Strumenti di lotta antimafiosa in Italia e in Tunisia

Nabil Zaher


Abstract. This article aims to speak sicilian instruments to combat anti-mafia in relation to "Le parole sono pietre" written by Carlo Levi in 1955 and other instruments to combat anti-mafia in relation to the Tunisian Revolution of 2011.

Keywords . Revolution; mafia; anti-mafia; self-immolation; organization

Journal. EtnoAntropologia, 3 (2) 2015

È ovvio che la mafia segni sin dalla nascita il destino di molta gente, influenzi la morale, il costume, la politica e l’economia.

Gli stati del terzo Mondo sono stati diretti mediante un esercizio dispotico del governo ma tutto è rimasto nell’ombra come in tutti i sistemi mafiosi: «La trasparenza non è certo un elemento distintivo di questi regimi» [Memmi 2006, 23].

Il regime dittatoriale di Ben Ali era mafioso e comparabile ad una conquista coloniale ugualmente illecita e feroce: «Ben Ali ha passato più di vent’anni a costruire reti e strutture necessarie solo a rendere il paese una sua proprietà privata» [Ben Jelloun 2011, 19].

Ci sono coloro che hanno accettato passivamente il regime mafioso negandone la presenza per natura omertosa e indifferente con il loro silenzio scontroso non curandosi di denunciare le imposture del potere mafioso e gli arbitri dell’ istituzione mafiosa come i funzionari dipendenti dalla mafia, gli uomini politici collegati direttamente ai clan mafiosi per motivi di interesse che ne negavano l’esistenza in modo ufficiale perché ovviamente volevano conservare i profitti che traggono dalla loro relazione con essa.

Sino a quando il regime funziona, per i nobili servitori che cooperano col sistema e «vivevano in un comfort e un benessere notevoli» [Ben Jelloun 2011, 32] basta che siano benedetti dai loro padrini occulti.

Oltre ai privilegi diretti e indiretti che gli procura il potere per merito di un sistema mafioso di vicendevolezza, sono anche ricompensati avendo l’opportunità di diventare più ricchi grazie ad «un sistema di spoliazione e non da atteggiamenti filantropici» [Memmi 2006, 16]

Da ciò risulta l’unica e martellante preoccupazione di conservare più a lungo possibile il potere.

Della loro posizione approfittano persino i loro parenti: «Le mogli, i figli, i nipoti di questi despoti sono infatti alla guida di ricche imprese, o ne traggono profitto attraverso prestanome» [Memmi 2006, 23]. .

Il favoritismo è uno dei costituenti peculiari dei governi mafiosi. Per esempio, «i responsabili della gestione dei proventi del petrolio sono quasi sempre persone vicine al capo dello stato» [Memmi 2006, 23]..

In Tunisia, prodigando privilegi economici ai loro familiari e alle persone che ne godono il favore, gli imbroglioni hanno reso più salda la loro cerchia difensiva mediante «un protezionismo sui generis, a vantaggio delle pratiche di corruzione diffuse in ogni piega della società e delle istituzioni, appropriazione e rapina esercitate dal famelico clan benalista.» [Rivera 2012, 21].

Per esempio in Tunisia, la borghesia, conseguiti una serie di vantaggi, ha imposto un meccanismo amministrativo e politico che consentisse di eternare quella posizione privilegiata del famelico clan di Ben Ali perennemente affamato di soldi. Infatti, «tutti i grandi commerci, tutte le grandi imprese, tutti gli investimenti stranieri dovevano passare per “la legge Ben Ali-Trabelsi”» [Ben Jelloun 2011, 32] dato che la famiglia Trabelsi insaziabile e composta dai cognati del presidente Ben Ali piazzati in tutti i posti chiave del potere aveva il monopolio degli affari legali e illegali nel paese. Si trattava di «una vera e propria famiglia nel senso mafioso del termine, una banda di criminali che ha messo le mani su tutto ciò che generava denaro: immobili, turismo, industrie, telefonia, internet, dogane [...] perfino la droga» [Omri 2012, 200].

Insieme alla categoria delle persone che hanno accettato passivamente il sistema mafioso, c’è un’altra categoria di persone audaci che si sono opposte alla mafia come i minatori ed i braccianti siciliani descritti in Le parole sono pietre di Carlo Levi.

A Sciara, il dirigente del primo movimento contadino organizzato sorto da una società feudale ed i cui protagonisti furono i contadini assetati di giustizia era Salvatore Carnevale.

