Assegnazioni sociospaziali e politiche urbane in un quartiere della banlieue parigina

Adelina Miranda


Table of Contents

Un approccio localizzato e di genere per analizzare l’operazione ANRU a Balzac
Il contesto socio-economico a Balzac
L’operazione ANRU nella cité Balzac
Una democrazia partecipativa controllata dall’alto
Le implicazioni degli operatori del Centro Sociale Balzac
Assegnazioni socio-spaziali e percorsi differenziati
La forza della rete femminile
Riferimenti bibliografici

Abstract. In this paper, I present the results of two studies carried out in the neighborhood of Balzac, located in Vitry-sur-Seine, in the banlieue of Paris. From 2007, the town was affected by the program, Agence Nationale de Renovation Urbaine (ANRU). I analyze the social and economic context and the role played by social workers of the Centre Social Balzac (CSB) during the plan of urban regeneration. The study of the network of migrant women (and specially the residential path of two sisters) shows that urban program reflects the social and cultural assignments and affects the local social relations of gender and family.

Keywords. Urban policie; Agence Nationale de Renovation Urbaine (ANRU); gender; migration

Journal. EtnoAntropologia, 3 (2) 2015

Il 4 ottobre2002, Sohane Benziane, diciassettenne, è morta dopo essere stata bruciata viva da un giovane diciannovenne, in uno scantinato del quartiere Balzac, a Vitry-sur-Seine, una cittadina della banlieue parigina. La notizia rimbalza sui media francesi che per spiegare la gravità dell’episodio evocano il machismo dei ragazzi dei quartieri delle periferie in degrado: «guardiani dell’onore» familiare, e soprattutto femminile, avrebbero adottato codici sociali e culturali «estranei» alla loro «società di accoglienza». Aldilà del dibattito politico nazionale, la morte diSohane ha avuto un effetto locale importante: la municipalità decide di riqualificare il quartiere, approfittando del programma Agence Nationale de Renovation Urbaine(ANRU) lanciato dal governo su tutto il territorio nazionale.[1]

Per analizzare le modalità attraverso le quali gli abitanti hanno vissuto e vivono quest’operazione urbana, considero di fondamentale rilievo l’analisi dei processi di assegnazione sociospaziali. Come mette in luce Amalia Signorelli, l’assegnazione dei soggetti ai luoghi è una delle modalità dei rapporti dinamici e storicizzati che si creano fra i soggetti localizzati in relazione con spazi soggettivati. In modo particolare, l’antropologa ricorda che se tutti noi sottostiamo in qualche misura a processi di assegnazione, esiste una dinamica di tipo socio-culturale che fa sì che «un luogo immodificabile per un certo soggetto può invece essere modificabile per un altro o ancora un luogo che un soggetto non può modificare oggi, potrebbe diventare modificabile nel futuro, al mutare delle condizioni generali e/o delle caratteristiche del soggetto e delle risorse a sua disposizione» [Signorelli 2008, 57]. Durante la ricerca svolta a Vitry-sur-Seine, questo quadro concettuale ha richiamato la mia attenzione a due livelli. Il primo riguarda i nessi che esistono fra i soggetti, in quanto soggetti sessuati, e i luoghi, in quanto luoghi sessuati; il secondo riguarda le connessioni che i soggetti elaborano fra l’esperienza di riqualificazione urbana e le forme di assegnazione sociospaziale.

In quest’articolo, analizzerò il contesto socio-economico a Balzac prima della messa in opera del progetto ANRU; esaminerò poi il ruolo ricoperto dagli operatori sociali del Centre Social Balzac(CSB) e da una rete femminile di quartiere; infine, attraverso l’esempio dei percorsi di due sorelle, approfondirò la questione delle forme di assegnazione sociospaziali. La mia ipotesi è che il progetto di riqualificazione urbana, da un lato, ha determinato un ritorno riflessivo sul significato e sull'importanza attribuita alle assegnazioni socioculturali definite dalla società maggioritaria in termini «etnici» e, dall’altro lato, ha messo alla prova i rapporti locali che restano una «conquista sociale intrinsecamente fragile» mostrando come la località è un «bene effimero che va prodotto e mantenuto nella sua materialità tramite un lavoro duro e costante» [Appadurai 2001, 234].

Un approccio localizzato e di genere per analizzare l’operazione ANRU a Balzac

In questo articolo, presenterò i risultati di due ricerche realizzate tra il 2007-2011 a Vitry-sur-Seine nell’ambito dei progetti: La rénovation urbaine entre enjeux citadins et engagements citoyens (finanziato dal Ministère de l’Ecologie, du Développement et de l’Aménagement Durable) e Renouveler les pratiques de conception du projet urbain: renforcer l’écoute et la coopération entre les professionnels de la ville, les associations et les citoyens en Ile de France (finanziato dalla Région Ile de France, PICRI- Partenariats institutions citoyens pour la recherche et l’innovation). Queste ricerche sono state realizzate grazie ad un approccio pluridisciplinare e partecipativo in diversi quartieri di sette città francesi differentemente coinvolte nell’operazione Agence Nationale Rénovation Urbaine [Deboulet 2010].

