Filiazione e genitorialità fra pratiche, rappresentazioni e diritto

Il caso dell’omogenitorialità in Italia

Rosa Parisi

Università degli Studi di Foggia – Dipartimento DISTUM, Foggia, Italy

Table of Contents

Introduzione
Essere gemelli ma non fratelli
Famiglia come comunità di affetto
Famiglie e genitorialità delle persone omosessuali
Scenari tecnologici e disconnessioni procreative
Conclusioni
Bibliografia

Abstract. The parent-child relationship is a dynamic, socially and legally constructed relationship. The relationship between filiation and parenting calls in play the ties between social construction and ideology of kinship and its normative determination. Through the analysis of two sentences on lesbian and gay parenting, we analyze the way in which the request for the legal recognition of homoparenting produces a circulation of cultural, symbolic and scientific references between society and the courts. These judgments call in play the legal relationships and the actions of the subjects capable of producing new legal regulations and new representations of family, parenting and filiation ties.

Keywords. Homoparenting, Intended Parents, Law in Action, Sentences, Italy.

Introduzione

Si può essere gemelli senza essere fratelli? Il progetto di un figlio è di per sé un criterio valido per stabilire un legame di filiazione? Come è noto, la relazione genitori-figli costituisce un rapporto dinamico, socialmente e giuridicamente costruito. Lo Stato interviene per stabilire chi può essere considerato un genitore o chi può aspirare a diventarlo. La relazione genitori-figli a livello giuridico si concretizza, quindi, in forme di filiazioni che servono a soggettivare e dare «ordine» normativo alla dimensione sociale e ideologica della parentela [Rouland 1992; Zimmermann 1993; Mykitiuk 2001]. Gli «ideali» sociali e giuridici delle relazioni di genitorialità e di filiazione sono, quindi, il risultato di processi di «normalizzazione» e di costruzione di regimi di verità che producono contrapposizioni fra veri/falsi genitori e veri/falsi figli. Nello specifico il matrimonio monogamico, il principio bigenitoriale, la (a)simmetria fra paternità e maternità, il regime eterosessuale e quello omofobico espresso da una società, concorrono a produrre conformazioni cristallizzate della filiazione che servono a sostenere la tendenza dominante verso la «naturalizzazione» dell’«ordine procreativo» di tipo eterosessuale [Iacub 2004]. Tale ordine è messo in discussione, da un lato, dalle nuove tecnologie riproduttive e dall’altro dall’irruzione sulla scena procreativa dalla genitorialità gay e lesbica [Cadoret 2008]. Espandendo lo sguardo alle forme giuridiche del riconoscimento delle genitorialità omosessuale, l’articolo cerca di cogliere gli elementi di passaggio, di contestazione e di riorganizzazione dei nuovi quadri normativi entro cui leggere e rappresentare le trasformazioni della filiazione e della genitorialità.

In Italia, negli ultimi anni, a fronte di una legislazione che impedisce e proibisce la genitorialità omosessuale[1], si è sviluppata una giurisprudenza che nella maggior parte dei casi riconosce i vincoli genitoriali fra persone gay e lesbiche e i loro figli nati all’estero. Le aule dei tribunali ampliano quindi le forme della genitorialità legittima includendo le persone omosessuali [Schuster 2011; Prisco 2012; Lioi 2016; Gattuso 2017; Schillace 2017; Pezzini 2017]. Il riconoscimento giuridico delle nuove forme della genitorialità è sostenuto dalle lotte dei singoli soggetti e dell’associazionismo lgbt+, in particolare da Famiglie Arcobaleno, che lottano per l’affermazione dei loro diritti procreativi. L’articolo analizza in particolare due sentenze del 2016, relative al riconoscono della genitorialità lesbica e gay, usate come casi di etnografia giudiziaria[2]. A partire dai documenti prodotti dai tribunali si analizzerà il modo in cui sul terreno della richiesta del riconoscimento giuridico dell’omogenitorialità si viene a produrre una circolazione di argomenti e di riferimenti culturali, simbolici e scientifici fra la società e le aule dei tribunali, capaci di produrre nuove normative giuridiche e nuove rappresentazioni dei legami familiari, genitoriali e di filiazione. Vedremo come, tali regimi discorsivi entrano nelle aule dei tribunali, si sedimentano nelle narrative giudiziarie, ne indirizzano i verdetti finali e vengono restituiti alla società come nuovi dispositivi capaci di orientare l’agire sociale e nutrire nuovi immaginari sui rapporti familiari e parentali. Dalla società al tribunale e da questo nuovamente alla società. In questo passaggio i saperi, i discorsi, le rappresentazioni prodotte nel campo scientifico-tecnologico e nella pratica delle relazioni parentali acquistano nuove valenze simboliche e nuovi significati derivanti dalle specificità messe in campo dall’azione giudiziaria.

L’articolo ruota intorno a tre questioni teoriche. La prima la potremmo riassumere nella prospettiva di una «law in action», vale a dire la produzione di norme giuridiche a partire dalle azioni, in particolare da quelle che si muovono fra società e aule dei tribunali. La realtà, quindi, orienta e si incorpora nell’agire giuridico, ma l’azione giuridica trasforma la realtà in forme normative definite, pronte a loro volta ad essere sfidate, rinegoziate, contestate dal flusso dalle trasformazioni sociali e culturali in atto. Resta [2016] mostra bene questa circolazioni di temi fra dentro e fuori il tribunale nell’analisi da lei condotta sul processo celebrato nel 1921 nel tribunale di Berlino contro Soghomon Tehlirian, di origini armene, accusato di aver ucciso Talaat Pasha, uno fra i maggiori responsabili del genocidio armeno. Attraverso l’analisi di tale processo, emerge come il paradigma vendicatorio orienta l’immaginario giuridico dei soggetti in campo, mettendo in relazione i codici culturali, nel caso specifico quelli che danno senso e strutturano il paradigma vendicatorio, con le pratiche giudiziarie. Già Gluckman aveva evidenziato come le «usanze e consuetudini entrano a far parte costantemente del processo e del giudizio» [Gluckman 1977, 246]. Nella stessa prospettiva di studi si muovono i lavori di Rosen [1995] sul Nord Africa, in particolare sul Marocco, riguardante i processi che hanno per oggetto conflitti che si producono nella sfera delle relazioni familiari. Nel nostro caso, vedremo come nelle sentenze in esame i codici culturali in azione sono quelli che strutturano i discorsi e i saperi medici in campo procreativo, così come le concettualizzazione della famiglia e dei legami parentali trasformati dalle tecniche riproduttive, dalle nuove relazionalità parentali e dalle nuove concettualizzazioni della famiglia.

La seconda questione si riferisce al modo in cui le azioni dei soggetti si muovono all’interno di una pluralità giuridica e normativa. Ancora una volta, il quadro teorico di riferimento è quello di un «pluralismo giuridico in azione», basato sulla presenza di networks interconnessi di norme giuridiche statali e non statali, nazionali e sovranazionali, prodotte in più centri, secondo la prospettiva del «legal polycentricity». Il focus dell’analisi sono l’azioni messe in campo da individui che si muovono all’interno di tali reti normative diverse e interconnesse [De Sousa Santos 1987; Vanderlinden 1989; Facchi 2005; Resta 2017]. Nel nostro caso, gli atti di sfida degli ordini normativi si caricano di particolare significatività in quanto agiti da soggetti sospinti ai margini della vita sociale in quanto minoranza sessuale. Si tratta, quindi, di individui concreti, posizionati in una rete di relazioni sociali storicamente determinate che agiscono all’interno di reti giuridiche nazionali e sovranazionali in parte sovrapposte e spesso conflittuali. Il soggetto, così come i gruppi sociali, nello specifico i gruppi di azione lgbt+, diventano il focus da cui osservare un pluralismo giuridico in azione, ovvero il «punto di riferimento finale nel quale cercare una composizione delle differenti identità normative e dei loro potenziali conflitti» [Facchi 2005]. Tale visione teorica ribadisce «l'importanza di focalizzarsi sul soggetto e sulle scelte che esso opera tra norme con fonti e contenuti differenti, talora conflittuali o, in altri termini, di adottare una actor perspective, come strumento per fronteggiare la policentricità e la frammentazione dei sistemi giuridici» [Ibidem]. Quindi, l’individuo con la sua azione si pone come sintesi e ragione d’essere del pluralismo giuridico e quest’ultimo, a sua volta, costituisce un livello importante del processo di soggettivazione dell’individuo. Una tale prospettiva ci permette di condurre un’analisi che intreccia la dimensione istituzionale con quella quotidiana, in particolare ci permette di vedere come gli ordini normativi istituzionali orientano le azioni degli individui e nello stesso tempo vengono sfidati, contestati e modificati proprio dall’agire politico degli stessi. L’individuo e i gruppi di appartenenza sono, quindi, al centro di networks normativi e giuridici che nel nostro caso, come abbiamo accennato, si producono su scala territoriale di diversa grandezza: nazionale e transnazionale. Nelle due sentenze che analizzeremo il gioco di scala verrà colto nella discussione del concetto di Ordine Pubblico applicato al tema della genitorialità e della filiazione. In questo caso, la prospettiva antropologica che ricerca un posizionamento dal basso «consente per un verso di prendere in esame le forme giuridiche transnazionali per come agiscono su piccola scala e per altro di favorire una visione multidimensionale e policentrata del pluralismo» [Resta 20017, 118]. L’azione normativa è, dunque, colta nella sua produzione, ovvero nelle sue componenti di spinte normalizzanti e di azioni di resistenza e creatività da parte degli individui.

