Inquinamento elettromagnetico e salute fra controversie, ricerca indipendente ed associazionismo

Il caso del movimento degli elettrosensibili

Milena Greco

Institute of History and Archeology of Ural - Russian Academy of Sciences - Yekaterinburg, Russia

Table of Contents

Introduzione
Il dibattito scientifico, sociale e politico
Il movimento degli “elettrosensibili” fra disconoscimento ed esclusione sociale
Le storie e i percorsi: le difficoltà in ambito abitativo, lavorativo e sociale
Il ruolo dell’associazionismo e la questione del riconoscimento
Conclusioni
Riferimenti bibliografici

Abstract. This intervention is going to consider the main debate points and controversies connected with the fallout the rising levels of electromagnetic pollution have on health, within the framework of medical anthropology. After retracing the main terms and viewpoints of the political and scientific debate revolving around these issues, the focus of the debate will move on describing the implications of electrohypersensitivity, a contentious syndrome and on the role played by those movements and associations pushing for this illness to be recognized as a debilitating environmental disease.

Keywords. health; electromagnetic pollution; electrohypersensitivity; medical anthropology; “independent” research.

Introduzione

L’inquinamento elettromagnetico silente e subdolo, poiché inodore, incolore e invisibile, rappresenta, in quella che Beck [1986] ha definito la «società del rischio», il risvolto della medaglia della diffusione, oramai pervasiva, di nuove e sofisticate forme di tecnologie della comunicazione e dell’espansione delle loro infrastrutture, in quanto prodotto da telefoni cellulari, reti wireless, stazioni radio base, radar, elettrodotti. In questo intervento si prenderanno in considerazione le questioni e le controversie inerenti le ripercussioni sulla salute correlate ad esso, focalizzando l’attenzione su di un caso studio particolarmente significativo, quello del “movimento degli elettrosensibili”, esempio emblematico di epidemiologia popolare.

Si tratta di una problematica attorno alla quale ruota un ampio dibattito che rispecchia il rapporto controverso fra politica, scienza, interessi economici e società civile nella costruzione e nella percezione del rischio, come nel riconoscimento o viceversa, nel «disconoscimento»[1] di malattie legate a questioni ambientali. I rischi, infatti, sono «socialmente» e «collettivamente» «costruiti» [Beck 1986, 101] e divengono reali, tangibili in un processo di negoziazione e dialogo pubblico al quale partecipano diversi attori sociali [Douglas, Wildavsky 1983, 116]. I concetti di salute e malattia, analogamente, possono essere considerati quali «prodotti umani», storici, da «analizzare nei loro molteplici processi di produzione» [Quaranta 2006, XXVII]. A partire dalla prospettiva dell’antropologia medica, si approfondiranno, così, le questioni inerenti la «costruzione» e la «produzione» «sociale» e storica [Fassin 2014] della “elettro-sensibilità”, facendo riferimento, in particolare, alla realtà italiana.

Questo articolo trae origine da una ricerca in corso, avviata nel 2015, svolta con un approccio prevalentemente qualitativo ed antropologico, a partire da una disamina della documentazione scientifica e da un’analisi delle normative e dei documenti ufficiali prodotti dalle istituzioni e dal mondo dell’associazionismo. Sono state condotte, inoltre, fra il 2015 ed il 2016 interviste ad informatori privilegiati, rappresentati da esponenti di associazioni impegnate in questo ambito a livello nazionale,[2] raccolte dieci storie di vita di persone “elettrosensibili” [3] residenti in diverse città italiane[4] ed è stata svolta un’attività di osservazione- partecipante[5].

Dopo aver ripercorso brevemente i termini e le posizioni del dibattito scientifico, politico e sociale che con vicende alterne, ha contribuito a relegare, a livello istituzionale, la questione delle ripercussioni sulla salute dell’elettrosmog ad uno status di “incertezza”, si approfondiranno le problematiche della ipersensibilità ai campi elettromagnetici, prendendo in considerazione le drammatiche implicazioni in ambito lavorativo, abitativo e sociale di tale patologia sulle vicende e sui percorsi delle persone intervistate.

Il dibattito scientifico, sociale e politico

La controversia scientifica nell’ambito delle ripercussioni sulla salute dell’inquinamento elettromagnetico è ampia, complessa e si intreccia a quella politica e sociale. Il ruolo dell’expertise è in tal senso, particolarmente significativo. I processi decisionali e le normative inerenti il riconoscimento ed una possibile tutela del rischio, infatti, sono strettamente dipendenti dal parere della ricerca scientifica, esempio emblematico di “commistione fra scienza e politica” [Pelizzoni 2001, 111].[6]

La comunità scientifica è, tuttavia, divisa su tale problematica e ciò riflette uno degli aspetti peculiari e riconosciuti della scienza, ad oggi, le cui pretese di “verità” come ha evidenziato Beck [1986, 219], sono state oramai sfatate: l’“incertezza” [Beck 1986; Pellizzoni 2001]. Emblematico, in tal senso, il dibattito inerente la possibile nocività dell’uso dei telefoni cellulari, tematica a cui è stata dedicata, negli anni, particolare attenzione. Fra gli studi più autorevoli a riguardo vi sono quelli realizzati nell’ambito del “Progetto Interphone” [Interphone Study Group 2010] che è stato varato agli inizi del 2000 dalla I.A.R.C. (International Agency for Research on Cancer) e dall'O.M.S. ed ha coinvolto ricercatori di tredici nazioni, fra cui l’Italia.[7] In base ad esso non sono emerse evidenze scientifiche, in termini di rischio per la salute, legate all’uso dei telefoni mobili. Altre indagini epidemiologiche, tuttavia, come quelle condotte in maniera pioneristica dallo svedese Hardell, del Dipartimento di Oncologia, Ospedale Universitario di Orebro [Hardell 2006, 2009, 2011, 2013], poi, confermate da altri ricercatori, [8] hanno riscontrato una correlazione statisticamente significativa fra l’uso del telefono cellulare e del cordless (per un periodo superiore ai dieci anni) ed alcune forme di tumori cerebrali. Diverse meta-analisi sono state condotte, pertanto, al fine di far chiarezza [Huss, Egger, Hug, Huwiler-Munter, Roosli 2007; Myung 2009; Dubey Hammandlu, Gupta 2010; Lai 2010; Levis, Minicuci, Gennaro e Garbisa 2012; Hardell 2013, Repacholi, Lerchl, Roosli et al. 2011]. Alcune di esse hanno seguito un duplice filone: si sono soffermate sui criteri metodologici utilizzati, così da evidenziare carenze e vizi in questo ambito [Lai 2010; Levis, Minicuci, Gennaro e Garbisa 2012; Hardell 2013][9] ed hanno preso in considerazione, al contempo, le fonti di finanziamento. Tali meta – analisi hanno rilevato, in tal modo, come la maggior parte degli studi rassicuranti in termini di rischio per la salute, fra cui quelli del Progetto Interphone, su cui si basano le posizioni dell’O.M.S., abbiano ricevuto finanziamenti da soggetti privati, fra cui gli stessi gestori della telefonia mobile.[10] Gran parte delle indagini che, invece, hanno riscontrato effetti “sanitari”, come un incremento di tumori alla testa legato all’uso del telefono mobile, sono state finanziate in prevalenza da fondi pubblici [Huss, Egger, Hug, Huwiler-Munter., Roosli 2007; Myung 2009; Dubey, Hammandlu, Gupta 2010; Lai 2010; Levis, Minicuci, Ricci, Gennaro, Garbisa 2012; Hardell 2013]. Secondo alcuni ricercatori, pertanto, nell’interpretare i risultati degli studi in questo ambito, si dovrebbero prendere in considerazione le fonti dei finanziamenti [Levis, Minicuci, Ricci, Gennaro e Garbisa 2012; Levis, Masiero, Orio, Biggin, Garbisa 2014; Lai 2010 ].[11]

Nel tempo, inoltre, scienziati di diversi paesi hanno costituito associazioni o gruppi di ricerca, poi definiti “indipendenti”[12], nel tentativo di dare voce ai loro studi ed al contempo di sensibilizzare i governi e l’opinione pubblica sui possibili rischi per la salute legati all’incremento di emissioni elettromagnetiche artificiali. Fra questi la International Commission for Electromagnetic Safety (I.C.E.M.S.),[13] sorta nel 2002 ed il gruppo internazionale di ricercatori “BioInitiative”. Tali studiosi hanno evidenziato come gli standard di sicurezza internazionali, stabiliti dall’ I.C.N.I.R.P. (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti) non siano sufficienti a proteggere la salute pubblica,[14] poiché si basano esclusivamente sulla valutazione degli “effetti termici”, ovvero legati al riscaldamento prodotto dai campi elettromagnetici, mentre le loro indagini avrebbero riscontrato l’esistenza di numerosi “effetti biologici” e sanitari, “non termici”, prodotti da onde elettromagnetiche, anche di bassa e bassissima frequenza [BioIniziative, 2012 [15]; Iero, Pesante, 2006].

Quali sono, a riguardo, le posizioni istituzionali? Con il progredire degli studi e delle indagini vi sono state, a livello europeo, forme di riconoscimento della nocività delle emissioni elettromagnetiche artificiali. Fra queste, la Risoluzione del 2 aprile 2009 Parlamento Europeo «Preoccupazioni per la salute connesse ai campi elettromagnetici» e la Risoluzione del Consiglio di Europa n. 1815 del 2011 che esortano gli Stati Membri a ridurre i livelli di esposizione della popolazione, a condurre campagne informative, a disciplinare l’installazione di stazioni radio base, a prestare attenzione alla situazione dei bambini, più gravemente esposti ai rischi per conformazione biologica ed a prendere in considerazione le istanze di “persone elettrosensibili”. Nel maggio 2011, inoltre, l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato «i campi elettromagnetici a radiofrequenza» nella classe 2B, come «possibili cancerogeni per l’uomo». Provvedimento, in ogni caso, al centro di dibattito.[16]

In tale contesto storico, la Corte di Cassazione italiana (sentenza n. 17438), nell’ ottobre del 2012, confermando una sentenza del 2009 della Corte D’Appello Di Brescia – Sezione Lavoro (n. 514), ha sancito per la prima volta, giuridicamente, il nesso fra uso della telefonia mobile e alcune forme tumorali. I giudici, infatti, hanno riconosciuto come «probabile la relazione causale» o almeno «concausale» tra il tumore al cervello di un ex manager e l’uso eccessivo del cellulare e del cordless per lavoro, condannando l’INAIL al risarcimento dei danni per l’invalidità subita, stimata dell’80%. [Corte di Cassazione 2012].[17] L’importanza di tale sentenza risiede anche nel fatto che ha esplicitamente ammesso l’esistenza del conflitto di interessi per il finanziamento dello studio di Interphone, a cui si è riferito l’INAIL, sancendo la superiorità delle «indagini indipendenti», a cui hanno fatto riferimento i consulenti del manager ricorrente [Corte di Cassazione 2012]. Le reazioni a questo giudizio sono state molteplici, suscitando un ulteriore dibattito fra esponenti scientifici.[18] Essa, in ogni caso, ha consentito l’ammissione a processo di una class-action, per casi di tumore al cervello legati dall’uso dei telefoni mobili negli Stati Uniti, mentre in Italia sono state intentate altre cause di lavoro, alcune delle quali ancora in corso. [19]

Tali forme di riconoscimento giuridiche, scientifiche ed istituzionali sembravano andare nella direzione di un superamento della precedente fase di incertezza, in riferimento all’ esistenza di rischi per la salute correlati alle emissioni elettromagnetiche artificiali.