Per lottare contro le ingiustizie della struttura feudale alleata con i mafiosi, secondo Carnevale, bisogna essere organizzati.

Con un movimento contadino di resistenza suscettibile di strutturare le azioni dei contadini siciliani, l’organizzatore sindacale lottò con determinazione e lealtà contro «la mafia locale, legata agli agrari» [De Donato 1974,166].

L’organizzatore sindacale ha reclamato il fatto che la divisione del grano dovesse essere fatta in conformità con la legge del “sessanta e quaranta”. Ha affermato che i contadini che hanno seminato il grano debbono anche far parte della raccolta delle olive.

Carnevale insieme ai contadini che fanno parte del movimento sono riusciti ad infliggere una significativa sconfitta ai feudatari alleati con i mafiosi che fanno la legge nelle zone feudali ottenendo quasi tutto ciò che richiedevano perché non hanno obbedito al codice dell’omertà e perché Carnevale non si è mai lasciato corrompere, né lusingare quando gli venne offerto da un amministratore del feudo nel caso che avesse rinunciato alla lotta tutte le olive che egli avesse chiesto.

Per combattere pure contro il dispotismo dei mafiosi, Salvatore Carnevale ha cercato di porre fine all’ingiustizia consistente nella trasgressione della legge dell’orario di lavoro giornaliero ed il quale era superiore alle otto ore giornaliere fissate dalla legge (il numero delle ore di lavoro giornaliero era undici).

Per reclamare i loro diritti, i lavoratori hanno scioperato. In seguito a questo sciopero, si promise di rispettare le otto ore lavorative e di pagare gli stipendi arretrati.

Tuttavia, dopo la ripresa del lavoro, Carnevale ricevette minacce di morte da un mafioso inviatogli qualche giorno prima della sua scomparsa : « Pensaci, che altrimenti farai una mala morte» [Levi 1955,144]. Con tutto ciò, Carnevale non si arrese e non si piegò di fronte alla minaccia di morte. Si rivolgò al mafioso dicendogli: «Vieni tu ad ammazzarmi, ma di’ a questi che ti ci mandano che quando hanno ammazzato a me hanno ammazzato a Gesù Cristo» [Levi 1955,144]. Con l’ammazzamento di Cristo, si intende qui, secondo Caserta, l’ammazzamento di «un uomo che porta una rivoluzione nella storia e nei rapporti fra gli uomini» [Caserta 1996, 42].

Dopo le minacce di morte indirizzategli e che non hanno avuto buon esito in quanto non hanno impedito a Carnevale di proseguire la sua lotta antimafiosa, i mafiosi hanno tentato la carta della seduzione. Parlando di questo fatto, la madre di Salvatore dice:

Era notte, mio figlio tornava dal lavoro, quando in un angolo buio sentí chiamare con un sussuro: «Ps,ps». Non si voltò e non rispose. Quello allora, spuntato dall’ombra, gli si avvicinò. Gli batte una mano sulla spalla. « Oh, dice,-Totò, ti sei fatto superbo».« Ho un nome che mi ha dato Dio». - «Bene, -dice quello,-ti voglio bene, se non ti volessi bene non mi metterei in questi inciampi. Hai da levarti dal partito e stracciare tutte le carte e non pensarci piú. Avrai una buona somma, che mentre campi non avrai piú da lavorare [Levi 1955,144].

Ciononostante, Salvatore Carnevale non cedette alle blandizie e rifiutò di piegarsi alle lusinghe non accettando l’offerta seducente del mafioso e gli rispose in questi termini: «Io non sono carne venduta, e non sono un opportunista» [Levi 1955,144].

Contro il dispotismo del sistema mafioso, come si intravede nei discorsi di Salvatore, «si muove una nuova forza, nuove parole, che sono come pietre. Sono le parole d’ordine del socialismo, del partito, delle masse organizzate, che cercano di costruire un nuovo futuro» [Caserta 1996, 42].

Salvatore, infatti, non solo esercitò l’attività di organizzatore sindacalista, ma anche fondò la sezione socialista nel’51 e mise in piedi la Camera del lavoro per combattere il degrado della Sicilia le cui cause storiche andavano individuate nel sistema feudale.

Così, Salvatore Carnevale considerato come un vero e proprio capo contadino in quanto ha rotto la consegna del silenzio viene trucidato dai massacratori dei latifondisti mafiosi cioè dalla mafia terriera dopo gli avvertimenti tipicamente mafiosi.