L’ultima questione teorica riguarda la dimensione politica attraverso cui guardare l’azione dei soggetti in campo. Il soggetto, o meglio il processo di soggettivazione, secondo Laplantine [2012] si compone di più livelli, fra questi traviamo quello politico, che rimanda alla dimensione del potere e al concetto di cittadinanza, e quello giuridico, che rinvia ai diritti e ai concetti di riconoscimento. Le due dimensioni del processo di soggettivazione sopra richiamate sono particolarmente significative per la nostra analisi e verranno discusse nel corso dell’articolo nella loro reciproca interconnessione. Il soggetto dell’azione giuridica è un soggetto concreto, il cui posizionamento sociale rimanda a una rete multisituata di relazioni di potere e controllo, che possiamo definire «coloniality power matrix» [Grosfoguel 2009], prodotta da una intersezione di condizioni di dominio legati alla nazionalità, classe, genere, religione, orientamenti sessuali. Tale «matrice di potere», pur agendo direttamente sui corpi e sulle condizioni di esistenza degli individui, lascia comunque uno spazio importante alla capacità dei soggetti di reagire alle forme di oppressione. In questo senso, la prospettiva di analisi del potere e di resistenza al potere che qui assumiamo, pur basandosi sui fondamentali lavori di Foucault [1978, 1985, 1997, 2005], cerca di spostarsi in avanti e, partendo dagli spunti che lo stesso autore ha lasciato intravedere in alcune sue opere [Foucault 1985][3], approfondisce la capacità del soggetto di agire positivamente per sovvertire l’«ordine esistente». Le azioni di resistenza e di reazione messe in campo dai soggetti vengono interpretate da alcuni studiosi in relazione alla creatività soggettiva [Favole 2010, 2012; Saillant 2012; Kilani 2012, Graezer, Bideau 2012], oltre che, alla capacità di esprimere azioni collettive di critica sociale [Tyler, Marciniak 2013; Hardt, Negri 2004]. Tali azioni diventano tanto più significative e dirompenti quanto più vengono messe in atto da soggetti marginalizzati e sospinti ai margini della società, là dove il potere agisce con più determinazione e violenza, pensiamo alle proteste messe in atto dai rifugiati e richiedenti asilo[4] così, come nel nostro caso, quelle condotte dalle minoranze sessuali [Lingiardi 2007; Nussbaum 2011]. Le dinamiche di assoggettamento vengono così colte all’interno della relazione dialettica con i processi di soggettivazione. L’articolo cercherà di mostrare come, nonostante la condizione di vulnerabilità sociale e giuridica nelle quali sono sospinte le genitorialità omosessuali, queste di fatto esprimono i multiformi cambiamenti della famiglia in tutta la loro plasticità, ben oltre il mondo della famiglia lgbt+. Quindi, le azioni che sfidano la condizione di marginalità e di subalternità attraverso la lotta politica per il riconoscimento sociale e giuridico della genitorialità omosessuale possono essere definiti come «atti di cittadinanza» [Isin 2009]. Ovvero azioni che eccedono l’istituzzionalizzazione e creano la differenza, nel senso che cambiano lo stato delle cose attraverso una rottura dell’esistente, nello specifico quello degli ordini giuridici inerenti la famiglia e la filiazione. Si tratta di atti agiti da soggetti che, come dice Isin, «creano la scena» e non si muovono all’interno di diritti ascritti, ma con le loro azioni spingono alla produzione di nuove normatività

we can define acts of citizenship as those acts that transform forms (orientations, strategies, technologies) and modes (citizen, strangers, outsiders, aliens) of being political by bringing into being new actors as activist citizens (that is, claimants of rights) through creating or transforming sites and stretching scales [Isin 2009, 383, corsivo nel testo].

Nel nostro caso, la richiesta di riconoscimento giuridico della genitorialità omosessuale produce nuove forme di cittadinanza che chiama in campo il processo di ridefinizione della genitorialità, del corpo materno-riproduttivo, dello status dei soggetti procreativi, del rapporto fra corpi e sostanze procreative, del rapporto proprietario con le sostanze corporee coinvolte nella procreazione, tale ridefinizioni vanno ben oltre l’ambito della genitorialità dei soggetti lgbt+ e coinvolgono tutta la società.

Seguendo le prospettive teoriche fin qui delineate, l’articolo analizza la tensione fra spinte normalizzanti e produzione di nuovi ordini normativi. Tale sfida prende la direzione della richiesta di nuovi diritti, come quelli legati alle nuove forme della procreazione e al riconoscimento di nuove dimensioni della genitorialità evidenziando l’intreccio fra dimensione giuridica del soggetto, volta alla richiesta di riconoscimento sociale, e dimensione politica, collegata alla pratica della cittadinanza. Le azioni di resistenza, sfida e contestazione fanno emergere soggetti «attivisti» che si organizzano attraverso i media, i movimenti, i social network e, con le loro azioni, portano a un cambiamento sociale e normativo. Le lotte per il riconoscimento dei diritti che coinvolgono la sfera privata, come quella riproduttiva e della genitorialità, di fatto, mettono in discussione la separazione fra sfera privata e pubblica e producono una serie di pratiche e di atti direttamente collegati con la dimensione della cittadinanza. Per esprimere una tale idea di cittadinanza sono stati introdotti le definizioni di «intimate citizenship» [Plummer 2001] o «sexual citizenship» [Weeks 1996], che nel lessico richiamano i diritti legati alla dimensione intima dell’esistenza individuale, normalmente emarginati nella discussione pubblica, come i diritti riferiti al corpo, ai piaceri, alla procreazione, alle identità sessualizzate. La «cittadinanza intima» di Plummer [2001, 2003] si estende oltre il riferimento alla dimensione sessuale di Weeks [1996], fino a includere la sfera dei sentimenti, della corporeità, della riproduzione, comprese le scelte riguardanti tali dimensioni che perimetrano i territori dell’intimità. In questo modo, il concetto di «cittadinanza intima» espande i processi di costruzione dell’appartenenza assumendo positivamente la centralità che, negli ultimi decenni, la sfera privata ha acquistato nella vita pubblica.

I will see intimate citizenship as a sensitising concept which sets about analysing a plurality of public discourses and stories about how to live the personal life in a late modern world where we are confronted by an escalating series of choices and difficulties around intimacies [Plummer 2001, 238].

Va sottolineato come nella visione di Plummer, la «cittadinanza intima» non coincide con l’ambito della vita intima in sé, ma riguarda i discorsi pubblici che si originano intorno alla sfera privata. L’Intimate Citizenship, determina, quindi, l’avanzare di «nuovi cittadini» che affermano la loro presenza sulla sfera pubblica a partire dalle lotte per i diritti che nascono dalla sfera privata «to choose what people do with their lives, their bodies, identities, feelings, relationship, representations, and so on» [Oleksy 2009, 3][5]. In questo modo Intimate Citizenship di fatto ci porta a confrontarci con la dimensione politica della sfera privata, particolarmente evidente nelle questioni riproduttive sottoposte a una profonda trasformazione tecnologica.

Passiamo ora ad analizzare in concreto il modo in cui la contestazione, negoziazione e produzione dei diritti prende corpo, si sostanzia e viene rielaborata dalle azioni degli individui e dalle enunciazioni dei giudici. La prima delle due sentenze prese in considerazione è quella del 2016 emessa dalla Corte d’Appello di Milano riguardante il riconoscimento dell’atto di nascita di due gemelli nati in California con Gestazione per Altri [da ora GPA]. Tale sentenza, benché riconosca la legittimità della richiesta di trascrizione in Italia dell’atto di nascita dei due bambini, produce il paradosso di due gemelli non riconosciuti come fratelli. La seconda sentenza, sempre del 2016, è stata emessa dalla prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione e ha consentito la trascrizione in Italia dell’atto di nascita formato all’estero di una bambina nata attraverso la tecnica denominata ROPA[6]. In questa sentenza il riconoscimento della genitorialità delle due donne viene costruita sulla base dell’assunzione da parte del giudice del riferimento al concetto di famiglia come «comunità di affetti» e dell’accoglimento del concetto di «genitorialità intenzionale».

Essere gemelli ma non fratelli

La prima vicenda giudiziaria prende l’avvio dalla nascita di due gemelli, partoriti nel 2015 negli Stati Uniti, in California, con la GPA gestazionale, figli di una coppia di padri, cittadini italiani[7]. Tale tecnica procreativa prevede la partecipazione di due diverse donne con due differenti funzioni: la donna gestante e la donatrice di ovuli. La prima coopera al processo procreativo attraverso il proprio corpo, la seconda attraverso il proprio patrimonio genetico. La nascita dei due gemelli coinvolge, quindi, quattro soggetti: la gestante, la donatrice dei due ovuli, i due padri che hanno dato i loro gameti per fecondare separatamente i due ovuli. In California la surrogacy si svolge all’interno di vincoli giuridici prestabiliti mediati dalle cliniche procreative e dalle banche biogenetiche. Tali vincoli prevedono che entrambe le donne [gestante e genetica] rinuncino a ogni legame di parentela con i bambini nati grazie alla loro cooperazione. La gestante lo fa attraverso l’«agreement for gestational carriers» che stipula con i due uomini all’inizio del processo di surrogacy. Anche l’atto di donazione degli ovuli avviene all’interno di un rapporto formale giuridicamente disciplinato, con il quale si dissolve ogni legame proprietario fra donatrice e patrimoni genetici, che dal proprio corpo transito in quello del nuovo nato attraverso un trattamento biomedico gestito dalle banche biogenetiche. Quindi la donatrice, così come la donna gestante, rinunciano a rivendicare ogni legame parentale con il nascituro nonostante la condivisione di patrimoni genetici o di sostanze biologiche. Il dissolvimento per via legale di ogni vincolo parentale fra le donne coinvolte nel processo procreativo e i nuovi nati, permette ai padri, che hanno voluto e progettato la vicenda procreativa, di costruire un legame giuridico di filiazione esclusiva con i bambini. Il «Judgment declaring the existance of parental rights», emesso dalla Corte Californiana, garantisce la formulazione degli atti di nascita, nei quali una coppia di padri viene riconosciuta congiuntamente come genitori dei bambini nati con la GPA. Dal punto di vista giuridico la genitorialità dei due uomini è, dunque, il risultato di atti formali successivi, attraverso i quali il legame giuridico rifonda e ricapitola sia quello genetico che biologico. Nel caso specifico, alla fine di tale processo giuridico, i due bambini nati con la GPA risultano fra loro fratelli oltre che gemelli, per via esclusivamente paterna. Al ritorno in Italia, i due padri chiedono all’ufficiale dello Stato Civile di Milano, loro città di residenza, di trascrivere l’atto di nascita dei loro figli. Questi si rifiuta in nome della infrazione dell’Ordine Pubblico, in quanto la nascita dei due bambini con GPA viola la legge 40/2004, che all’art. 12 comma 6 proibisce la gestazione per altri considerandola un reato. Inoltre il funzionario contesta la gemellarità dei bambini in quanto non condividono fra loro gli stessi patrimoni genetici riconducibili a genitori comuni. I due padri impugnano la decisione ricorrendo al Tribunale di Milano, che rigetta la loro richiesta. A questo punto ricorrono alla Corte d’Appello di Milano che, diversamente dalla prima sentenza, accoglie la loro richiesta autorizzando la trascrizione dell’atto di nascita. Le motivazioni su cui si basa il nuovo giudizio coinvolgono diversi profili giuridici.

