Pluralismo giuridico e pratica giuridica indigena

Il caso dei Guaranì del Chaco Boliviano

Francesca Scionti

Dipartimento di Studi Umanistici. Lettere, Beni Culturali, Scienze della Formazione - Università di Foggia

Table of Contents

Pratica giuridica guaranì
Accusa di stregoneria
Accusa di violazione dei diritti sulla terra
Accusa di aggressione morale
Campo giuridico guaranì
Testi giuridici guaranì
L’assemblea
Giurisdizione speciale e coordinamento giudiziario
Conclusioni
Bibliografia

Abstract. This article ethnographically explores the form and the content of juridical practices of Guarani people living in the Capitanías of Charagua Norte and Alto Isoso, Bolivia. Starting from the Bolivian legal pluralism main field and through the analysis of some juridical case study, I answer some questions about how the Guarani people act and interpret the legal field in a plural legal context. I argue that such guarani people practice is both rooted in an interlegal field of sense and meaning and product of a legal and political strategy useful to hide and protect the indigenous juridical habitus.

Keywords. Guarani; Bolivia; Legal Pluralism; indigenous law; Ethnography

Quando nel 2013 arrivai per la prima volta a Charagua non avevo certo idea di trovarmi all’interno di una decennale lotta di rivendicazione dei diritti indigeni declinati in chiave autonomistica [cfr Scionti 2013b]. Ciò che mi aveva spinto ad intraprendere il lavoro di campo, durato poi per i tre anni successivi, era l’interesse per l’analisi delle pratiche giuridiche indigene, specie se agite all’interno di un contesto statale che si rappresenta come pluralista. Del resto il primo articolo della Costituzione Politica dello Stato Boliviano recita: «Bolivia se funda en la pluralidad y el pluralismo político, económico, jurídico, cultural y lingüístico, dentro del proceso integrador del país» [CPE 2009]. Poter osservare nella pratica i modi in cui il paradigma del pluralismo giuridico agisce ed è agito all’interno di una compagine sociale che non solo lo riconosce ma lo eleva al rango di principio fondante e caratterizzante il modello statale, quindi, era occasione da non lasciarsi scappare. Il contesto boliviano si mostrava, infatti, come importante campo d’indagine per riflettere sul processo dinamico di implementazione del pluralismo giuridico, specie se lo si poteva osservare da un punto di vista particolare quale la prospettiva indigena guaranì. In quest’ottica, intesi collocare tale processo nell’interstizio creato dalla relazione tra produzione di norme scritte che regolano l’ambito giuridico locale e pratica giuridica indigena intesa come quel sapere incorporato e campo di pratiche organizzate intorno a significati condivisi da un particolare gruppo di individui [Ingold 2001] [Bourdieu 1972].

L’obiettivo delle pagine che seguono è proporre alcune riflessioni riguardo la forma ed il contenuto della pratica giuridica guaranì, basandomi sull’osservazione etnografica dei processi di giuridicizzazione [Rouland 1988] attivi nel territorio della neonata Autonomía Guaraní Charagua Iyambae. Il Municipio di Charagua, infatti, territorialmente il più grande della Bolivia (74,424 km2, 86% della Provincia Cordillera e 23% del Departamento de Santa Cruz), in virtù del dettato costituzionale e della relativa legge applicativa [Ley Marco de Autonomías y descentralización “Andrés Ibáñez”, 2010], nel settembre 2015 si è convertito nella prima Autonomía Indígena Originaria Campesina (AIOC) del paese, sostituendo il modello di organizzazione politico amministrativa di derivazione statale con uno di matrice indigena, discendente dalla struttura politica guaranì. La relazione tra rivendicazione autonomica e pratica del diritto, quindi, non poteva essere ignorata dal momento che era costantemente presente nei discorsi e nelle retoriche delle autorità guaranì. Ronald Andrés, infatti, Mburuvicha Guasu (massima autorità politica) della Capitanía guaraní Charagua Norte, che raccoglie trenta comunità che vivono nello stesso Territorio Indígena Originario Campesino, detto anche Capitán Grande in castigliano, considera l’autonomia «un mandato de todo un pueblo sobre nuestro derecho, derecho de manejarnos solos, […] nuestra justicia, nuestro ñande reko (modo di essere)[1]. In quest’ottica l’asse dell’analisi si è ampliato sino a comprendere da un lato gli aspetti della pratica giuridica agita a livello comunale e zonale, e dall’altro gli aspetti connessi alla trascrizione delle norme giuridiche orali all’interno dei documenti prodotti dai guaranì.

Charagua si trova nella eco-regione del Chaco che si distribuisce tra il sud-est boliviano, il nord-est argentino e buona parte del territorio paraguayano. Il Chaco è lo spazio “tradizionalmente” occupato dall’auto-denominato “pueblo guaranì” che dopo i Chiquitanos, sono il gruppo più numeroso tra i gruppi indigeni presenti in Tierras Bajas de Bolivia, la cui popolazione indigena arriva a rappresentare il 6,1% del totale della popolazione boliviana. Parliamo di auto-denominazione perché il Pueblo Nación Guaraní si costituisce come soggetto collettivo omogeneo all’interno di una pratica discorsiva indigena, canonizzata attraverso un processo di legalizzazione dei marcatori dell’identità guaranì, che giunge al suo epilogo nel 1987 con la costituzione, proprio a Charagua, di una unità politica presumibilmente organica come la Asamblea del Pueblo Guaraní (APG). Unità politica che è un’assoluta novità [Combés 2004], una «rottura storica con la tradizione politica chiriguana» [Saignes 1990, 52-53] visto che già all’inizio del secolo passato Nordenskiöld [2003[1922], 137] e Métraux [1930, 309] sostennero che la molteplicità di lingue differenti e la mancanza di una chiara comprensione della sua unità, di fatto avevano impedito un’azione congiunta e la creazione di legami di solidarietà tra i gruppi dell’area. Assoluta novità anche perché era il risultato di un favorevole scenario politico nazionale ed internazionale, così come dell’immaginario prodotto da antropologi e consulenti delle Capitanías che proiettarono sul gruppo indigeno la propria immagine idealizzata della “nazione guaranì” [Combés 2005, 45]. Il popolo oggi auto-denominatosi guaranì, in estrema sintesi, è il frutto di un ampio processo di etnogenesi di una minoranza di origine tupi-guaranì migrante, con una maggioranza chané autoctona della zona boliviana. Gruppo etnico, quest’ultimo, parte della famiglia linguistica arawak [Combès e Saignes 1995, 38]. I tupi-guaranì arrivarono nel Chaco boliviano dal Brasile e dal Paraguay grazie ad ondate migratorie avvenute tra il XV ed il XVI secolo [Pifarré 1989, 25-30] [Combès 2005, 70-75]. Migrazione in cerca della Tierra sin Mal [Clastres 1975] simultanea all’arrivo degli spagnoli, sebbene sia possibile una retrodatazione a un’epoca precoloniale [Combès 2005, 68-70]. Processo irreversibile e parallelo al processo di meticciamento, dominazione politica e “guaranizzazione” culturale e linguistica dei chané [Ibidem] [Combès e Saignes1995].

Ibridazione asimmetrica e fortemente gerarchizzata, questa tra guaranì migrati e gruppi chané sedentari, che tutt’oggi lascia trasparire le sue contraddizioni e frizioni di cui il contesto territoriale di Charagua è esemplificativo. L’osservazione empirica, infatti, ha potuto cogliere il radicamento dell’immaginario contrastivo tra ava - guaranì che vivono nella zona pedemontana della Cordillera (Capitanías di Charagua Norte e Parapitiguasu) - e isoseños - guaranì che vivono in Isoso e che riconoscono la discendenza chané (Capitanías dell’Alto Isoso e Bajo Isoso) – specie nella diversa declinazione dell’habitus culturale riconducibile al paradigma chiriguano [Combès 2005]. I guaranì sono circa il 60% della popolazione totale di Charagua e vivono principalmente nei tre Territorios Indígena Originario Campesino [2] – Charagua Norte, Parapitiguasu e Isoso – e nelle relative quattro Capitanías (l’Isoso politicamente è diviso in Alto e Bajo pur mantenendo un unico titolo collettivo di proprietà sulla terra). La Capitanía – organizzazione territoriale sovracomunale di derivazione coloniale, frutto del processo statale di attribuzione della terra funzionale alla definizione delle giurisdizioni territoriali indigene – è l’unità politica subregionale di varie comunità guaranì ubicate territorialmente nello stesso Territorio Indígena Originario Campesino, al cui vertice c’è il Capitán Grande eletto da tutte le autorità comunitarie, coadiuvato da un Directorio, composto dal Secundo Capitán e dai responsabili della produzione, infrastrutture, salute, educazione/cultura/sport, Terra-Territorio, Risorse Naturali, Genere, Comunicazione. Le quattro Capitanías presenti a Charagua, articolano politicamente e territorialmente le comunità rurali guaranì plasmando giurisdizioni indigene proprie, compresenti alla giurisdizione ordinaria dello Stato.