Nel gennaio 2015, tuttavia, lo Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks (S.C.E.N.I.H.R) della Commissione Europea ha emesso un parere differente, in base al quale «i risultati della ricerca scientifica» non dimostrano «evidenti effetti negativi sulla salute se l'esposizione rimane al di sotto dei livelli stabiliti dalla norme vigenti.» [S.C.E.N.I.H.R, 2015]. Parere che ha suscitato una forte reazione di parte dell’expertise, come i ricercatori del gruppo BioIniziative[20] e di movimenti ed associazioni internazionali impegnati in questo ambito.

In Italia, [21] in particolare, l’Istituto Superiore di Sanità ed il Ministero della Salute ritengono che, sulla base degli studi esistenti, non vi siano evidenze scientifiche di effetti sanitari legati alle radiofrequenze emesse da telefoni mobili, stazioni radiobase o reti wireless[22] [Istituto Superiore di Sanità, 2011; Interphone Study Group 2010, 2011; O.M.S. 2006, 2005; Lagorio 2012; Polichetti, Moccaldi 2016; Polichetti, Pozzi 2014, ISPRA, ISCTI, ISS 2009; Polichetti, 2007].[23] Negli ultimi anni, inoltre, i governi italiani hanno varato decreti volti ad aumentare, i “limiti di esposizione per la protezione del pubblico e dei lavoratori” consentiti per legge [24]. Nell’ambito della “Strategia Italiana per la Banda Ultra – larga” e della “Strategia per la Crescita digitale 2014-2020” è stato, poi, previsto l’adeguamento di tali livelli massimi di emissioni, a quelli internazionali stabiliti dall’ I.C.N.I.R.P.[25] Contro questa politica si sono schierati i gruppi associativi attivi in questo ambito a livello nazionale e parte dell’expertise.[26]

La magistratura italiana, intanto, con altre due recenti sentenze, emesse dal Tribunale di Ivrea (30 marzo 2017) e dal Tribunale di Firenze (24 aprile del 2017), ha nuovamente sancito il legame fra uso del telefono mobile per motivi di lavoro ed alcune forme tumorali (neurinoma al nervo acustico), suscitando un ulteriore dibattito.[27]

La comunicazione del rischio a livello istituzionale in materia è, in ogni caso, rassicurante, come si evince anche da una disamina dei siti web,[28] mentre si moltiplicano, in ambito nazionale ed internazionale, gli appelli e le petizioni di una parte della comunità scientifica e di associazioni ambientaliste o in sostegno di persone “elettrosensibili”, che sono in rete fra loro.[29] Tali movimenti fanno appello al “principio di precauzione”[30] che dovrebbe essere applicato in situazioni di “incertezza scientifica”,[31] sebbene secondo alcuni studiosi si possa parlare, al momento, piuttosto, di certezza del rischio [Hardell 2013].[32] Al contempo, le associazioni ed alcuni ricercatori denunciano, documentando accuratamente, le connivenze, gli intrecci, fra ricerca, interessi economici e politica, facendo esplicitamente riferimento al conflitto di interessi che grava su alcuni membri di Commissioni scientifiche o Agenzie nazionali [33] ed internazionali (fra cui l’I.C.N.I.R.P.), per i legami con le imprese di telecomunicazioni [Romana Orlando, 2014; Levis, 2015].[34]Levis, a riguardo, riprendendo le riflessioni di Tomatis [2005], direttore della I.A.R.C. dal 1982 al 1993, ha evidenziato come la produzione di studi contrastanti, finanziati dall’industria delle telecomunicazioni, crei una sorta di «rumore di fondo» volto ad alimentare i dubbi in questo ambito e rappresenti, pertanto, una «strategia» per «infliggere una battuta d’arresto», o «ritardare» importanti decisioni inerenti la tutela della salute pubblica [Tomatis, 2005; Levis, Masiero, Orio, Biggin, Garbisa 2014; Intervista al Prof. Levis 28/10/2016].

Dalle interviste ai principali referenti del mondo associativo condotte nel corso di questa ricerca, sono emerse, in ogni caso, considerevoli difficoltà ad avere voce su tali tematiche a livello mediatico, nell’ambito del main – stream, ove il più delle volte, sono riportate esclusivamente le posizioni istituzionali senza possibilità di un contraddittorio [Intervista Cinciripini, Rete Elettrosmg Free Italiana; Intervista al Prof. Levis, Ass A.P.P.L.E., Intervista a Romana Orlando Ass. A.M.I.C.A.]. Emblematica, a riguardo, la questione del riconoscimento della “ipersensibilità ai campi elettromagnetici”.

Il movimento degli “elettrosensibili” fra disconoscimento ed esclusione sociale

L’ “elettro-sensibilità” o “ipersensibilità ai campi elettromagnetici” rappresenta una patologia dallo statuto controverso, le cui istanze di riconoscimento sono in aumento nel mondo, come in Italia. Associazioni di malati ed ambientaliste, sorte in diversi paesi, infatti, ne rivendicano lo status di “malattia ambientale” inabilitante. Essa fa riferimento alla condizione per la quale alcune persone, in prossimità di diverse fonti elettromagnetiche, come nel caso dei telefoni cellulari, dei cordless delle reti wi – fi o delle stazioni radio base, avvertono svariate sintomatologie, talora estremamente intense, a livelli di esposizione generalmente tollerati dalla maggioranza.[35] Tale patologia sembra associarsi, come hanno rilevato gli studi in corso, alla Sensibilità Chimica Multipla,[36] e si caratterizza per un’elevata eterogeneità, in quanto coloro che ne soffrono possono essere sensibili a differenti frequenze e le loro situazioni possono mutare nel tempo [Austrian Medical Association 2012; Johansson 2006; Levis, Masiero, Orio, Biggin, Garbisa 2015].

Sulla stessa definizione della malattia, in ogni caso, non vi è accordo, mentre sono in corso, in ambito scientifico, indagini e studi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’«ipersensibilità ai campi elettromagnetici», che secondo le sue stime colpirebbe dall’ 1 al 3 % della popolazione, [37] in termini di «intolleranza ambientale idiopatica[38] attribuibile ad agenti fisici». Per l’O.M.S., infatti, essa fa riferimento ad un «insieme di sintomatologie non specifiche» di cui non è stato riconosciuto il nesso causale con l’esposizione ai campi elettromagnetici [O.M.S. 2005]. In base alla prospettiva scientifica che, invece, riconosce il nesso di causalità con le esposizioni elettromagnetiche, è stata definita quale:

A multi-organ adverse reaction to EMF, characterized by a wide range of aspecific symptoms. These can vary with intensity and duration, and are experienced by some as a result of exposure in the workplace or home to EMF emitted by various sources, whether low or high frequency (0-300 GHz) [Johansson 2006; Levis, Masiero, Orio, Biggin, Garbisa 2015].

A livello istituzionale vi sono differenti e discordanti posizioni inerenti l’elettrosensibilità. In alcuni paesi è stata riconosciuta in termini di disabilità, come in Svezia, ove sono previste forme di tutela e sovvenzioni specifiche per coloro che ne sono affetti,[39] in Canada, con la previsione di un riconoscimento da parte del sistema pensionistico per i malati più gravi e negli Stati Uniti, dove rientra fra le condizioni tutelate da parte della legge per le invalidità, l’Americans with Disabilities Act (A.D.A.). In Francia, inoltre, nel luglio del 2016, il Tribunale di Tolosa ha riconosciuto la invalidità dell’‘85% ed una pensione per tre anni, rinnovabile, ad una donna elettrosensibile di trentotto anni, costretta a vivere isolata fra i Pirenei ed un’analoga sentenza è stata espressa nell’ agosto dello stesso anno, dal Tribunale di Madrid.[40]

La Risoluzione del Parlamento Europeo del 2 aprile 2009 «Preoccupazioni per la salute connesse ai campi elettromagnetici» e quella del 2011 espressa dal Consiglio di Europa (n. 1815), invitano gli stati membri a prestare particolare attenzione e tutela a persone affette da tale problematica, riconoscendone la disabilità, analogamente a quanto avviene in Svezia. I pareri espressi dallo S.C.E.N.I.H.R nel 2015 e dal Comitato Economico e Sociale Europeo, nel 2016, tuttavia, sostengono che non vi sia «alcuna prova conclusiva per collegare una vasta gamma di sintomi descritti come elettrosensibilità (EHS) all'esposizione ai campi elettromagnetici o radiofrequenza.»[Comitato Economico e Sociale Europeo 2016].Tali posizioni sono condivise anche dall’Istituto Superiore della Sanità Italiano, cosicché, in Italia, questa patologia non è riconosciuta da un punto vista medico e ciò limita considerevolmente i percorsi di cura e le possibilità di tutela delle persone che ne sono affette.

Nell’ambito della comunità scientifica e medica la controversia resta aperta. Tali sintomatologie, secondo alcune indagini, possono ricollegarsi all’ “effetto nocebo”, cosicché, questa problematica è relegata nell’ambito della psico – patologia [Regel, Negovetic, Roosli, Berdinas, Schuderer, Huss, Lott, Kuster, Achermann 2006; Rubin, Hahn, Everitt, Clear, Wessely 2006]. Recenti studi, tuttavia, contraddicono tale tesi. Essi, infatti, hanno rilevato che il trattamento psicologico non sortisce, fra coloro che sono affetti da tale problematica, risultati positivi, evidenziando come possa rappresentare, piuttosto, una condizione fisiologica. Fra tali ricerche vi sono quelle svolte da Johansson dell’Istituto Karolinska in Svezia [Johansson 2006][41], dal medico oncologo francese Belpomme [Belpomme 2010, 2015][42] o gli studi sui polimorfismi della Dott.ssa Chiara De Luca del Centre of Innovative Biotechnological Investigations (Cibi-Nanolab) di Mosca. De Luca, ad esempio, in collaborazione ad altri ricercatori, ha dimostrato come le «ipersensibilità correlate all'ambiente», possano essere legate alla compromissione di meccanismi di de – tossificazione, per alterazioni enzimatiche[43] [De Luca, Chung Sheun Thai, Raskovic,Cesareo, Caccamo,Trukhanov, Korkina, 2014].[44]In Italia, indagini in questo ambito sono condotte da Genovesi, docente dell’Università di Roma La Sapienza e da Marinelli del CNR di Bologna.[45]

L’ Associazione Medica Austriaca, inoltre, nel 2012 ha realizzato delle «Linee - guida per la diagnosi ed il trattamento potenziale» di tale patologia, in cui si sostiene la necessità di prestare maggiore attenzione alla «percezione dei pazienti» in riferimento alla «propria condizione» che è «generalmente ignorata, ridicolizzata o negata come altre malattie in passato (quali la colite ulcerosa, l’emicrania, la sclerosi multipla) [Pall 2007].» [Austrian Medical Association, 2012]

«La nostra malattia» ribadisce, a riguardo, Orio, Vice - presidente dell’Associazione Italiana Elettrosensibili «non è inserita nei codici I.C.D. (International Classification of Diseases), quindi le strutture mediche non hanno gli strumenti per fornire una prognosi, una diagnosi o una terapia e ci confinano nella psicopatologia.»