La prima questione è volta a dimostrare la non contrarietà dell’Atto in oggetto rispetto all’ Ordine Pubblico nazionale, così come invece contestato dall’Ufficiale dello Stato Civile di Milano e dal Tribunale di Milano. Il giudice della Corte d’Appello volge gli argomenti intorno all’Ordine Pubblico spostando la scala dei riferimenti giuridici dal contesto nazionale a quello internazionale, individuando come campo di riferimento le normative che regolano e garantiscono il rispetto dei diritti umani e della persona, piuttosto che le leggi italiane che disciplinano la procreazione [legge 40/2004]. La questione rilevante, si legge nella sentenza, non è quella di valutare se l’atto violi norme interne ma se rispetta le norme internazionali di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo deducibili dai trattati internazionali[8], che nello specifico riguardano, come si legge a pagina 4 della sentenza in oggetto, la tutela del minore

La tutela dell’interesse superiore del minore anche sotto il profilo della sua identità personale e sociale e in generale del diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia , valori questi già presenti nella Carta Costituzionale (art. 2, 3, 31 e 32 Cost.) e la cui tutela è rafforzata dalle fonti sovranazionali che concorrano alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale […] che costituiscono parte integrante dell’Ordine Giuridico Italiano.

Più oltre viene specificato come tale interesse comprenda anche il «diritto del minore all’integrazione nella famiglia di origine fino dalla nascita e alla continuità dei rapporti con i suoi familiari». Nelle pagine successive, vengono richiamate le sentenze su casi simili, emessi della Corte Europea dei Diritti Umani e della Corte di Strasburgo, sulla base delle quali è possibile ricavare

La relazione diretta tra diritto alla vita privata e quello all’identità, non solo fisica ma anche sociale del minore […] essendo la filiazione un aspetto essenziale dell’identità delle persone […] il diritto alla conservazione del cognome costituisce un profilo complementare del diritto all’identità e alla circolazione delle persone, e poiché la nazionalità dipende dalla sussistenza del rapporto di filiazione il mancato riconoscimento di quest’ultimo avrebbe l’effetto di compromettere quel diritto all’identità personale del figlio di cui la nazionalità è elemento costitutivo.

Questo passaggio della sentenza mette in evidenza due questioni importanti, la prima coglie l’orientamento verso l’apertura internazionale dell’Ordine Pubblico. La seconda coglie, con grande precisione, la connessione fra dimensione pubblica e privata nella costruzione delle identità derivanti da relazioni parentali. Rispetto alla prima questione, l’apparato argomentativo della sentenza non pone in contraddizione l’Ordine Pubblico nazionale con quello internazionale, così come era avvenuto nella sentenza del Tribunale di Milano. Infatti, viene precisato che i trattati internazionali sulla tutela dei diritti umani trovano riscontro in articoli della Costituzione Italiana, così come e i principi di Ordine Pubblico internazionale costituiscono parte integrante dell’Ordine Giuridico italiano. Il passaggio di scala dal livello nazionale a quello sovranazionale avviene nel segno dell’inclusione dell’Ordine Pubblico nazionale in quello internazionale. Ciò è reso possibile dall’aver messo a fondamento dell’Ordine Pubblico i principi che attengono alla tutela dei diritti umani. Sulla base di tale riferimento si stabilisce una continuità fra il campo dell’Ordine Pubblico nazionale e quello internazionale, all’interno del quale è possibile riconoscere più networks interconnessi di norme giuridiche transnazionali derivanti da differenti centri di produzione normativa, secondo una prospettiva teorica di «legal polycentricity».

La seconda questione affronta il tema dell’identità del soggetto derivante dai rapporti di filiazione. Nelle parole del giudice tale identità si produce allo snodo fra sfera pubblica e privata, mostrando la porosità dei confine fra i due ambiti. Nello specifico mostra come l’appartenenza familiare, espressa nel richiamo al diritto al cognome del nuovo nato e alla continuità dello status di figlio, rappresenti un livello importante di mediazione fra la costruzione dell’identità individuale e la costruzione dell’appartenenza nazionale. Appartenenza familiare e nazionale trovano infatti un punto di intersezione nella produzione di legami di filiazione. Come sappiamo, la relazione fra individuo-famiglia-nazione è al centro di molta letteratura che si interroga sulla dimensione politica e normativa nei processi di costruzione delle identità soggettive, e viene spesso affrontata in una prospettiva intersezionale, che in ultima istanza decostruisce la contrapposizione fra sfera pubblica e sfera privata [Yuval Davis 1997, 2014; Siim 2000; Richardson, Turner 2001; Turner 2008]. Nello specifico della sentenza, l’identità soggettiva trova un forte radicamento nei processi di costruzione di identità individuali nel contesto delle dinamiche di imparentamento e del riconoscimento legale delle stesse. Il diritto alla continuità dello status di figlio e del diritto al cognome diventa la base per la costruzione del legame con la nazione di appartenenza e quindi con l’attribuzione della cittadinanza. In questo modo, i legami parentali vengono richiamati come parte integrante della costruzione del cittadino [Ong 2005; Parisi 2017c].

Il terzo ordine di questioni è volto a ripristinare il rapporto di gemellarità dei due bambini, contestata dall’Ufficiale di Stato Civile e dal giudice di primo grado. Il giudice della Corte d’Appello ribalta la sentenza precedente e riafferma la condizione di gemellarità dei due neonati richiamandone la definizione tecnico-scientifica legata al parto. Si produce uno slittamento nella definizione di gemellarità dal piano genetico al piano biologico della gestazione e dei corpi della nascita. Si legge a pagina 3 della sentenza che la gemellarità è legata esclusivamente alla «nascita contemporanea»

secondo la letteratura scientifica, i gemelli si definiscono come «persone nate contemporaneamente»: […] e […] sono sicuramente di fatto gemelli dizigoti, in quanto nati dalla fecondazione di due ovociti ad opera di due spermatozoi diversi e partoriti dalla stesa donna contemporaneamente; non può pertanto ritenersi contrario all’ordine pubblico una dicitura su un atto di nascita che indica una dicitura di indiscussa a livello scientifico. Va smentito altresì l’affermazione dell’Ufficiale di stato Civile del comune di Milano che ha ritenuto certamente difficile “biologicamente” che da filiazioni gemellare possano essere attribuite paternità diverse ai nascituri, la comunità scientifica ha registrato vari casi, sia pure pochissimi nel mondo, di gemelli nati da ovuli della stessa madre fecondati con lo sperma di uomini diversi, casi definiti di “superfecondazione eteroparentale”, che succede quando la madre rilascia ovuli multipli e quando ha rapporti con due uomini nello stesso periodo, il caso di cui ci si occupa non è quindi impossibile a livello biologico pur essendo stato creato artificialmente con una fecondazione eterologa di due ovociti fecondati volutamente con il seme di due uomini diversi (Corsivo nostro).

Il giudice per attestare la gemellarità dei due bambini utilizza nelle sue argomentazioni le conoscenze scientifiche sull’argomento. Tali saperi medico-scientifici in quanto considerati produttori di una verità incontrovertibile -«essere nati contemporaneamente dalla stessa donna»-, estendono tale verità all’atto giuridico che partecipa di una verità predicata dalla scienza. L’atto di nascita riferisce una evidente verità biologica e, perciò stesso, non può essere contrario ai principi di Ordine Pubblico. L’elemento interessante è che la verità della gemellarità dei due bambini protagonisti della vicenda si riferisce a un processo procreativo diverso da quello richiamato dalla definizione utilizzata dal giudice. In un caso si tratta di fecondazione in vitro e successivo impianto degli embrioni nella donna gestante, nell’altro [definizione scientifica] di una fecondazione naturale avvenuto nel corpo materno. Il giudice infatti avverte la necessità di specificare che nonostante il riferimento a vicende procreative di tipo diverso, una diremmo «naturale» e l’altra «artificiale», i due esempi possono essere accostati. Un accostamento reso possibile per il tramite di casi limiti di procreazione gemellare in cui la fecondazione avviene a seguito di una «superfecondazione eteroparentale», in presenza, come si specifica, di rapporti multipli con uomini diversi. Una condizione che lascia intravedere il richiamo a situazione di «infedeltà» amorosa o, viceversa, di libertà sessuale. Il riferimento a situazioni eccezionali di concepimento gemellare, per il tramite di rapporti sessuali multipli con uomini diversi, permette di ripristinare sulla scena giuridica la condizione di gemellarità dei due neonati e di legittimità alla genitorialità dei due uomini, padri genetici dei due gemelli. La probabilità che nella procreazione «naturale» di gemelli la biologia contempli l’eventualità, anche se remota, di collegare i nascituri a due padri distinti conferisce un ruolo ai due uomini sulla scena del processo. Fin qui la biologia e la natura funzionano come contesto di ancoraggio e di traduzione di una vicenda nata ai limiti, o meglio oltre i limiti, delle possibilità procreative previste dalla legge in una dimensione normativa riconosciuta e accettata. Il paradigma scientifico si presenta come operatore di trasformazione di una condizione di illegalità in una di legalità, tanto che il giudice giunge a disporre la trascrizione degli atti di nascita.