Nel 2003, il governo francese crea l’ANRU con l’obiettivo di favorire la mixité sociale e la costruzione di alloggi di edilizia residenziale nei quartieri in difficoltà. Fra il 2003 e il 2014, 490 quartieri sono stati implicati in questo tipo di operazione. Il 15 dicembre 2014, il governo lancia il Nouveau Programme de Rénovation Urbaine (NPRN) e altri 400 quartieri entrano nel dispositivo. Questa riforma ha confermato l’obiettivo di riqualificare gli spazi urbani per trasformare la vita di cinque milioni di persone “favorendo la coesione sociale e lo sviluppo economico” e ha reso obbligatoria la concertazione con gli abitanti dei quartieri. Tuttavia, questo dispositivo continua a prevedere la demolizione di alloggi, nonostante che questa pratica abbia creato numerose situazioni conflittuali.[2] I collettivi che contestano il principio della demolizione sottolineando due fatti essenziali: il primo è relativo alla buona qualità architettonica delle abitazioni che sono demolite; il secondo è l’uso ideologico fatto della mixité. Il ricorso a questo concetto spesso serve per giustificare le operazioni urbane effettuate in quartieri sottoposti ad una forte pressione immobiliare [Deboulet 2006]. Nel quartiere Balzac si è cercato di capire come, nonostante queste disposizioni nazionali, si siano stati evitati conflitti e tensioni sociali.

Nel corso della ricerca, ho utilizzato un approccio etnografico basato sull’osservazione flottante [Petonnet 1982], l’osservazione delle riunioni pubbliche e quindici interviste biografiche e walking interviews realizzate da sola, con colleghi di altre discipline e con alcuni studenti dell’Università di Paris 8 che hanno partecipato al dispositivo di ricerca. Durante questo periodo, ho scelto come luogo di osservazione il Centre Social Balzac(CSB). Questa scelta, dettata dalla situazione urbanistica (durante quegli anni il quartiere era diventato un vero e proprio cantiere a cielo aperto dove era difficile anche camminare a piedi), si è rivelata fruttuosa. Il centro sociale ha continuato a funzionare e, anzi, il suo ruolo si è rafforzato, fino a trasformarsi in uno spazio di gestione informale del progetto ANRU.

Inoltre, ho articolato un approccio localizzato con una prospettiva di genere. L'approccio localizzato è stato proficuo per cogliere i cambiamenti e le continuità ma, soprattutto, per guardare alle esperienze interstiziali dei soggetti che abitano la cité. Lo studio di piccole unità permette di cogliere le articolazioni esistenti fra i diversi livelli di analisi [Lautman 1981, Althabe 1977] e le particolarità dei mondi locali che costituiscono l’eterogeneità del mondo globale attuale [Geertz 1999]. Per quanto riguarda la prospettiva di genere è importante sottolineare che fin dai primi incontri sul terreno è apparso che le donne erano maggiormente implicate nei processi di ristrutturazione del quartiere. Questa partecipazione avrebbe potuto essere interpretata come una conseguenza delle forme di assegnazione femminile allo spazio domestico. Ma, l’osservazione mi ha permesso di constatare che le donne intervenivano anche nella riorganizzazione dello spazio pubblico (come nel caso della progettazione del parco futuro). La partecipazione femminile ha aperto quindi due questioni: la prima relativa alla politicizzazione delle rivendicazioni delle donne [Miranda, Ouali, Kergoat 2011] e la seconda relativa alla «neutralità» della ricerca [Maher 1989; Ramazanoglu, Holland 2002].[3]

Il contesto socio-economico a Balzac

La costruzione e l'evoluzione di Balzac riflette le politiche urbane realizzate nella «banlieue rouge» parigina [Fourcaut 2000, Gouard 2013]. Nel corso degli anni Sessanta, la città comunista di Vitry-sur-Seine lancia una grande operazione per la costruzione di alloggi di edilizia popolare.[4] Nel febbraio del 1967, è inaugurata la cité Balzac composta da 923 alloggi situati nelle tours ABC, DEF e GHL. Le singole abitazioni non avevano un numero civico e le strade erano senza nome. Tuttavia, per la maggior parte delle persone (che spesso provenivano dalle bidonvilles) l’arrivo negli alloggi popolari rappresentava un cambiamento positivo. Ma, come in altri casi, anche a Balzac abbiamo assistito ad un rapido cambiamento. L’accesso all’alloggio sociale per gli abitanti di condizioni più modeste ha rappresentato la fine del loro percorso socio-residenziale mentre per altri il soggiorno nel quartiere è stato passeggero, permettendo una forma di mobilità sociale ascendente [Chamboredon, Lemaire 1970]. Nonostante i tentativi di ristrutturare gli appartamenti e gli spazi comuni, il quartiere si è progressivamente degradato. Nel corso degli anni Novanta sono stati chiusi gli ultimi negozi e l’ufficio di gestione comunale non ha più attribuito gli alloggi che si svuotavano della tour ABC[5], considerata come quella dove si concentravano i problemi più gravi del quartiere.

Nel 2006, quando inizia l’operazione ANRU, secondo i dati dell’INSEE, 1.169 famiglie vivevano a Balzac e fra di esse 294 (cioè oltre il 25%) erano monoparentali, di cui 164 avevano una donna come capofamiglia. 375 famiglie (32% del totale) erano composte da persone che avevamo meno di 25 anni con due figli a carico. Nonostante la presenza giovanile, 52% della popolazione viveva a Balzac da oltre 10 anni e si manifestava una tendenza all’invecchiamento. All’epoca, 69 persone erano ultraottantenni. Come vedremo, questa presenza, dimostrazione che la cité si era costruita come un ancoraggio per gli abitanti, è stata sottovaluata e ha determinato problemi imprevisti durante l'attuazione del progetto ANRU.