Mentre in Sicilia la protesta degli anni cinquanta era strutturata, in Tunisia la protesta etica e morale del 2011 era subitanea. Si trattava di una sollevazione popolare che tende a «stabilire un’igiene morale in una società che è stata sfruttata e umiliata fino all’inverosimile» [Ben Jelloun 2011, 15].

È un rifiuto totale e senza mezzi termini dell’assolutismo, dell’impoverimento crescente, della corruttela, della ruberia dei beni del paese, del clientelismo, del favoritismo, della mortificazione e dell’illiceità che ha fatto arrivare al potere dei governanti «il cui comportamento prende a prestito metodi della mafia» [Ben Jelloun 2011, 15].

Le cause remote della protesta sono da ricondurre per un verso alla mancanza di una reale democrazia e libertà, per l’altro verso a condizioni di vita e possibilità di crescita individuali decisamente difficoltose che i tunisini esasperati dalla povertà vivevano da troppo tempo.

Pertanto, la rivoluzione del 14 gennaio 2011 non è una rivoluzione ideologica nel senso che non c’è un leader o un capopoplo o un partito che porta avanti alla ribellione.

Una miriade di persone è scesa in strada rischiando la morte per portare il loro sostegno al gesto di auto-immolazione di Bouazizi perché è caduta la goccia che ha fatto traboccare il vaso. È una rivoluzione inconsueta nel mondo arabo estemporanea e impreparata: « È una pagina della storia scritta giorno per giorno, senza una pianificazione, senza premeditazione, senza intrallazzi, senza trucchi» [Ben Jelloun 2011, 15].

La Rivoluzione del 14 gennaio originata dal sentimento di sdegno collettivo e « localizzata nel cuore delle regioni più disagiate e abbandonate» [Rivera 2012, 25] dell’ovest della Tunisia, fu spontanea, acefala cioè sprovvista di alcuna tattica politica e di dirigenza persino sindacale.

Dopo la scomparsa del padre, è caduto sulle spalle di Mohamed Bouazizi il carico della famiglia composta da sette membri. Per rispondere alle esigenze della famiglia numerosa, Bouazizi diplomato ma disoccupato si trova costretto a fare il venditore ambulante abusivo di frutta e verdura.

Dato che non possiede la licenza per vendere verdura e frutta per strada, Bouazizi è stato oggetto di persecuzioni da parte degli agenti municipali. Rifiuta di corromperli cioè i compromessi mafiosi. Così, gli confiscano il suo carretto prezioso, è preso a schiaffi e qualcuno gli sputa in faccia.

Questa suprema offesa avrebbe suscitato una rivoluzione dalle ripercussioni smisurate. Infatti, l’atto suicidario pubblico e non silenzioso di Mohamed Bouazizi di cui vuole fare un gesto utile per i suoi connazionali tiranneggiati ha scatenato un movimento rivoluzionario nazionale insolito insorto contro il potere centrale :

Mohamed Buazizi [...] ha deciso di farla finita immolandosi nel fuoco [...] Questo gesto [...] spettacolare [...] lo ha fatto in pubblico, davanti alla sede del governatorato, davanti a quell’ufficio amministrativo che si è rifiutato di ascoltarlo e di rendergli giustizia [Ben Jelloun 2011, 37].

Quest’autoimmolazione pubblica di Bouazizi in data del 17 dicembre 2010 dovuta all’umiliazione subita, il cui video viene diffuso nelle cosiddette reti sociali da frequentatori di facebook armati di telefonini che gli raccontano con precisione il dolore dei loro fratelli in tutte le zone, ha scatenato non solo dei sommovimenti popolari ma anche ha fatto crollare la dittatura di Ben Ali durata circa un quarto di secolo:

il gesto esibito in pubblico ha [...] scatenato manifestazioni . [...] Morirà il 4 gennaio. Dieci giorni dopo, è il regime di Ben Ali che rende l’anima al cielo; il dittatore in carica da 23 anni incapace di placare la furia popolare scappa come un vero ladro, mendica qui e là un asilo e poi finisce per atterrare a Gedda [Ben Jelloun 2011, 40].

Succintamente, il popolo tunisino grazie a Bouazizi che gli ha offerto la propria vita è riuscito ad affrancarsi dal presidente Ben Ali, dalla sua famiglia mafiosa vorace e dalla sua banda di affaristi assetati di denaro.