Nelle argomentazioni del giudice, la questione della gemellarità dei due bambini, da un lato è resa compatibile alla dimensione dell’Ordine Pubblico, e quindi non più vista come violazione che rende nullo la trascrizione nell’atto di nascita in territorio italiano, dall’altro lato, disattende l’automatismo fra gemellarità e fratellanza, producendo una insolita disgiunzione fra le due dimensioni. A pagina 3 della sentenza si legge

La dicitura “twin”, gemello in italiano, indicata negli atti di nascita, non vale ad attribuire nessun rapporto di fratellanza tra i due bambini: indica semplicemente una stato di fatto, la nascita contemporanea del bambino con altro bambino nato dalla stessa madre, dal punto di vista biologico infatti, secondo la letteratura scientifica, i gemelli si definiscono come “persone nate contemporaneamente”

È interessante sottolineare che l’atto di nascita italiano consegna i due bambini al paradosso di una gemellarità senza fratellanza. Si tratta, quindi, di un atto giuridico che svincola i due bambini dal comune legame di fratellanza in quanto ognuno di loro è collegato esclusivamente al genitore biologico: ogni bambino è riconosciuto figlio del padre a cui è legato geneticamente. Sotto quale condizione la gemellarità si disgiunge dalla relazione di fratellanza?

Qui, a mio avviso, entra in scena la disgiunzione fra corpo gestante e corpo materno. Pur in presenza di «superfecondazione eteroparentale» l’assunzione dello status di madre della partoriente garantisce il legame fraterno fra i due neonati. In una visione procreativa che potremmo chiamare “naturale”, il corpo materno ricapitola la dimensione genetica e quella biologica nella fisicità del suo grembo, in virtù di ciò si presenta non come semplice «macchina della vita» capace di generare esseri umani, ma come luogo di produzione di soggetti fra loro collegati da rapporti di parentela, nello specifico di fratellanza. Il corpo materno costituisce, dunque, il dispositivo materiale e simbolico di trasformazione della vicenda della nascita in produzione di legami di parentela, primi fra tutti quelli fra la donna gestante-partoriente e il nuovo nato, fra il nuovo nato e l’uomo legato da rapporti istituzionali con la partoriente, inoltre quello fra bambini nati dallo stesso corpo femminile. Non così per il caso in questione dove la donna gestante ha rinunciato a ogni diritto di rivendicare un legame parentale nei confronti dei neonati. E così facendo ha contemporaneamente dissolto ogni possibilità di un riconoscimento ai nuovi nati di un loro legame di fratellanza per via gestazionale. Allo stesso modo, la donna che ha donato gli ovuli ha rinunciato a ogni legame parentale con i nuovi nati. In questo caso chi garantisce la fratellanza fra i due bambini?

Come prima cosa bisogna sottolineare che questa vicenda mette in evidenza come il legale di fratellanza non è un dato assoluto, ma varia a seconda dei contesti normativi locali e nazionali. Per la California, lo Stato in cui i due bambini sono nati, la gemellarità si identifica con la fratellanza, in quanto questi risultano legati fra loro tramite i genitori d’intenzione, non così per l’Italia dove il riconoscimento si ferma alla sola gemellarità escludendo il legame di fratellanza. Quindi, negli Stati Uniti, nello stato della California, il legame giuridico con i genitori d’intenzione ricompone il dissolto legame genetico e gestazionale garante della connessione fraterna. Viceversa, in Italia, il riconoscimento giuridico dei legami di filiazioni avviene all’interno di un paradigma procreativo di tipo esclusivamente biologico e «naturale». Per il diritto italiano l’«intenzionalità», ovvero la volontà di diventare genitori, è ammessa come base per il riconoscimento della filiazione solo nell’adozione, che come sappiamo è riservato unicamente alle coppie eterosessuali. Nel nostro Paese, il paradigma biologico-naturale della genitorialità, come mostra questo caso, può spingersi oltre il limite del principio eterosessuale ed includere la paternità gay, purché sostanziata da un legame genetico fra padre e figlio. In nessun modo è prevista la possibilità di andare oltre la genetica e includere il favor intentione. D’altra parte quello che la sentenza ha ammesso è la legittimità, per altro previsto dalla legge sulla filiazione n. 269 del Codice Civile, che un uomo legato geneticamente a un bambino possa reclamare il riconoscimento dello status di paternità. L’esclusione del favor intentione porta così al paradosso di riconoscere la gemellarità di due soggetti ma non il loro legame di fratellanza. I due uomini, gli unici che hanno voluto, progettato e cresciuto i bambini, gli unici rimasti in scena a fondamento di un vincolo comune che istituisce la fratellanza, per la legge italiana non possono essere considerati nella loro congiunta relazione di genitorialità. Questo caso, mostra bene come l’esclusione giuridica della «genitorialità di intenzione» conduca al paradosso di riconoscere lo status di gemelli ma non di fratelli[9]. L’esclusione del riconoscimento dell’intenzione come fonte per il riconoscimento della genitorialità colpisce ancora di più se consideriamo che la filiazione nello scenario della procreazione medicalmente assistita [da ora PMA] «postula invece […] un disallineamento strutturale fra dato giuridico e dato biologico, basandosi sulla consapevole assunzione della responsabilità genitoriale da parte dei genitori intenzionali» [Ivi, 31]. Quindi, a fronte del consolidarsi del

favor veritatis nella filiazione naturale, vi sarebbe in quella artificiale «un ritorno alle presunzioni e alle finzioni» , atteso che, invece, il consenso è tutt’altro che una finzione o presunzione, essendo atto concreto e univoco con cui si manifesta la volontà di assumere la piena responsabilità genitoriale del minore che nascerà con la tecnica prescelta [Gattuso 2017, 31].

Dunque, l’inattesa costruzione per via giuridica di legami gemellari fuori dal vincolo di fratellanza apre nuovi scenari nel modo di concettualizzare i vincoli parentali e filiali[10]. Scenari che non possono essere ignorati, anche in considerazione del fatto che proprio nell’ambito delle paternità gay sono in aumento i casi di nascita di gemelli tramite surrogacy. Una tendenza che per Simonetta Grilli esprime «the desire of the two parents to become the biological fathers of their own children: in some cases, twins come from the ova fertilised by the sperm of both fathers. Thereby we have two genetic fathers for two twins» [Grilli, Parisi 2016, 40]. La ricerca di gemelli mostra, quindi, la spinta verso la valorizzazione di vincoli genetici nella paternità/maternità omosessuale, allo stesso modo che in quella eterosessuale. Tale spinta verso la genomania o verso la ricerca di somiglianze fenotipiche fra donatori e riceventi di gameti è ben presente all’interno delle coppie omosessuali, così come in quelle eterosessuali [Stolcke 1998; Álvarez Plaza 2008; Pichardo 2009; Grilli, Parisi 2016] e dimostra quanto nei processi di imparentamento la dimensione biogenetica non è del tutto assente. La ricerca di rassomiglianze fisiche fra genitori e figli è variamente interpretata. Alcuni autori ne sottolineano la capacità di «salvare» la paternità nella procreazione eterologa in coppie eterosessuali [Stolcke 1998], altri evidenziano la capacità di imprimere maggiore solidità ai vincoli parentali e filiali in coppie sia eterosessuali che omosessuali [Modell 2002, cit. in Marre, Bestard 2009, 67]. L’etnografia di Marre e Bestad [2009] sulla famiglia catalana mostra come la questione delle rassomiglianze eccede la concezione biogenetica della parentela e si riferisce alla dimensione relazionale dei rapporti di parentela e alla pratica della condivisione quotidiana fra soggetti «[…] family resemblances are not a true confirmation of the biological truths of kinship but rather are linked to the relational aspect of kinship and to a way of constructing bonds between people [Marre, Bestard 2009, 64]. Dunque, le rassomiglianze, sebbene espresse in termini di eredità biologica, di fatto, si radicano nelle relazioni sociali, mostrando la grande ricorsività fra riferimenti genetici e riferimenti sociali.

Famiglia come comunità di affetto

La seconda sentenza riguarda due donne, una di cittadinanza italiana e l’altra spagnola, sposate in spagna, con una bambina nata con la tecnica ROPA, una forma di PMA che, come abbiamo detto, permette di scomporre la maternità nel vincolo genetico e nell’esperienza gestazionale[11]. Tale tecnica consente alle due donne di essere contemporaneamente coinvolte nella maternità, sebbene in due diverse forme, una definita attraverso il vincolo genetico [madre che dona l’ovolo da fecondare], l’altra definita attraverso l’esperienza della gestazione e del parto [madre gestazionale]. Sulla scena riproduttiva vi è un terzo soggetto, il donatore, che contribuisce con il liquido seminale a fecondazione l’ovulo della madre genetica. In Spagna come in Italia il terzo riproduttivo è coperto dall’anonimato[12]. Nel 2014 le due donne con la bambina si trasferiscono a vivere in Italia e chiedono all’Ufficiale dello Stato Civile di Torino di trascrivere l’atto di nascita del minore. Il funzionario oppone un rifiuto motivato con la questione della violazione dell’Ordine Pubblico. Le due donne presentano ricorso presso il Tribunale di Torino, che emette una sentenza negativa, per motivi di violazione della norma sul riconoscimento della maternità. Tale sentenza viene da loro appellata presso la Corte d’Appello di Torino, che emette una sentenza positiva ordinando all’Ufficiale di Stato Civile di trascrivere l’atto di nascita, e successivamente viene confermata dalla Corte di Cassazione. Qui analizzeremo, per la significatività degli argomenti considerati, la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione che si articola intorno a quattro ordini di questioni. La prima attiene la discussione dei principi e dei contesti che definiscono la nozione di Ordine Pubblico, che sostanzialmente ricalcano la sentenza precedentemente analizzata. La seconda mette in discussione la definizione legale della maternità basata sul parto e assume un atteggiamento non pregiudiziale verso la genitorialità omosessuale resa possibile dalle nuove tecniche di PMA. La terza questione attiene il riconoscimento dell’interesse supremo del minore, che si sostanzia nel diritto al riconoscimento dello status di figlio. Infine l’ultimo ordine di questioni si riferisce alla concezione della famiglia come «comunità di affetti», che nell’impianto della sentenza diventa un grimaldello capace di scardinare la contrapposizione fra famiglia etero e omosessuale.