La memoria collettiva del quartiere si è elaborata attraverso la sovrapposizione dei diversi flussi migratori che si sono succeduti nel tempo. Angela Giglia [2012] sottoliena che la cultura urbana è multiculturale e non può essere ridotta ad una semplice somma delle singole culture; i soggetti incorporano un «habitus sociospaziale urbano» per interagire con gli «altri» al fine di gestire la prossimità e la distanza. A Balzac, la «stratificazione dei flussi migratori» ha assunto questa funzione culturale, in quanto produce delle forme di legittimità locali gerarchizzanti che operano nella costruzione di forme di alterità cangianti che fanno riferimento al posto che gli abitanti occupano nella storia migratoria del quartiere. I fatti migratori creano delle mutevoli frontiere semantiche [Barth 1994] tra i gruppi sociali a due livelli. In primo luogo, gli abitanti parlano di mixité e di diversità facendo riferimento all’appartenenza alle diverse «comunità» di origine. A Balzac si sente spesso parlare di «comunità algerina», «comunità italiana», «comunità portoghese», ecc. In secondo luogo, le donne e gli uomini che vivono o hanno vissuto a Balzac parlano di una «morale» che differenzierebbe la cité dal resto della città. Nel linguaggio quotidiano vi è quindi un’oscillazione tra il concetto di «villaggio» e quello di «ghetto» per definire il quartiere. Il primo si riferisce alla sfera positiva della solidarietà, dell’aiuto reciproco e della condivisione delle stesse origini; il secondo rinvia alle forme di stigmatizzazione e discriminazione operate dalla società maggioritaria [Lapeyronnie 2008]. Questo duplice significato attribuito al quartiere è alla base di tensioni e solidarietà che producono condizioni sincretiche che permettono di elaborare le forme di copresenza vissute al quotidiano.

L’operazione ANRU nella cité Balzac

Come è stato sottolineato, dopo l’«affaire Sohane», tenendo conto del disagio sociale e dei problemi di gestione degli alloggi a Balzac, la municipalità di Vitry-sur-Seine lancia una nuova politica urbana. Nel gennaio 2007, il comune firma il progetto con dei partner privati e pubblici basandosi su un principio quasi unico in Francia: costruire 2 alloggi nuovi per 1 alloggio demolito. D’altronde, se la maggior parte degli interventi sono stati programmati a Balzac, l’obiettivo più generale è stato quello di «aprire» il quartiere sulla città e creare una mixité sociale. A tal fine, l’operazione ha favorito l'arrivo di nuovi inquilini a Balzac e la dispersione di altri sul territorio comunale. E’ così che il 14 febbraio 2007 è stata demolita la tour ABC ed il 23 giugno 2010 la tour EFG. Gli alloggi sociali non demoliti sono stati riabilitati, sono stati costruiti un parco, un asilo nido e una strada che attraversa il quartiere.

Per cogliere le dinamiche di questa politica di edilizia sovvenzionata bisogna tener conto dell’intervento dello stato (che stabilisce gli obiettivi, valuta e sovvenziona il progetto) ma anche delle dinamiche urbanistiche su scala metropolitana. La cité Balzac è inserita in un tessuto urbano al centro di una forte valorizzazione immobiliare di cui la costruzione del Grand Paris[6] rappresenta l’elemento più tangibile. Il progetto ANRU solleva quindi la questione della complementarità tra interessi privati e pubblici. Come nota David Harvey [2001], l’«imprenditorialità urbana», frutto delle politiche neoliberali, pesa sulla trasformazione di zone urbane metropolitane come quella parigina. In questo senso, l’operazione ANRU ha rappresentato (e continua a rappresentare) un banco di prova per le politiche urbane attuate dal comune di Vitry-sur-Seine il quale, pur integrando la logica imprenditoriale, continua a manifestare la volontà di effettuare una politica sociale in continuità con la tradizione comunista della città (Vitry mensile, 2009). Attraverso questo programma, la municipalità ha tentato, da un lato, di continuare a costruire alloggi sociali e, dall'altro lato, di rispondere alle nuove sfide derivate dalla metropolizzazione e dalla deindustrializzazione del tessuto economico. In fondo, l’obiettivo del programma ANRU è quello di cambiare l’immagine del quartiere Balzac, per cambiare l’immagine della città di Vitry-sur-Seine, per dinamizzare l’economia e attirare nuovi investimenti soprattutto nel settore terziario.

Una democrazia partecipativa controllata dall’alto

Con l’operazione ANRU la municipalità di Vitry-sur-Seine ha dovuto tener conto dell’emergenza di una domanda di partecipazione democratica locale che è sempre più messa in avanti come principio costitutivo delle politiche urbane. Tuttavia, soprattutto nella prima fase di realizzazione del programma, sia i politici che i tecnici hanno rivolto la loro attenzione in modo particolare agli aspetti finanziari. L'obiettivo principale è stato quello di «accompagnare» gli abitanti e di «trasmettere» le informazioni tecniche a un pubblico «non esperto». Una grande importanza è stata conferita alla «comunicazione». A Balzac, durante i lavori, è stato aperto un «Espace projet», luogo di esposizione e di trasmissione delle informazioni; inoltre, è stato creato il giornalino Les quatre pages ed il mensile comunale (Vitry mensuel) ha sempre dato ampio spazio all’avanzamento dei lavori. Sono state realizzate anche alcune iniziative festive. La demolizione della tour ABC è stata accompagnata da un evento di giochi di luci, immagini e musica. Inoltre, nell’Espace projet sono state organizzati regolarmente riunioni e dibattiti. Ma, proprio questo tipo di incontri ha messo in evidenza i limiti del dispositivo messo in atto. Come sottolinea Giddens [1990] il «sistema degli esperti» utilizza criteri impersonali e oggettivi che decontestualizzano il vissuto dei soggetti e svuotano la democrazia locale del suo vero valore partecipativo.

Ci sono molte persone che non conoscono i loro diritti e che non capiscono niente durante le riunioni... Il linguaggio utilizzato: quelli non spiegano e la gente non conosce i propri diritti e non sa fare le domande giuste... La gente non capisce automaticamente, bisognerebbe prendere il tempo di spiegare... L’informazione non è giusto mettere il manifestino. Ci sono quelli che non sanno leggere. Allora come si fa? E poi ci sono quelli che sanno leggere solo l’arabo (Nacéra, abitante del quartiere)[7].