Non potendo in questa sede aspirare ad una restituzione esaustiva della complessità giuridica espressa dai gruppi guaranì di Charagua, le pagine che seguono saranno dedicate all’analisi di alcuni degli elementi del campo giuridico guaranì emersi durante l’indagine etnografica. Campo giuridico che s’intenderà come il prodotto processuale delle interazioni discorsive interlegali all’interno di un contesto di pluralismo giuridico [Santos 1991]. In particolar modo si rifletterà su come i guaranì interpretano il campo giuridico ed esercitano la Justicia Comunitaria; sugli elementi che definiscono a livello locale ciò che è ritenuto essere legale; sui modi in cui i guaranì producono norme e “parlano giuridico”. Elementi che sono emersi dall’osservazione della pratica giuridica inscritta nell’immaginario sulla giustizia espresso dai guaranì, dalle interviste con interlocutori privilegiati appartenenti al mondo politico e giuridico guaranì e dall’analisi dei documenti riguardanti il binomio norma/sanzione come quelli giudiziari (libros de acta) prodotti a livello comunale e zonale e quelli politici utili alla regolamentazione interna delle unità politiche locali (Estatutos e Reglamentos comunales e zonales, Estatuto Autonómico). La rete di significati costruita da questi elementi tratteggia e definisce i modi in cui i guaranì di Charagua agiscono ed interpretano il diritto all’interno di una narrazione sociale che racconta la dinamica contrastiva e relazionale propria di un contesto interlegale, composto da distinti habitus normativi in costante interazione con le leggi dello Stato [Alliot 2003]. Narrazione che utilizza un discorso giuridico composto dall’unione tra espressioni simboliche orali - riferibili tanto a norme/obbligazioni sociali che a principi regolatori considerati giudiziari - e istituzioni/autorità chiamati ad applicarle [Orellana 2004]. In quest’ottica, il focus etnografico proposto aspira ad analizzare un agire sociale, culturalmente determinato, che ha impatto diretto a livello giuridico perché affonda le sue radici di significato in norme giuridicamente significanti derivanti dal paradigma indigeno-originario.

Pratica giuridica guaranì

Il diritto guaranì di amministrare la sua giustizia, coerentemente allo specifico ordinamento giuridico che lo rappresenta, è chiaramente definito dalla Costituzione (parte II, titolo III, capitolo IV “Jurisdicción Indígena Originaria Campesina”) che stabilisce l’uguale gerarchia tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione indigena [CPE 2009, art.179.II] all’interno della funzione giudiziaria esercitata dall’Órgano Judicial Plurinacional che è unica [CPE 2009, art.179.I]. In quest’ottica la Costituzione traccia il campo semantico della giurisdizione indigena delimitando funzioni, responsabilità e attributi di una pratica che però è al contempo variabile e fortemente locale. Ed il governo di questa variabilità, e di fatto dello scenario di pluralismo giuridico che ne consegue, è demandato alla Ley de Deslinde Jurisdiccional del 2010 che ha l’obiettivo di identificare i meccanismi di coordinamento e cooperazione tra la giustizia indigena e le altre giurisdizioni costituzionalmente riconosciute [CPE 2009, art. 191.II.2 e art. 192.III]. Il testo costituzionale [CPE 2009, art. 191] inoltre, stabilisce che ricadono nella giurisdizione indigena quelle dispute in cui il fattore etnico e territoriale, sommati allo status di membro della comunità, sono fondamentali per inscrivere un evento giudiziario al piano giuridico locale. Disposizioni che sono state incorporate dalla cornice normativa locale: «la jurisdicción es obligatoria para los comunarios/as que residan en sus comunidades, en donde se haya producido el hecho y en donde existan autoridades de la organización y procedimientos consuetudinarios reconocidos por sus normas y procedimientos propios» [Estatuto Charagua Norte, 2008, art.100-101].

Il sistema giuridico guaranì, quindi, opera all’interno della cornice normativa statale e si mostra come sistema integrato formato dai processi che lo caratterizzano, il sistema di autorità che lo amministra e le forme di sanzione che impone. Nello specifico, questo e il paragrafo che segue saranno dedicati all’analisi della produzione e riproduzione della regolamentazione sociale guaranì a Charagua, a partire dalle due fonti che determinano questi ambiti, cioè la pratica di risoluzione delle dispute e il campo giuridico al cui interno si esplicano, campo plasmato dalla pluralità normativa che caratterizza il sistema giuridico guaranì. Le prime saranno oggetto di questo paragrafo, in cui si descriveranno i modi in cui gli agenti giuridici guaranì (Capitán Comunal, Corregidor, la comunità) gestiscono e risolvono gli eventi giudiziari. Il secondo, invece, sarà oggetto del prossimo paragrafo, in cui si analizzerà la conformazione del campo giuridico guaranì e le pratiche di formalizzazione dell’habitus giuridico all’interno dei Regolamenti e degli Statuti delle Capitanías. In quest’ottica, all’interno della macro etnografia riguardante le quattro Capitanías, si è scelto di condurre il campo nelle due Capitanías zonali di Charagua Norte e Alto Isoso perché espressione di due distinte pratiche giuridiche guaranì riconducibili la prima all’immaginario ava e la seconda a quello isoseño. Scelta operata secondo una logica comparativa capace di evidenziare più efficacemente i modi in cui il paradigma del pluralismo giuridico opera nella pratica, poiché la compagine guaranì di Charagua, pur rappresentandosi come omogenea ed organica all’esterno, al suo interno cela pratiche giuridiche diverse e compresenti, riconducibili all’habitus indigeno, a loro volta compresenti a quella statale. Versatilità della pratica giuridica guaranì esplicitata dalla scrittura del capitolo riguardante la Justicia Comunitaria – volontariamente ampio e generico nelle parole di René Gómez (Arakua Iya di Charagua Norte) - all’interno dello Statuto dell’Autonomia. Scelta che acquista senso e significato nella misura in cui aspira a creare un ordine di senso negoziato e rappresentativo di tutto il congiunto guaranì a Charagua, senza interferire con la libertà e la pratica consuetudinaria locale, basata principalmente sul potere della parola e quindi dell’oralità.

In quest’ottica quindi, basandoci sui dati etnografici raccolti e su alcuni contributi al tema della giustizia guaranì[3], si propone una riflessione, certamente non esaustiva, dell’agire giuridico praticato in queste due giurisdizioni a partire dalla discussione di alcuni casi giudiziari. Casi che s’intendono esemplificativi degli ambiti di competenza degli agenti giuridici guaranì, declinabili all’interno del binomio umano/soprannaturale. Così gli ambiti giudiziari che si discuteranno appartengono rispettivamente alla sfera del soprannaturale - perché la spiegazione della pratica di stregoneria a cui si riferiscono ha senso e significato giuridico solo all’interno dell’habitus culturale guaranì - e alla sfera dell’umano, comprendente le dispute interetniche (guaranì/non guaranì) che implicano il ricorso alla Justicia Ordinaria e le dispute intraetniche (guaraní/guaraní) che sono invece gestite all’interno della comunità. Si avrà modo di vedere come «el sistema de resolución de conflictos es no solamente publico, sino también participativo, y la decisión final obedece a un principio democrático fundamental, es una decisión de todos, consensuada en Asamblea» [CEJIS 1997, 74-75].

Accusa di stregoneria

Il primo caso - svoltosi negli anni Novanta del secolo scorso – è accaduto nella comunità di Yovi (Bajo Isoso)[4]. Una donna era morta a seguito di una lunga malattia e la sua famiglia, non riconoscendo la causa della morte come “naturale”, si era rivolta al Capitán Comunal denunziando il fatto come atto di stregoneria. Questi, dopo lunghi colloqui con i denuncianti per accertare la fondatezza delle accuse, si era rivolto ad un Ipaye affinché potesse indagare e cercare all’interno della comunità eventuali cause soprannaturali. L'Ipaye cominciò le sue indagini e dopo due giorni riunì nella sede della Capitanía cinque donne per un supplemento d’indagine. Allo scopo di individuare tra di loro un eventuale Mbaekuaa (stregone/strega) iniziò il rituale di disvelamento che consiste nel pronunciare determinate formule accompagnandosi con una sigaretta fatta con tabacco e foglie di mais, il cui fumo soffiava in faccia alle donne. Pratica ascrivibile alla cultura magica guaranì, in questo caso declinata in chiave oracolare [cfr Riester 1998]. Dopo aver ripetuto per tre volte il rituale, aveva indicato, tra le cinque presenti, la donna responsabile di aver fatto ammalare la defunta perché gelosa di lei. A questo punto la donna fu portata alla presenza del Capitán Comunal che subito convocò un’assemblea comunale per discutere e risolvere il caso, perché tëtako jae oikatu oporojäa vae, la comunità è il miglior giudice [cfr Ortiz Caurey, 2011]. Dopo due giorni di discussione, fu emessa una sentenza di morte per la colpevole, accusata di omicidio per il tramite della stregoneria. Sentenza che doveva essere eseguita dal marito della defunta. Pena ascrivibile ad un codice semantico, di cui le pratiche vendicatorie sono esempio emblematico [Resta 2002] [Resta 2015a] [Resta 2015b] [Scionti 2011] [Scionti 2013a] [Scionti 2015], espressione di una volontà sanzionatoria in cui prevale la dimensione risarcitoria della pena, tesa a bilanciare l’equilibrio sociale interrotto, attraverso l’applicazione di un principio di reciprocità che impone a chi ha ricevuto il danno di eseguirla. Poco tempo dopo l’applicazione della sentenza, però, le autorità ordinarie, venute a conoscenza del caso, avevano arrestato l’esecutore della sentenza comunitaria e, a seguito di un processo ordinario, lo avevano condannato all’ergastolo. Fino al giorno della sua morte, tuttavia, l’uomo ha continuato a ricevere in carcere una visita settimanale da parte dei figli della donna che aveva ucciso, perché dal loro punto di vista aveva agito correttamente.