È indubbio che la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso sia collegata all’umiliazione subita da Bouazizi e al suo martirio. A questo fattore primordiale che ha innescato lo scoppio della collera contro il regime, non si possono trascurare altri fattori indiretti che hanno permesso alla protesta popolare di avere il pieno successo ottenendo dopo solo quattro settimane, il 14 gennaio 2011 l’inimmaginabile caduta della didattura.

In primo luogo, l’utlizzo delle differenti reti sociali ha contribuito alla diffusione delle informazioni e all’organizzazione delle forme di protesta. L’enorme quantità di video e di immagini provenienti da cortei e sit-in che circolano su Facebook innescano a catena la mobilitazione.

Così, « avvocati, magistrati, giornalisti, artisti hanno partecipato alle manifestazioni che sono divenute quotidiane e hanno raggiunto Tunisi dove sono stati sfidati lo stato d’emergenza, il coprifuoco e la durissima repressione» [Mercuri, Torelli 2012, 53]. In secondo luogo, non bisogna dimenticare che il Generale Rashid, capo dell’esercito, si astiene dal dare l’ordine ai soldati di sparare sui rivoltosi.

Ciascun avvenimento storico importante, specialmente se produce uno sconvolgimento politico assume un valore simbolico e mitologico. A questa tendenza non si sottraggono i moti di protesta avvenuti in Tunisia e in Sicilia che hanno fatto di Mohamed Bouazizi suicidato pubblicamente e di Salvatore Carnevale assassinato per ordine della mafia latifondistica i simboli centrali ossia i miti fondatori e le icone delle lotte antimafiose.

Dopo aver parlato della rivolta popolare in Sicilia scoppiata a causa dell’ usurpazione dei diritti dei cittadini e l’ineguale ripartizione dei frutti del lavoro e della rivoluzione tunisina del 14 gennaio, è importante a parer mio porre l’accento su alcuni aspetti convergenti e divergenti caratterizzanti i due movimenti che hanno portato ad un esito positivo.

È ovvio che l'essere umano, qualunque sia la sua capacità di resistere all’ umiliazione, alla povertà e all’usurpazione della dignità non possa rimanere impassibile di fronte alla tragica situazione di sottomissione.

È vero che una parte delle masse popolari finisca per rassegnarsi squallidamente alla fatalità del destino. Queste masse popolari sottomesse all’ingiustizia sociale possono essere paragonate all’acqua bollente che potrebbe, da un momento all’altro, traboccare bruscamente dall’ utensile ove si trova.

ll malcontento popolare è stato una caratteristica sia del movimento antimafia siciliano che della rivoluzione tunisina scatenata contro l'autorità dello stato simboleggiato dal governante e la banda di lupi affamati che lo circondano e che si avvalgono di strumenti immorali e scandalosi per succhiare il sudore dei lavoratori.

Non solo i movimenti organizzati e sindacali guidati da un leader carismatico possono costituire le basi di un movimento rivendicativo e di protesta di massa. Infatti, il moto di protesta esploso in Tunisia non è affatto organizzato bensì spontaneo ed improvviso.

Ognuno aveva un malessere interiore e si sentiva stringere il cuore ma nessuno osava reagire temendo le conseguenze del suo intervento. L’autoimmolazione col fuoco e l’impensabile agonia di Mohamed Bouazizi che ha lottato per giorni contro la morte in un letto d'ospedale con una sofferenza indescrivibile hanno rotto il muro del silenzio e innescato una rivolta inedita in Tunisia. In quel momento storico della Tunisia, il concetto dell’io non ha ormai più ragione d'essere. Ciascuno rispondeva all’appello del dovere di non accettare più la nozione del fatto compiuto.

Le manifestazioni di protesta si espandono, si diffondono a macchia d'olio in tutte le città del territorio tunisino e trovano il loro epilogo il venerdì 14 gennaio davanti al simbolo dell’oppressione vale a dire davanti alla sede del Ministero dell'Interno che si trova nella via principale di Tunisi: Avenue Habib Bourguiba.

Anche nel villaggio di Villalba ove è scatenato un moto di protesta antimafioso capeggiato da Girolamo Li Causi, è proprio nella piazza di Villalba occupata dai mafiosi siciliani e che costituisce un perno del sistema dei mafiosi, anzi la capitale del loro impero mafioso «che il 16 settembre 1944 avvenne la famosa strage di Villalba, che segnò un momento così importante all’inizio del movimento contadino per la terra e la libertà» [Li Causi 1966, 59].