Gli abitanti spesso hanno fatto notare che gli orari e i giorni scelti per le riunioni non tenevano conto dei loro impegni lavorativi e familiari. Ma, come lo testimonia Nacéra, sono soprattutto l’inadeguatezza del tipo di linguaggio utilizzato e i termini della discussione che non hanno permesso di elaborare un contesto di scambio democratico. Le riunioni, che avrebbero dovuto consentire l'accesso degli abitanti alla conoscenza dei loro diritti, hanno svelato le basi della disuguaglianza alla base dell’esercizio di una forma di cittadinanza formale che non riconosce le condizioni subalterne interne all’interno della società maggioritaria [Saillant, Kilani, Bideau 2012].

Tuttavia, ci sono stati anche momenti in cui la voce degli abitanti è diventata «udibile», come quando i tecnici del comune hanno presentato il progetto del parco, che è stato costruito al posto del palazzo ABC, demolito nel 2007. Durante le riunioni pubbliche si è visto poco a poco l’emergere della parola delle donne del quartiere. Le abitanti, perché erano quasi esclusivamente donne, ne hanno criticato gli elementi costitutivi (disposizione delle panchine, localizzazione degli spazi giochi per bambini, tipo di alberi da piantare) e, soprattutto, hanno chiesto che l'apertura del parco si protraesse fino alle due del mattino in estate. La parola delle donne è entrata in netto contrasto con quella dei tecnici. Ne sono susseguiti alcuni incontri più informali fino alla decisione finale. Alcune richieste delle abitanti sono state accolte, come quella di aumentare il numero di banchi pubblici e quella di non chiudere troppo presto il parco durante le sere estive. Però, questo caso resta eccezionale e, aldilà della circolazione delle informazioni, gli abitanti sono stati lasciati fuori dai dispositivi decisionali.

Le implicazioni degli operatori del Centro Sociale Balzac

Eppure, nonostante la bassa partecipazione dei cittadini agli incontri pubblici organizzati dalle istituzioni, le osservazioni hanno permesso di constatare che la parola ha sempre circolato nel quartiere, soprattutto nei locali del Centre Social Balzac [Miranda 2014]. Il CSB, impiantato nel cuore del quartiere, riceve finanziamenti pubblici e funziona in parte sullavoro retribuito e in parte sul volontariato. Normalmente svolge attività parascolastiche per bambini (dal doposcuola allo sport ai viaggi), di inserimento linguistico per i primo migranti e di assistenza sociale. Tuttavia, gli operatori sociali sono stati direttamente coinvolti dai cambiamenti indotti dall’operazione ANRU[8] e, con il tempo, sono diventati il punto di riferimento per gli abitanti.

Quando la notizia del piano ANRU ha cominciato a diffondersi, alcuni abitanti hanno pensato di costituire un’associazione ma, di fronte al rischio di esporsi individualmente, l’iniziativa non ha avuto un seguito. Nel contempo, le notizie frammentarie che circolavano nel quartiere avevano dato vita ad una serie di voci infondate. Gli operatori sociali hanno quindi sollecitato una serie di incontri con gli organismi responsabili e hanno istaurato una collaborazione che, seppure informale, ha prodotto effetti a tre livelli. In primo luogo, gli operatori hanno messo l’accento sul fatto che il quartiere è un ancoraggio simbolico e materiale per gli abitanti. Ciò ha fatto sì che con il tempo tecnici e politici hanno portato una più grande attenzione al legame esistente fra gli abitanti e il loro spazio vissuto. In secondo luogo, il CSB ha svolto un ruolo fondamentale nell’accompagnamento degli abitanti durante le pratiche amministrative necessarie per trovare un alloggio adeguato alle necessità e alla condizione socioeconomica della famiglia. In alcuni casi, gli operatori sociali sono stati in grado di cogliere i momenti critici e, appoggiandosi sulla rete delle conoscenze locali, hanno potuto sbloccare o risolvere situazioni difficili, prevenendo eventuali conflitti sociali.

In terzo luogo, durante l’operazione ANRU, il CSB è diventato luogo di produzione e di trasmissione della parola. Di fronte all’informazione inadeguata e al vocabolario tecnico utilizzato dai professionisti e dai politici, gli operatori sociali hanno svolto una funzione di mediazione per quella parte della popolazione che non è abituata a parlare pubblicamente. Come ha messo in luce la vicedirettrice del centro, «hanno cercato di far risalire la parola degli abitanti». In effetti, nella sala d’attesa, durante le feste, nell’atrio dove i genitori accompagnano i figli che partecipano alle attività, si è sempre parlato dell’operazione ANRU. Di fatto, anche gli abitanti che non hanno partecipato alle riunioni pubbliche sono stati informati delle procedure e dell’avanzamento dei lavori; di coloro che partivano, dove andavano e come vivevano questi cambiamenti. A partire da questi contatti e scambi quotidiani ed informali, gli operatori sociali sono riusciti a raccogliere la parola degli abitanti e a trasmetterla durante le riunioni organizzate alle istituzioni che gestivano il progetto.

Per cogliere il ruolo devisivo svolto dal CSB, bisogna pero’ anche sottolineare che l’esercizio professionale degli operatori si inserisce in un campo di relazioni locali denso. I rapporti fra costoro e gli abitanti si accomodano sulle stesse temporalità, si articolano intorno alle stesse reti sociali d’appartenenza e si strutturano sulle stesse modalità di appropriazione degli spazi del quartiere. Come nota Amalia Signorelli, i processi di appropriazione dei luoghi, che sono osservabili nelle «più banali azioni quotidiane» [Signorelli 2008, 53], hanno una componente cognitiva, pragmatica e relazionale. Le azioni messe in atto durante dagli operatori sociali durante l’attuazione del progetto ANRU si articolano su questa triplice componente come lo dimostra il caso di Nouria, nata in Algeria e arrivata in Francia all’età di 3 anni nel 1970. Dopo aver trascorso i primi anni della sua vita in un quartiere al nord della città di Parigi, la famiglia è stata trasferita a Vitry-sur-Seine.