Il secondo caso, invece, è avvenuto nella comunità di Kuarirenda (Alto Isoso) nel 2006[5]. La famiglia di un uomo morto per cause sconosciute (presumibilmente infarto) aveva accusato di stregoneria la sua amante, dal momento che il fatto era avvenuto durante un rapporto sessuale con lei. Dopo aver consultato diversi Ipayes, che avevano indicato la donna come Mbaekuaa, i familiari avevano formalmente chiesto al Corregidor de La Brecha di intervenire, coerentemente con il dettato culturale guaranì che prescriveva la condanna a morte del colpevole come pena per atti di stregoneria. Questi, nella sua duplice funzione di funzionario statale ma anche autorità guaranì, però, non era nella posizione di emettere tale sentenza, giacché era legittimo rappresentante della giustizia ordinaria dello Stato pur comprendendo e condividendo l’immaginario risarcitorio collegato alla pena per atti di stregoneria proprio dell’habitus giuridico guaranì. Così alla fine di un lungo processo di risoluzione che si protrasse per alcuni giorni e fu formalizzato nel Libros de Acta in due atti controfirmati dalle parti in causa, il secondo dei quali discusso in assemblea comunale, si giunse alla seguente risoluzione: «se haga justicia a través de la cárcel por 30 anos de prisión y que el movimiento de este caso sea arreglado por los proprio hijos o familiares del fallecido con el apoyo de la comunidad» [27/03/2006, Libro de Acta, Corregidor La Brecha], espellendo, inoltre, la presunta colpevole di stregoneria secondo quanto stabilito dall’art. 45 dello Statuto della CABI (Capitanía de Alto y Bajo Isoso) ma soprattutto perché gli eventi di stregoneria «son eventos que provocan turbamientos en la comunidad, el conflicto no podría resolverse si la persona sigue viviendo junto con los que lo acusan», nelle parole del Corregidor de la Brecha.

Come è possibile dedurre dai due esempi, l’accusa di stregoneria è l’area che presenta le maggiori frizioni tra immaginari giuridici, tanto sul fronte della definizione dell’oggetto del giudizio quanto della tipologia di pena da comminare. La Justicia Ordinaria, infatti, non riconosce il “delitto di stregoneria” né la pena corrispondente per il colpevole, cioè la morte. Nel primo caso, infatti, la sentenza ordinaria punisce l’esecutore della sentenza guaranì che però continua a mantenere uno status di uomo retto nella sua comunità, perché ha operato secondo l’habitus culturale che la governa. Il secondo caso, invece, esplicita il carattere ibrido dell’autorità giuridica rappresentata dal Corregidor che commina una sentenza che fonde i due campi normativi: quello statale nel momento in cui stabilisce il carcere invece che la morte, quello guaranì che stabilisce l’espulsione dalla comunità se non è possibile la morte. In questo caso si evidenzia chiaramente la disomogeneità contrastiva tra piani giuridici compresenti – quello ordinario e quello guaranì – dal momento che la figura del Corregidor assomma su di sé una duplicità di funzioni, autorità guaranì e statale, egualmente legittime ma in contraddizione tra loro quando si tratta di dirimere casi giuridici di questo tipo. Per quanto riguarda la definizione dell’oggetto di giudizio, invece, la figura dell’Ipaye è fondamentale. L’Ipaye – Pai + e = sujeto extraordinario + superlativo [cfr Ortiz Caurey 2011] - contribuisce in maniera sostanziale alle investigazioni probatorie di quei casi che si ritiene appartengano a una sfera non umana dell’esistenza oppure eseguono il mandato della comunità nel caso se ne consideri necessario l’intervento per risolvere un problema originato da cause soprannaturali. Questo perché è ritenuto un’autorità “spirituale” dal momento che ha la capacità di relazionarsi con il mondo soprannaturale, di mediare con il regno naturale e, attraverso pratiche rituali come el fumar [cfr Riester 1998], di risolvere problemi che intaccano l‘equilibrio e la coesione sociale. Infatti interviene per equilibrare e neutralizzare il suo alter ego – Mbaekuaa (mbae = sconosciuto, spirituale + kuaa = conoscere) letteralmente “colui che conosce lo sconosciuto”, Mbae iya reta, stregoni [Ortiz Caurey, 2011] – percepito dalla comunità come portatore di problemi e causa di conflitti[6]. Questa ultima possibilità rientra nella sfera giuridica nel senso che coloro i quali si considerano vittime di un Mbaekuaa si rivolgono ad un Ipaye affinché possa scoprire la causa del problema e risolverlo. Oppure sono le stesse autorità originarie che quando ricevono una denuncia di supposta stregoneria si rivolgono ad un Ipaye per scoprire i legami tra eventi inusuali e pratica magica o per identificare l’identità dell’Mbaekuaa responsabile del fatto denunciato. In quest’ottica l’autorità giuridica utilizza, nel caso le ritenga rilevanti, le prove da questi prodotte per emettere la sentenza. L’accusa di stregoneria, quindi, è una trasgressione dalla forte radice soprannaturale ed il potere derivante dall’accusa è talmente grave che una semplice supposizione può rivelarsi una condanna della comunità contro chi è ritenuto Mbaekuaa. Motivo per cui appartiene alla soggettività collettiva tanto quanto a quella individuale, perché prodotto di una costruzione socioculturale il cui obiettivo ultimo è il mantenimento dell’equilibrio sociale secondo il principio bene/male [Albò 1990] [Melià 1988] [Pifarré 1989]. Mbaekuaa e Ipaye, infatti, sono i due elementi che compongono questa dualità basata sull’intersoggettività sociale e sul consenso collettivo fondato nella credenza. Credenza che si esprime anche nella non consapevolezza di essere Mbaekuaa e quindi di stare agendo a danno di qualcuno. Inconsapevolezza che però non intacca certo la credenza secondo cui se un Ipaye identifica qualcuno come agente di stregoneria questi possa metterlo in dubbio.