Qui mi soffermerò solo su alcuni degli aspetti richiamati, in particolare sulle questioni che riguardano la definizione della genitorialità, nella fattispecie la maternità lesbica e il riferimento alla relazione di affetto e di cura per definire la famiglia. La sentenza contesta gli elementi che concorrono al riconoscimento della maternità derivante esclusivamente dall’esperienza del parto e accoglie il valore decrescente degli aspetti biologici e genetici della maternità a favore di quelli di volontarietà e responsabilità genitoriale. Tali elementi trovano legittimità nella legge 40/2004, nel riferimento all’articolo 6, in cui si parla di «assunzione consapevole della responsabilità genitoriale», che a partire dal momento in cui l’ovulo viene fecondato e impiantato nel corpo materno non può più essere revocato. L’incontro dell’ovulo con il corpo della donna diventa il limite di non ritorno nell’assunzione della responsabilità genitoriale, non solo materna ma anche paterna. Il corpo della madre si pone ancora una volta come paradigma della genitorialità e come luogo di produzione di legami parentali. Un altro elemento, che ha influito positivamente nella considerazione dell’intenzione genitoriale come base per stabilire la filiazione è, come si legge nella sentenza, l’avvenuto riconoscimento nel 2014 della procreazione eterologa, che, come conseguenza immediata, porta alla legittimazione della presenza di terzi procreativi

La Corte ha posto l’accento sul rilievo decrescente conferito dall’ordinamento all’aspetto biologico o genetico nella determinazione della maternità, come della paternità, e sul rilievo invece crescente attribuito ai profili di volontarietà e della responsabilità genitoriale tratto sia dalla legittimità delle pratiche di procreazione medicalmente assistita (PMA) di tipo eterologo, che consentono di attribuire la maternità e la paternità a coloro che, indipendentemente dall’apporto genetico, abbiamo voluto il figlio, accettando di sottoporsi alle regole deontologiche e giuridiche che disciplinano tali pratiche.

Le parole del giudice stabiliscono la legittimità di una coppia, anche omosessuale, a ricorrere alla procreazione eterologa in virtù della considerazione che la formazione di una famiglia, inclusa la scelta di avere figli, costituisce di per sé un diritto fondamentale della coppia. Un diritto che in un certo senso risponde ad un interesse pubblico che va riconosciuto e tutelato. In linea con questa osservazione e in base a considerazioni di diritto alla salute riproduttiva dei cittadini [Ranisio 2012], nel 2017 il Ministero della Sanità ha incluso le spese per le procedure di procreazione eterologa e omologa delle coppie eterosessuali nei LEA (Linee Essenziali di Assistenza). Se lo Stato, attraverso la legge 40/2004 e il Ministero della Salute, ha inteso restringere i diritti riproduttivi alle sole coppie eterosessuali, il giudice viceversa nella sua sentenza ha accolto ed esteso tali diritti anche alle persone omosessuali. Inoltre, la sentenza nelle sue conclusioni finali a pagina 55 fa riferimento a una trasformazione della nozione di famiglia in termini di «comunità di affetti», sulla base della quale cade la contrapposizione fra famiglia eterosessuale e omosessuale, rendendo quest’ultima accettabile fra le forme di famiglie possibili. Si legge nella sentenza

La famiglia è sempre più intesa come comunità di affetti, incentrata sui rapporti concreti che si instaurano tra i suoi componenti: al diritto spetta di tutelare proprio tali rapporti, ricercando un equilibrio che permetta di contemperare gli interessi eventualmente in conflitto, avendo sempre come riferimento, ove ricorra, il prevalente interesse dei minori. La nozione di “vita familiare”, nella quale è ricomposta l’unione fra persone dello stesso sesso […] neppure presuppone necessariamente la discendenza biologica dei figli, la quale non è più considerata requisito essenziale della filiazione […] il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa. E comunque tale requisito sussiste nel caso in esame, avendo una donna partorito e l’altra donato il proprio patrimonio genetico.

Le trasformazioni della cultura riproduttiva e delle forme della parentela hanno portato ad espandere il concetto di famiglia per includere le nuove forme che si producono nella contemporaneità a seguito dell’introduzione delle tecnologie riproduttive. La letteratura sulle famiglie omosessuali, sul benessere dei figli cresciuti in queste famiglie[13], così come l’assunzione di una definizione della famiglia centrata sugli aspetti etici, nonché le pratiche di PMA, in particolare quelle eterologhe, costituiscono lo scenario di legittimazione sociale e la base di produzione degli immaginari giuridici entro cui si è mosso il giudizio della Corte di Cassazione e che hanno portato all’accoglimento positivo delle istante di riconoscimento della genitorialità e della filiazione da parte delle due madri.

Le due sentenze esaminate rendono evidente quanto l’omogenitorialità nel panorama contemporaneo, rappresenti una sorta di evidenziatore delle complesse e, talvolta, contraddittorie trasformazioni che hanno investito i modi di fare famiglia e di concepire i legami parentali [Gross 2005, 2012; Cadoret 2007, 2008; Pichardo 2009; Grilli 2014; Parisi 2014, 2016, 2017a; Grilli, Parisi 2016]. Più in generale le famiglie omogenitoriali si collocano nel più ampio movimento di ridefinizione dei legami parentali come «la punta più avanzata» di una sorta di parentela fortemente riflessiva «che elegge la cura, la scelta, l’intenzione e l’amore a fondamento della costruzione del vincolo filiale e familiare» [Parisi 2017a, 98]. Inoltre, l’attivismo lgbti+, in particolare quello dell’associazione Famiglie Arcobaleno, introduce nello spazio pubblico nuove narrative in grado di raccontare le scomposizioni e le multiforme ricomposizione della vicenda procreativa in un quadro argomentativo che va al di là della stessa omogenitorialità. A livello politico, le due sentenze identificano lo scenario entro cui si inseriscono gli atti di cittadinanza di soggetti marginalizzati che portano ad ampliare i diritti delle minoranze sessuali. La scala specifica di tali atti di cittadinanza è quella internazionale dei diritti umani e quella già in movimento nel contesto nazionale, nonché quello delle trasformazioni tecnologiche in campo procreativo.

Famiglie e genitorialità delle persone omosessuali

Attualmente le unioni fra persone dello stesso sesso sono riconosciute dalla legge n. 76 del 20 maggio 2016, che porta il titolo «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», meglio conosciuta come legge Cirinnà. Tale legge si mantiene ben lontana dal riconoscimento del matrimonio egualitario in vigore in molti paesi europei e extraeuropei, e di fatto crea un istituto giuridico separato per le famiglie composte da persone dello stesso sesso e quelle composte da persone di sesso diverso. Il primo comma, del primo articolo della legge recita «La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione». In tutta la legge non viene mai nominato il termine famiglia, solo in un punto si parla di «formazione familiare». Nell’ art. 12 si legge «Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune». Come è noto la legge Cirinnà è stata approvata senza l’articolo 5 relativo alla stepchilde adoption, che prevedeva il riconoscimento del figlio del partner. Una genitorialità di «secondo grado», che non prevedeva il riconoscimento congiunto e immediato del figlio da parte dei due partner, ma costituiva pur sempre un passo avanti rispetto al vuoto normativo precedente. Lo stralcio dell’art. 5, insieme all’assenza del temine famiglia nella norma di legge, immette nel nostro ordinamento una pericolosa differenza normativa fra la famiglia cosiddetta «tradizionale», «naturale», deputata alla riproduzione biosociale, e ciò che viene chiamata «specifica formazione sociale», esclusa dai diritti procreativi e quindi condannata a diventare un soggetto riproduttivo «illegittimo». L’attuale situazione normativa fa, dunque, emerge una fragilità giuridica delle famiglie costituite da persone dello stesso che si esplicita nell’esclusione della genitorialità e, conseguentemente, nella negazione dei diritti dei bambini già nati o che nasceranno all’interno di tali coppie. Per altro la genitorialità omosessuale è una realtà in grande espansione, in particolare fra le giovani generazioni italiane di gay e lesbiche [Barbagli, Colombo 2001; Lingiardi 2007, 2013; Baiocco, Laghi 2013; Carone, 2016]. La discriminazione normativa riguardante la genitorialità in parte viene colmata dalla giurisprudenza e dalle sentenze elaborate nelle aule dei tribunali, che in ogni caso inquadrano i diritti procreativi, così come il riconoscimento della filiazione non nel quadro della certezza di una norma positiva ma nel quadro della discrezionalità delle decisioni dei giudici. Molte di queste sentenze hanno riconosciuto il rapporto di filiazione di coppie omosessuali sulla base della legge 184 del 1983 sull’adozione, in particolare sulla base dell’articolo 44, riguardante l’adozione in casi speciali, una forma di applicazione dell'istituto della stepchild adoption per via giudiziaria. Molte di queste sentenze precedenti il 2016 sono state emesse dal Tribunale dei Minori di Roma, dove a lungo ha lavorato il giudice Melita Cavallo [2016] che nelle sue sentenze ha espresso una grande sensibilità verso per tali situazioni. Un solo esempio, nel 2015 il Tribunale dei Minori di Roma ha riconosciuto la genitorialità della madre non biologica di una coppia di madri lesbiche rendendo così possibile l’adozione incrociata da parte delle due donne dei loro tre figli [uno avuto da una donna e altri due gemelli avuti dalla sua compagna]. Bisogna però rilevare che anche in questo caso, i diritti dei bambini sono stati riconosciuti solo in parte, infatti i tre figli per la legge italiana non sono fra loro fratelli, così come abbiamo già visto nel caso dei due gemelli nati in California. Inoltre il riconoscimento del vincolo parentale si ferma ai soli genitori, senza estendersi ai nonni e agli altri parenti. L’esclusione dei bambini dalla rete familiare dei due genitori porta a una riduzione dei diritti di questi bambini e a una maggiore fragilità delle solidarietà familiari. Nel mio lavoro etnografico sulle famiglie omogenitoriali uno dei punti di maggiore fragilità e vulnerabilità della rete familiare è legato all’esclusione giuridica del genitore non biologico [Parisi 2014, 2017a]. I nonni da parte del genitore non biologico, che per legge non ha nessun diritto sul bambino che cresce come figlio, spesso si mostrano angosciati per l’incertezza del rapporto con il nipote in caso di separazione dei due genitori, in alcuni casi ciò porta a un loro minore coinvolgimento nella crescita del nipote non biologico. La fragilità giuridica del genitore non biologico trova qui una sua esplicitazione negativa sul piano sociale della formazioni delle reti familiari. Questo è solo uno degli esempi di criticità in cui le politiche discriminatorie e differenzialiste della filiazione incidono sulla pratica della parentela nella costituzione delle relazioni parentali immettendo un fattore di debolezza strutturale. Il vuoto normativo si somma e rafforza una fragilità sociale che ha portato, soprattutto per il passato, all’allontanamento dalla persona omosessuale dalla rete parentale [Parisi 2017a]. L’esperienza della frattura e dell’allontanamento di gay, lesbiche e transessuali dalle proprie famiglie di origine, così come è stata proposta da Weston [1991] e dalla letteratura successiva, non va considerata come un processo di (de)parentalizzazione assoluto e irreversibile, bensì come un processo contestuale e dinamico [Parisi 2017a]. L’esperienza di conflitto, allontanamento o allentamento dei vincoli, a volte sino alla fuoriuscita, va ripensata in una prospettiva intersezionale, che mette assieme la dimensione di classe, genere, contesti nazionali [Hicks 2005], con atteggiamenti stigmatizzanti rispetto agli orientamenti sessuali. La storia recente di maggiore accettazione da pare della società e delle famiglie di origine degli orientamenti sessuali dei propri componenti ha portato l’opposizione iniziale con la famiglia di origine a ricomporsi in nuove forme di intrecci, coinvolgimenti e sovrapposizioni in continua evoluzione e trasformazione [Almack 2011], in cui le famiglie di origine trovano un loro ruolo attivo [Shipman, Smart 2007; Rothblum 2014; Bertone, Pallotta-Chiarolli 2014]. Nonostante ciò, ancora oggi le famiglie lgbti+ rispetto alle famiglie cosiddette «tradizionali» costruiscono reti di solidarietà «miste» formate da soggetti appartenenti alla famiglia di origine, ma soprattutto esterni, come coppie di amiche/ci, operatori procreativi [Crosbie-Burnett, Helmbrecht 1993; Rothblum et Ali. 2004; Corbisiero 2017].