I miei genitori sono arrivati nel quartiere nel 1974-75. Nel palazzo eravamo i soli magrebini. Giù c’era una famiglia italiana, di fronte una francese. Mi ricordo che mia madre diceva che non dovevamo far rumore in casa. Non voleva perché avere un HLM era un lusso e bisognava preservarlo. Mi ricordo ancora questo. In effetti, le famiglie magrebine dovevano essere discrete. Hanno avuto molti problemi per arrivare là e dunque bisognava essere discreti. La scuola stava nel quartiere. ... Era come un villaggio. Mi ricordo che il venerdì sera tutti stavano fuori, donne di orizzonti diversi. Ci si capiva (Nouria, abitante del quartiere)

Il percorso professionale di Nouria si è costruito all’interno del quartiere. A diciassette anni, comincia a lavorare presso il centro sociale del quartiere come volontaria e ottiene un contratto nel 1993.

Quando abitavo nel quartiere, ci mettevo un’ora per arrivare in ufficio. Un’ora, perché uscivo di casa, ma il tempo di salutare tutti quelli che incontravo. Come dire ad una persona che vi racconta che subisce violenza: “Ascolta, passa più tardi in ufficio, ora vado di fetta perché devo fare una telefonata?” Questa persona mi racconta la sua storia in mezzo alla strada, anche se ero molto in ritardo ...una cosa così è molto importante (Nouria, abitante del quartiere).

Nel frattempo, i genitori si trasferiscono in una casa unifamiliare in una città vicina. Nouria si sposa e segue lo stesso itinerario residenziale dei genitori, pur continuando a lavorare a Balzac. In effetti, come la maggior parte degli operatori sociali che lavorano presso il CSB, anche se si è trasferita altrove, Nouria continua ad avere rapporti coi propr ifamiliari, amici o conoscenti che vivono nel quartiere. E questi legami sono alla base di specifiche forme di investimento nella sfera lavorativa. Gli operatori sociali del CSB mobilitano competenze e conoscenze acquisite nel campo del lavoro sociale per intervenire nel contesto urbano locale nel quale sono nati o hanno vissuto a lungo. I valori repubblicani orientano le loro azioni [Ion 2005] e, allo stesso tempo, l’ancoraggio che essi hanno nel quartiere permette di condividere con gli altri abitanti l'ingiustizia e l'esclusione derivate dalla stessa storia migratoria. E questa situazione di discriminazione, condivisa a differenti livelli, conferisce un senso specifico alla loro azione professionale.

Assegnazioni socio-spaziali e percorsi differenziati

Come abbiamo visto, il progetto ANRU prevede la dispersione sul territorio comunale di una parte degli abitanti. Questi trasferimenti imposti dalle istituzioni influiscono sulla maniera attraverso la quale i soggetti vivono la loro assegnazione socio-spaziale. Per coglierne gli effetti, dobbiamo considerare le modalità di gestione del progetto. La municipalità di Vitry-sur-Seine si è impegnata a rialloggiare tutti gli abitanti dentro o fuori dal quartiere. In ogni caso, il servizio incaricato invita ogni capofamiglia a formulare la propria scelta. Durante l’incontro, il percorso socio-residenziale degli abitanti è valutato secondo dei criteri stabiliti dagli organismi pubblici. L’approccio individualizzato permette di prendere in conto le necessità di ogni nucleo familiare: situazione lavorativa, età dei figli ed eventuale progetto per i maggiorenni di avere un alloggio personale, desiderio di restare nel quartiere, trasferirsi nei quartieri dove si sono trasferiti gli altri membri della famiglia. Tuttavia, questa modalità di gestione ha permesso anche di smorzare eventuali alleanze e conflitti collettivi e, soprattutto, ha prodotto delle categorie stigmatizzanti gli individui e i gruppi sociali [Carrel, Neveu, Ion 2009]. Nel corso degli incontri, il percorso residenziale dell’abitante è valutato attraverso le regole stabilite dal «buon funzionamento» degli alloggi collettivi che sono legate alla produzione dell’immagine del «buono» cittadino: non essere disoccupato, aver pagato le rette regolarmente, non aver mai avuto problemi con l’organismo di gestione, non essere poligamo, ecc. Gli abitanti spesso intravedono dietro queste procedure amministrative un approccio normativo guidato dalla logica della «normalizzazione dei rapporti sociali» che si riferiscono ai valori culturali dominanti articolati intorno ai concetti della famiglia nucleare [Roudil 2010].

D’altronde, le sovrapposizioni che esistono fra la dimensione culturale e la condizione economica inducono gli abitanti a riflettere sulla maniera attraverso la quale si costruiscono le gerarchie sociali durante l’attuazione dei programmi urbani. Molti abitanti, anche quando cambiano residenza, non considerano l’operazione ANRU come la possibilità di esercitare una forma di cittadinanza attiva, ma come l’ennesima forma di assegnazione socio-residenziale. Spesso, infatti, la realizzazione del progetto si situa in una lunga storia familiare fatta di cambiamenti residenziali imposti dalle politiche urbane. Molti abitanti leggono il progetto ANRU attraverso le lenti della segregazione urbana, esprimono un certo scetticismo rispetto ad una possibile mobilità socioresidenziale positiva [Lelévrier 2010] e sostengono che questo tipo di operazione «non è fatta per loro». Con questa frase, essi intendono sottolineare il fatto che la riqualificazione urbana del quartiere provocherà un aumento del canone degli affitti, che sarà accompagnato dall’«imborghesimento» del quartiere e che questo processo rischia di creare nuove forme di segregazione urbane.