Accusa di violazione dei diritti sulla terra

Il caso riguarda la comunità di Caipepe (Charagua Norte) e rimane tutt’oggi spinoso ed in parte insoluto. È iniziato a cavallo degli anni Ottanta/Novanta del Novecento coinvolgendo due gruppi familiari per una questione riguardante l’indebito spostamento dei recinti che delimitavano la porzione di terra su cui ognuno di loro vantava un diritto di usufrutto. Nella prima fase, il conflitto era rimasto arginato all’istanza comunale che in molteplici assemblee aveva sanzionato con pene pecuniarie e ammonimenti un gruppo in particolare, che si era contraddistinto per atti di violenza, aggressioni e provocazioni contro l’avversario. La seconda fase – peggiorativa del conflitto – ha luogo agli inizi del secolo in corso e si configura come reato di tentata compravendita poiché il gruppo conflittivo, ritenendosi vessato dalla pratica sanzionatoria della comunità, aveva affittato a non guaranì prima e cercato di vendere poi, la propria porzione di terra. Questa è la fase in cui il conflitto è trasferito all’istanza giuridica immediatamente superiore – l’assemblea zonale – che in prima battuta cerca di risolvere la questione all’interno della Capitanía anche se il tema oggetto del caso giudiziario non rientra nella sua giurisdizione. Il caso è discusso in molteplici assemblee zonali senza trovare una soluzione, sino a giungere all’assemblea zonale del 7 giugno 2014, svoltasi a Caipepe, in cui, alla presenza non solo delle autorità originarie ma anche di avvocati ed esperti in diritto agrario, il caso viene affrontato al fine di dargli soluzione definitiva. All’assemblea partecipano tutte le autorità comunali di tutte le comunità della zona Charagua Norte, il Directorio zonale al completo, Arakua Iya e Ñee Iya, contendenti e l’Mburuvicha Guasu, Capitán Zonal che governa l’istanza giuridica e ha l’obbligo di «velar por la aplicación del derecho consuetudinario y cuando sea requerido ejercer la administración de la justicia comunitaria en la Organización» [Estatuto Charagua Norte 2008, art. 60]. L’assemblea si apre con il discorso del Capitán Zonal che introduce il tema unico dell’assemblea e riassume l’intera vicenda sin dalla sua origine, richiamando alla gravità della situazione ed al fatto che questo evento ha provocato e continua a provocare gravi squilibri all’interno della zona e della comunità tanto da ormai rendere insostenibile il livello di tensione che si è accumulato. A seguire, prende la parola il responsabile zonale del settore terra/territorio per sintetizzare il grave conflitto che sta mettendo in pericolo l’unità territoriale della TIOC e della comunità stessa di Caipepe, visto che i colpevoli hanno tentato di segmentarsi territorialmente dalla comunità di appartenenza per fondare una nuova comunità (cosa che non è possibile fare perché il titolo di proprietà sulla terra è comunale e non può essere suddiviso). I partecipanti all’assemblea ascoltano la vicenda commentandola e mostrandosi risoluti nel risolverla, anche perché sono loro – la base – ad avere potere decisionale in questo spazio dove il Capitán è solo un mediatore e un testimone del procedimento. A seguire sono ascoltati i contendenti, con i rispettivi testimoni, e si apre la prima fase di dibattito in cui intervengono i partecipanti all’assemblea esprimendo opinioni e valutazioni riguardo gli eventi (non senza una certa partigianeria di ordine politico, economico o familiare). È la fase in cui viene contestata anche la pratica contraria all’habitus culturale guaranì agita dagli accusati, dal momento che si erano sempre rivolti alla giustizia ordinaria, e non a quella originaria, per denunciare fatti di cui ritenevano essere vittime, con la motivazione di sentirsi discriminati dall’autorità comunale e in virtù di questo non la riconoscevano come legittima. Quando questa prima fase si conclude, intervengono nel dibattito Arakua Iya e Ñee Iya con avvertimenti e raccomandazioni, impliciti ai racconti mitici che narrano, funzionali all’orientamento normativo valoriale del procedimento e della risoluzione da prendere. Dopo la pausa per il pranzo, offerto dalla comunità ospitante a tutti i partecipanti, l’assemblea riprende il dibattito e si decide di nominare una commissione che vada a valutare i danni arrecati dagli accusati ai beni mobili delle vittime e la sottrazione di terra perpetrata da questi. Quando la commissione torna e rende noti i risultati dell’ispezione, che confermano tutte le accuse, il Capitán Zonal chiede il parere legale agli avvocati, che consigliano di trasmettere il caso al Tribunal Agroambiental, sia perché sarebbe di sua competenza sia perché il conflitto è troppo radicato nella comunità e l’astio cumulatosi su due generazioni non lascia margini ad una composizione. Così l’assemblea si conclude con il Capitán Zonal che riassume la discussione e propone all’assemblea una soluzione al problema: trasmissione all’istanza giuridica ordinaria come sanzione per aver provocato il conflitto all’interno della comunità e non avere mai accettato le risoluzioni precedenti che pur nella sanzione avevano sempre tenuto in conto la variabile ricompositiva. L’assemblea discute la proposta ed alla fine la ratifica come sentenza, compilando il libros de actas che viene controfirmato e timbrato da tutti i partecipanti e dalle parti in causa. Tutt’oggi questo caso è pendente presso il tribunale ordinario competente ed a livello locale il gruppo conflittivo ha operato una segmentazione dall’area dalla comunità originaria e si è autodeterminato come comunità autonoma, eleggendo proprie autorità parallele a quelle ufficiali, che però non sono riconosciute dalle altre comunità della zona e dalla Capitanía Zonal.

Questo caso è esemplificativo del ruolo di determinate autorità guaranì che, pur non avendo una funzione giudiziaria, hanno un valore insostituibile all’interno dei processi di valutazione dei casi giuridici. Gli Arakua Iya – Arakuaa + iya = saggezza + padrone [Ortiz Caurey 2011] – in virtù della saggezza che deriva loro dall’essere anziani rispettati della comunità, partecipano a tutti gli eventi del sistema giudiziario allo scopo di coadiuvare le autorità responsabili della risoluzione della controversia ma anche gli stessi litiganti. I Ñee Iya – Ñee + Iya = parola + padrone [Ortiz Caurey 2011] – sono invece i grandi oratori che durante le assemblee costruiscono discorsi complessi in cui s’interconnettono narrazione mitica e mondo ordinario, in modo da radicare gli eventi che accadono in quest’ultimo in una cornice di significato che affonda le radici nella prima: Ñee Iya reta ñande mboguata ñee kavi rupi, i padroni della parola ci conducono per il sentiero delle parole costruttrici [Ortiz Caurey 2011]. Entrambe queste figure sono autorità legittime all’interno dell’autorità comunale e zonale guaranì.Autorità riconosciute e rispettate perché agenti che guidano le disposizioni di condotta, pur nelle differenze che li contraddistinguono, che Ángel Yandura, isoseño originario del Bajo Isoso, così efficacemente sintetizza:

«Los Ñee-iya exageran mucho, magnifican mucho en sus discursos ahì y manejan muy bien esa técnica porque es una técnica de motivación para la asamblea. En una asamblea cuando empieza a tener· problemas, lo que hace el Ñee-iya es levantarse y empezar a discursear, pero empieza a darles ánimos, empieza a hacer una especie de apoyo moral, mientras que el Arakua-Iya casi nunca aparece. Esta mas a nivel de consejero. Los Ñee-iya poseen el don de la oratoria, y transmiten en las asambleas los valores y la historia de los Izoceños. Los Ñee-iya dan largos discursos que refuerzan los valore tradicionales, los mitos y la historia. Estos hombres constituyen la memoria histórica. En las asambleas siempre dan consejos basados en las experiencias pasadas y en los acontecimientos históricos […] Los argumentos históricos son frecuentemente utilizados en casos legales […] Estos argumentos están basados en un conocimiento de los acontecimientos históricos y refuerzan el valor instrumental de la historia y la fuerza de la tradición oral» [CEJIS 1997, 41-42]

Questo caso, inoltre, chiama in causa un ambito, quello riguardante le dispute sulla terra, che riguarda la maggioranza dei casi giuridici discussi a livello zonale. In quest’ottica è necessario distinguere tra Tierra Comunitaria – soggetta a proprietà collettiva da parte dell’organizzazione originaria zonale – e Chaco, parcella di proprietà comunale assegnata ad ogni membro della comunità che la coltiva come usufruttuario insieme ai membri maschi della sua famiglia. In un caso come questo, il conflitto s’ingenera dal fatto che alcuni titoli di proprietà della terra sono inter-comunitari, cioè, alcune comunità hanno un titolo congiunto oppure il titolo è a nome del Capitán comunal o della persona che ha gestito l’iter amministrativo per ottenerlo. Inoltre, nonostante il diritto di usufrutto della parcella di terra sia ereditario, questo diritto decade in casi di abbandono prolungato da parte dell’usufruttuario, poiché la terra non coltivata perde la funzione sociale che le corrisponde, variante anch’essa presente nel caso in oggetto. In questi casi la parcella di terra viene restituita all’autorità comunale che provvede a riassegnarla ad un altro membro della comunità. Quest’ultima eventualità rimanda al tema della definizione dell’appartenenza al gruppo perché riguarda guaranì che non vivono stabilmente nella comunità e però continuano a mantenere relazioni più o meno continue con questa. La distanza, infatti, da un lato implica una non conoscenza attiva delle dinamiche comunali che comporta una maggiore propensione all’essere coinvolti in casi di compravendita di terra, e dall’altro la non partecipazione al circuito di rotazione della carica di autorità comunale – diritto/dovere di ogni membro della comunità - fa decadere il diritto di accesso ed uso delle risorse naturali della comunità. Il caso di compravendita di terra comunitaria, quindi, senza la previa approvazione della comunità, quando giuridicamente possibile, è una violazione che intacca pesantemente l’integrità della comunità, dal momento che il titolo di proprietà è collettivo e di fatto la vendita di una porzione di terra parte della TIOC è illegale sia per quel che attiene la giurisdizione statale che quella guaranì. Lo stesso discorso riguarda il riposizionamento di recinti delimitanti le parcelle di terra o la terra comunale. In questo caso la parte lesa denuncia il fatto all’autorità competente e se in possesso di un titolo di proprietà di cui comunque è necessario verificare l’autenticità, può vedere accolta la propria richiesta ed ottenere un indennizzo - nella forma della restituzione della terra rubata o del pagamento del valore della terra acquisita indebitamente - da parte del responsabile dell’atto. Caso che non si è dato nell’esempio discusso. Il procedimento di risoluzione – visto che il tema sarebbe di competenza della Jurisdicción Agroambiental - è interessante dal punto di vista della manipolazione giuridica, specie per quel che concerne il coinvolgimento della giurisdizione ordinaria: «en situación de tensión y enfrentamiento, la superposición entre las jurisdicciones puede ser utilizada como mecanismo de presión o de evasión de responsabilidades, puesto que los elementos probatorios validos para la justicia indígena (las declaraciones de involucrados y testigo) pueden no ser suficientes ante la jurisdicción agroambiental donde títulos o documentos escritos tienen un peso fundamental» [Bazurco Osorio, Exeni Rodriguez 2012, 83-84].