Le storie e i percorsi: le difficoltà in ambito abitativo, lavorativo e sociale

Le storie raccolte nel corso di questa ricerca,[46] in diverse città italiane, testimoniano tutta la drammaticità della condizione legata alla elettrosensibilità. Sono, infatti, caratterizzate da un percorso medico lungo e tortuoso, seguito sovente da incomprensione, derisione tanto a livello medico che sociale, fra amici o familiari. Dalle parole degli intervistati si evincono lo stupore iniziale e le difficoltà di comprendere l’origine dei loro malesseri, ma al contempo anche la relazione di causa – effetto fra questi e le emissioni elettromagnetiche, accompagnata da un riscontro di miglioramento, allontanandosi dalle fonti. Emblematica a riguardo l’esperienza di I., che vive con il marito e la sua bambina di otto anni, in provincia di Varese ed è divenuta consapevole della sua condizione di elettro- sensibilità all’età di ventotto anni, agli inizi del 2000. Racconta, infatti:

Tutto è iniziato quando in ufficio, utilizzando il telefono cordless per lavoro, ho iniziato ad avvertire delle fitte all’orecchio, un bollore incredibile all’ orecchio, alla guancia. Diventava proprio la pelle tutta rossa e infuocata, che i miei colleghi mi dicevano “Ma cosa ti sta succedendo?” Ero tutta rossa solo dalla parte in cui avevo la cornetta. All’inizio come terminava la telefonata passava, poi dopo un’ora, finché poi ci voleva qualche giorno per farlo rientrare. Anche cinque minuti, sentivo questo orecchio che si scaldava. Poi i fastidi sono aumentati. Mi veniva un formicolio alla faccia che era come anestetizzata, poi mi venivano fitte terribili all’articolazione della mano con cui tenevo il telefono. La cosa per me è stata chiara, perché appena prendevo il telefono stavo male e poi appena lo mettevo giù […] Una sera, dopo una telefonata di quaranta minuti si è gonfiato il linfonodo dietro l’orecchio, non riuscivo a tenere la testa sul cuscino e il giorno dopo sono andata in ospedale. C’era il mio medico, ho fatto tutte le visite […] Ma quando lo dicevo al mio medico mi prendeva per pazza. Io sentivo, invece, che al telefono non ce la facevo più […] Mi ero proprio spaventata. [Intervista a I., Varese]

Significativa, in tal senso, anche l’esperienza di P., medico veterinario il quale ricorda:

Io comprai un telefono cellulare nel 1996. Dopo tre anni di utilizzo dello strumento, anche importante e massivo, nel ‘99 iniziai ad accusare una sintomatologia mai avvertita fino ad allora, come un formicolio o degli spilli a livello cutaneo o della testa, cefalea, ingrossamento dei linfonodi del collo, linfonodo - patia e poi disturbi più generali come difficoltà a concentrarmi, vuoti di memoria, disturbi del sonno ed anche in alcuni frangenti problemi di tachicardia. All’inizio rimasi molto perplesso e stupefatto, perché fino ad allora dei campi elettromagnetici avevo solo reminiscenze scolastiche! Mai avrei pensato che le emissioni del telefono cellulare avessero potuto generare questi sintomi che io avevo evinto poi con un nesso di causalità, nel senso che allontanando il telefono cellulare dalla testa i sintomi scemavano, avvicinandolo si ripresentavano allo stesso modo! In primis ho fatto esami di base per avere delle risposte […] Ma la chiara correlazione degli effetti biologici è proprio legata al nesso di causalità. Allontanando lo strumento vi era una remissione. Questo accade per tutti gli elettrosensibili. [Intervista a P., Varese].

I percorsi di vita e di malattia, in ogni caso, come emerge dalle interviste, possono essere considerevolmente diversi ed alle volte, solo dopo molto tempo e molte indagini mediche, si arriva a comprendere che la cause dei propri malesseri possano ricollegarsi a sorgenti elettromagnetiche. «Era un malessere che non riuscivo a spiegare. Solo con il senno di poi ho capito di cosa si trattava» racconta, ad esempio, la Dott.ssa D., di Varese. Medico legale e di medicina generale, alla donna erano state diagnosticate, inizialmente, fibromialgia e problemi alla tiroide. «Nonostante le terapie», tuttavia, «continuavo a peggiorare», ricorda. La Dott.ssa notava dei miglioramenti solo trasferendosi in una casa in montagna e con l’ausilio dei colleghi ha cercato, invano, informazioni in riferimento alla possibile relazione fra la sua sintomatologia e l’esposizione a telefoni mobili o stazioni radio base, che erano poste nei pressi della sua abitazione. Grazie all’ausilio di una consulente scientifica è stata, poi, indirizzata ad un convegno su tale problematica, organizzato dal Prof. Levis e dall’Associazione per la Prevenzione e Lotta all’Elettrosmog (A.P.P.L.E.). Colleghi e pazienti, ai quali in seguito domandava di spegnere i cellulari in studio, tuttavia, non le credevano. Appaiono, così, significative le sue parole, quando racconta:

Mio marito mi ha sempre creduto, perché vedeva il rapporto di causa effetto, ma il discorso sociale […] Quando parlavo con i pazienti e spiegavo questa cosa nessuno mi credeva perché si attribuiva ad un esaurimento.” [Intervista alla Dott.ssa D., Varese].

«La reazione di amici familiari», conoscenti, evidenzia Orio, rappresenta una delle problematiche più dolorose, come testimoniano le esperienze degli intervistati. Essa, ribadisce Orio:

E’ uno fra gli aspetti più deprimenti della questione degli elettrosensibili, perché purtroppo non si viene creduti. Questo acuisce ulteriormente il loro status piscologico. Le reazioni psicologiche sono secondarie alla condizione di elettro – sensibilità, non sono la causa dei disturbi.Vi sono stati anche degli scontri all’inizio con persone che non conoscevano il problema. Ma questo è dovuto alla carenza di informazione che c’è in questo ambito, anche a livello mediatico. Perché? Ci sono forti interessi in gioco che hanno impedito per anni che ci fosse una seria informazione sui possibili rischi derivanti dall’ esposizione ai campi elettromagnetici prodotti artificialmente. Per cui la popolazione resta all’oscuro di tale situazione e quando tu ne parli la reazione è di incredulità! [Intervista a Orio vice – presidente Associazione Italiana Elettrosensibili]

Dalle parole delle persone intervistate si evince la sofferenza legata all’ incredulità di coloro che li circondano. I., ad esempio, in riferimento ai primi periodi in cui si era resa conto di tale problematica ricorda:

Non sapevo come uscirne […] mio marito non ci credeva, i miei fratelli mi dicevano che ero fissata, i miei compagni non si pronunciavano. Avevo mal di testa fortissimo e mio marito più di una volta mi ha messo anche un po’ alla prova e poi, dopo qualche tempo mi ha confessato che non ci credeva. Però dopo questa fase inziale, ora è molto attento in tutto, ma questo condiziona fortemente la mia famiglia. Tutto questo mi ha condizionato ed ha condizionato le nostre vite. Io ero considerata davvero pazza […]Fra i miei amici all’inizio ovviamente nessuno ci credeva. Quindi evitavo di parlane. Loro sapevano. […] Io evitavo anche di insistere perché poi magari non capivano. [Intervista a I., Varese]

Significative, inoltre, le parole di G. una donna di Lecce che diviene consapevole di questa patologia nel 2013, all’ età di cinquantatré anni e racconta:

Mia sorella che ha sessantanove anni ed i miei nipoti che hanno quarantatré e quarantasette anni credono che sia una mia fissazione. […] Tranne due cugine a me più vicine, il resto della famiglia non ha capito né vuole interessarsi alla mia situazione, ritenendo sia una fobia. L’argomento è tabù. Non ne parliamo mai. Mia nipote ha solo accettato di spegnere di notte il Wi-Fi, ma non vuole parlare del problema. [Intervista a G., Lecce].

A tali reazioni si associa lo scetticismo dei medici che sovente, in seguito all’esito negativo di indagini e terapie, finiscono per interpretare la problematica in termini psicologici, prescrivendo psicofarmaci o calmanti. «Con i medici ho avuto molte difficoltà: la maggior parte delle volte mi guardavano come fossi pazza, senza sapermi aiutare, ma procedendo a tentoni con farmaci calmanti.» Racconta C., una donna di Milano, proseguendo «ho fatto decine di esami, anche invasivi che non sono stati per nulla utili. Non ho ottenuto alcun risultato con questo approccio» [Intervista a C., Milano]. Nella prospettiva dell’antropologia medica si può ritenere, pertanto, che vi sia una considerevole distanza fra “illness” e “disease” [Kleinmann, 2006], ovvero fra la malattia così come è percepita e concepita dai pazienti e la spiegazione scientifica che di essa ne danno i medici.

