Editoriale

Mario Bolognari

Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne – Università di Messina

Un anno di cambiamenti

Tra il 2016 e il 2017 si sono verificati dei positivi cambiamenti nel settore scientifico etnoantropologico italiano. Alcuni sono stati possibili grazie a un percorso iniziato qualche anno fa, altri, invece, si sono verificati per effetto di quelle accelerazioni che spesso caratterizzano, senza un’apparente ragione oggettiva, le azioni umane e ascrivibili a una convergenza tra volontà diverse e progetti alternativi.

Così, sia pure in un contesto difficile, sono stati raggiunti traguardi impensati, per esempio, dal punto di vista dell’allargamento degli sbocchi occupazionali, come la definizione del profilo professionale di etnoantropologo nel Ministero dei beni culturali, che ha bandito un concorso in cui accanto ad altri funzionari specialisti in beni culturali per la prima volta sono stati assunti anche 12 etnoantropologi. Nel campo dell’insegnamento sono stati inseriti obbligatoriamente crediti formativi di antropologia per accedere al concorso per l’insegnamento nelle scuole secondarie e sono state ampliate le possibilità di accesso dei laureati magistrali in Antropologia alle classi concorsuali per l’insegnamento nelle scuole secondarie. Dal punto di vista più strettamente universitario nell’anno accademico 2017-18 sarà avviato un nuovo corso di laurea magistrale con sede a Matera e consorziato con altre importanti università meridionali. Grazie ai buoni risultati nelle abilitazioni scientifiche nazionali conseguite nelle tornate 2012, 2013 e 2016, un numero discreto di ricercatori e associati è stato chiamato dagli Atenei nel ruolo rispettivamente dei professori di seconda e prima fascia.

Le associazioni degli antropologi italiani, sia quelle più storicamente consolidate, sia quelle sorte di recente, ma anche i singoli studiosi e le singole istituzioni che contemplano la presenza di antropologi hanno avuto un ruolo per acquisire questi nuovi spazi.

Tuttavia, questi parziali successi non possono nascondere la debolezza organizzativa e politica di cui ha sofferto il settore degli studi etnoantropologici in Italia. Una debolezza che è tanto più evidente se si compara con la crescita esponenziale raggiunta da ambiti scientifici vicini, come la psicologia e la sociologia, che nel Secondo Dopoguerra si trovavano in una situazione molto simile. Oppure se si compara al rilievo e il prestigio che l’antropologia ha conservato o costruito negli ultimi sessanta anni in altri Paesi europei o in America.

Forse oggi in Italia possiamo parlare di un declino in termini di numero di personale impegnato nelle università, ma anche – inevitabilmente – di efficacia delle attività scientifiche e didattiche, che sempre più rimangono emarginate. Come esempio significativo basti citare il numero di professori ordinari in servizio nel corrente anno accademico (24, di cui due straordinari) e il numero complessivo dei docenti universitari (153) - erano rispettivamente 32 e 183 nel 1994-; oppure la quasi scomparsa di Dottorati di ricerca specifici e la difficile sopravvivenza delle lauree magistrali. La riduzione del personale universitario, dei dottorati e dei corsi di laurea non riguarda solo il nostro settore ed è l’esito anche di politiche nazionali, tuttavia essa, in settori di dimensioni ridotte come il nostro, rischia di tradursi in una pericolosa marginalizzazione, che può arrivare alla cancellazione di spazi oggi esistenti, e che è necessario bloccare con efficacia anche adottando nuove forme organizzative.

Se c’è una lezione che l’ultimo anno ci ha trasferito, in termini propositivi, è che, per raggiungere dei risultati a difesa del settore di studi e per il loro sviluppo, la frammentazione delle forze non paga e anzi penalizza. La comunità scientifica degli antropologi, sul modello di altri settori, deve dotarsi di una organizzazione rappresentativa sul piano generale, in grado di elaborare proposte di interesse comune e di portarle dinanzi ai responsabili istituzionali, nazionali, regionali e locali. Inoltre, questa rappresentanza unitaria deve svolgere una importante e costante pratica comunicativa nei confronti dei media e della più ampia opinione pubblica.