Dunque, la legislazione e le politiche pubbliche che disciplinano la riproduzione delineano una condizione di «Stratified reproduction» [Ginsburg, Rapp 1995], che gerarchizza i soggetti rispetto alle possibilità differenziate di realizzare i propri diritti procreativi. Un sistema di inclusione differenzialista esacerbato da politiche riproduttive che elevano l’orientamento sessuale, l’età, la bigenitorialità e in ultimo la nazionalità, a elementi di marginalizzazione di soggetti considerati dei riproduttori «illegittimi» o «indesiderati». Un sistema di gerarchizzazioni, esclusioni e marginalizzazioni che si somma a effetti di differenziazioni provenienti dallo stesso principio normativo che disciplina la genitorialità. Come è noto, la legge 269 del Codice Civile sulla genitorialità istituisce la paternità e la maternità all’interno di un paradigma differenzialista, per il quale la paternità deriva dal matrimonio con la donna gestante o dalla condivisione dei patrimoni genetici con il nascituro, mentre la maternità è legata esclusivamente all’esperienza biologica della gestazione e del parto. Tale orientamento normativo oltre a produrre una differenza fra uomo e donna, produce anche una differenza fra soggetti fertili e soggetti infertili, fra uomini single e uomini sposati. Inoltre, il gap fra dimensione legislativa e dimensione giurisprudenziale, viene ulteriormente complicato dalla differenziazione dei diritti in questo campo a livello internazionale, per cui molte coppie omosessuali sono costrette a recarsi all’estero per avere un figlio, in questo modo vengono condannati a una sorta di «esilio procreativo». Le famiglie omosessuali acquisiscono diritti procreativi in altri paesi nella speranza di un loro riconoscimento in Italia. Queste famiglie

nei loro viaggi procreativi all’estero raccolgono «pezzi di carte», prodotti in vari luoghi, soprattutto nelle nazioni dove i diritti delle famiglie omogenitoriali sono riconosciute: “noi ci imbarchiamo in questi viaggi per andare a rubare i diritti alle altre nazioni e per portarli qua. Documenti che servono ad attestare la realtà del loro essere famiglia [Parisi 2014, 68].

Scenari tecnologici e disconnessioni procreative

La discorsività prodotta introno alla genitorialità omosessuale, fuori e dentro i tribunali, includono gli scenari tecnologici riproduttivi, non solo come potenzialità tecnologiche volte a risolvere questione di sterilità dei singoli e della coppia, ma anche, come orizzonte simbolico capace di spostare il limite dell’accettabilità delle forme possibile di procreazione umana, fino ad includere quelle che si realizzano a partire da desideri e progetti di coppie formate da persone dello stesso sesso. Allo stesso modo, gli scenari tecnologici mettono in discussione e chiamano a uno sforzo di ridefinizione dei termini fondamentali quali madre, padre, figlio, embrione [Álvarez Plaza 2008]. La tecnologia in questo caso, in particolare quella volta alla realizzazione della genitorialità dei padri gay, costituisce il nuovo orizzonte di senso entro cui rapportare i nuovi immaginari dei corpi riproduttivi, delle sostanze e dei soggetti della procreazione. Negli ultimi decenni, il trend demografico dei paesi occidentali, in particolare dell’Italia mostra un progressivo calo demografico, con valori percentuali di natalità al di sotto della soglia del rimpiazzo generazionale [Dati Istat 2016]. Le donne fanno figli sempre più tardi e sempre più con l’aiuto di altre donne, con funzione di donatrice di ovuli o di corpi gestanti [Marre et ali. 2017]. Le sostanze vitali [sperma, ovuli] vengono prelevate, selezionate, stoccate e conservate. Allo stesso modo le maternità vengono scomposte, moltiplicate e gerarchizzate: maternità biologica piena, maternità gestazionale, maternità genetica, maternità sociale. In questo processo di circolazione di sostanze biogenetiche fra corpi, laboratori e banche biogenetiche, tutti i fattori procreativi si ritrovano in una forma denaturalizzata. Le tecnologie riproduttive permettono di maneggiare in modo «flessibile» la natura e la cultura incorporata nel processo riproduttivo [Álvarez Plaza 2008]. In antropologia, a partire dalla fine degli anni ’70, e in particolare degli anni ’90 del Novecento con la svolta della New Kinship Studies, si è molto riflettuto sulle trasformazioni che le tecnologie riproduttive hanno portato al modo di percepire, concettualizzare e rappresentare i legami parentali[14]. Qui richiamerò rapidamente quegli elementi di cambiamento che attengono all’ordine di questioni riguardanti le rappresentazioni dei legami di parentela, il modo di concepire il processo procreativo e le relazioni fra corpi e sostanze riproduttive, che permettono di inquadrare la genitorialità delle persone omosessuali all’interno delle trasformazioni generali appena richiamate. Un primo cambiamento, che incontriamo sulla nuova scena riproduttiva biotecnologica, riguarda il livello della costruzione dei legami parentali e filiali e si esprime nello slittamento dalla dimensione biologica a quella dell’intenzionalità. Tale shifting di risemantizzazione dei legami permette alla genitorialità omosessuale di trovare un proprio statuto simbolico, e in alcuni casi normativo, come principio generativo. Forse più che di vero slittamento di piani di significazione dovremmo parlare della compresenza dei vari piani [genetico, sociale, intenzione] che possono essere attivati contemporaneamente dai vari soggetti in gioco. Tutto ciò implica una moltiplicazione dei soggetti, dei luoghi, che determinano la scena riproduttiva con la presenza prima fra tutti dei terzi riproduttivi, ma anche dei medici, degli operatori della riproduzione e delle diverse istituzioni [cliniche, banche biogenetiche]. Il nuovo ambito della produzione della parentela include, infatti, i laboratori biogenetici, le agenzie di adozione transnazionale, il cyberspace [Franklin, McKinnon 2001]. Ci troviamo di fronte a nuove «coreografie riproduttive» [Thompson 2005] che modificano gli stessi concetti di procreazione e parentela. A questo primo cambiamento, ne segue un secondo che riguarda il livello della rappresentazione dei legami parentali, in questo caso dalla nozione di consustanzialità [Godelier 2004], che implica l’idea di una condivisione di sostanze e che è espressa nella metafora del «sangue», si passa alla nozione di connessione genetica [Delaisi de Parsifal Collard 2007]. In ultimo, ma di fatto forse il primo dei cambiamenti in atto, è il processo di dissociazione dei fattori che nella procreazione cosiddetta «naturale» erano inseparabilmente congiunti fra loro. Quest’ultimo cambiamento è quindi declinato nel nome delle disgiunzioni, fra procreazione/sessualità, procreazione/genitorialità, fra luogo del concepimento/luogo della nascita, infine fra concepimento/inizio gravidanza.