Emblematica in tal senso, anche l’esperienza di A., una insegnante di matematica in pensione di sessantadue anni, residente a Cremona, che si è resa conto gradualmente, fra il 2005 ed il 2007, delle possibili cause della sua sintomatologia. In riferimento alla reazione dei medici sostiene, infatti:

Non ne parliamo! Sono stata diverse volte al Pronto Soccorso, mi volevano ricoverare in psichiatria, però … Però l’unica cosa che funzionava era la testa! [...] Mio marito ci credeva perché ha visto giorno per giorno! Mia madre mia sorella che erano lontane, dicevano che era un esaurimento […] Ora a distanza di anni hanno capito che non ero fuori di testa, non lo ero nemmeno allora! Mi sono stati prescritti anche psico - farmaci, ma non li ho mai presi! Io ho fatto test allergici, test di qualsiasi genere, anche test psichiatrici, tre ore di test, per escludere qualsiasi cosa! La diagnosi ovviamente è stata che non ho problemi psichiatrici! Ha voluto anche questo, la commissione medica, l’ultima che ho visto, ha richiesto anche la perizia psichiatrica. Sono commissioni per la scuola perché io volevo andare in pensione. [Intervista ad A., Cremona]

I malesseri di A., si sono acuiti considerevolmente quando, in seguito ad una radiografia, ha contratto una dermatite, identificata, dopo diverse indagini, quale “radiodermite”. Nelle vicinanze della sua abitazione vi era una stazione radio base ed a causa dei sintomi invalidanti, è stata costretta ad allontanarsi, a vivere in abitazioni in affitto e per un periodo di tempo a dormire in un agriturismo, mentre suo figlio più piccolo, quindicenne, che frequentava la scuola, restava a casa da solo. Il marito, infatti, per starle accanto, la raggiugeva la notte e per la stessa ragione, è andato in pensione anticipatamente assumendo, poi, un ruolo particolarmente attivo nell’ambito delle reti associative presenti sul territorio nazionale contro l’inquinamento elettromagnetico. A. ha intentato anche una causa di lavoro, per aver subito un licenziamento legato alle difficoltà dovute a questa problematica, per poi riuscire ad ottenere la pensione, con l’“opzione donna”. La rimozione della stazione radio base nei pressi della sua abitazione le ha, poi, consentito di rientrare a casa, sebbene, a riguardo racconti:

Adesso sono potuta tornare perché mi hanno tolto l’antenna. Ma ho dovuto schermare la casa. Nell’ appartamento di fianco hanno il wi – fi, per cui io ho un pezzo di parete con i fogli di alluminio, tanto per dirle! [Intervista ad A., Cremona]

In tutte le testimonianze raccolte si evince come la sofferenza fisica si intrecci a grandi difficoltà in ambito abitativo, lavorativo, nelle relazioni sociali, nello svolgere le attività del quotidiano, fino, alle volte, all’isolamento sociale vero e proprio, che alimenta uno stato generale di malessere psico-fisico. La diffusione di nuove tecnologie delle reti wi – fi, della telefonia mobile e di altre fonti inquinanti può, infatti, rappresentare una vera e propria “barriera”. «Per un disabile fisico si parla di barriere architettoniche, per un disabile elettrosensibile parliamo di barriere elettroniche ed elettromagnetiche» evidenzia, a riguardo, Crippa, coordinatore dell’Associazione Italiana Elettrosensibili.

Coloro che soffrono di tale patologia, pertanto, devono, far ricorso alle capacità di resilienza, volte a ricercare e ricreare un ambiente di vita idoneo, ad esempio riorganizzando gli spazi abitativi, ricorrendo alla bioedilizia, schermando le abitazioni con appositi tende o pannelli, alle volte le automobili o allontanandosi dai centri urbani, così da divenire, talora, una sorta di nuovi “rifugiati ambientali”. «La mia vita è cambiata radicalmente!»ha ribadito, ad esempio, G.

La questione abitativa, può essere particolarmente problematica, come testimoniano le vicende delle persone intervistate. G. a riguardo racconta:

All’inizio la situazione è stata drammatica. Sono stata costretta a dormire fuori di casa […] ora sto cercando una casa più protetta, che non trovo anche per problemi economici. [Intervista a G., Lecce]

I tentativi di risolvere le difficoltà abitative non sempre hanno buon esito, come nella vicenda di F., una insegnate di origine aretina in pensione, che dopo aver convissuto per più di trent’anni con la problematica della ipersensibilità ai campi elettromagnetici, nel 2012, grazie alle indagini genetiche condotte dal Prof. Genovesi, medico e docente dell’Università La Sapienza di Roma, ha scoperto di essere anche multichemiosensibile. F. ha trascorso gran parte della sua vita a Firenze, assieme al marito ed ai suoi due figli, cambiando varie volte abitazione alla ricerca di un luogo idoneo dove vivere, per decidere, poi, di trasferirsi definitivamente in una casa in campagna, in provincia di Arezzo costruita, su di un terreno avuto in eredità, con i criteri della bio - edilizia.«Pensavo che con questa scelta avrei potuto cominciare a tornare a vivere senza dover scappare, come avevo fatto fino ad allora» sostiene. Nel periodo in cui la sintomatologia era particolarmente acuta, infatti, era stata costretta ad andare a dormire in campagna, allontanandosi dalla sua famiglia. In una abitazione dove si era trasferita a Fiesole aveva costruito, finanche, una piccola casetta di legno in giardino e per questa ragione era stata denunciata dai vicini, sebbene avesse tentato di spiegare loro le sue problematiche di salute. A pochi metri dalla sua proprietà aretina, tuttavia, quando era ancora in costruzione, sono state installate due antenne di telefonia mobile, cosicché una volta che trasferitasi lì, nel 2008, ha riscontrato un peggioramento dei sintomi legati alla elettrosensibilità ed alla multichemiosensibilità. La vicenda di F. è emblematica, inoltre, poiché ha deciso di sottoporsi a test genetici quando nel 2011 ha scoperto di avere un tumore, per la consapevolezza che erronee terapie avrebbero potuto aggravare la sua situazione. Solo dopo aver ottenuto una certificazione, rilasciata dal Prof. Genovesi, che attestasse la sua condizione di multichemiosensibile ed elettrosensibile ha acconsentito ad operarsi. A riguardo, ricorda:

Feci l’intervento e mi diedero una stanza da sola. Anche per l’anestesia fecero attenzione a cosa darmi a cosa no. L’ aspetto elettromagnetico … purtroppo l’ospedale è quello! Però diciamo che sono stata trattata bene dal punto di vista dell’M.C.S. [Intervista a F., Arezzo]

Dalle parole della donna, inoltre, si evincono le difficoltà nel trovare idonei ambienti ospedalieri e nel poter realizzare le terapie prescritte. Sostiene, infatti:

Non c’è un posto dove tu puoi fare delle flebo non hai un referente a cui poterti rivolgere. Ti dicono di fare riferimento al tuo medico, ma poi lui non sa mai nulla! Sono flebo di glutatione e vitamina C che dovrei fare periodicamente, ma non c’è la possibilità materiale e non ci sono ambienti idonei. Ci vuole un ambiente idoneo a livello ospedaliero dove poter prendere in considerazione queste persone! [Intervista a F., Arezzo]

Fra le richieste avanzate dalle associazioni di persone affette da questa problematica vi è, per altro, la realizzazione di “aree bianche” o “elettrosmog free”, dove potere anche solo temporaneamente rigenerarsi e riequilibrarsi, allontanandosi dalle fonti che creano loro problemi. In Italia un’area di questo tipo era stata realizzata presso il Comune di Brisighella, in provincia di Ravenna, nel parco della Vena del Gesso, del Carnè. Qui era stato costruito un bed and breakfast per persone elettrosensibili. Nelle vicinanze, tuttavia, è stata installata, in seguito, una stazione radio base.[47]

Tutte le storie raccolte, inoltre, testimoniano come le ripercussioni in ambito lavorativo siano considerevoli, fino a comportare, alle volte, la perdita del lavoro. A riguardo F. che per la sua problematica aveva ottenuto la possibilità di svolgere un’attività part - time ed era stata esonerata dai videoterminali, ricorda:

Nel lavoro [andava] malissimo! … C’erano persone che mi consideravano male, per loro ero una “estrosa”, una che aveva altre problematiche e la nascondeva dietro a questa cosa, non c’era solidarietà! Questa situazione mi ha creato grandi problemi con i colleghi! [Intervista a F., Arezzo].

Significativa, in tal senso, anche la vicenda di I. che, in possesso di una laurea in economia aziendale, all’inizio della sua carriera lavorativa era impiegata in una piccola impresa di consulenza, per la quale era costretta ad utilizzare il cordless ed il computer portatile, Quando, con il passare del tempo la sua sintomatologia si acuisce, decide, in accordo con il marito, di cambiare occupazione. «Non ce la facevo più!» Ricorda ed emblematiche sono, pertanto, le sue parole:

I sintomi iniziali si sono evoluti. Ero diventata talmente sensibile che stavo male per tutto. […] E poi a un certo punto non riuscivo più neanche tenere il mouse in mano, perché mi faceva male l’articolazione della mano. Ero nella mia fase acuta! [Intervista a I., Varese]

I., così, si specializza ulteriormente, per poi riuscire ad ottenere un impiego in banca, con mansioni legate al controllo di gestione. Qui ha lavorato molti anni utilizzando un computer fisso, che non le creava particolari difficoltà, preferendo non fare cenno ai colleghi della sua problematica, per evitare lo stigma sociale e per la consapevolezza di non essere compresa. Al momento dell’intervista, tuttavia, ha raccontato di avere iniziato a parlare delle sue difficoltà in ambito lavorativo, al fine di essere allontanata da una postazione wi – fi, che la faceva stare particolarmente male. A riguardo sostiene:

Non ti so dire come andrà a finire questa cosa, però sono anche più serena adesso a dirlo, perché comunque il fatto di dire che sei allergica ai campi elettro – magnetici … Io lo espongo così, perché è vero, per me, è una allergia … Ormai sono capita, ecco! Non sono più considerata la pazza, perché poi mi vedono, mi viene questo mal di testa che si capisce che non sto bene. [Intervista a I., Varese]

G., invece, ha evidenziato come le sue problematiche lavorative siano legate al fatto di non riuscire più ad utilizzare il computer. Racconta infatti:

La mia vita lavorativa è stata fortemente penalizzata da questa situazione. Ero l’unica farmacista della zona a conoscere il programma di informatizzazione e ho lavorato anche per una società di computer che diffondeva i primi software per farmacie. Ho sempre lavorato al computer per il mio lavoro di farmacista part-time e per quello di traduttrice. […] Non lavoro più in farmacia dal 1999, sono stata licenziata per crisi economica, ma avevo ampliato la mia attività di traduttrice che oggi procede con grandi difficoltà. Traduco scrivendo a mano. All’inizio dettavo le traduzioni per telefono. [Intervista a G., Lecce][48]

Analogamente ai percorsi lavorativi o abitativi, anche la vita sociale e familiare può essere estremamente compromessa, come si evince dalle testimonianze. Può essere difficile frequentare locali pubblici, andare al cinema, prendere mezzi di trasporto. «Il grande gap è sociale» rileva a riguardo il vice presidente dell’Associazione Elettrosensibili, Orio, il quale evidenzia quali possano essere le difficoltà in questo ambito:

Andare in un ristorante, al cinema, su un aereo, sui mezzi pubblici può rappresentare un serio problema perché in presenza di tante fonti elettromagnetiche concomitanti vi è una esacerbazione dei sintomi. Oppure non poter andare in hotel, perché c’è un wi – fi inavvertito … Questo può causare notevoli sofferenze da chi ne è colpito, acuendo quella condizione di ritiro sociale che è uno degli aspetti peculiari dell’elettrosensibilità. [Intervista a Orio – Vice presidente Associazione Italiana Elettrosensibili]

Significative sono, in tal senso, le testimonianze raccolte. C., ad esempio, una donna di Milano, racconta:

Sono elettrosensibile da circa cinque anni e l'ho scoperto usando il cellulare: dopo qualche minuto avvertivo un dolore alla testa che spariva nel momento in cui allontanavo il cellulare. All'epoca avevo 40 anni. Nel tempo il problema si è acuito e dopo il cellulare ho avuto difficoltà a stare in ambienti dove ci fosse il wi - fi. Praticamente in pochi anni non ho più potuto frequentare case di amici, locali, ristoranti, alberghi... Ho avuto momenti di grande sconforto, pensavo non sarei mai stata bene in nessun luogo. In questi anni è cambiato anche il mio atteggiamento in generale. Sono più attenta ai luoghi inquinati elettromagneticamente, vieto l'uso del cellulare ai miei figli, evito zone dove vi siano grandi antenne o ripetitori. Ho avuto difficoltà a spiegare questi miei disagi ad amici e parenti: non tutti hanno capito, spesso pensavano si trattasse soltanto di una questione psicologica. [Intervista a C., Milano]

I., analogamente, ha evidenziato le difficoltà nel riuscire a frequentare amici, familiari o anche a viaggiare, sostenendo:

Io preferivo ricevere ospiti anziché andare a casa loro, perché poi non potevo chiedere a casa loro … Assolutamente questa problematica ha condizionato la vita sociale tantissimo! Anche per mio marito che vive anche lui questo calvario! E adesso anche mia figlia. Dieci anni fa ero considerata davvero pazza! … Capisce solo chi prova e chi vive con te a stretto contatto! Anche per le vacanze chiedo che non ci siano ripetitori in zona o non ci siano wi – fi in albergo. Ormai però è difficile! Viaggiare … non chiedermi di prendere il freccia rossa perché è un incubo per me. Perché c’è tutta gente attaccata ad iPod, iPhone … E’ un bombardamento ed io sto malissimo! Viaggio solitamente in macchina o in aereo, però non sempre perché anche in aeroporto è micidiale […] Cioè sono purtroppo fuori dal mondo! [Intervista a I., Varese]

Particolarmente dolorose a riguardo sono anche le esperienze della Dott.ssa D. e di G., che hanno riferito:

Io non ho fatto vita sociale per tre anni proprio zero! Non uscivo, non andavo in un bar, non andavo al cinema, non ci vado ancora perché… l’ultima volta che sono andata in un cinema per assistere ad una testimonianza (e in quel periodo stavo discretamente), lì per lì non ho sentito molto, poi, dopo la gamba sinistra quando sono tornata a casa era tutta una serie di ponfi, rossa e tutta rilevata la cute trasudava … grasso. [Intervista a Dott.ssa D., Varese]

La mia vita sociale è fortemente cambiata. Non posso svolgere nessuna attività fuori di casa. Non posso prendere nessun mezzo di trasporto pubblico. Anche stare troppo tempo in auto mi crea nausea e mal di testa. Non posso frequentare nessun luogo pubblico (cinema, teatro, ristoranti, pizzerie etc). Non posso sostare in moltissimi luoghi pubblici della mia città per la presenza di antenne o ripetitori.” [Intervista a G., Lecce]

L’isolamento, l’esclusione sociale possono ricollegarsi, inoltre, alle difficoltà di gestire profili nell’ ambito dei social network, a navigare in rete, a far parte del mondo “virtuale”. G., a riguardo racconta:

Non ho nessun profilo su nessun network. Non frequento nessun network. Ho una mail ma devo chiedere ad altri la cortesia di controllarla. Evito tutto: computer, tv, cellulare. “Mantengo relazioni con una cerchia ristrettissima di amici che spengono il cellulare quando ci incontriamo (e, potendo, tolgono la batteria). [Intervista a G., Lecce]

Alle volte, come nel caso di E., una donna di Roma che, in seguito ad analisi genetiche, ha scoperto di essere anche multichemiosensibile, la sintomatologia sembra ridursi grazie al contatto con la natura, evitando fonti inquinanti, con l’ausilio di una ferrea dieta a base di prodotti biologici e di terapie disintossicanti o omeopatiche. E., ha iniziato ad avvertire questa problematica dopo essersi trasferita in una abitazione nei pressi della quale erano installate diverse antenne di telefonia mobile. In precedenza aveva trascorso un lungo periodo di debilitazione a causa di un tumore, per il quale era stata sottoposta anche a radio e chemio-terapie. La donna è stata costretta a vivere alcuni mesi in un convento di suore e trascorrere, poi, un altro lungo periodo di rigenerazione lontano dalla città, in campagna. Dalle sue parole emerge, in ogni caso, il desiderio di tornare a condurre una vita normale e racconta:

Adesso vado molto meglio, ma lo scorso anno, che era la fase acuta, non potevo stare da nessuna parte non potevo stare vicino al computer… poi se squillava il cordless! Ma anche per farlo capire a mio padre … Poi anche il mio medico di base, che mi diceva “Devi farti aiutare, devi farti seguire.” E poi mi davano medicine, e i sintomi peggioravano ancora di più! Ma io non avevo bisogno di questo, avevo proprio bisogno di disintossicarmi. […] Però quest’anno ho ripreso ad andare al cinema, al ristorante e non mi sembrava vero! Io ho voglia di vivere! Anche quando sto male però un po’ resisto… Poi me ne vado. Ho quarantaquattro anni. Io voglio uscire da questa situazione voglio riprendermi la mia vita! [Intervista a E., Roma].

Dalla testimonianza di E., inoltre, si evince come possa essere oneroso da un punto di vista economico poter svolgere idonee indagini e terapie mediche. Alle volte, così, ai percorsi difficili e faticosi da un punto di vista medico e sociale si aggiungono problematiche economiche, legate anche alle difficoltà in ambito lavorativo. La elettrosensibilità, in tal caso, ancor più se associata alla sensibilità chimica multipla, può divenire una vera e propria gabbia di dolore e sofferenza. Non sono mancati casi di suicidio, sia in Italia che all’estero. Particolarmente drammatica, a riguardo, la vicenda di L., una donna ligure di quarantadue anni, che ha delle fortissime reazioni in prossimità di router wi–fi ed è divenuta consapevole di ciò quando, in seguito ad una risonanza magnetica (interrotta per la reazione intercorsa), ha iniziato ad avvertire un forte peggioramento della sua sintomatologia. La vita privata e sociale di L. è stata fortemente compromessa, poiché si è vista costretta a lasciare l’abitazione che aveva acquistato assieme al fidanzato, in quanto, nelle vicinanze, vi erano molti segnali wi–fi e stazioni radio base ed è tornata a vivere assieme ai genitori. Qui la cucina, meno esposta alle frequenze che le creano problemi, rappresenta l’unico luogo in cui sostiene di riuscire a stare. Così, racconta:

Da febbraio 2014 sono qua e non dormo più in un letto, sono su una sedia a sdraio in cucina […]. Ho fatto anche dei tentativi di schermatura, però nelle schermature non riesco a starci. [Intervista a L., Savona]

La sua condizione peggiora considerevolmente nel tempo, ma la donna evidenzia come a causa di problemi economici sia difficile per lei sottoporsi ad ulteriori indagini mediche e ad eventuali terapie. «Sono sola e senza assistenza sanitaria» racconta a riguardo. «Ormai so più o meno cosa evitare, ma se avessi potuto fare i test genetici e altri test necessari, adesso in caso di emergenza saprei cosa potrei assumere». Nella sua vicenda si riscontra, come in altre storie, l’estrema incomprensione dei vicini e del suo medico di base ed al contempo la consapevolezza che il riconoscimento della malattia costituirebbe il presupposto per intraprendere un percorso medico e terapeutico e per avere qualche garanzia per il futuro, vista l’età avanzata dei genitori, che al momento la sostengono.

Significative, appaiono a riguardo, anche le riflessioni della Dott.ssa D. che in qualità di medico del lavoro, offre ausilio nell’ambito dell’Associazione Elettrosensibili. Sostiene, infatti:

Secondo me bisogna riconoscere che esiste un problema di disabilità, […], andrebbero creati dei centri nei quali magari si diano consigli utili. Al di là delle terapie, perché ora tante terapie non ci sono! Si potrebbero però fare esami per vedere se ci sono delle carenze. Il problema esiste. Se non si impegnano fondi per tentare di evidenziare il problema (e secondo me si potrebbe fare) ad esempio, negli studi, nelle ricerche […] Quando uno riconosce il problema poi non si spaventa più! Il problema nasce dal fatto che sei spaventata perché non sei più … Io per un anno impazzivo, dicevo “Ma non c’è più un posto sulla terra dove io posso vivere!” E questa è la questione, se tu dai la speranza ad una persona […] Ma ti assicuro che quando ti senti così male ti vorresti anche suicidare e annientare! [Intervista alla Dott.ssa D., Varese].

I percorsi sono, in ogni caso, unici e singolari, come sovente gli iter terapeutici, in quanto non esiste un protocollo medico riconosciuto. Dalle parole delle persone intervistate emerge la voglia di lottare, di sensibilizzare la popolazione in riferimento a possibili conseguenze per la salute legate ad un aumento dell’inquinamento elettromagnetico, come la preoccupazione per l’innalzamento dei limiti consentiti dalla normativa vigente. Emblematico, in tal senso, il ruolo svolto dall’ associazionismo.