Infine, la risoluzione della disputa che diventa vincolante per le parti in causa attraverso la trascrizione della sentenza nel libros de actas, ha un valore plurimo. Da un lato, per i contendenti è la prova del fatto che il caso è stato ricevuto discusso e risolto mentre per la parte lesa è una garanzia cui potrà appellarsi in caso la sentenza venga disattesa o ignorata e per il colpevole è un’obbligazione vincolante che non può eludere. Dall’altro, invece, per l’autorità che la emette, è ciò che converte in sentenza la disputa, cioè l’incontro tra autorità, contendenti e testimoni, funzionale al procedimento giudiziario riguardante la violazione della norma, che produce uno scenario dinamico e contestuale di produzione giuridica a partire dal giudiziale, capace di avere effetto strutturante per la struttura del campo giuridico [Bourdieu 1986] [Bourdieu 2000]. Il libro degli Atti rappresenta la memoria scritta dell’agire dell’autorità, del tipo di trasgressione, del procedimento e delle sanzioni comminate all’interno dell’esercizio legittimo della Justicia Originaria. Questo tipo di formalizzazione della sentenza, legittima la risoluzione della disputa agli occhi della comunità. In quest’ottica l’Atto – contenente una sintesi della discussione e la trascrizione della decisione cui si è giunti – è un modo per assumere collettivamente la responsabilità della risoluzione, propagando il peso della decisione giuridica condivisa a tutto il campo giudiziario e non solo alle parti coinvolte dalla disputa, sottolineando così la centralità che all’interno dell’immaginario guaranì ha la comunità, garanzia di coesione interna, a discapito di un individualismo che ne danneggerebbe l’unità.

Accusa di aggressione morale

Il caso è avvenuto nella comunità de La Brecha (Alto Isoso) e coinvolge due donne[7]. Una di loro per più di tre mesi aveva diffuso, all’interno della stessa comunità e in quelle limitrofe, dicerie e pettegolezzi (ndye ndye in guaranì) sull’altra (l’essere poco affidabile, disonesta e di facili costumi) in virtù del fatto che in svariate occasioni aveva provato a sedurle il marito e che a fronte del rifiuto di questi, aveva sostenuto con altre donne della comunità che era stato l’uomo ad insidiarla e che lei si era rifiutata. Così la donna ferita nell’onore di moglie aveva voluto divulgare queste informazioni – in un’ottica di ammonimento – in modo da mettere a conoscenza la comunità di ciò che stava accadendo. La donna oggetto delle dicerie, in virtù dell’accaduto, aveva visto deteriorarsi i suoi rapporti sociali all’interno della comunità a causa della messa in discussione della sua reputazione, così in più occasioni aveva affrontato la prima cercando, senza riuscirci, di risolvere oralmente la questione. La logica ascendente che governa l’immaginario giuridico guaranì, infatti, individua come prima istanzia risolutoria l’ambito familiare e gli agenti giuridici che la caratterizzano come padre, anziani o il pastore della chiesa evangelica. Col passare del tempo, però, lo scontro tra le due donne arriva a coinvolgere anche i rispettivi gruppi familiari sino a giungere all’epilogo conflittuale in cui durante una festa, ed a causa dell’alto tasso alcolico dei partecipanti, le due donne passano dallo scontro verbale a quello fisico. L’escalation violenta comportò il coinvolgimento del Corregidor de La Brecha, che il giorno successivo allo scontro fisico convocò in prima battuta le due donne, per ascoltare come si erano svolti i fatti e le motivazioni che li avevano causati, ed in seconda battuta i testimoni. A seguito di un’indagine all’interno della comunità, poi, aveva verificato la veridicità dell’accusa di diffamazione avanzata dalla seconda donna e così aveva comminato alla prima una sanzione – ammissione pubblica di responsabilità con conseguente carica morale derivante dalla vergogna di dover confrontarsi con il resto della comunità – concordemente con il pastore evangelico della congregazione cui la donna apparteneva, dal momento che con la sua condotta aveva altresì violato il regolamento interno della Unión Cristiano Evangélica. Pena che di comune accordo era stata intensificata con l’aggiunta di una multa in denaro e con la verbalizzazione nel Libros de Actas, dal momento che la donna rifiutava di darle seguito. Dopo alcuni giorni in cui la somma era cresciuta in maniera proporzionale al trascorrere del tempo, la donna decise di accettare la sentenza e ammise pubblicamente la sua colpa prima di fronte alla comunità evangelica e poi a quella guaranì.

Gli elementi di analisi di questo caso riguardano due ambiti semantici costantemente presenti nella pratica giuridica guaranì: la tutela dell’integrità morale della persona e l’interconnessione tra reti normative. Nel caso, infatti, l’integrità morale della persona è messa in discussione dalla pratica del ndaye (pettegolezzo, diceria in guaranì). Pratica che agisce come meccanismo di controllo sociale all’interno della comunità e che si trasforma in causa di contenzioso quanto intacca violentemente la persona oggetto della diceria oppure scatena violenti litigi fisici. Pratica capace di individuare le anomalie sociali ed evitarle, di coadiuvare il controllo normativo dei comportamenti individuali e familiari, di emettere un giudizio che è una sanzione. In quest’ottica, il pettegolezzo agisce di là dall’essere fondato o meno, giacché la semplice supposizione di una condotta anomala/anomica agisce come deterrente o correttivo del comportamento: «más allá de que sea cierto o no, lo cierto es que este dejo abierta esta posibilidad con sus actos sugerentes a tal percepción» [Ortiz, Caurey 2009, 111-112]. Ma soprattutto è un potente strumento di denuncia di condotte conflittive che può sfociare in un procedimento giudiziario: «la conjunción de las ndayes particulares poco a poco irán articulando mejor los referentes prácticos que finalmente harán sostenible la acusación […] En este caso yo o los dirigentes, o ancianos, procederán a indagar la fuente juntando una por una a las chismosas hasta dar con la gestora, merecedora del castigo moral y social» [Ibidem]. La pratica del ndaye, quindi,denuncia due specifici tipi di condotta che violano l’integrità morale della persona. Da un lato gli atti di immoralità che riguardano il tradimento sessuale del vincolo matrimoniale, sanzionati con una multa ed un avvertimento verbale comminati all’uomo e con una notifica a non ripetere il comportamento per la donna. Dall’altro i conflitti interpersonali che degenerano in aggressioni fisiche e verbali a seguito di calunnia. In questo caso, al fine di ricostituire l’armonia all’interno della comunità, l’autorità giuridica preposta alla risoluzione della disputa, ha ascoltato la ricostruzione degli eventi di contendenti e testimoni per poi proporre una soluzione, formalizzata dalla redazione dell’Atto che contiene una dura reprimenda del comportamento, una promessa alla non reiterazione ed una compensazione economica dei danni fisici o materiali nel caso lo scontro li abbia ingenerati, come in questo caso. L’aspetto che esplicita l’interconnessione tra reti normative, invece, è rappresentato in questo caso dal coordinamento tra le autorità originarie del Corregidor e del pastore evangelico. Se in passato il primo avrebbe potuto interpretarsi come un punto di frizione tra il sistema giuridico statale e quello guaranì, quasi rappresentando un contrasto tra una giustizia sanzionatoria ed una compositiva, come a breve di esplicherà, oggi la relazione tra la comunità e questa autorità è assai complessa ed eterogenea nelle causalità. Il Corregidor lavora in stretto coordinamento con il Capitán Comunal ed i pastori evangelici presenti nella comunità ma anche con le autorità della giustizia ufficiale, praticando di fatto un giuridico che si posiziona in un campo di interlegalità composto da tre linguaggi differenti: quello dello Stato, della cultura guaranì e della Chiesa Evangelica.

Campo giuridico guaranì

Stanti i casi giuridici proposti, possiamo avanzare una prima sintesi. La cornice normativa al cui interno si dispiega il senso ed il significato della pratica giuridica guaranì è espressa all’interno dei “testi” prodotti dalle Capitanías al fine di regolamentare il proprio campo giuridico - fondato e relazionato all’immaginario giuridico - e di tradurlo in norme codificate. Ed è lo statuto di Charagua Norte che si preoccupa di definire i due pilastri del campo giuridico guaranì: l’autonomia normativa, intesa come la capacità di decisione e controllo giuridico all’interno del territorio originario, attraverso il riconoscimento delle Autorità Originarie che operano in coordinamento con le autorità centrali [Estatuto Charagua Norte 2008, art. 10] e l’autonomia giudiziaria, intesa come l’esercizio delle funzioni giurisdizionali all’interno del proprio territorio e delle differenti aree del diritto «de conformidad con usos, costumbres, normas y procedimientos propios, siempre y cuando no sean manifiestamente contrarias a la Constitución Política del Estado y las Leyes de la República» [Idem, art. 86] e sempre che lo Stato garantisca di riconoscere, proteggere e rispettare il diritto consuetudinario [Idem, art. 11] la cui applicazione è dettagliata nello Statuto [Idem, art. 13].