In ogni caso, il progetto offre ai cittadini la possibilità di cambiare luogo di residenza e, di fatto, costituisce una sorta di biforcazione [Grossetti, Bessin, Bidart 2009] nei percorsi residenziali. Continuare a restare nel quartiere o trasferirsi altrove rappresenta un momento di ridefinizione del proprio percorso biografico che porta ad interrogare la propria posizione e le proprie aspirazioni. Qualsiasi sia la scelta operata, essa implica un posizionamento rispetto alla storia personale e familiare all’interno del quartiere. L’esempio di due sorelle permette di illustrare queste dinamiche [Miranda 2012].

Nacéra è nata a Parigi nel 1963 da genitori algerini ed è arrivata nel quartiere nel 1968. Con orgoglio racconta che la sua famiglia è stata fra le prime ad installarvisi poiché il padre aveva lavorato sul cantiere. Durante l’adolescenza, entra in conflitto con la famiglia e, per sottrarsi al destino tracciato dalla famiglia («Volevano che imparassi a cucire per sposarmi al paese»), fugge da casa. Nel 1991, ha un figlio con un algerino, lascia la cité, ma vi ritorna dopo essersi separata dal padre di suo figlio. Nel 2001, la municipalità le attribuisce un alloggio nel quartiere. Essendo malata, ormai non lavora e si occupa del padre anziano. Quest’ultimo avrebbe dovuto traslocare a causa dei lavori ANRU, ma Nacéra si è battuta per farlo restare nel quartiere. Grazie alle sue lotte, l’organismo di gestione ha attribuito al padre un alloggio simile a quello in cui ha trascorso la maggior parte della sua vita, anche in termini di superficie, per poter essere accudito dai figli. Questa esperienza familiare è alla base del suo impegno per le altre persone anziane della cité.

Io non parlo a nome mio personale. Io parlo a nome di tutti. Non parlo solo perché è un caso personale. Non parlo solo del mio caso. L’ho fatto per le persone anziane che siano francesi, italiane, spagnole, portoghesi e tutto questo. Queste persone che stanno qui, che hanno fatto tutta la loro vita qui (Nacéra, abitante del quartiere).

Ghalia, nata nel 1970, è una sorella cadetta di Nacéra. A diciassette anni ha sposato un giovane del quartiere dal quale ha avuto un figlio. Da sempre ha alternato periodi di disoccupazione con periodi di lavoro precario. Quando l’ho incontrata era impegnata in un progetto di qualificazione professionale con un contratto a termine. Tuttavia, nonostante la precarietà lavorativa, Ghalia ha deciso di cogliere l’occasione offerta dall’ANRU per lasciare il quartiere.

Ebbene, ho 39 anni, ho vissuto sempre a Balzac. Sono nata a Balzac e ho vissuto sempre a Balzac, fino al 10 agosto 2009. In effetti, ho vissuto con i miei genitori fino all’età di 21 anni, poi ho conosciuto il padre di mio figlio e con lui abbiamo avuto un alloggio (Ghalia, abitante del quartiere).

La decisione di partire dal quartiere è stata presa con ponderazione. Dopo «essere stata sposata, divorziata, risposata e ri-divorziata» lasciare Balzac le è apparsa come la sola soluzione possibile «per tagliare i ponti con il passato.

E’ per me stessa, personalmente. Voglio cambiare. E quando dico cambiare, voglio dire voltare pagina, vedere altre cose. Balzac, lo conosco da cima a fondo, dal sottosuolo a sopra... Da molto tempo volevo partire (Ghalia, abitante del quartiere).

Le analisi sulle filles des cités spesso mettono in relazione le condizioni delle ragazze che vivono nei quartieri della banlieue parigina con quella dei ragazzi [Amara 2003; Guenif-Soulimas, Macé 2004; Clair 2008] dimostrando come i rapporti sociali di sesso strutturano i codici sociali e culturali di questi luoghi. Nel corso della ricerca, ho potuto constatare che questi processi agiscono nel vivere quotidiano e che le categorizzazioni sociali gerarchizzanti agiscono tra uomini e donne, ma anche tra le donne. Queste differenze esistenti tra donne che condividono le stesse origini, come le sorelle Nacéra e Ghalia, spiegano l’eterogeneità nelle diverse forme di investimento nella vita di uno stesso quartiere

La forza della rete femminile

Le donne vivono una forma di integrazione differenziata nello spazio del quartiere e, di conseguenza, hanno partecipato differentemente all’operazione di riqualificazione. Durante la ricerca, la mia attenzione si è concentrata in modo particolare su un gruppo di donne la cui azione dimostra le tensioni esistenti fra spazi pubblici e privati [Miranda, Ouali, Kergoat 2011]. Composto da donne di origine nordafricana, nate o arrivate a Balzac durante l’infanzia, questa rete femminile ha costituito una componente locale attiva durante l’attuazione del progetto ANRU.