Il ruolo dell’associazionismo e la questione del riconoscimento

L’Associazione Italiana Elettrosensibili, che ha sede a Venezia, nasce nel 2005 per dare voce e supporto a coloro che soffrono di tale problematica ed al contempo per fornire informazioni o favorire lo scambio di esperienze. La sua presidente è un medico e l’associazione si avvale per la sua attività di un sito internet e di un gruppo su facebook, promuovendo, in collaborazione con altre realtà impegnate in questo ambito, numerosi convegni informativi.[49] Ha, inoltre, contribuito alla realizzazione di due documentari sulla situazione di persone elettrosensibili in Italia.[50] L’importanza della sua attività si evince dalle parole delle persone intervistate ed a riguardo, C., sostiene:

Ho conosciuto l'Associazione Elettrosensibili e ho avuto da loro un grandissimo sostegno: per la prima volta dopo molto tempo non mi sono sentita più sola. Grazie a loro ho capito che non ero l'unica persona al mondo ad avere questi problemi e questo mi ha aiutato anche psicologicamente. Mi spiace che a livello medico vi sia ancora una grande ignoranza rispetto a queste problematiche. [Intervista a C., Milano]

Particolarmente attiva sul territorio nazionale è, inoltre, l’Associazione per le Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale (A.M.I.C.A), sorta nel 2003, con sede a Roma, «per promuovere la conoscenza e la consapevolezza riguardo ai problemi di salute causati dall’esposizione a campi elettromagnetici e a sostanze chimiche presenti nell’ambiente e nei prodotti d’uso comune».[51] Tali associazioni sono in rete fra loro e con altre realtà analoghe, in ambito nazionale ed internazionale. Fra queste la Rete Elettrosmog – Free Italia o l’Associazione per la prevenzione e lotta all’ elettrosmog (A.P.P.L.E.) di Padova che svolgono considerevoli attività informative o di sostegno di associazioni e comitati. Vi è, inoltre, un continuo scambio di informazioni, esperienze e studi sia a livello europeo, grazie alla costituzione del coordinamento P.E.C.C.E.M., sia in ambito internazionale, con l’International E.M.F. Alleance.[52] Tutte queste realtà sono particolarmente attive per il riconoscimento della condizione disabilitante della elettrosensibilità e nel rivendicare tutele e diritti. Esse, infatti, realizzano azioni comuni, come petizioni e si avvalgono dell’ausilio di numerosi ricercatori. Una istanza di riconoscimento, in particolare, è stata presentata in Italia all’ Osservatorio sulle Disabilità dalla Rete Elettrosmg Free, nel 2015. Nel gennaio dello stesso anno, una analoga istanza è stata discussa, con esito negativo nell’ ambito dell’European Economic and Social Commission (E.E.S.C.). In questa occasione, le associazioni di elettrosensibili europee e quelle ambientaliste, hanno presentato un ricorso al Mediatore Europeo, denunciando l’irregolarità della procedura seguita dall’European Economic and Social Commission[53] ed al contempo la situazione di conflitto di interessi per uno dei suoi membri, Richard Adams che aveva proposto, solo il giorno precedente la discussione, la “contro opinione”, poi, approvata.[54] Tali istanze sono state accolte dal Mediatore Europeo, ma con esito negativo. [55]

«La nostra malattia» sostiene a riguardo, Sergio Crippa, coordinatore dell’Associazione Italiana Elettrosensibili «va contro fortissimi interessi economici. Gli interessi delle imprese e delle lobby delle comunicazioni.» [Intervista a Crippa, coordinatore A.I.E.]

In tutte le società «la malattia mette in gioco rapporti di potere» rileva Didier Fassin nell’ambito dell’antropologia medica [Fassin 1996, 3]. Ciò sembra particolarmente vero in riferimento alla questione del riconoscimento di questa patologia, che avrebbe notevoli ripercussioni. Implicherebbe, infatti, l’ammissione dell’esistenza di rischi per la salute in riferimento all’aumento di inquinamento elettromagnetico ed inoltre, potrebbe avere considerevoli «conseguenze» in termini di «welfare», di «sanità pubblica», di «legislazione, di politiche industriali e stili di vita» [Austrian Medical Association 2012]. Potrebbe portare alla tutela di diritti in ambito lavorativo ed avrebbe così «profonde implicazioni economiche», come ha evidenziato l’Associazione dei Medici Austriaca [Austrian Medical Association 2012].[56]

Alcune riflessioni condotte da Fassin, nella prospettiva dell’antropologia medica critica, in riferimento al saturnismo infantile in Francia [Fassin, 2014], sembrano, poi, particolarmente pregnanti per la problematica qui presa in considerazione, sebbene, a differenza della elettrosensibilità, lo statuto di “disease” dell’intossicazione da piombo sia stato riconosciuto fin dalla fine del diciannovesimo secolo [Fassin 2014, 35]. La «salute e la malattia» ha evidenziato, a riguardo, Fassin «non sono semplicemente dati biologici o fisiologici e nemmeno dati dell’esperienza che ne fanno i soggetti» [Fassin 2014, 43]. Esse sono, piuttosto, «socialmente costruite» ed anche «socialmente prodotte» [Fassin 2014, 44]. Si può ritenere che come per il saturnismo, anche per l’elettrosensibilità possono esservi «cause sociali» occultate, disconosciute, mentre la sanità pubblica sembra preferire «le interpretazioni» attribuibili a «comportamenti individuali» [Fassin 2014, 44] seppure, in tal caso, si tratta di comportamenti psico – patologici o psico–somatici.

Nell’ambito della storia medica, d’altro canto, altre malattie sono state inizialmente interpretate riducendole in termini psichici [Austrian Medical Association 2012]. Fassin a riguardo, ha rilevato come la «psicologizzazione», assieme al «culturalismo», rientri in «strategie di occultamento» delle dinamiche di potere e del conflitto sociale [Fassin 2014]. In questo caso ci si trova dinanzi ad una differente tipologia di alterità rispetto quelle analizzate dallo studioso francese, sebbene sia un’alterità, in ogni caso, scomoda.

Il superamento del «disconoscimento» potrebbe far emergere un «problema sanitario» e svelare al mondo tale malattia, similmente a quanto avvenuto per il saturnismo infantile, entrato, poi, a far parte della «sfera della sanità pubblica» grazie ad un mutamento di prospettiva [Fassin 2014, 39].[57] Un ruolo significativo è svolto, poi, anche nel caso della elettrosensibilità, da movimenti ed associazioni, cosicché, come ha riscontrato Fassin, la «malattia non è più ambito incontrastato della medicina» [Fassin 2014, 46].

Nell’interpretare la problematica della elettrosensibilità, inoltre, è possibile prendere in considerazione i concetti di «cittadinanza sanitaria» e «biologica» [Petryna 2002; Schirripa 2014, 2015], elaborati nell’ambito dell’antropologia medica. Questi fanno riferimento al «bio - potere» (riprendendo un concetto foucoultiano), proprio dello Stato Nazione ed in tal caso, di organismi sovranazionali, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di designare chi può avere accesso alle cure ed all’assistenza sanitaria [Schirripa 2014, 2015]. «La gestione della malattia ed i modi che portano un cittadino a essere considerato sofferente», rileva Schirripa in riferimento agli studi di Petryna [2002], sono legati a «complesse dinamiche sociali e politiche» e costituiscono «il risultato di azioni e negoziazioni», sia al livello transnazionale, che locale [Schirripa, 2014, 69].[58] Tali riflessioni sembrano particolarmente idonee anche nel caso preso in considerazione in questa ricerca.

Il mancato riconoscimento della patologia, come si evince dalla storie raccolte, può precludere le possibilità di accesso alle cure, alle indagini mediche e ad altre forme di tutela in situazioni particolarmente inabilitanti e di difficoltà economica. Esso consentirebbe, sostiene una donna intervistata, di «ridarci una dignità in società.» [Intervista a I., Varese].Emblematica a riguardo la sua testimonianza, quando racconta:

Ho passato degli anni in cui mi sono sentita molto sola perché è una malattia che ti esclude dalla società. Ho letto anche degli articoli cattivissimi […] Io non sono rispettata come malata. Chi è allergico al glutine ha rispetto da tutti… Io sono allergica alle onde elettromagnetiche e non mi sento capita, non mi sento rispettata, mi sento sola in questa cosa, a combattere una cosa più grande di me perché ci sono interessi troppo grandi! Perché mai nessuno spegnerà il wi – fi sul posto di lavoro! Noi abbiamo gli stessi diritti di qualsiasi altro malato, di qualsiasi altro allergico! [Intervista a I., Varese].

Tali malati, in ogni caso, riprendendo il pensiero di Beck, rappresentano per la scienza «effetti latenti collaterali», «nessi non verificati» e sono le «zone grigie dei rischi della modernizzazione, che per la razionalità scientifica rimangono non visti e non provati» [Beck 1986, 80]. Essi hanno però «voci, occhi, visi, lacrime» ed assumono rilevanza, come evidenzia lo studioso, «grazie all’epidemiologia popolare» [Beck 1986, 80].[59]

Conclusioni

Numerose sono, in conclusione, le problematiche rimaste aperte e molteplici possono essere gli interrogativi in riferimento al tema trattato. Ci si può domandare, ad esempio, se l’ “incertezza” nella quale è relegata la questione degli effetti sulla salute dell’aumento di emissioni elettromagnetiche artificiali, sia solo apparente e possa, piuttosto, ricollegarsi ai processi decisionali ed agli interessi economici del settore delle comunicazioni, ovvero alle possibilità di diffusione di tecnologie sempre più avanzate che necessitano di elevati “livelli massimi” consentiti per legge, in deroga al principio precauzione, come denunciano le associazioni e parte della comunità scientifica. Ci si può interrogare, poi, sulla problematica fondamentale dei conflitti di interesse nell’ambito della ricerca o come ha fatto Beck, sull’ «imbroglio» stessodei «livelli massimi consentiti» [Beck 1986, 91]. Chi li stabilisce? Non si può ritenere, piuttosto, che essi, come ha ribadito lo studioso, acquisiscano senso in quanto «svolgono […] una funzione di disintossicazione simbolica», e rappresentano, «una sorta di tranquillante simbolico», mentre «si ha a che fare con un esperimento permanente su larga scala, con l’obbligo per l’umanità, ridotta a cavia, di registrare i sintomi di avvelenamento accumulati e con un onere della prova invertito e reso più difficoltoso […] perché, dopo tutto, i valori massimi sono stati rispettati»[Beck 1986, 91]? Ci si può chiedere, inoltre, se si intende la salute alla stregua di un «bene comune» da salvaguardare [Ranisio, Simone 2016], come tutelare persone che stanno male seppure i livelli massimi consentiti per legge siano rispettati o seppure la scienza non abbia ancora fatto del tutto chiarezza sulle loro patologie? Può, poi, la società della informazione e della comunicazione, sempre più “fluida”, sempre più connessa, sempre più “smart”, tollerare ed ammettere l’esistenza di persone che, con la sofferenza impressa nei loro corpi, ne mettono in discussione parte dei suoi stessi presupposti?

In questo ambito sembrano particolarmente adeguate le riflessioni di Foucault, per il quale «bisogna cercare di “etnologizzare” lo sguardo» e «cogliere non solo la maniera nella quale viene utilizzato il sapere scientifico, ma la maniera nella quale sono delimitati i campi che controlla e in che modo i suoi oggetti si formano e sono modellati in concetti» [Foucault 2014, 220]. La diffusione di alcune tecnologie della comunicazione presuppone che l’azione politica e decisionale sia supportata e sostenuta da adeguati “discorsi”, “narrazioni” e “saperi” scientifici.

In riferimento alla problematica della elettrosensibilità, infine, numerosi sono i quesiti insoluti che, si spera, la scienza medica possa nel tempo risolvere. Una “trasformazione dello sguardo”[60], tuttavia, che implichi lo svelamento dei meccanismi economici, politici e sociali di ostacolo al riconoscimento della malattia, come si è tentato di fare in questo articolo, può, forse, rappresentare il presupposto per restituire alle persone che soffrono la dignità perduta.