La prima attività non deve scadere nella mera contrattazione di richieste corporative dinanzi al potere politico, ma può costituire un punto di riferimento per i giovani che guardano ai nostri campi di ricerca con curiosità e interesse, ma anche con lo scetticismo dell’incertezza e della precarietà degli sbocchi occupazionali. La seconda attività non deve essere intesa come divulgazione del sapere antropologico, al limite della semplificazione e dello svilimento della complessità delle questioni scientifiche poste da impegni etnografici difficili e prolungati; ma può dare importanti segnali a un’opinione pubblica distratta e superficiale e affermare che, su tematiche sensibili, è possibile un approfondimento e una problematizzazione propri degli studi antropologici.

Per tutte le ragioni sopra esposte la nostra associazione scientifica, l’AISEA, ha deciso di giungere alla fusione con l’altra associazione generalista, l’ANUAC, per poter costruire una forte organizzazione unitaria, in grado di portare avanti il progetto di difesa e di sviluppo del settore. Il confronto è ormai giunto alla sua conclusione e restano da compiere pochi decisivi passi di carattere burocratico e formale perché possa nascere, si spera entro l’anno 2017, la nuova società scientifica degli antropologi italiani.

Con questa prospettiva importante pubblichiamo un nuovo numero di EtnoAntropologia. Anche questa volta i contributi sono, oltre che originali, appartenenti a contesti teorici, metodologici e stilistici diversi tra loro. Ciò dà vita alla rivista e consente una lettura non pregiudiziale. Sono dieci contributi che vanno dalla ricerca sul campo di Alliegro, che si occupa dei movimenti di protesta e delle mutazioni identitarie in Basilicata in seguito alle ricerche petrolifere, a quella di Francesca Scionti, che ci riporta una stimolante lettura di antropologia giuridica della relazione tra stregoneria e strategie della vendetta tra i Guarani della Bolivia. Dall’etnografia di un nuovo modello festivo in Umbria, che contribuisce a costruire una comunità di giovani e adolescenti in presenza di stranieri immigrati, di Fiorella Giacalone a quella effettuata a Napoli da Gianfranca Ranisio sulle strategie imprenditoriali di migranti che si trovano all’incrocio tra comunità transnazionale e contesto urbano alla ricerca di prodotti esotici.

Di sapore diverso sono, invece, i contributi di Alberto Baldi, che risalendo al secolo XIX ci svela il ruolo dell’antropologia per la creazione di una nuova visione del mondo, spettacolarizzato in termini etnici; di Ivan Golovnev, che analizza l’esperienza educativa, denominata EthnoFilm, comparata con un precedente storico della Russia sovietica; di Tamara Mykhaylyak, che ricostruisce la biografia scientifica e culturale di colui che è considerato il fondatore dell’antropologia ucraina, Vovk.

Milena Greco, invece, si misura con l’attuale tema del riconoscimento di patologie nuove, legate a innovazioni tecnologiche i cui effetti sono sconosciuti o quasi, come l’ipersensibilità all’esposizione ai campi elettromagnetici; Vincenzo Spera esamina una raccolta di immagini votive, effettuata in anni di ricerca nel Sud Italia, offrendoci la possibilità di “leggere” una narrazione di sofferenze e miracoli contenuta in fotografie, immagini dipinte, testi scritti, ecc. Infine, Eugenio Zito ci racconta il mito di Capri, un luogo antropologico che via via si è contaminato in un contesto globale, rischiando di divenire nonluogo.

Si tratta di una notevole quantità di contributi, tutti di qualità certificata, che contribuisce a quell’opera di apertura di margini verso la società, i giovani e la comunità degli studiosi in cerca sempre di stimoli, quesiti, avventure che possano aprire nuove prospettive di ricerca. Personalmente ritengo di aver dato quel piccolo aiuto per portare a termine quanto mi era stato richiesto: dare continuità a EtnoAntropologia e portarla in un contenitore più ampio e comprensivo.