Alcune di tali disgiunzioni precedono l’avvento della PMA, ad esempio, quello fra procreazione/sessualità rimanda alle pratiche contracettive, anche se è all’interno della scena procreativa della PMA che tale disgiunzione si presenza nella sua necessità tecnica di condizione essenziale per lo stesso concepimento. Per le coppie omosessuali, a differenza delle coppie eterosessuali, l’irrilevanza del rapporto sessuale nel concepimento va ben al di là della necessità tecnica e diventa elemento capace di dare senso alla loro stessa genitorialità. Ciò è possibile in quanto tale cambiamento costituisce un rafforzamento paradigmatico dello spostamento dal piano biologico del concepimento a quello ideazionale, che, come è noto, costituisce il punto di radicamento simbolico-normativo della genitorialità omosessuale. Allo stesso modo la disgiunzione fra procreazione/genitorialità, che nella procreazione «naturale» li troviamo uniti in una soluzione di continuità, è già presente nell’adozione, ma è solo nel contesto della PMA, dove entra in scena la genitorialità di intenzione, che tale separazione si trasforma in aspetto positivo capace di attivare percorsi di riconoscimento sociale e normativo delle nuove forme della filiazione. L’intenzione procreativa, come abbiamo visto, entra nella legislazione di alcuni Stati, come quello della Califormia, con il parental order del 2013. In Italia, la ritroviamo in alcune sentenze prodotte nelle aule dei tribunali come nuova forma di genitorialità, così come abbiamo visto nella seconda sentenza analizzata o come prova di genitorialità nelle nuove forme di PMA eterologa [Gattuso 2017]. Quindi, benché l’intenzione o la progettazione del figlio, come base di riconoscimento della filiazione e di costruzione della genitorialità, compare nella scena genitoriale già con l’adozione, è con l’avvento della PMA che tale dimensione mostra tutta la sua potenzialità di produzione di relazioni di filiazione. Altre disgiunzioni sopra citate sono specifiche della riproduzione mediata dalle tecnologie, ad esempio le disgiunzioni fra i vari organi riproduttivi femminili, o così come avviene nella GPA fra madre/feto [Marchesi 2013]. Tale processo di disgiunzione si inserisce nel processo più ampio di frammentazione del corpo femminile, che noi troviamo alla base della PMA [Gribaldo 2005; Álvarez Plaza 2008]. La medicina riproduttiva si «apropia de la corporeidad, fragmenta y homogeneiza cuerpos. Se hace necesario independizar el fragmento reproductor para estudiarlo, controlarlo, manipularlo. El cuerpo reproductor feminino resulta el más diseccionado, se divide en útero, ovarios, folículos, óvulos, trompas» [Álvarez Plaza 2008, 96]. Ritornando alla disgiunzione feto-corpo materno, ancora una volta è utile sottolineare che da tempo sono in atto dei processi che tendono a fondare l’autonomia del feto dal corpo materno, ad esempio la legge 40 del 2004 istituisce l’autonomia giuridica del feto, che diventa un soggetto di diritto

Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito [Legge 40/2004, art. 1].

In questa stessa direzione si muovono i molti documenti che negli ultimi decenni sono stati prodotti dalla Chiesa Cattolica sull’argomento[15]. Quindi, la legge 40, così come i documenti della Chiesa Cattolica, portano sulla scena pubblica il «fantasma» del feto come segno di un cambiamento nella concezione della stessa vita [Duden 1994]. Tale paradigma è efficacemente sostanziato all’interno degli interventi normativi, come appena detto, ma anche dalle biopolitiche procreative e di diritto alla salute procreativa messe in campo dallo Stato, così come quelle messe in campo dalla Chiesa Cattolica, da Hanafin [2007] denominate con il termine «vitapolitica», per sottolineare la centralità degli aspetti legati alla concezione stessa della vita. Dunque, nuovi soggetti primi fra tutto il feto, così come i geni, le sostanze biogenetiche, compaiono a popolare la scena pubblica e, oltre a reclamare diritti e protezione, spostano l’esercizio del controllo disciplinare dalla sessualità e dai corpi sessuati alla procreazione e ai corpi riproduttivi.

Conclusioni

Il riconoscimento giuridico della genitorialità omosessuale, così come abbiamo detto, si confronta direttamente con la messa in discussione del principio di «naturalizzazione» dei fatti procreativi come dispositivo capace di produrre soggetti all’interno di un ordine genealogico che «confonde la nozione di biologia, di relazione di sangue con quella di natura» [Franklin, Strathern 1993]. Un gioco di confine e sui confini che permette di cogliere quei processi politici-isitituzionali-giuridici produttivi di un nuovo linguaggio volto a rende dicibili e riconoscibili i processi di «imparentamento», espressione delle nuove forme di relazionalità parentali e familiari, senza per questo eliminare del tutto la dimensione biologica, e il ricorso all’idea di «naturalità». In questo modo, si viene a produrre una oscillazione fra dimensione biologica e sociale, fra progettualità procreativa e materialità dei corpi riproduttivi. Un’oscillazione che porta a ridefinire ruoli e funzioni dei soggetti della riproduzione, così come a ridefinire in modo flessibile e contestuale le stesse nozioni di geni, embrioni, sostanze [Edwards, Salazar 2009]. La dimensione biologica come capacità di produrre familiarità, vicinanze e appartenenze parentali l’abbiamo vista in opera nella ricerca di un figlio con cui avere un legame biogenetico, che porta alla ricerca di somiglianze fenotipiche fra donatori e riceventi. In particolare, come abbiamo detto, la ricerca di somiglianze fisiche traduce la necessità di consolidare «condivisioni» e «identità» parentali, pur sempre ancorate alla dimensione relazionale dei rapporti di parentela e alla pratica della condivisione quotidiana. In definitiva, si produce un gioco che ricompone i confini fra corpi-laboratori-sostanze, fra appartenenze biologiche e sociali in rapporto ai contesti di riferimento. In ultimo, includendo l’analisi delle relazioni giuridiche, possiamo dire che siamo in presenza di un gioco che, intrecciando la dimensione quotidiana dei diritti agiti con quella istituzionale della produzione di normatività giuridiche, cerca, da un lato di ricostruire i processi attraverso i quali le norme giuridiche vengono sfidate, negoziate, prodotte e, dall’altro lato, di mostrare i modi in cui i conflitti sociali prendono la forma di rivendicazioni giuridiche che trovano legittimazione in una rete transnazionale di diritti localmente ricostituiti. Le sentenze analizzate in questo articolo, così come abbiamo visto, cercano di dare risposte alla richiesta di riconoscimento legale delle nuove forme di filiazione prodotte dal dissolvimento del paradigma eterosessuale nella formazione della famiglia e dall’utilizzo delle tecnologie riproduttive. Molti conflitti e controversie giudiziarie si stanno producendo proprio a causa della crescente moltiplicazione e scomposizione delle forme della genitorialità derivante delle tecniche e dalle tecnologie di PMA[16]. L’aspetto più rilevante preso in considerazione nell’articolo è l’entrata in scena della genitorialità d’intenzione, l’intented parent, colui che desidera, progetta, mette in campo tutte le strategie per avere un figlio e reclama il diritto alla genitorialità in virtù dell’«intenzione» genitoriale espressa e agita. Il momento della decisione o l’atto intenzionale viene eletto a momento fondativo della vicenda procreativa e delle dinamiche di riconoscimento giuridico dei legami di filiazione, e per ciò stesso prende il posto che l’atto sessuale aveva nella procreazione naturale. Interessante nell’analisi delle due sentenze è, come abbiamo evidenziato, il diverso atteggiamento espresso dai due giudici su questo punto. Nel primo caso, quello della genitorialità di due padri gay, la corte ha escluso la genitorialità d’intenzione fino a produrre il paradosso di due gemelli non fratelli. Viceversa, nella seconda sentenza, quella relativa alle due donne lesbiche, vi è un esplicito riferimento alla genitorialità di intenzione come base per il riconoscimento del rapporto di filiazione fra le due donne e la loro figlia nata in Spagna. È interessante notare che il riconoscimento degli aspetti di volontarietà e intenzionalità genitoriale, che portano a considerare la dimensione di coppia genitoriale, compaia nella sentenza sul riconoscimento della genitorialità lesbica. Culturalmente e socialmente, il riconoscimento della coppia genitoriale femminile è meno stigmatizzato rispetto a quello maschile e, quindi, più accettato in virtù della considerazione di una maggiore «naturalità» attribuita alla maternità rispetto alla paternità [Trappolin, 2017]. Una gerarchia di valore e di «naturalità» fra maternità e paternità sembra rintracciarsi, come mette in evidenza Álvarez Plaza [2008], anche nel discorso biomedico con riferimento alle sostanze riproduttive femminili e maschili e ai corpi riproduttivi

En el discurso biomédico sobre la reproducción, sea natural o asistida, el óvulo adquire una mayor importancia en relación con el espermatozoide […] mientras la labor del espermatozoide finaliza con unión de los gametos, en la recombinación de los genes, el óvulo continua con el trabajon de lareproducción, debe “alimentar” al nuevo ser constituido tras la fecondación […]. Después es el útero el que toma el relevo, con la placenta nutre, protege y desarrolla el embrión y el feto” [Álvarez Plaza 2008, 37].

Dunque, finché la «genitorialità d’intenzione» e la «responsabilità procreativa» non entreranno stabilmente sulla scena del diritto avremo casi di bambini che «sebbene abbiano lo stesso cognome, vivano come fratelli e come tali siano riconosciuti secondo il diritto dello Stato in cui sono venuti al mondo, restano due estranei per il diritto italiano» [Schillace 2017]. Fino al paradosso di riconoscere gemelli che a livello giuridico non sono considerati fratelli. Accanto al riconoscimento legale del «genitore d’intenzione» è altrettanto necessario superare il principio differenzialista della genitorialità, secondo il quale la maternità e legata all’evidenza fisica del parto, mentre la paternità è legata alla prova genetica. Questi aspetti assieme al riferimento culturale della «naturalità» delle competenze genitoriali materne e della irrilevanza della genitorialità paterna portano a un’idea differenzialista della genitorialità e allo «scandalo» della paternità gay, così come ha evidenziato il dibattito pubblico italiano e internazionale sulla GPA[17]. La seconda sentenza in esame ci introduce a considerazioni interessanti sul rapporto fra maternità e parto. Nelle argomentazioni del giudice entrano in scena nuove coreografie «materne» popolate di progetti, affetti e non solo da corpi partorienti e geni. Questa seconda sentenza entra così nel terreno della definizione di nuove forme di genitorialità e filiazione. Ci troviamo di fronte a nuove concettualizzazioni della genitorialità, che intrecciando elementi di naturalità, cura, responsabilità, complementarietà fra i sessi ridisegna la scala tradizionale della genitorialità che stabiliva al suo gradino più basso la paternità e in quello più alto la maternità. Elevando quest’ultima a paradigma della stessa genitorialità. In questa scala non trovavano cittadinanza le genitorialità omosessuali sospinte oltre i limiti della riproduzione legittima. È da tale posizionamento che i genitori gay e lesbiche hanno intrapreso una strenua lotta per il loro riconoscimento giuridico e sociale che gli permetta di essere riconosciuti come «genitori possibili».