Riferimenti bibliografici

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Regional Medical Associations and the Austrian Medical Association, Vienna, Austria, <http://www.magdahavas.com/wordpress/ wp-content/uploads/2012/06/Austrian-EMFGuidelines-2012.pdf>.

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[1] Il termine disconoscimento è stato ripreso dalle riflessioni condotte da Didier Fassin in merito al caso del saturnismo infantile in Francia, da lui studiato [Fassin 2014, 44].

[2] In particolare Masiero presidente dell’Ass. A.P.P.L.E. (01/05/2015); Romana Orlando vicepresidente di. A.M.I.C.A. (13/06/2015 e 25/10/2016), Cinciripinini presidente della Rete Elettrosmog Free Italia (28/05/2015), Orio (29/05/2015 e 13/10/2016) e Crippa (30/05/2015), vicepresidente e coordinatore dell’Ass. Italiana Elettrosensibili e il Prof. Levis (28/10/2016), vice- presidente Ass. A.P.P.L.E.

[3] Le testimonianze, riportate in maniera anonima, sono state raccolte grazie all’intermediazione dell’Associazione Italiana Elettrosensibili, con l’obiettivo di far riferimento ad esperienze eterogenee, in diversi contesti italiani. Il campione per lo più femminile, riflette la circostanza rilevata da alcuni studi, per la quale le donne sono più colpite da tale patologia [Bepolmme, Campagnac, Irigaray 2015].

[4] Nella raccolta delle storie ci si è soffermati sulla esperienza in riferimento alla elettrosensibilità, cercando di approfondire gli iter ed i percorsi medici, le ripercussioni di questa problematica nella vita sociale, lavorativa, abitativa, la partecipazione alle associazioni, le possibilità nell’uso delle tecnologie della comunicazione ed infine, il punto di vista in riferimento alla malattia.

[5] L’attività di osservazione - partecipante è stata condotta presso le associazioni e nell’ambito delle esperienze quotidiane di persone elettrosensibili.

[6] Nel presente articolo ci si è proposti di mettere in evidenza, principalmente, quali siano gli attori sociali e le loro diverse posizioni nell’ambito della controversia scientifica e del dibattito sociale e politico in riferimento alla tematica trattata, con la consapevolezza che sono numerosi gli studi scientifici in questo ambito e che essi non si esauriscono in quelli presi in considerazione.

[7] Responsabile per l’Italia del Progetto Interphone era Susanna Lagorio dell’Istituto Superiore di Sanità [Lagorio 2010].

[8] Fra questi studi vi sono quelli di Davis [2010] della Environmental Health Trust, WY USA; Gee [2009] presso l'Agenzia europea per l'ambiente, Copenhagen, Danimarca; Lloyd Morgan [2009] a Albany, CA USA; Kundi [2009] presso l'Istituto Superiore di Sanità Ambientale, Università di Vienna, Austria.

[9] Secondo tali meta – analisi, ad esempio, gli studi di Hardell a differenza di quelli Interphone, hanno preso in considerazione la lateralità delle forme tumorali, hanno fatto riferimento ad un arco temporale di latenza maggiore di dieci anni ed hanno considerato l’uso del cordless, le cui emissioni sono analoghe ai telefono cellulari [Hardell 2009; Levis, Minicuci, Ricci, Gennaro, Garbisa 2012].

[10] Lo studio Interphone è stato finanziato da U.E. e I.A.R.C., ma anche da Mobile Manufacturers Forum, Wi-Fi Alliance e da compagnie di telecomunicazione locali. Un protocollo d’intesa era volto a garantire l’indipendenza dei ricercatori, sebbene si prevedesse che i finanziatori avrebbero potuto prendere visione dei risultati prima della loro pubblicazione [Levis, Masiero, Orio, Biggin, Garbisa 2014, 9].

[11] Levis, Gennaro, Garbisa [2012] hanno preso considerazione 1056 articoli in riviste peer – reviewed. Il 56% di essi rilevavano effetti biologici prodotti dai campi elettromagnetici e fra questi il 95% aveva ricevuto in prevalenza finanziamenti pubblici. Il 93% di studi che invece, non li rilevavano erano stati finanziati da privati. Analoghi i risultati di una meta – analisi di Lai [2010].

[12] Questo termine fa riferimento a ricerche scientifiche che non si sono avvalse di finanziamenti e sovvenzioni delle aziende di telecomunicazioni.

[13] L’ I.C.E.M.S riunisce ricercatori che hanno pubblicato articoli in riviste peer review ed ha prodotto al momento tre documenti (la Risoluzione di Catania nel 2002, la Risoluzione di Benevento nel 2006 e la Risoluzione di Venezia nel 2008) con l’obiettivo di informare in riferimento ai rischi emersi dai loro studi. Per approfondimenti si rimanda al sito <http://www.icems.eu/>.

[14] Un ampio dibattitto ruota attorno alla questione dei limiti consentiti per legge. Quelli stabiliti a livello internazionale dall’I.C.N.I.R.P., ad esempio, per radio-frequenze (RF) e microonde (MO), variano da 27 ai 61 Volt/m e sono considerevolmente superiori di quelli proposti dai ricercatori del gruppo BioInziative, per i quali dovrebbero essere pari a 0,5 Volt / m.

[15] Per un approfondimento si rimanda al Report BioInitiative [2012] redatto dal gruppo di ventinove ricercatori di diverse parti del mondo, al sito <http://www.bioinitiative.org>.

[16] Esso rappresenta un’assenza di certezza del rischio, per coloro che sostengono che non vi siano evidenze di effetti sanitari, come l’Istituto Superiore di Sanità italiano [Polichetti, 2012]. Per parte dell’expertise e per l’associazionismo ha costituito un traguardo, anche se parziale, in quanto «conflitti di interesse hanno gravato sui componenti i Gruppi di Valutazione della IARC.» [Levis, 2015]

[17] Con questa sentenza è stata, inoltre, riconosciuta la malattia professionale legata a radiazioni non ionizzanti. Questi agenti erano stati inclusi nella “Tabella delle malattie professionali nell’industria” dell’INAIL nel ’94,masono stati poi, esclusi da essa per una revisione tabellare nel 2008. Spetta, pertanto, al lavoratore l’onere di dimostrare il nesso causale o concausale.

[18] Tale dibattito, in Italia, ha coinvolto il consulente del manager ricorrente, Angelo Levis, già ordinario della cattedra di mutagenesi ambientale dell’Università di Padova e vice - presidente dell’Ass. A.P.P.L.E. ed i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità, Vecchia e Lagorio, i quali hanno contestato la sentenza. Per approfondimenti: Lagorio, Vecchia [2011]; Levis [2012]; Levis [2014].

[19] L’ex manager i Marcolini e l’Associazione A.P.P.L.E., inoltre, nel 2014, hanno intentato un ricorso (sospeso) contro il Ministero della Salute per l’avvio di una adeguata campagna informativa. Durante la prima udienza sono intervenuti “ad adiuvandum” della A.P.P.L.E., il C.O.D.A.C.O.N.S. e Medicina Democratica, mentre contro, l’Asso – Telecomunicazioni, che riunisce i gestori delle reti.

[20] I ricercatori di BioInitiatIve hanno evidenziato come «il parere finale» dello S.C.E.N.I.H.R soffra di «errori, omissioni e di standard sbagliati di prove, per determinare se e quando un 'potenziale effetto sulla salute' è stato chiaramente stabilito.» Per approfondimenti si rimanda a < http://www.bioinitiative.org/ >

[21] In Italia come all’ estero la controversia in ambito scientifico è ampia e complessa. Per un ulteriore approfondimento si rimanda al dibattitto fra Morando Soffritti, ex Direttore scientifico dell’Istituto Ramazzini di Bologna e Paolo Vecchia dell’Istituto Superiore di Sanità [Fochi 2011, 2 -11].

[22] Nel 2009, così, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, ha varato il Progetto CAMELET, che ha previsto l’organizzazione di un ciclo di Convegni sul tema con l’obiettivo di fornire informazione e «rispondere alle diffuse preoccupazioni» in merito alla questione [Lagorio, Polichetti, Vecchia, 2009].

[23] Per approfondimenti in riferimento agli studi ed alle posizioni dell’ Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute si rimanda ai siti web dell’I.S.S. < http://www.iss.it/elet/ >, di EpiCentro, portale di epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità http://www.epicentro.iss.it ed al sito del Ministero della Salute http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_3_1_1.jsp?menu=dossier&p=dadossier&id=7.

[24] Dal 2012 con il Decreto Sviluppo bis i limiti previsti per legge sono stati innalzati con un artificio statistico: calcolandoli sulla media delle ventiquattro ore piuttosto che sui sei minuti, come in precedenza, così le emissioni delle notte compensano i valori del giorno. Un decreto del Ministero dell’Ambiente (7/9/2016) ha ulteriormente aumentato tali limiti prevedendo valori di assorbimento degli edifici.

[25] L'attuale limite italiano per le radiofrequenze è di 6 V/m, fissato con D.P.C.M. 8/7/2003 che recepiva la legge quadro del 36/2001 improntata al principio di precauzione. Esso, aumentato dai decreti del 2012 e del 2016, è inferiore rispetto a quello proposto dall’I.C.N.I.R.P., anche se per una parte dell’expertise, non sufficientemente cautelativo, in base degli studi più recenti [BioInitiative 2012; Levis, 2015].

[26] Nel 2015 le associazioni e parte della comunità scientifica, hanno costituito una “Task force sui campi elettromagneticipresentando lettere aperte e petizioni. Tali movimenti richiedono, alla luce degli studi in questo ambito, la diffusione di tecnologie più sostenibili e sicure rispetto alle reti wireless, quali quelle in fibra ottica. Per approfondimenti si rimanda a Levis [2015].

[27] Le motivazioni di tali sentenze al momento non sono state ancora rese pubbliche. Secondo Polichetti dell’Istituto Superiore di Sanità, tuttavia, non vi è evidenza scientifica che supporti tali giudizi [Cuppini 2017]. Vi sono, invece, per Levis, consulente scientifico in queste cause, ormai tutte le evidenze scientifiche necessarie [Martinenghi 2017].

[28] Si fa qui riferimento ad un approfondimento e ad un’analisi dei siti istituzionali, aggiornata al 1 maggio 2017.

[29] Fra queste in Italia vi è A.M.I.C.A. < www.infoamica.it>; A.P.P.L.E. Ass. per la Prevenzione e lotta all’Elettrosmog <http://www.applelettrosmog.it/>, la Rete Elettrosmog-Free Italia <http://retenoelettrosmog.blogspot.it/>, Associazione Elettrosensibili Italiana <https://www.elettrosensibili.it/> e numerosi comitati.A livello internazionale, vi è l’International E.M.F. Alliance <http://www.iemfa.org/>.