Le autorità e le istanze di risoluzione dei conflitti concorrono a definire il campo giudiziario guaranì, spazio sociale disegnato per discutere e risolvere le dispute grazie all’azione degli agenti giuridici preposti ad amministrare la giustizia. La scelta del campo e di conseguenza della rispettiva autorità che lo “governa” – che ha piena capacità giuridica in virtù dell’essere epicentro della rete interlegale composta da diritto consuetudinario, nazionale ed internazionale intesa come arena discorsiva in cui si disputano capitali giuridici - segue una logica ascendente, dalla famiglia sino all’assemblea della APG, in base al tipo di caso da risolvere, inscritto all’interno dell’habitus normativo valoriale guaranì e di esclusiva competenza della giurisdizione indigena.

Le autorità che amministrano la giustizia a livello della comunità e della zona sono il Capitán Comunal – assistito da Arakua Iya (possessore della saggezza, saggio), Nee Iya (possessore della parola, oratore) e consiglieri – ed il Corregidor, laddove presente come nel caso de La Brecha (comunità dell’Alto Isoso) oppure de El Espino (comunità di Charagua Norte). Autorità, quest’ultima, che esplicita la dinamica di incorporazione di elementi esogeni alla struttura endogena della pratica giuridica guaranì. Il Corregidor, infatti, è un’autorità giuridica designata «por consenso en sus comunidades de acuerdo a su jurisdicción, para luego ser presentado por su comunidad a la Asamblea General donde cumplirá funciones de normalización y sanción de todas las faltas que cometen los comunarios en contra de los estatutos y reglamentos de CABI» [Estatuto Capitanía de Alto y Bajo Isoso, 1995/1996, art. 10] e sino all’entrata in vigore della CPE del 2009, era il rappresentante dello Stato all’interno del territorio indigeno perché legittimato nel ruolo dalla Prefettura del Dipartimento. La nuova Costituzione, invece, sostituendo le precedenti ripartizioni amministrative di Sezione di Provincia e Cantone con i Municipi e le TIOC, di fatto ha esautorato la figura del Corregidor della funzione giuridica che aveva. Questo cambiamento costituzionale, però, non ha intaccato il valore simbolico ricoperto dal Corregidor all’interno delle comunità. In Isoso, infatti, continua ad esercitare funzioni giuridiche in virtù dell’essere espressione di un certo sincretismo legale determinato dall’essere un guaranì al contempo conoscitore delle leggi dello Stato e dell’Organizzazione originaria. La funzione giuridica ordinaria avrà sì cessato di esistere, ma la funzionalità normativa all’interno delle comunità assolutamente no, dal momento che il Corregidor continua ad essere un agente giuridico che, nelle parole del Corregidor della comunità La Brecha, fa rispettare la legge dello Stato pensando en guaraní, porque soy guaraní.

Testi giuridici guaranì

Gli Statuti ed i Regolamenti delle Capitanías così come i libros de actas, apparentemente sembrerebbero sconfessare il carattere fondamentalmente orale e dialogico del diritto indigeno locale nella supposizione che la giustizia indigena sia «un sistema jurídico proprio conformado por conjuntos diversos de normas, procedimientos, practicas y valores, diferentes autoridades comunales […] y las comunidades que conocen y reconocen a esas autoridades y su legitimidad para la aplicación de dichas normas, procedimientos y valores, en la resolución de conflictos» [Bazurco Osorio, Exeni Rodríguez 2012, 53]. Invece, si pongono in coerente continuità con il tracciato culturale guaranì, giacché sono funzionali alla pratica giuridica discorsiva che si colloca nell’incontro tra oralità e scrittura, tra innovazione e tradizione, tra il lasciare prova della risoluzione di una disputa al fine di controllarne l’esito e non per «sentar jurisprudencia» [Albó 2012, 210] e l’opportunità di discutere ed analizzare la decisione presa, tra definire disposizioni e principi generali di vita comunitaria ed utilizzarli al contempo come appoggio essenziale dell’abilità oratoria indispensabile quando durante l’assemblea si discute un caso giudiziario. Strumenti base di regolamentazione, quindi, capaci di essere riconosciuti e riconoscibili come tali dalle istituzioni esterne al mondo guaranì, non sempre in grado di individuare nella pratica della giustizia originaria – plasmata da una «normatividad latente cristalizada en la experiencia social» [Colajanni 2008, 257] – quegli elementi e quelle caratteristiche riconducibili al campo del diritto.

Strategia politica, potremmo aggiungere, attraverso la quale le Capitanías guaranì occultano le pratiche giuridiche originarie nel tessuto della codificazione normativa statale, per meglio proteggerle e continuare a riprodurle all’interno di una cornice formalizzata che utilizza il linguaggio della Official Law. In quest’ottica, la codificazione diviene processo fondamentale della costruzione del campo giuridico guaranì, se la intendiamo come le pratiche di registro e definizione di una normatività esplicita fondata in una grammatica giuridica [Ocqueteau Soubiran-Paillet 1996, 20]. Così, i requisiti che contengono, da un lato sono il risultato di un processo di traduzione di uno schema pratico in un linguaggio giuridico per effetto della formalizzazione della scrittura, e dall’altro derivano da un processo di codificazione interna relazionato all’habitus normativo endogeno ed alle strategie di resistenza allo Stato di cui le autorità guaranì sono ben consapevoli perché scelgono di utilizzare la «ley del Estado antes de que esta nos utiliza» [René Gómez, Arakua Iya Charagua Norte[8]]. Strategia che non è sorprendente per un’identità complessa come quella guaranì, caratterizzata da una carica simbolica attrattiva che si alimenta di pratiche discorsive, in questo caso giuridiche, interpretabili come «practicas sociales organizadas por y a través del lenguaje» [Colajanni 2008, 256].

In quest’ottica, il campo giuridico guaranì di Charagua è definito da tre tipologie di codificazione normativa: Estatuto Orgánico, Reglamento Interno e Estatuto Autonómico [9]. Essenzialmente una produzione normativa che definisce la struttura dell’organizzazione a livello municipale – la AIOC – a livello zonale – le Capitanías – e a livello delle singole comunità che, nei rispettivi Statuti e Regolamenti, laddove presenti, incorporano le norme del livello zonale di cui sono parte. Lo Statuto Organico, insieme alle norme e procedimenti propri, è considerato parametro della produzione normativa e perciò ha valore costituzionale visto che rappresenta «el conjunto de elementos que hacen a sus sistemas jurídicos, incluyendo las sanciones que las autoridades, en el marco de su jurisdicción, aplican según sus normas y procedimientos propios» [DCP[10] 0006/2013, 69]. Tanto gli Statuti delle quattro Capitanías zonales quanto quello della Autonomía Guaraní Charagua Iyambae, quindi, rappresentano la cornice normativa dell’Organizzazione Indigena Originaria stabilendo propositi, obiettivi dell’organizzazione, diritti e doveri, violazioni e sanzioni dei suoi membri, forma di governo, cariche e livelli decisionali, le modalità di violazione delle norme ed i tipi di sanzione cui sono soggetti coloro che vivono nelle comunità rurali, siano o non siano guaranì, dirigenti, autorità, o terceros, cioè persone specifiche come ad esempio rappresentanti di istituzioni, di imprese, dello Stato, antropologi, che vivono o lavorano all’interno della giurisdizione indigena.

Gli Statuti delle due Capitanías presentano sostanziali diversità riconducibili al differente passato che ne ha plasmato la conformazione politica. Quello zonale di Charagua Norte [2008] è articolato e dettagliato quasi volendo duplicare la forma dei testi legislativi nazionali in un sforzo di adattamento del linguaggio giuridico indigeno a quello ordinario. Quello zonale dell’Alto Isoso [2008], invece, è molto ampio e generico, nell’auspicio di proteggere la libertà di azione del popolo isoseño senza ingabbiarlo nelle maglie di un linguaggio giuridico alieno perché «los Estatutos están confinados al papel, una teoría que no va más allá de un borrador que los izoceños comunes ni conocen» [Combés, Villar 2004, 25]. D’altro canto, l’Isoso presenta un’importante varietà di testi normativi, tutti con un grado di legittimità e legittimazione direttamente proporzionale alla caratteristica conflittiva interna [cfr Combés 2005] che lo definisce, che in questa sede non è possibile approfondire. Ciò che è importante sottolineare, però, è che gli Statuti ed i regolamenti delle due Capitanías hanno valore di Official law [Chiba 1998] dal momento che queste sono riconosciute formalmente dalla APG e dalle istituzioni nazionali e locali, nonché dalle stesse comunità, come legittime rappresentanti delle due zone di riferimento. Tutti gli Statuti ed i regolamenti, inoltre, senza alcun dubbio, sono espressione della Indigenous Law [Chiba 1998] in virtù del fatto che tratteggiano la pratica giuridica guaranì agita a livello locale nelle quattro Capitanías.

