Editoriale

Alberto Baldi

Università di Napoli Federico II

Eugenio Zito

Università di Studi di Napoli Federico II

Il numero esordisce con una sezione monografica dedicata alle antropologie dell’est a cui abbiamo dato il titolo di “Russia e Ucraina - percorsi etnografici e sviluppi antropologici”. Da circa un anno avevamo intenzione di effettuare questa apertura a oriente resasi possibile grazie a un convegno internazionale da noi organizzato nel 2017 a Napoli, presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II, in cui avevamo potuto stabilire primi fruttiferi contatti de visu con esponenti dell’antropologia russa, nonché con il Museo di Antropologia e di Etnografia "Pietro il Grande" dotato di preziose collezioni etnografiche provenienti da tutto il mondo. Era poi seguito un viaggio di studio a San Pietroburgo della co-curatrice di questa sezione che presso la Kunstkamera aveva tenuto alcuni interventi sui rapporti ottocenteschi tra antropologi italiani e russi, potendo altresì essere ammessa a biblioteche, pozzi librari e collezioni del museo. Altri contatti ancora si sono definiti e nel tempo rinsaldati con l’Università statale di Mosca Lomonosov e con esponenti dell’antropologia visuale.

Cinque sono gli studiosi di primo piano, E. Rezvan, A. V. Golovnev, E. Aleksandrov, E. Golovneva e I. Golovnev, che hanno volentieri aderito a questo nostro piccolo progetto, inviandoci dei contributi che ricostruiscono in una prospettiva storica, teorica e metodologica vicende e percorsi della museografia antropologica, dell’etnografia, e dell’antropologia visuale che in Russia ha rappresentato fin dagli esordi del cinema un filone centrale della ricerca antropologica.

Apre la sezione un nostro contributo in cui, oltre a fare i doverosi onori di casa abbiamo ritenuto opportuno sottolineare i “punti forti” di questi scritti, gli aspetti convergenti ma pure le differenze di prospettiva, personalmente e sommessamente permettendoci di effettuare delle chiose, alcune integrazioni e più specifiche contestualizzazioni che ci sono parse opportune per un lettore non ancora introdotto all’antropologia russa e sovietica. Non ci sembra utile richiamare qui nel dettaglio i saggi dei colleghi russi rimandando dunque al su menzionato nostro scritto. Chiude la sezione T. Mykhaylyak che prosegue la sua ricerca sulle origini e gli sviluppi dell’antropologia ucraina con un suo nuovo contributo dedicato ad antecedenti e primi passi del folklore e dell’etnografia ucraina.

Nella miscellanea trovano posto cinque saggi. Si inizia con G. Arnone che si concentra su materiale etnografico raccolto dalla frequentazione di persone omosessuali che si riconoscono all’interno del discorso cristiano-cattolico tradizionale e che cercano di conciliare il proprio orientamento sessuale con la dimensione religiosa cui appartengono.

Baldi indaga invece, nell’ambito dei rapporti tra arte e antropologia, la produzione di R. Iazzetta, che nella sua doppia veste di laureata in sociologia con una tesi in antropologia culturale e di artista amante del ferro da scaldare, torcere, rendere tagliente e acuminato, produce “creature” che nell’algore inquietante del metallo slabbrato e appuntito si richiamano a certuni topoi delle culture tradizionali qui evocati e riletti in chiave di denuncia sociale, in una prospettiva ambientalista.

Michele Filippo Fontefrancesco nell’suo articolo riflette sul caso etnografico dell’agnolotto e su alcuni dei dati raccolti durante un quindicennio di ricerca etnografica in Piemonte nel corso della quale sono state analizzate le dinamiche di sviluppo locale del territorio rurale, osservando in particolare l’uso dei patrimoni culturali quali beni socio-economici delle comunità.

Edda Orlandi esplora il tema della fortuna attraverso una ricerca basata su interviste condotte in profondità con giovani donne che hanno terminato il loro percorso di studi nella Milano degli anni post crisi, confrontando in particolare le narrazioni di quelle che hanno concluso l’università con quelle di coloro che hanno abbandonato la scuola precocemente.

Muovendosi nella prospettiva critica dell’antropologia medica con riferimento al problema della contaminazione ambientale, Eugenio Zito, nel suo contributo, riflette sul corpo umano come snodo vulnerabile dell’interscambio di cultura e natura, luogo fisico di processi di incorporazione sociale e materiale e fulcro di un articolato intreccio di forze geopolitiche e ingiustizie.