[30] Il principio di precauzione, formulato nella Conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo (1992) ed entrato a far parte del Trattato Maastricht (1994), risponde a una politica di gestione del rischio in situazioni di incertezza scientifica. In base ad esso «la mancanza di piena certezza scientifica non può costituire il pretesto per rinviare l’adozione di misure efficaci, anche non a costo zero».

[31] L’European Environment Agency ha, tuttavia, evidenziato come il principio di precauzione sia sovente applicato in maniera da sottostimare i rischi ed in tal modo favorire l’industria [E.E.A. 2013].In riferimento al dibattito aperto a riguardo si esso si rimanda a Levis [2015] e Polichetti [2012].

[32] Al momento è in corso una petizione per richiedere l’inserimento delle radiofrequenze in classe certa, 1. Si rimanda al sito dell’Associazione A.P.P.L.E. < http://www.applelettrosmog.it/ >

[33] Associazioni e parte dell’expertise hanno denunciato i legami fra le compagnie di telefonia mobile con la Fondazione Bordoni, Elettra 2000 o alcuni esponenti dell’Istituto Superiore di Sanità, come Paolo Vecchia (I.S.S. e I.C.N.I.R.P), coinvolto, per altro, in vicende giudiziarie per conflitto di interesse [Levis 2012, 311].

[34] In particolare Levis ha evidenziato come «i limiti di esposizione stabiliti arbitrariamente 20 anni fa dall’International Commision for Non Ionizing Radiation Protection (I.C.N.I.R.P.) – ente privato auto - costituitosi, finanziato anch’esso da Compagnie elettriche e di telefonia mobile – non sono mai stati modificati in forma più cautelativa.» [Levis 2015, 17]

[35] Fra questi vi sono malesseri a livello neurologico, cardiaco, dermatologico, gastro – intestinale, urinario o legati al sistema immunitario. Per approfondimenti si rimanda al sito dell’Associazione Italiana Elettrosensibili <https://www.elettrosensibili.it/wp-content/uploads/2016/05/sintomi-elettrosensibilitc3a0-2.png >.

[36] La Sensibilità Chimica Multipla è al pari della Elettro - sensibilità una patologia non riconosciuta pienamente. Per il Ministero della Salute rappresenta «un disturbo cronico» legato all’ esposizione di sostanze chimiche, «a livelli inferiori rispetto a quelli generalmente tollerati da altri individui», ma in riferimento al suo statuto ruota un ampio dibattito. Si rimanda a <http://www.infoamica.org >

[37] Le stime sono, in ogni caso, estremante variabili e si può aggiungere, poco attendibili, anche causa del mancato riconoscimento di tale patologia. Per l’International E.M.F. Alliance vi sarebbe una percentuale più alta di persone colpite da tale problematica.

[38] Il termine idiopatico, in ambito medico, fa riferimento a processi patologici o a malattie di cui le cause non sono note o dimostrabili, dunque all’assenza di cause accertabili.

[39] In Svezia il riconoscimento è ad opera del Ministero della Salute e del Welfaree tale condizione, secondo le stime alcuni ricercatori, colpirebbe fino al 10% della popolazione. In questo paese è stata prevista la realizzazione di appositi reparti ospedalieri o spazi sociali adeguati per persone che soffrono di tale patologia.

[40] Ulteriori sentenze che hanno riconosciuto la elettrosensibilità. Per approfondimenti di rimanda al sito web dell’Associazione Italiana Elettrosensibili <https://www.elettrosensibili.it/wp-content/uploads/2017/03/DANNI-DA-TECNOLOGIA-WIRELESS-marzo-17.pdf>.

[41] Johansson ha individuato un aumento dei mastociti (che svolgono un ruolo nelle reazioni allergiche, di ipersensibilità e nelle reazioni anafilattiche) e di sostanze da essi secrete nei campioni di pelle del viso di persone elettrosensibili poste dinanzi ai video- terminali, al punto da definire l’EHS in termini di «compromissione funzionale» (Johansson, 2006).

[42] Belpomme ha analizzato anche la Sensibilità Chimica Multipla ed in base ai suoi studi «i disordini infiammatori legati a stress ossidativo», ad una «risposta autoimmune», ad un «deficit di melatonina» «suggeriscono il rischio di malattie neurodegenerative croniche». Per lo studioso “EHS and MCS «are associated with the same biological abnormalities» [Bepolmme, Campagnac, Irigaray, 2015].

[43] In questo studio si fa riferimento, in particolare agli enzimi del glutatione GSH, del GSH-perossidasi/S-transferasi, e delle attività eritrocitarie della catalasi [De Luca, Chung Sheun Thai , Raskovic,Cesareo, Caccamo,Trukhanov, Korkina 2014].

[44] Fra gli altri studi vi sono quelli di Khurana et al. [2010], Santini [Santini, Danze, Le Ruz, Seigne 2002], Navarro [Navarro, Segura, Portolés e Gómez-Perretta 2003] che ha rivisitato una indagine condotta da Gómez-Perretta. In essi per Levis, Masiero, Orio, Biggin, Garbisa [2015] emerge una correlazione significativa tra l'esposizione e sviluppo dei sintomi attribuibili a EHS.

[45] Marinelli in particolare, ha riscontrato come le cellule irradiate da campi elettromagnetici subiscano delle alterazioni, per cui sostiene che sia legittimo ipotizzare che «anche l’organismo» possa subirle (Marinelli F., Convegno A.M.I.C.A., 13 marzo 2017, <www.infoamica.org>).

[46] Sono state intervistate due donne residenti in provincia di Varese (I. il 29/05/ 2015 e D. il 29/05/2016), un uomo in provincia di Varese (L. il 29/05/2015), un uomo ed una donna di Milano (S. il 30/05/2015 e C., 12/04/2017) ed altre quattro donne di Arezzo (F. il 06/06/2015), Roma (E. il 05/06/2015) Lecce (G., il 10/06/2015), Cremona (A., il 28/05/2015) e Savona (L. il 31/05/2015).

[47] Nella zona erano state eseguite delle rilevazioni da una ditta certificata come laboratorio di misure elettriche ed elettromagnetiche, per verificarne l’idoneità ad essere frequentata dalle persone elettrosensibili. Altre aree “elettrosmog free” sono state realizzate in Francia e negli Stati Uniti. Per approfondimenti si rimanda al sito http://e-smogfree.blogspot.it/

[48] La condizione di G., attualmente, rispetto al momento dell’intervista, come ha sostenuto in più recenti colloqui informali è un po’ migliorata, anche grazie all’ ausilio di cure disintossicanti ed omeopatiche e la donna è molto attiva nell’ambito di comitati ed associazioni ambientali e per il riconoscimento della malattia, a livello locale e nazionale.

[49] L’associazione conta circa un centinaio di iscritti, mentre il gruppo su facebook, seicentosettanta adesioni.

[50] Il documentario “Contro-corrente”, è stato realizzato nel 2016, nell’ambito di un master in giornalismo dell’Università Cattolica di Milano. Un altro ad opera del regista Quadretti è in fase di realizzazione. Altri documentari sono stati prodotti dalla rivista “Time” di New York, “Golden Cage” [2014] e da Marc Khanne e il Centre National de Cinématographie francese [2013] [Intervista Orio, 2015].

[51] Le attività dell’associazione nell’ultimo periodo si sono orientate in direzione di una cospicua collaborazione con ricercatori “indipendenti”, al fine di realizzare ulteriori indagini nell’ambito delle ripercussioni sulla salute dell’inquinamento elettromagnetico e chimico [Intervista Romana Orlando, 2016]. Per approfondimenti si rimanda al sito web <www.infoamica.org>

[52] L’International E.M.F. Alliance riunisce diverse associazioni di numerosi paesi del mondo ed inoltre studiosi e ricercatori. Per approfondimenti si rimanda al sito web < http://www.iemfa.org>

[53] Una sezione dell’E.E.S.C. la Transports, Energy and Society Information (T.E.N.), dopo un percorso sei mesi di consultazioni e discussioni, pubbliche aveva adottato una Opinion volta al riconoscimento dell’elettrosensibilità, alla necessità di abbassare i livelli di esposizione. E’ stata poi approvata la “counter opinion”, presentata da Richard Adams [Intervista Romana Orlando, 2016].

[54] Le associazioni europee, riunite nel coordinamento P.E.E.C.E.M., hanno denunciato al Mediatore Europeo che Adams, membro della Group III del E.E.S.C. - Regno Unito era anche parte di una fondazione che promuove smart grid e smart meters, ricevendo finanziamenti da parte di imprese delle comunicazioni. [Intervista a Francesca Romana Orlando, Ass. A.M.I.C.A. 25/10/2016 <www.infoamica.org>].

[55] Il coordinamento di associazioni, P.E.C.C.E.M. ha richiesto l’annullamento della Opinione e la costituzione di un nuovo gruppo di lavoro con la partecipazione di ricercatori indipendenti e delle stesse realtà impegnate nel riconoscimento dei diritti dei malati. Hanno ottenuto, tuttavia, una risposta negativa [Intervista a Francesca Romana Orlando, Ass. A.M.I.C.A. 25/10/2016, <www.infoamica.org>].

[56] Nelle Linee guida dei medici austriaci, per altro, si insinua che “alcune prove” o studi possano essere “offuscati”, proprio per questa ragione [Austrian Medical Association 2012].

[57] A differenza della elettrosensibilità, tuttavia, il saturnismo infantile diviene un fenomeno considerevole in termini statistici in Francia alla fine degli anni ‘90 del ‘900 non a causa di una sua maggiore diffusione rispetto al passato, ma piuttosto, grazie al progressivo abbassamento delle soglie di riconoscimento della malattia stabilite dal Center for Disease Control di Atlanta [Fassin 2014, 39,40].

[58] Adriana Petryna fa riferimento al concetto di cittadinanza biologica in riferimento alle patologia legate al disastro di Chernobyl nell’Ucraina Post – Socialista [Petryna 2002].

[59] Le riflessioni di Beck fanno riferimento, alla condizione dei genitori di bambini affetti da attacchi pseudo – croup a causa di sostanze inquinanti nell’aria [Beck 1986, 80].

[60] Tale concetto è ripreso dalle riflessioni di Fassin [2014, 37] sul saturnismo infantile, ma con un’accezione un po’ diversa. Fassin, infatti, fa più specificamente riferimento al mutamento dello statuto di “disease” del saturnismo infantile, legato all’affermarsi di una diversa prospettiva della malattia, per il progressivo abbassamento delle soglie di riconoscimento, stabilite dal Center for Disease Control of Atlanta [Fassin 2014, 37].