che dovevano garantire un rapido sviluppo dell'economia dell'Unione Sovietica. Il programma veniva sviluppato su scala nazionale da un ente statale appositamente creato, Gosplan, che individuava determinati obiettivi da raggiungere in un periodo di cinque anni [Ol’sevič 2015, 91].