Nell'agosto 2006, il CSB ho chiesto all’attrice di teatro Sandrine Charlemagne di realizzare un progetto di scrittura con le donne del quartiere al fine di «lasciare una traccia storica». Gli incontri hanno dato vita a un libro (“Balzac. Du côté des femmes”) che è stato messo in scena al teatro Vitry-sur-Seine la prima volta il 20 giugno 2008 e riprodotto in altre occasioni. Le donne che hanno partecipato al workshop di scrittura si sono trasformate anche in attrici. Quest’azione artistica ha fatto emergere la parola di queste donne che organizzano e/o si riuniscono regolarmente per feste e altre iniziative nei locali del CSB. Ma l’operazione ANRU ha fornito anche un contesto per supportare delle iniziative per migliorare la situazione dei figli e dei genitori di queste donne. In effetti, molte donne vivono una dimensione relazionale forte con il quartiere e le loro azioni prendono senso solo se si guarda all'importanza che conferiscono alle reti familiari e di origine. La prospettiva generazionale nella quale si collocano è importante soprattutto se si considera le rivendicazioni portate avanti in nome delle persone anziane. Le donne che ho incontrato hanno ripetutamente ricordato la particolare difficoltà dei loro padri e madri a vivere i cambiamenti indotti dalle operazioni urbane. Queste donne ormai mature, nate o cresciute in Francia, parlando a nome dei loro genitori, sono diventate le porta voci di una generazione spesso dimenticata.

Questa forma di politicizzazione della vita privata apre una serie di questioni su «chi parla a nome di chi», «di cosa parla» e «da dove parla» (Vitale 2007) in termini di genere. Gli studi effettuati attraverso una prospettiva di intersezionalità [Sumi, Crenshaw, McCall 2013] permettono di ricostruire le articolazioni esistenti fra appartenenza di genere, di classe e di razza e offrono una base per leggere le differenze che si creano fra donne legate fra di loro da una stessa situazione migratoria (Arnaud, Ollitrault, Retif Sala Pala 2009]. Tuttavia, tale prospettiva teorica rimane poco sensibile alla dimensione spaziale e, in modo particolare, a come le sfere di produzione e riproduzione determinano la divisione della città attraverso le distinzioni tra luoghi pubblici e privati. In questo senso, pur prendendo la parola a nome degli altri membri della famiglia, l’impegno di queste donne non si riduce ad una dimensione privata.

Le azioni delle donne di Balzac ricoprono una dimensione politica che rimette in causa i principi e i valori che definiscono la divisione sessuale che è alla base della costruzione del mondo urbano [Coutras 1996] e dimostrano come e quanto lo spazio privato sia centrale nella riproduzione delle assegnazioni sociospaziali. Come mette in luce Honneth [2002] le relazioni primarie (i rapporti familiari e di amicizia), le relazioni giuridiche (in cui il singolo diventa soggetto autonomo) e il livello della «comunità etica» (nella quale il soggetto viene riconosciuto per il suo valore sociale per il suo personale apporto alla società) possono costituire la base di una lotta per la riconoscenza pubblica. Parlando in nome della famiglia, queste donne rivendicano l’esercizio di una forma di cittadinanza localizzata riferita alla storia del quartiere. Con il loro impegno, sfumano i confini tra il pubblico e il privato, fra dimensione istituzionale e quella personale, fra appartenenza familiare e nazionale.

****************************

L’operazione di riqualificazione urbana realizzata nel quartiere Balzac a Vitry-sur-Seine ha coinvolto differentemente gli abitanti. L’analisi delle loro azioni, dei loro discorsi e delle loro pratiche evidenzia che il coinvolgimento e l’impegno variano secondo i piani di analisi ma anche il ciclo di vita individuale e familiare. L’approfondimento delle azioni svolte dagli operatori sociali del CSB e da alcune donne dimostra tuttavia che in ogni caso le diverse forme di rivendicazione si ancorano nell’esperienza localizzata del quartiere. Le une e gli altri, partendo dalle interazioni quotidiane e prolungate ancorate nella vita del quartiere, hanno permesso la «riproduzione della località», come la definisce Appadurai [2001]. Gli operatori sociali facendo riferimento alla giustizia sociale hanno messo in relazione l’esperienza localizzata di cittadinanza con i valori repubblicani dello stato-nazione nella loro versione universalista francese. Le donne, invece, hanno investito simbolicamente una forma cittadinanza che può essere definita «quotidiana». Il loro impegno porta quindi a riflettere su come l’appartenenza di genere gioca nella costruzione delle località poiché, come ricorda Hannerz [2001, 39], le donne possono assolvere maggiormente il compito di mantenere le tradizioni ma, molto spesso, si adattano più velocemente al cambiamento che gli uomini.

Riferimenti bibliografici

Althabe G. 1977, Le procès au quotidien, «Dialectiques», 21 : 67-77.

Amara F. 2003, Ni putes ni soumises, Parigi, La Découverte.

Appadurai A. 2001, Modernità in polvere, Roma, Meltemi.

Arnaud L., Ollitrault S., Retif Sala Pala S. (eds) 2009, L’action collective face à l’imbrication des rapports sociaux. Classe, ethnicité, genre, Parigi, L’Harmattan.

Barth F. 1994, I gruppi etnici e i loro confini, in Maher V. (ed), Questioni di etnicità, Torino, Rosenberg & Sellier, 33-72.

Carrel M., Neveu C., Ion J. (eds) 2009, Les intermittences de la démocratie. Formes d’action et de visibilités citoyennes dans la ville, Parigi, L’Harmattan.

Chamboredon J. C., Lemaire M. 1970, Proximité spatiale et distance sociale. Les grands ensembles et leur peuplement, «Revue française de sociologie», 1 : 3-33.

Clair I. 2008, Les jeunes et l'amour dans les cités, Parigi, Armand Colin.

Coutras J. 1996, Crise urbaine et espaces sexués, Parigi, Armand Colin.

Deboulet A. 2006, Le résident vulnérable. Questions autour de la démolition, «Mouvements», 47-48 : 174-181.