Vorrei, inoltre richiamare, così come emerge in particolare nella seconda sentenza, la dimensione dell’amore e della presa in cura come nuovo paradigma di famiglia, in virtù del quale le famiglie omogenitoriali trovano un riconoscimento legale nella scala delle genitorialità riconosciute. La dimensione dell’amore, della cura, della mutualità piuttosto che quella della procreazione, spostano la parentela verso una prospettiva etica [Fassin 2011], e verso ciò che Shalins ha efficacemente definito come condizione di «mutualità dell’essere» [Shalins 2014]. Borneman [1992] e Faubion [2001] da tempo hanno sottolineato la dimensione etica della parentela, che si struttura in un sistema costruito processualmente, dove l’attenzione si sposta da «chi sono i parenti» a «come si diventa parenti». Essere parenti per Faubion [2001] significa essenzialmente «essere in un rapporto di obbligazioni reciproche». Ovviamente si tratta di una prospettiva che non annulla la dimensione giuridica della famiglia, così come abbiamo detto fin ora. In definitiva, l’intreccio fra il livello giuridico, giurisdizionale e della pratica della parentela mostra il dissolversi dell’ordine procreativo e parentale «tradizionale». Tali trasformazioni travolgono anche i quadri narrativi tradizionali di tipo genealogico che elegge il dato naturale, l’ascrizione e la concatenazione cronologica degli eventi procreativi a paradigma della rappresentazione della parentela e della filiazione [Solinas 2013]. Si tratta di produzione di nuove narrazioni familiari vicine alla forma di cartografie famigliari fluide, policentrare che mettono assieme frammenti di genealogie, di parenti biologici e non-biologici, di quasi-parenti, con amici, donne gestanti, donatori [Parisi 2017a]. In ultima analisi, le sentenze analizzate mostrano l’affermazione anche nelle aule dei tribunali di nuove rappresentazioni della famiglia, vista come «comunità di affetti», capaci di orientare l’immaginario giuridico in una direzione che permette di dare riconoscimento legale alle genitorialità delle persone omosessuali e di sostenere nuove forme di «narrazioni familiari (a)genealogiche» [Parisi 2017a]. Le sentenze dei tribunali diventano, quindi, parte della produzione della law in action, che si riversa direttamente nella vita reale delle persone dentro e fuori dalle aule dei tribunali. L’analisi delle sentenze mostra ancora una volta quanto «il diritto piuttosto che nella forma astratta del pensiero giuridico, si afferma e si consolida nella pratica» [Resta 2017, 100]. Una dinamica definita da Norbert Rouland [1992] «processo di giuridicizzazione». Quindi, assumendo la prospettiva teorica di quel «pluralismo giuridico in azione» richiamato già nell’introduzione, l’analisi delle sentenze ha permesso di cogliere l’importanza dell’agency degli individui nel processo di contestazione, sfida dell’ordine normativo vigente e di produzione di nuova normatività. Come afferma Resta «Il discorso giuridico si manifesta nelle pratiche e rappresentazioni poste in essere dagli agenti sociali, attraverso le quali è possibile cogliere le disposizioni che ne orientano l’agire» [Resta 2017, 100]. L’articolo, in linea con questa prospettiva teorica, ha mostrato come l’azione giuridica ci mette in contatto con la dimensione giuridica e politica di un soggetto concreto che con la sue azioni sfida gli ordini normativi, espande i diritti e produce nuovi ordini simbolici della genitorialità e della filiazione, che in concreto producono nuove forme di cittadinanza e un nuovo lessico della cittadinanza. Una cittadinanza che conduce alla messa in discussione dell’opposizione fra sfera privata e pubblica, e si ridefinisce in relazione a diritti che si originano nella sfera privata. Le sentenze analizzate richiamano il concetto di «cittadinanza intima» in quanto accolgono la rivendicazione di diritti che si originano nella sfera privata e producono nella sfera pubblica un processo di inclusione progressiva delle minoranze sessuali nella pratica di una piena cittadinanza. Come precisa Lister «intimate citizenship only constitutes a sphere of citizenship practice when its claims are made in the public sphere» [Lister 1997, 128]. La vita intima diventa l’oggetto di una «battaglia» che si «combatte» nella sfera pubblica, evidenziando così la natura politica dei conflitti che si radicano nella sfera privata. La conseguenza di tale battaglia è la messa in discussione della separazione e dell’opposizione tradizionalmente supposta fra questi due ambiti di esistenza. In definitiva, le azioni messe in campo da vari soggetti in contesti diversi per la rivendicazioni della genitorialità gay e lesbica costituiscono degli «atti di cittadinanza» [Isin 2009], in quanto producono nuovi soggetti politici, nuove normatività e nuove forme di appartenenza.

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-2011, The politics of belonging. Intersectional contestations, London: Sage.

http://it.blastingnews.com/cronaca/2018/01/usa-cittadinanza-negata-ad-uno-dei-due-figli-di-una-coppia-omosessuale-002309847.html.



[1] Legge sulla procreazione medicalmente assistita del 2004, legge sull’Unione Civile del 2016.

[2] Resta [2016] mostra come le sentenze possano costituire oggetto di analisi antropologica, in questo caso l’etnografia giudiziaria, così come definita dall’autrice, consiste nell’analisi interpretativa dei riferimenti culturali, simbolici in essi presenti, messi in relazione con i contesti giuridici e sociali della produzione delle narrative giudiziarie e della loro circolazione, così come delle relazionalità sociali e dei conflitti che si producono a partire dalle loro interpretazioni.

[3] Su questo punto si veda fra gli altri Senellart [2004].

[4] Su questo argomento si veda in particolare, Mezzadra [2011], Tyler [2013], Tyler, Marciniak [2013], Parisi [2017b].

[5] Su questo punto si veda anche Roseneil et Ali. 2013.

[6] La ROPA è una tecnica di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) in cui una donna partorisce l’ovulo donato dalla compagna/moglie e fecondato con lo sperma di un donatore.

[7] Sentenza della Corte d’Appello di Milano sezione Civile, n. 3990/2016 del 28/12/2016, RG n. 345/2016.

[8] Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e Convenzione dei Diritti del Fanciullo del 1989.

[9] Secondo Gattuso, il principio di responsabilità genitoriale come fonte di riconoscimento della filiazione, in un qualche modo, è già contenuto nella stessa legge 40/2004. Come afferma l’autore «Il consenso ai sensi dell’articolo 6, a sua volta, non è mero consenso informato al trattamento sanitario ma assunzione consapevole della responsabilità genitoriale, come attestato dall’ultimo comma per cui ai richiedenti devono essere esplicitate con chiarezza e mediante sottoscrizione le conseguenze giuridiche di cui all'articolo 8 e all'articolo 9» [Gattuso 2017, 29].

[10] È da segnalare che mentre esce questo articolo due padri gay residenti a Los Angeles, uno di nazionalità statunitense e l’altro israeliano, hanno avviato una causa contro la politica di immigrazione americana che ha negato la cittadinanza a uno dei due bambini. Anche in questa storia sono coinvolti due gemelli nati da una maternità surrogata con patrimoni genetici dei due padri. I due bambini sui documenti di nascita sono considerati figli dei due uomini, ma per la legge sull’immigrazione statunitense solo il bambino legato geneticamente al padre di nazionalità statunitense è considerato cittadino americano, mentre l’altro bambino nato con i patrimoni genetici del padre israeliano è escluso da tale cittadinanza. Questo caso mostra un’ulteriore fragilità della dimensione fraterna che viene relativizzata nei diversi contesti di riferimento: per lo stato civile i due gemelli vengono riconosciuti fra loro legati attraverso il legame genitoriale congiunto dei due uomini, mentre nel contesto giuridico della cittadinanza le politiche migratorie scindono il legame fraterno fra le due diverse appartenenze genetiche.

[11] Sentenza della corte Suprema di Cassazione, prima Sezione Civile, n. 19599/16

[12] In alcuni Paesi i donator non sono anonimi, in questi casi i bambini possono stabilire relazioni diverse con i donatori in relazione al modo in cui questi vengono inseriti nella rappresentazione genitoriale e nelle pratiche familiari [Goldberg, Allen 2013a, 2013b].

[13] Su questo punto si veda tra gli altri Lingiardi [2013], Baiocco et Alii. [2013], Ferrari [2015], Taurino [2016].

[14] Per una sintesi su questo argomento cfr. fra gli altri Grilli, Parisi [2016].

[15] Carta Dei Diritti Della Famiglia, Pontificio Consiglio Per La Famiglia, 22 ottobre 1983. www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/family/documents/rc_pc_family_doc_19831022_family-rights_it.html, consultato il 21 settembre 2015; Il Rispetto Della Vita Umana Nascente e la Dignità Della Procreazione, Congregazione per La Dottrina Della Fede, 22 febbraio 1987, www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19870222_respect-for%20human-life_it.html, consultato il 22 settembre 2015

[16] Un solo esempio fra tutti è la controversia sull’attribuzione della filiazione a seguito dello scambio di embrioni nell’ospedale romano Sandro Pertini avvenuto nel 2014. Questo episodio ha visto una lunga e sofferta controversia giudiziaria che ha contrapposto le due coppie di aspiranti genitori, quella genetica e quella che, a causa dell’errore nell’impianto degli embrioni, si è trovata a portare avanti la gravidanza. Sono seguiti contrastanti pronunciamenti del Comitato Nazionale di Bioetica che alla fine ha indicato come soluzione della vicenda una genitorialità allargata alle due coppie di genitori (biologici e giuridici).

[17] Per una sintesi su questo argomenti cfr. fra gli altri Álvarez Plaza, Olavarrìa, Parisi [2017].