L’assemblea

L’assemblea è al contempo campo giuridico, perché produttrice di norme, e campo giudiziario, perché risolutrice di controversie, al cui interno la disputa e le autorità preposte ad amministrarla sono poste in una relazione di diretta interdipendenza. Sono le autorità giuridiche che la governano ad avere il dovere di «conocer los asuntos relativos al derecho consuetudinario y la aplicación de la justicia comunitaria» [Estatuto Charagua Norte 2008, art. 36]. In quest’ottica, da un lato produce norme (come gli Statuti ed i Regolamenti ad esempio) e dall’altro giudica e risolve le violazioni alle norme. Di fatto, le decisioni prese in assemblea, di solito come risultato di un lungo dibattito che in alcuni casi può durare diversi giorni, sono vincolanti e «siempre que se ajusten al presente Estatuto, derecho consuetudinario y a la normativa legal vigente, tienen carácter obligatorio para todas las comunidades y sus comunarios/as, quienes no podrán fundamentar el desconocimiento de las mismas, no haber asistido a la reunión en que fueron acordados o haber votado en contra de las mismas» [Idem art. 32]. Ed è sempre l’assemblea l’unica istanza al cui interno è possibile decidere il ricorso alla Justicia Ordinaria, perché una peculiarità del pluralismo giuridico boliviano è che in realtà i confini tra giurisdizioni sono porosi e consentono costanti andirivieni tra l’uno e l’altro campo secondo quanto decida l’interessato. In quest’ottica, infatti, un guaranì potrebbe decidere di rivolgersi direttamente alla giustizia ordinaria – che comunque può rimandare il caso alla giustizia originaria se riscontra di non avere giurisdizione per dibatterlo (cosa che accade di rado) - in qualsiasi momento e per qualsiasi tipo di caso, indipendentemente dal fatto che rientri o meno nelle competenze esclusive della giurisdizione indigena o ordinaria. Questo perché i guaranì sono anche cittadini boliviani, con diritti e doveri che discendono da questo status, sono «bilingües desde el punto de vista jurídico. Hablan dos derechos: el proprio, que le compete como pueblos o naciones; y el derecho ordinario, que le compete como ciudadanos» [Santos 2012, 44].

Inutile dire che tale scelta autonoma di rivolgersi alla Justicia Ordinaria è mal vista dalla comunità poiché lascia intendere un non riconoscimento del sistema tradizionale di amministrazione della giustizia. Al contrario, quando è la scelta ufficiale del Capitán, è ritenuta legittima dalla comunità, perché egli vi si rivolge quando il caso è delicato o coinvolge un non guaranì oppure riguarda tematiche agroambientali. Ma soprattutto perché «enviar casos a las instancias externas, ofrece ventajas a la comunidad y su concepción de la justicia, con la flexibilidad demostrada y su reapertura posterior, en caso de insatisfacción social. Reconsiderar el problema y darle la solución esperada fortalece la eficiencia judicial de la comunidad; la resolución de conflicto en la comunidad tiene como fine ultimo el yaiko kavi vaerä» [Ortiz Caurey 2009, 70]. Esempio quest’ultimo che evidenzia come la strategia giuridica guaranì contempli l’utilizzo strumentale della giustizia ordinaria sia per depotenziare casi giudiziari che potrebbero minare l’equilibrio interno della comunità, come quelli di stregoneria, sia come forma di sanzione aggiuntiva in casi che acquistano valore di monito morale per la comunità, sia come istanza cui far risolvere un problema complesso che verrà poi implementato ed integrato a livello comunale, come nel caso della compravendita di terra.

Giurisdizione speciale e coordinamento giudiziario

I concetti di giurisdizione speciale e coordinamento giudiziario, così come i limiti e la funzione giudiziaria dell’autorità originaria, sono esempi di come i guaranì costruiscono un discorso giuridico perfettamente radicato in quello che Santos [1991] definisce campo interlegale, cioè la sovrapposizione/articolazione di diversi spazi legali o varie reti di ordinamenti giuridici che si mescolano nell’agire e nel comportamento sociale causando transizioni e trasgressioni alla norma. La giurisdizione speciale della Capitanía, emerge nella facoltà costituzionale di «administrar justicia en todas las ramas del derecho boliviano, en forma autónoma, integral e independiente de acuerdo con los usos y costumbres ancestrales dentro de su ámbito territorial» [Estatuto Charagua Norte 2008, art. 92]. Il coordinamento giurisdizionale, invece, riguarda le azioni di appoggio giudiziario e di collaborazione tra autorità originaria e ordinaria così come di sostegno nell’amministrazione della giustizia, senza mettere in discussione l’autonomia della prima e l’ugual valore tra le due. In secondo luogo, le disposizioni presenti negli Statuti e nei sistemi normativi di regolamentazione e soluzione dei conflitti interni, sono anche preposte a governare le relazioni tra autorità originarie e tra queste e quelle ordinarie. Infine, dal momento che le autorità originarie esercitano la funzione di amministrare la giustizia all’interno della TIOC, concordemente con usi e costumi propri in accordo con quanto stabilito dalla CPE del 2009, sono «Autoridades Originarias jurisdiccionales del Estado Boliviano» [Idem, art. 94]. Infine, il binomio oralità/scrittura, che descrive la pratiche di risoluzione delle dispute e la formalizzazione delle sentenze, così come il quadro normativo di riferimento, declina i tipi di procedimento atti alla risoluzione delle dispute in due emisferi in cui da un lato è la capacità retorica e di manipolazione dell’immaginario normativo valoriale guaranì a governare la risoluzione, mentre dall’altro l’elaborazione dell’Atto corredato da riferimenti agli Statuti ed alle leggi nazionali è espressione del processo di standardizzazione del procedimento giudiziario strumentale alla già menzionata strategia politico legale attuata a livello locale dalle Capitanías guaranì.

Conclusioni

Se dal punto di vista antropologico è possibile interpretare il diritto indigeno come «las formas organizativas de doble institucionalización, las normas explicitas y las sanciones sociales que han acompañado y acompañan los grupos indígenas en sus procesos de cambio, como producción normativa propia» [Colajanni 2008, 248], questa incursione all’interno della pratica giuridica guaranì lascia emergere chiaramente il peso che ha la dinamica discorsiva - interpretata come l’intercambio e la capacità di creazione argomentativa attraverso la quale gli agenti sociali definiscono e danno significato alle questioni giuridiche che li riguardano [Merry 1990, 110] – nella costruzione dell’oggetto di giudizio e di sanzione all’interno dell’immaginario normativo valoriale guaranì. Si è potuto osservare, infatti, come l’amministrazione della giustizia agisca all’interno di una pluralità normativa che corrisponde a differenti istituzioni, a differenti gruppi sociali, a differenti unità territoriali, a differenti gruppi etnici governati da differenti meccanismi giuridici applicabili a situazioni identiche [Vanderlinden 1971]. D’altro canto sin dalla sua fondazione l’antropologia giuridica ha insistito sull’idea che la vita del diritto, nel senso di diritto vivente [Nader 2002], è nei contesti di produzione ed applicazione delle regole, in quelle categorie indigene di significato [Rosen 1989] capaci di evidenziare le forme in cui la sensibilità giuridica [Geertz 1983] plasma i contesti locali.

La Justicia Indígena Originaria Campesina praticata dal mondo guaranì a Charagua è il riflesso dell’articolazione complessa tra valori e pratiche culturalmente determinate, la cui diversità è anche il prodotto dell’incorporazione, assimilazione volontaria o imposizione esterna di metodi e pratiche esogene che ne caratterizzano l’essenza dinamica ed adattabile. Inoltre, la pratica di risoluzione delle dispute, in accordo con “usi e costumi”, tende alla ricomposizione dell’equilibrio sociale più che a castigare i colpevoli, perché i casi di violazione delle norme sono interpretati come rottura di questo equilibrio e non come “delitti”, nel senso che il diritto positivo attribuisce ai comportamenti che richiedono una risposta giuridica. Infine, la giustizia guaranì è inimmaginabile senza la comunità come campo e attore principale. In quest’ottica è importante sintetizzare alcuni degli elementi caratteristici che sono emersi dal campo giuridico guaranì per evidenziarne le caratteristiche performative. Posto che la giustizia guaranì è dinamica perché le norme – tanto endogene (statuti e regolamenti) che esogene (leggi statali) – orientano la pratica ma al contempo ne sono plasmate perché sempre adattate al caso specifico, così favorendo gli obiettivi del procedimento giudiziario più che la forma che acquista, l’elemento centrale attorno a cui ruota l’interno universo giuridico guaranì è l’oralità, del procedimento così come delle norme che gli attribuiscono senso e significato. Anche se, come si è visto, le Capitanías hanno iniziato a produrre forme di codificazione del campo giuridico attraverso la “scrittura” dell’immaginario normativo (Statuti e Regolamenti) che però certo non sostituiscono la pratica di risoluzione tradizionale in cui l’arte oratoria e le retoriche dell’assemblea, accompagnate dalle strategie di ammonimento agite dagli agenti giuridici, sono e continueranno ad essere la chiave per la risoluzione delle dispute.