-- 2010, La rénovation urbaine entre enjeux citadins et engagements citoyens, «Puca» http://rp.urbanisme.equipement.gouv.fr/puca/activites/rapport-renovation-urbaine-enjeux-citadins-engagements.pdf

Fourcaut A. 2000, La banlieue en morceaux. La crise des lotissements défectueux en France dans l’entre-deux-guerres, Parigi, Créaphis.

Geertz C. 1999, Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del XX secolo, Bologna, Il Mulino.

Giddens A., 1990, The Consequences of Modernity, Stanford, Polity Press.

Giglia A. 2012, El habitar y la cultura. Perspectivas teóricas et de investigación, Barcellona, Anthropos, Universidad Autónoma Metropolitana,.

Gouard D. 2013, La banlieue rouge. Ceux qui restent et ce qui change, Parigi, Le bord de l’eau.

Grossetti M., Bessin M., Bidart C. 2009, Bifurcations. Les sciences sociales face aux ruptures et à l’événement, Parigi, La Découverte.

Guenif-Soulimas N., Macé E. 2004, Les féministes et le garçon arabe, Parigi, La Tour d'Aigues L'Aube.

Hannerz U. 2001, La diversità culturale, Bologna, Il Mulino.

Harvey D. 2011, L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza, Milano, Feltrinelli.

Honneth A. 2002, Lotte per il Riconoscimento. Proposte per un’etica del conflitto, Milano, Il Saggiatore.

Ion J. 2009, Travailleurs sociaux, intervenants sociaux : quelle identité de métier?, «Informations sociales», 152 : 136-142.

Lautman J. 1981, Pour une théorie de la localité, «Cahiers Internationaux de Sociologie», LXXI : 321-328.

Lapeyronnie D. 2008, Ghetto urbain, Parigi, Rober Laffont.

Lelévrier C. 2010, La mixité dans la rénovation urbaine : dispersion ou reconcertation, «Espaces et société», 140-141 : 59-74

Maher V. 1989, Il potere della complicità. Conflitti e legami delle donne nordafricane, Torino, Rosenberg e Sellier.

Miranda A., Ouali N., Kergoat D. 2011, Les mobilisations des migrantes : un processus d’émancipation invisible?, «Cahiers du genre», 51 : 5-24.

Miranda A. 2012, Engagement et prise de parole des femmes de la cité de Balzac (Vitry sur Seine), in L. Ellena, Hernández Nova, C. Pagnotta (eds), Genere e cultura nelle città europee, Università degli Studi di Torino, CIRSDE, 65-75.

-- 2014, Accompagnement social et action institutionnelle intersticielle lors de l'opération ANRU Balzac (Vitry sur Seine), in Deboulet A., Lelévrier C. Ed, Rénovation urbaines en Europe, Presses Universitaires de Rennes, Rennes.

Pétonnet C. 1982, L'Observation flottante. L'exemple d'un cimetière parisien, «L'Homme», 22 (4) : 37-47.

Ramazanoglu C., Holland J.2002, Feminist Methodology. Challenges and Choices, Londra, Sage.

Roudil N. 2010, Usages sociaux de la déviance. Habiter la Castellane sous le regard de l’institution, Parigi, L’Harmattan.

Saillant F., Kilani M., Bideau F. (eds) 2012, Per un’antropologia non egemonica, Milano, Eleuthera.

Signorelli A. 2008, Soggetti e luoghi. L’oggetto interdisciplinare della nostra ricerca, in Rispoli C., Signorelli A. (eds), La ricerca interdisciplinare tra antropologia urbana e urbanistica, Milano, Guerini.

Sumi C., Crenshaw K. W., McCall L. 2013,Toward a Field of Intersectionality Studies: Theory, Applications, and Praxis, “Signs”, 38 (4): 785-810

Vitale T. (ed.) 2007, In nome di chi? Partecipazione e rappresentanza nelle mobilitazioni locali, Milano, Franco Angeli.

Sitografia

Vitry. «Le mensuel» n. 59, décembre 2009, URL : http://www.anru.fr/Vitry-sur-Seine-Quartier-Balzac.html

Sito della Agence National Rénovation Urbaine : http://www.anru.fr/

Sito del Collectif Mal Logés en colère : http://mal-logesencolere.20minutes-blogs.fr



[1] Le modalità di attuazione di questo programma sono approfondite nel paragrafo 2.

[2] E’ il caso delle contestazioni e delle proteste del Collectif Mal Logés en Colère Cfr. http://mal-logesencolere.20minutes-blogs.fr/

[3] Il mio progessivo inserimento nel quartiere si è articolato sulla mia appartenenza di genere e di nazionalità. Come donna e come italiana, anch’io ho occupato un posto di «immigrata», un’immigrata che vive una sorta di prossimità (a volte reale, a volte supposta) per valori familiari e modi di vita con le donne che ho incontrato. Col tempo ho dovuto imparare a destreggiarmi fra i diversi ruoli assegnatami e, a partire delle riunioni informali (durante le quali si è parlato a lungo di cucina e di famiglia), a costruire un campo di relazioni allargato sul quartiere.

[4] Questa politica si prolunga nel tempo e, nel 2009, il patrimonio residenziale sociale rappresentava oltre il 43% del totale degli alloggi.

[5] Nel 2006, 125 alloggi risultavano inoccupati.

[6] Il progetto prevede degli interventi urbani alla scala metropolitana che vanno dalla costruzioni di nuovi alloggi, alla creazione di nuove linee di metropolitana, fino ad arrivare alla delocalizzazione di alcune istituzioni nella banlieue parigina. Cfr. http://www.societedugrandparis.fr/projet.

[7] Per rispettare l’anonimato delle persone incontrate, i loro nomi sono stati cambiati.

[8] Con la demolizione della Tour ABC, il CSB primo è stato trasferito in alcuni locali provvisori e dal 2010 la sede è stata spostata nella parte nuova del quartiere.