Prima delle date del 16 settembre e del 14 gennaio, nessuno osava mettere piede sulla piazza e la via sopraindicate e simboleggianti il cuore del potere mafioso tunisino e siciliano. Tuttavia, in queste due date storiche, si è liberata la gente assoggettata al volere degli oppressori.

Da quanto detto, si può dedurre che i regimi assolutistici e dispotici il cui scopo è quello di spoliare le genti dei propri averi con metodi mafiosi caratterizzati dall’arbitrarietà, dalla menzogna e dal terrore non possono essere eterni.

Infatti, il mutismo e la rassegnazione del popolo vengono soppressi quando si è verificato un pretesto che ha fatto scoppiare una reazione folgorante e incontrollata della gente sofferente sia in Tunisia nel 2011 che nella Sicilia degli anni cinquanta.

Così, la paura ha cambiato campo e quelli che ritenevano che il loro potere fosse incrollabile lo vedevano crollare come un castello di carte perché i dittatori non imparano mai niente nemmeno dalle disavventure che sono occorse nella storia ai loro simili. E così resistono fino alla fine e anche oltre. Si accorgono che è arrivato per loro la fine del potere solo quando crolla il loro regime.

La gente è nata libera e quindi può vivere e morire solo dignitosamente. Nessuno può usurpare il loro tozzo di pane, la loro dignità e la loro libertà di esprimere i propri pensieri.

La scomparsa di Salvatore Carnevale eliminato dalla mafia e quella di Bouazizi immolatosi per far crollare la dittatura ha costituito in entrambi i casi l'alba di una nuova vita per milioni di persone, sia nella società siciliana che in quella tunisina.

In qualche modo, la morte che è la fine irrimediabile della vita della gente sulla terra ha simboleggiato paradossalmente i semi di una nuova vita terrena. Nelle diverse credenze e tradizioni, la morte costituisce l'inizio di una vita migliore nell'aldilà, mentre la scomparsa dei due simboli della rivoluzione siciliana e tunisina ha dato l’avvio ad un’ altra vita terrena migliore per milioni di persone.

Sono trascorsi quattro anni dalla rivoluzione tunisina. Il presidente fuggito è stato dimenticato dai tunisini. Le ultime notizie sul suo conto lo danno in Arabia Saoudita a Gedda in cui si rifugiò concedendosi un esilio dorato. A quattro anni di distanza, non vale nemmeno la pena di parlarne.

Sono trascorsi quattro anni dall'inizio della Primavera Araba, quella serie di proteste che chiedevano libertà e democrazia divampate all'inizio del 2011 e viste con favore dal mondo occidentale. Oggi, la Tunisia è l'unica nazione ove la primavera araba ha portato modifiche positive. Per la prima volta nel mondo arabo, viene adottata una costituzione che ha permesso di realizzare elezioni parlamentari e presidenziali trasparenti.

Per quanto riguarda la Sicilia, la lotta antimafiosa condotta da Salvatore Carnevale ha segnato una svolta nella storia dei siciliani degli anni cinquanta. Tuttavia, sino ad oggi il fenomeno mafioso non è ancora debellato cioè non è ancora sconfitto in modo definitivo.

Bibliografia

Ben Jelloun T. 2011, La rivoluzione dei gelsomini : il risveglio della dignità araba ; traduzione di A.M. Lorusso, Milano: Bompiani.

Caserta G. 1996, Nuova introduzione a Carlo Levi, Venosa: Osanna.

De Donato G. 1974, Saggio su Carlo Levi, Bari : De Donato.

Levi C. 1955, Le parole sono pietre, Torino: Einaudi.

Li Causi G. 1966, Girolamo Li Causi e la sua azione politica per la Sicilia scritti, discorsi e testimonianze a cura di Franco Grasso, Palermo: Libri siciliani.

Memmi A. 2006, Ritratto del decolonizzato : immagini di una condizione, Milano: Cortina.

Mercuri M., Torelli S T. 2012 ( a cura di), La primavera araba: origini ed effetti delle rivolte che stanno cambiando il Medio Oriente, Milano: V&P.

Omri H. 2012, La rabbia e la speranza, Milano: Sperling & Kupfe.

Rivera A. 2012, Il fuoco della rivolta: torce umane dal Maghreb all'Europa, Bari: Dedalo.