La pratica giuridica guaranì, di fatto, è un sistema denso di sincretismi in costante relazione con l’ordinamento giuridico ufficiale, frutto dell’esperienza acquisita all’interno del contesto deliberativo comunale [Albó 2012, 212]. Sistema flessibile perché adattivo nel suo concreto carattere locale da cui trae senso e significato, ma anche perché dinamico in virtù della forte capacità di reinvenzione e ricreazione che dimostra, giacché ogni comunità interiorizza norme, principi e procedimenti di altri sistemi giuridici generando un tipo speciale di diritto proprio, all’interno della costante riformulazione e trasformazione conseguente ai contatti con l’esterno. L’organicità è un’altra caratteristica definitoria del sistema giuridico guaranì, poiché la pratica di risoluzione delle dispute non si limita all’analisi dei fatti giudiziari ma incorpora il contesto socio familiare – al fine di giungere alla riconciliazione e ricostruzione della relazione sociale interrotta – e gli antecedenti dei contendenti all’interno di un evento giudiziario che coinvolge nella pratica di risoluzione la comunità come agente deliberante e come produttore di sanzioni riparatorie del danno causato. Questo perché l’obiettivo della pratica giuridica è la «recuperación del que tiene una conducta desviada, para su beneficio y el de toda la gran familia comunal a la que pertenece y se debe» [Albó 2012, 213]. In quest’ottica, la giustizia guaranì assume carattere collettivo perché la partecipazione attiva della comunità nel processo di deliberazione e risoluzione dà legittimità ai procedimenti e alle sanzioni comminate, esplicitando il carattere comunitario della norma. Olistica, integrale, flessibile e sincretica, la giustizia originaria guaranì è «asociada a un ejercicio consciente, prolongado y relativamente homogéneo de sus practicas legales, en el contexto de una comunidad. Esto implica un uso marcado por la costumbre y la tradición, las cuales se constituyen en fuentes de derecho» [Bazurco Osorio, Exeni Rodríguez 2012, 131]. Il carattere dinamico la converte in un evento comunicativo attraverso il quale è possibile osservare il funzionamento dell’immaginario giuridico che agisce, esplicitato dalle pratiche di convincimento, dalle negoziazioni linguistiche, dalla ricerca di una soluzione mediata all’interno dei parametri stabiliti dall’habitus normativo guaranì. Dinamica discorsiva che forma tanto il discorso giuridico quanto quello giudiziario, che emerge all’interno delle pratiche di risoluzione dei conflitti in cui domina la palabra bien gobernada e nella multifunzionalità delle norme: «en esos procesos lo moral, lo económico, lo político y lo familiar se entretejen para conformar una complejidad normativa que funciona como referencia en los actos jurídicos específicos. [..] Las reglas y los principios no son rígidos. Su carácter oral, no codificado, les da un toque de fluidez y dinamismo cuyo uso y jerarquía aparece en las disputas misma, y únicamente puede ser entendido en relación con la estructura de las relaciones sociales y de los compromisos vigentes en el grupo. Y la ley oficial del estado no es rechazada en forma rígida, sino que es “apropiada” pro los grupos indígenas» [Colajanni 2008, 257]. Così la giustizia guaranì è costantemente spinta dall’integrazione costante tra ciò che è proprio e ciò che è alieno, parte di una strategia d’incorporazione rifunzionalizzante dei linguaggi normativi, destinata alla difesa ed alla riproduzione culturale.

La configurazione del pluralismo giuridico boliviano che emerge dall’osservazione condotta a partire dallo specifico punto prospettico rappresentato dalla pratica giuridica guaranì, quindi, avviandoci a concludere queste riflessioni, acquista senso e significato in determinate caratteristiche che provengono al contempo dall’esterno e dall’interno del mondo indigeno. Da un lato, il diritto indigeno che si basa sull’immaginario guaranì, includendo le norme di regolamentazione sociale che fondano la giustizia indigena e che si giuridicizzano nell’incorporarsi al testo di Statuti e Regolamenti. Dall’altro, principi e valori come la reciprocità, la complementarietà, il consenso, la partecipazione e il rispetto mutuo che evidenziano la funzione di appoggio e riproduzione delle norme di regolamentazione sociale, definendo il sistema giuridico guaranì che emerge da un insieme di disposizioni culturalmente determinate e fondamentalmente olistiche [Albó 2012]. Un diritto che, anche se non è formulato in proposizioni legali riconoscibili dal linguaggio del diritto positivo, governa la vita sociale delle comunità guaranì che lo riconoscono come legittimo e a questo si conformano.

A partire dal presupposto che «legal pluralism is never a stable phenomenon solely in peace, but rather functions dynamically punctuated with a variety of conflicts» [Chiba 1998, 236], concludendo, si sono identificati quei fattori socio-culturali che contribuiscono a determinare le dinamiche e le opzioni legali da parte dei guaranì di Charagua, basandoci sull’osservazione empirica dei processi giuridici [Mundy 2002]. È così emersa una pratica giuridica tripode [Eberhard 2011, 19] che si fonda su tre basi specifiche: norme generali attribuibili ad un ordinamento imposto dalla realtà sociale (leggi dello Stato), modelli di condotta e comportamenti relazionati ad una cornice concettuale negoziata (Statuti delle Capitanías e dell’Autonomía) e infine gli habitus o sistemi di disposizioni perdurabili relazionati ad un immaginario culturale accettato, riscontrabile nella pratica giuridica guaranì. In quest’ottica, accettando una nozione soggettivista di pluralismo giuridico [Vanderlinden 1989, 153-154], è possibile osservare i guaranì come agenti sociali soggetti a differenti, e a volte contrastanti, ordini normativi che provengono dalle reti sociali di cui sono parte – cittadino boliviano, membro della Nación Guaraní, di una specifica Capitanía, di una comunità, di una famiglia, di una congregazione religiosa, di un settore sociale, etc – nella consapevolezza dell’importanza di doversi concentrare sull’individuo e sulle scelte che opera tra norme dalla fonte e dal contenuto differenti. Scelta agita per governare il policentrismo e la frammentazione dei campi giuridici, spazi che producendo e riproducendo norme giuridiche si generano a partire da queste [Bourdieu 1986] [Bourdieu 2000].

In quest’ottica, si è cercato di esplicitare i modi in cui pensa il pensiero giuridico guaranì, estrapolando quelle disposizioni che meritano la definizione di disposizione giuridica perché regolamentano le relazioni sociali, funzionando come elementi di controllo sociale associati a determinati valori morali [Colajanni 2008, 255-256]. Data la complessità del nuovo contesto politico amministrativo rappresentato dalla neonata Autonomía Guaraní Charagua Iyambae,è però indispensabile non dimenticare che la giurisdizione guaranì, riconducibile alle quattro Capitanías, è solo un tassello di un più vasto puzzle giuridico che comprende i molteplici immaginari giuridici compresenti a Charagua che necessariamente dovranno costruire una comune grammatica giuridica al fine di costruire il nuovo soggetto politico. Per questo motivo il contesto sociale charagueño si è mostrato ai nostri occhi come «the coexisting structure of different legal systems under the identity postulate of a legal culture in which three combinations of official law and unofficial law, indigenous law and transplanted law, and legal rules and legal postulates are conglomerated into a whole by the choice of a socio-legal entity» [Chiba 1998, 242]. Se è certo che più è alto il livello di complessità del pluralismo giuridico maggiore è l’interazione dinamica tra le parti che lo compongono, includendo il potenziale conflittuale che ne discende, allora lo è anche il campo delle opportunità che si aprono per gli agenti sociali che lo agiscono e ne sono agiti. Opportunità che i guaranì delle Capitanías di Charagua stanno dimostrando di volere e potere cogliere.

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[1] Testimonianza raccolta a Charagua pueblo il 20 settembre del 2015.

[2] Unità territoriale - denominata Territorio Comunitario de Origen sino alla entrata in vigore della CPE del 2009 - definita nel 1996 dalla legge INRA (Instituto Nacional por la Reforma Agraria) che attivò un processo di titolazione collettiva dei territorio indigeni.

[3] Cfr. tra gli altri, [Ortiz, Caurey, 2009] [CEJIS 1997] [Quelca, Puerta 2012] [PROJURIDE/GIZ 2012] [Bazurco Osorio, Exeni Rodríguez 2012].

[4] Testimonianza orale raccolta il 15 giugno del 2015 nella comunità di Yovi (Bajo Isoso).

[5] Testimonianza del Correggidor de La Brecha raccolta il 10 luglio 2015 nella comunità de La Brecha (Alto Isoso).

[6] Mbaekuaa iya reta jekuae ete oñemuña kuae tëtape, quelli che praticano la stregoneria continuano a diffondersi nella comunità [cfr Ortiz Caurey, 2011].

[7] Testimonianza raccolta il 15 luglio 2015 nella comunità La Brecha (Alto Isoso).

[8] Testimonianza raccolta il 30 agosto 2015 a Charagua pueblo.

[9] Lo Statuto della AIOC, Carta Magna della nuova organizzazione politico amministrativa di Charagua, è in attesa di essere implementato e regolamentato nelle parti che lo compongono tra cui quella riguardante la giustizia indigena indicata come competenza esclusiva del costituendo soggetto politico che la amministra secondo l’habitus giuridico valoriale guaranì.

[10] Dichiarazione n. 0006/2013 del Tribunal Constitucional Plurinacional de Bolivia riguardo la Consulta de las Autoridades Indígena Originaria Campesina riguardo l’applicazione di norme giuridiche proprie ad un caso concreto.